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Sono quarant’anni, in questi giorni, dalla promulgazione dell’Humanae Vitae. Come accade per tutti i momenti che ti segnano, ricordo perfettamente il luogo in cui mi trovavo quando ne lessi sui giornali e volli conoscere un po’ più a fondo l’enciclica che pretendeva di regolare l’atto d’amore che prelude alla formazione di una vita.
Ne è passato di tempo, da allora.
Era il Sessantotto (il Sessantotto, avete capito?) ed i movimenti studenteschi avevano cominciato a spazzare via una serie infinita di luoghi comuni, fra cui il “mito” della sessualità. Andava molto di moda, in quegli anni, l’amore libero teorizzato soprattutto da Marcuse e praticato nelle “comuni”.
Si cominciavano ad assestare colpi mortali al concetto tradizionale di famiglia che - almeno in Occidente - si fondava sulla reciproca fedeltà nel matrimonio (rigorosamente eterosessuale, ci mancherebbe,…). In un film del 2003, The Dreamers, Bernardo Bertolucci ripercorre i giorni del “maggio francese” in cui si cominciava ad assaporare questa “liberazione” sessuale: vi si racconta di amori pseudo-incestuosi e della sperimentazione di “triangoli” per l’epoca estremamente trasgressivi.
Logico che la Chiesa cattolica, depositaria del magistero in campo morale, volesse (dovesse) dire la sua. Ed ecco che Paolo VI innalza con la sua enciclica un vero e proprio “muro”: una difesa estremamente determinata del principio secondo cui il sesso non è scindibile dalla prospettiva della procreazione. Da qui il rigetto assoluto di ogni pratica sessuale al di fuori del matrimonio e, anche all’interno di questo, il divieto di adozione di metodi di contraccezione “non naturali”. Con buona pace della coerenza, visto che non può sfuggire la clamorosa contraddizione insita in questa scelta: il fatto che, sia pure con metodi naturali, si voglia fare l’amore escludendo la procreazione.
Fabrizio De André, ne “Il Testamento di Tito” non manca di affrontare il tema - allora particolarmente sentito - e commenta così il VI Comandamento:
Non commettere atti che non siano puri, cioè non disperdere il seme.
Feconda una donna ogni volta che l’ami, così sarai uomo di fede:
poi la voglia svanisce ed il figlio rimane, e tanti ne uccide la fame.
Ne è passato di tempo da allora. Ma non abbastanza per la Chiesa di Papa Ratzinger.
Il Movimento internazionale “We Are Church (Noi siamo Chiesa)” ha ricordato il quarantennale con un “appello al popolo di Dio”, e MicroMega ha pubblicato un interessante articolo che ripercorre la storia dell’intolleranza della Chiesa nei confronti della sessualità scissa dalla procreazione.
Oggi, a quarant’anni dalla “Humanae Vitae”, il muro eretto da Paolo VI e consolidato da Giovanni Paolo II , lungi dall’essere sgretolato dagli attacchi della modernità sembra appena appena scalfito. Le voci in dissenso non mancano: l’intolleranza verso il preservativo è stata messa in discussione anche da voci autorevoli, come quella del Cardinal Martini che però parlò del profilattico solo come “male minore” finalizzato alla lotta all’AIDS nel Terzo Mondo. Ma non tutti lo seguirono neanche in questa timida apertura.
La voce ufficiale della Chiesa, il Catechismo, revisionato appena qualche anno fa, recita ancora oggi:
2370 - La continenza periodica, i metodi di regolazione delle nascite basati sull’auto-osservazione e il ricorso ai periodi infecondi sono conformi ai criteri oggettivi della moralità. Tali metodi rispettano il corpo degli sposi, incoraggiano tra loro la tenerezza e favoriscono l’educazione ad una libertà autentica. Al contrario, è intrinsecamente cattiva « ogni azione che, o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione.
E allora? Come conciliare la dottrina con la realtà, che vede milioni di cattolici che si definiscono praticanti ignorare beatamente l’insegnamento della Chiesa su questo punto (ed altri)? Ci si affida, a quanto mi consta, alla pastorale spicciola sulla morale coniugale: lo spinoso argomento viene lasciato al buonsenso (se vogliamo un po’ cerchiobottista) di parroci “illuminati” che, se li incalzi sul punto, ti ricordano che “il primo comandamento cristiano è l’Amore”, come a lasciar intendere “fatelo un po’ come vi pare”.
Arriverà mai il momento del definitivo ripensamento? Se “la Chiesa siamo noi”, come ci si ripete da tempo, forse sarebbe ora che a queste parole si desse un significato più vicino alla realtà della persona umana.