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Il Fondamentalismo e la Chiesa Cattolica

Ultimo Aggiornamento: 04/08/2007 07:35
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Il Fondamentalismo e la Chiesa Cattolica (parte IV e ultima)

Scritto da Alteredo, Anne-Charlotte Lelièvre, Carlotta Mainiero,
Elisa Megli

venerdì 01 giugno 2007

Continua dal numero precedente l’indagine storica sulle tracce del fondamentalismo religioso

Fondamentalismi a confronto: gli altri monoteismi

Tratto comune, in senso fondamentalista, di tutti i monoteismi, è la convinzione di essere unici portatori della Parola di Dio e di avere il compito di stabilire il Suo regno sulla terra. Se la religione è stata ed è una delle principali cause di conflitto, ciò lo si deve ad un processo di svuotamento del messaggio divino, ricondotto a dimensione umana, sociologica o identitaria-nazionale. L’altro non è più visto come un fratello ma come un soggetto da convertire, o addirittura un nemico.
Per questo tipo di credenti, che si considerano i veri e soli difensori di Dio sulla terra, in nome di Dio è legittimo dar adito a ogni impulso di aggressività e di odio, finanche alla morte del nemico.

In Oriente, e nel mondo islamico in particolare, la religione penetra e influenza ogni azione e comportamento umano, sia pubblico che privato. Tutto viene fatto in nome di Dio. Tutto inizia e finisce in nome di Dio. La guerra inizia sotto il nome di Dio, così come gli accordi di pace. Questa è la ragione per cui la voce e le direttive dei leader religiosi hanno una forte influenza sui fedeli sia da un lato che dall'altro: possono istigare il popolo alla guerra e alla violenza oppure invitarli alla pace.



FONDAMENTALISMO ISLAMICO


Con l'espressione fondamentalismo islamico si usa definire, almeno a partire dalla nascita della Repubblica Islamica nell'Iran sciita, quella corrente di attivismo politico e teoretico che si richiama esplicitamente ai valori fondanti dell'Islam delle origini. L'espressione "fondamentalismo" ha in qualche modo una sua legittimazione dal momento che essa può essere ricollegabile all'auto-definizione dei militanti islamici che usano il sostantivo asasiyyun (dall'arabo asas: "basi, fondamenta"), con ciò indicando la doverosità di tornare alle fonti prime dell'Islam, in maniera semplice e diretta, dando una lettura quindi del tutto esoterica. La concezione musulmana del diritto e della vita civile, infatti, si fonda sull'inseparabile connubio fra precetti religiosi ed ordinamento della società, dello Stato ed in definitiva del potere.

Una definizione del fenomeno maggiormente accettabile è quella di Islam radicale (nel senso di ritorno alle radici della fede islamica) o quella di Islam militante. Una considerazione che fa comunque preferire la definizione di fondamentalismo potrebbe scaturire dalla somiglianza fra il carattere protestante della lettura autonoma e non guidata dei Testi Sacri. In ambito islamico infatti, per la mancanza di una Chiesa docente, il fedele musulmano è autorizzato a dare un'interpretazione personale dei testi sacri (Corano e Sunna), pur in stretta connessione con la tradizione ininterrotta degli studi di scienze religiose prodotti in 14 secoli.

Il fine principale del fondamentalismo musulmano appare dunque quello del ritorno ai primi tempi dell'Islam, considerati una sorta di Età dell'oro, per ricreare le condizioni in cui visse e agì il profeta Muhammad-Maometto (VII secolo).

La maggioranza dei fondamentalisti è costituita da persone devote, che seguono fedelmente gli insegnamenti di Maometto, promuovono la frequentazione abituale delle moschee e incoraggiano la lettura del Corano. Molti promuovono l'idea di un governo teocratico, in cui la Sharia (la legge islamica) diventi la legge di Stato. Di contro, l'Occidente è considerato come secolare, empio e decadente.

La maggior parte dei terroristi mediorientali sono solitamente musulmani fondamentalisti. Questo movimento è alimentato da pressanti situazioni sociali, religiose ed economiche: mancanza di democrazia, leader politici autocrati e non eletti dal popolo, la questione palestinese, la polarizzazione della ricchezza e gli squilibri economico-sociali, la scarsa cultura dei diritti umani, un alto tasso di disoccupazione.

Forse l'elemento che in assoluto impone la maggior pressione è il conflitto israeliano-palestinese, che dura da cinquant'anni. In quei territori esso alimenta rabbia, instabilità, agitazioni, diffidenza, ostilità e sentimenti di martirio.

