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BIGFOOT

Ultimo Aggiornamento: 26/02/2012 15:00
26/02/2012 12:37
 
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Come la strepitosa sfida all'OK Corrai, anche l'assedio del cosiddetto Canyon della Scimmia è entrato a far parte del folklore americano.
La storia incominciò nel 1924, presso un gruppo di minatori insediati sulle pendici del monte Sant’ Elena nello stato di Washington, a poco più di 100 km di distanza a nord di Portland, nell'Oregon.
Un giorno, alcuni di loro videro una specie di grossa scimmia uscire dal folto degli alberi. Uno aveva fatto fuoco con un fucile, convinto di averla colpita alla testa. Ma la creatura aveva trovato riparo nella foresta.

Poi un altro minatore, Fred Beck che si sarebbe deciso a raccontare l'episodio solo trentaquattro anni dopo aveva incontrato un altro scimmione lungo il pendio del canyon e gli aveva sparato tre colpi, ferendolo alla schiena.
L'animale era scivolato per il crinale, accasciandosi come morto, ma quando i minatori erano accorsi sul posto non avevano trovato nulla. Quella stessa notte, dal crepuscolo al mattino, le loro baracche erano state assediate da misteriose creature che avevano picchiato alle porte, lanciato sassi ed erano salite a battere sul tetto. Spaventati, i minatori erano stati costretti a rinforzare le porte puntellandole dall'interno e avevano sparato alla cieca nel buio della notte e attraverso le feritoie delle pareti e del soffitto. Ma a poco era valso. Le creature erano evidentemente molto arrabbiate e determinate e non avevano desistito dall'attacco che si era protratto fino alle prime luci dell'alba. Quello stesso giorno i minatori avevano abbandonato l'accampamento. Secondo la descrizione fatta da Beck, "Bigfoot" è una creatura alta non meno di 2,40 m, robusta e muscolosa. Assomiglia a un gorilla, ma alcune caratteristiche, come per esempio l’uso delle pietre da lanciare, inducono a ritenerlo anche molto simile a un uomo. Il racconto dell'assedio subito da Beck e dai suoi compagni, unitamente ad altre testimonianze, sul finire degli anni Cinquanta rese Bigfoot una specie di celebrità nazionale. In realtà storie simili circolavano da secoli nelle tradizioni locali. Gli indiani Salish della Columbia britannica chiamavano queste creature "Sasquatch", che significa "uomo selvatico delle foreste". Le tribù indiane della California del nord le chiamavano "Oh-mah-ha"; mentre per quelle della zona delle Cascades erano "Seeahtiks". L'esistenza di intere colonie di questi esseri, oggi tranquillamente viventi nel nord degli Stati Uniti e dei Canada suona, bisogna ammetterlo, decisamente assurda; anche se sono poche le persone che si rendono conto veramente di quanto estese siano le foreste di conifere di queste terre sterminate. Milioni di chilometri quadrati di macchie totalmente disabitate, per gran parte ancora inesplorate, dove, per assurdo, anche mandrie di giganteschi dinosauri potrebbero passare inosservate. La più antica storia relativa a impronte di Sasquatch risale al 181. Mentre stava valicando i passi montani che si elevano alle sorgenti del fiume Colombia, nei pressi dell'odierna Jasper, nello stato di Alberta, il celebre esploratore David Thompson e il suo compagno di avventura, si erano imbattuti in una profonda impronta, lunga più di 40 cm, caratterizzata da quattro dita munite di unghioni. Thompson, per quanto interdetto, aveva subito pensato a un gigantesco grizzly, ma il compagno lo aveva dissuaso, facendogli notare che gli orsi hanno cinque dita; osservazione corretta, ma che non pregiudicava la soluzione, potendosi immaginare un orso privo di un dito. Il 4 luglio 1884 il «Daily Colonist» di Victoria, Columbia britannica, pubblicava un articolo sulla cattura di un Bigfoot. Jacko (nome con cui veniva indicato il cacciatore) aveva catturato un esemplare dalle ridotte dimensioni, alto non più di 120 cm e pesante soltanto una sessantina di chilogrammi. L'essere era stato avvistato da un gruppo che si stava muovendo lungo il fiume Fraser, da Lytton a Yale, sotto i monti Cascade, ed era stato catturato con relativa facilità. Aveva lunghi e spessi capelli neri e una folta peluria che ricopriva tutto il corpo. Le braccia erano più lunghe di quelle di un uomo e aveva la forza sufficiente a spezzare in due un grosso ramo. Sfortunatamente, dopo questa citazione, del misterioso Jacko si perdono le tracce, anche se il naturalista John Napier testimonia che la creatura venne a più riprese esibita presso il circo Bamum e il circo Bailey. Nel 1910 Bigfoot torna alla ribalta per una brutta storia avvenuta nella valle di Nahanni, presso il Grande Lago degli Schiavi, nei Territori del nord-ovest. I due fratelli MacLeod furono trovati decapitati in un anfratto della valle, che da quel giorno venne appunto ricordata come la Valle dei decapitati. In realtà, l'ipotesi più plausibile farebbe pensare a un attacco indiano o di qualche gruppo di desperados, tuttavia, all'epoca, si parlò di Bigfoot, fatto che andò ad aggiungere un tocco di horror a una leggenda già consolidata. Nel 1910 sul «Seattle Times» comparve un articolo sui cosiddetti "diavoli della montagna" che avevano assediato la capanna di un cercatore d'oro sul monte San Lorenzo, nei pressi di Kelso. Gli attaccanti erano descritti come umanoidi per metà mostruosi, dalle fattezze gigantesche, alti dai 2 ai 2,50 m. Gli indiani locali, appartenenti alle tribù dei Clallam e Quinault, ben li conoscevano e li chiamavano Seeahtiks. Nelle loro leggende si dice che l'uomo derivò dagli animali e che per questi esseri la creazione si era come fermata a metà, sospesa. Una delle storie più eclatanti legate alla presenza di un Bigfoot risale al 1924, sebbene non sia stata divulgata che molto tempo dopo, nel 1957, portata alla luce da John Green, autore del libro On the Track ofthe Sasquatch. Albert Ostmail, taglialegna e falegname, stava cercando dell'oro alle fonti del fiume Toba nella Columbia britannica, quando un giorno per la prima volta aveva sentito parlare da un barcaiolo indiano della "grande razza" che viveva sulle mondiglie. Dopo una settimana di sopralluoghi aveva infine sistemato un campo base di fronte all'isola di Vancouver. La mattina successiva aveva però avuto una sorpresa: le provviste erano state saccheggiate da qualcuno. Per scoprire chi poteva essere il ladro, la seconda notte aveva solo fatto finta di andare a dormire, restando silenzioso in attesa nel sacco a pelo con un fucile carico ben imbracciato. Qualche ora più tardi era stato svegliato: «Venni ridestalo da qualcosa o qualcuno che mi toccava. Ero addormentato e dapprima non mi riuscì di comprendere quel che mi stava capitando. Appena misi insieme qualche idea mi resi conto che, infagottato nel mio sacco a pelo, mi stavo muovendo». Dopo un po' chi lo stava trasportando lo aveva deposto a terra. Era così riuscito a sgattaiolare fuori dal sacco a pelo e si era trovato alla presenza di una famiglia di quattro Sasquatch: il padre, un grande esemplare maschio alto quasi 2,50 m; la madre, un figlio e una figlia ancora molto piccola. La femmina adulta era alta almeno un paio di metri, poteva si e no avere una quarantina d'anni e pesare almeno 200 kg. In apparenza non sembrava volessero fargli del male, ma, di sicuro, lo tenevano d'occhio per non lasciarlo scappare. Gli venne da immaginare che, forse l'avrebbero trattenuto come compagno per la femmina più giovane, ancora immatura e senza seno. Dopo essere stato costretto a trascorrere sei giorni con loro, era riuscito a riprendere il fucile e a far partire qualche colpo. Nella confusione generale, mentre le creature si nascondevano per difendersi, se l'era data a gambe. Quando Green gli chiese come mai avesse atteso tanto tempo prima di rendere pubblica quella sua straordinaria avventura, Ostman rispose che lo aveva fatto perché nessuno gli avrebbe dato retta. Nel 1928 un indiano della tribù Nootka di nome Muchalat Harry si presentò a Nootka, sull'isola di Vancouver, vestito soltanto del perizoma, trafelato e ancora visibilmente spaventato. Riferì che mentre stava recandosi come ogni giorno al fiume per cacciare e pescare, era stato catturato da un bigfoot che lo aveva condotto a molti chilometri di distanza. Sul calare del giorno si era infine trovato in una specie di accampamento dove c'erano non meno di venti di quelle strane creature, le quali gli avevano fatto intendere che l'avrebbero divorato. Ad un tratto, infatti, uno dei più grossi gli aveva azzannato il perizoma come per addentarlo, facendogli intendere che non era in grado di distinguere la pelle da un indumento. Per alcune ore, terrorizzato, era rimasto paralizzato in un angolo, poi, nel pomeriggio, la tribù sembrò aver perso interesse verso di lui e si era mosso alla ricerca di cibo. Avuta l'opportunità di scappare, Harry era filato via e dopo una quindicina di chilometri, riconosciuti i luoghi, aveva recuperato la sua canoa. Da qui, dopo una vogata di quasi 60 km aveva raggiunto l'isola di Vancouver, dove aveva raccontato la sua terribile esperienza a padre Anthony Terhaar, della missione benedettina locale. Il padre disse che Harry era arrivato così prostrato e terrorizzato che era stato colpito da un improvviso collasso dal quale aveva potuto riprendersi soltanto molto tempo dopo. Lo spavento era stato così grande che i capelli gli erano diventati tutti bianchi. Da quel giorno non aveva più osato allontanarsi dal villaggio. Nel 1967, Glenn Thomas, un taglialegna di Estacada, nell'Oregon, mentre stava tracciando un sentiero a Tartan Springs sulla Round Mountain, aveva avuto agio di osservare ben tre figure sconosciute dai lunghissimi capelli, intente a spostare alcuni massi per poi scavare per almeno un paio di metri. Alla fine del lavoro, la creatura femminile aveva estratto da una tana alcuni roditori che erano stati divorati sul momento. Gli investigatori che indagarono sulla sua storia, nel luogo indicato dal taglialegna, trovarono non meno di una ventina di grossi buchi e tutto attorno macigni chiaramente spostati dal peso non inferiore a 200 kg. Nella zona è comune che castori e marmotte trovino rifugio in tane sotterranee nel lungo periodo del letargo. Intanto, uno dei casi più convincenti era già venuto alla ribalta. Nell'ottobre del 1967 due giovani, Roger Patterson e Bob Gimlin, si trovavano a Bluff Creek in una contea nella California settentrionale, quando all'improvviso, appena superata la svolta della vallala, i cavalli, spaventati, li avevano sbalzati di sella. A circa trenta metri di distanza, sul crinale opposto della montagna, c'era una grande creatura scura, con il corpo tutto ricoperto di pelame, che si muoveva come un uomo. Rogcr, afferrata la cinepresa, si era messo a filmare. L'essere - istintivamente riconosciuto come una femmina - si era fermato, volgendo lo sguardo verso di loro. «Non sembrava fosse disturbata dalla nostra presenza, quanto incuriosita dalla macchina da presa, una cosa certamente nuova per lei». Quando Patterson aveva provato a inseguirla, si era subito messa a correre velocemente, tanto che dopo qualche centinaia di metri si era già staccata per scomparire nel folto di una foresta di pini. Il filmato, divenuto celeberrimo, mostra un essere alto circa 2 m, dal peso stimabile di una tonnellata o forse più, con capelli bruno rossicci, seni e natiche prominenti. Raggiunta una posizione di sicurezza, si era voltata con fare quasi curioso in direzione della cinepresa, rivelando un volto completamente ricoperto di pelo. La punta della testa aveva una forma conica, una connotazione condivisa sia dai gorilla di montagna che dal cugino primo del Sasquatch, lo yeti o "abominevole uomo delle nevi", al quale in più atteggiamenti sembra senz'altro assomigliare. Stando agli zoologi, un cranio così conformato permette di dare una maggiore forza ai muscoli delle mascelle, chiamale a triturare rami legnosi. Ovviamente, furono molti i contestatori che considerarono il filmato come fasullo, affermando che l'essere altro non era che un uomo di grande statura vestito con la pelliccia di uno scimmione. Eppure nel suo bel libro More Things, lo zoologo Ivan Sanderson cita tre illustri scienziati, i dottori Osman Hill, John Napier e Joseph Raighl, tutti concordi nel riconoscere che dal filmato non si evince alcun dettaglio che induca a pensare a un imbroglio. D'altro canto, una serie di calchi di impronte prese proprio nel terriccio della vallata, segnalavano il passaggio di una creatura alta non meno di un paio di metri. La versione asiatica dell'americano Bigfoot è lo yeti, meglio conosciuto in occidente col nome di "abominevole uomo delle nevi". Quando nel 1951 l'esploratore himalayano Eric Shipton stava valicando il ghiacciaio del Menlung sull'Everest, aveva avuto agio di osservare grandi impronte di piedi, che aveva avuto la prontezza di fotografare ponendovi accanto un'assicella di legno che fungeva da parametro di comparazione. Si trattava di un piede, di quasi 40 cm di lunghezza e oltre 20 di larghezza, dalla sagoma curiosa: tre piccole dita e un quarto molto evidente, dalla forma pressoché circolare. Quel piede apparteneva senza ombra di dubbio a un essere che camminava in posizione eretta e di certo non si trattava né di un lupo né di un orso. L'unico animale che si poteva chiamare in causa era l'orangutan, ma queste scimmie hanno il dito grosso molto più allungato. Sin da quando gli esploratori europei incominciarono a visitare le montagne asiatiche del Tibet, sentirono parlare di una strana creatura, simile a una scimmia gigantesca, che i locali chiamavano Metohkangmi, che tradotto in termini letterali significa per l'appunto "abominevole uomo delle nevi".
continua....

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