Centrale è la questione dell'interpretazione del Corano e degli altri testi di riferimento islamici. In mancanza di una unità interpretativa, di un’unica che possa delineare senza ombra di dubbio i confini tra peccato e virtù, tra bene e male, tra il volere di Allah e i suoi divieti, l'Islam ha creato nel suo sviluppo storico un peculiare strumento interpretativo (l'ijma?, o consenso dei dotti) col fine di determinare le norme che dovranno adottare tutte le società che intendano qualificare se stesse come islamiche. Il primo pilastro è infatti il Corano del quale tuttavia è difficile dare altra interpretazione che non sia quella letterale. Il secondo pilastro, altrettanto difficile da indagare al di là della lettera, è l'insieme delle tradizioni giuridiche che compongono la Sunna, più duttile del Corano per indagare se un certo comportamento sia o meno da considerare il linea con i valori dell'Islam. La massa delle tradizioni prodottasi nell'ambiente religioso islamico è però davvero gigantesca e rende di per sé assai difficoltoso un responso preciso e univoco, poiché è molto frequente il caso di tradizioni in aperta contraddizione tra di loro.

Una tradizione generalmente riconosciuta autentica dall'Islam afferma però che Muhammad avrebbe detto: «La mia Comunità non si troverà mai d'accordo su un errore». Ciò ha portato appunto alla costituzione del pilastro dell'ijma?, inteso come consenso delle scuole giuridiche e dei dotti giurisperiti. Il parere dei giurisperiti è il laborioso frutto di un'attenta analisi dei dati coranici o di quelli della Sunna. Per far questo si ricorre alla linguistica, alla storia o alla logica. Una volta che il parere sia stato espresso e risulti tanto convincente da aggregare intorno a sé un vasto consenso, quella interpretazione avrà allora pieno valore di legge, almeno fin quando non si crei un diverso consenso, elaborato da una nuova e diversa maggioranza.



FONDAMENTALISMO GIUDAICO


Sul fronte ebraico sono due i volti storici del fondamentalismo, attivi negli Stati Uniti e nello Stato di Israele. Il termine viene utilizzato principalmente per designare due gruppi caratterizzati da posizioni antitetiche circa la natura dello Stato di Israele: da una parte in riferimento a movimenti che contestano la fondazione terrena di Israele come Stato laico, considerandola una sorta di usurpazione del disegno messianico, che vede la costituzione di uno Stato in Terra Santa come realizzazione da operarsi solo per mano di Dio stesso. Dall’altra parte troviamo i nazionalisti dell’estrema destra israeliana che considerano lo Stato di Israele, per quanto un’entità secolare, la realizzazione del sogno religioso messianico.
Entrambe le correnti investono di significati religiosi anche le più laiche delle istituzioni israeliane. Negli ultimi anni si è verificato uno straordinario sviluppo del fondamentalismo giudaico, che si è manifestato attraverso una ferrea opposizione al processo di pace. Il fondamentalismo religioso ha svolto un ruolo essenziale sia nell'assassinio del primo ministro Yitzhak Rabin, sia nell'omicidio di 29 musulmani in preghiera, a opera del fanatico americano Baruch Goldstein.
I seguaci del fondamentalismo giudaico si oppongono al principio di uguaglianza di tutti i cittadini, specialmente dei non ebrei. Ancora più importante è il loro atteggiamento nei confronti della pace e della guerra. I fondamentalisti giudaici sostengono fermamente la guerra contro i palestinesi e si oppongono a qualsiasi ritiro dai Territori occupati. Motivando ciò con l’idea che l’apparente confisca della terra appartenente agli arabi sia in realtà un atto di santificazione, non un furto. Dal loro punto di vista quella terra viene redenta passando dalla sfera satanica a quella divina.
I fondamentalisti giudaici credono che Dio abbia dato tutta la Terra di Israele agli ebrei e che gli arabi che la abitano debbano essere considerati dei veri e propri ladri. Il rabbino Israel Ariel, storico leader fondamentalista, pubblicò un atlante in cui erano indicati tutti i territori che appartenevano agli ebrei e che dovevano essere liberati. Questo atlante comprendeva tutti i territori a ovest e a sud del fiume Eufrate e si estendeva per gran parte della Siria, dell'Iraq e dell'attuale Kuwait. Il rabbino Shlomo Aviner ha affermato:

«Dobbiamo vivere in questa terra anche a costo della guerra. Inoltre, anche se ci fosse la pace, dobbiamo istigare una guerra di liberazione per conquistare i territori».

Sebbene i fondamentalisti costituiscano una parte relativamente piccola del popolo di Israele, la loro influenza politica è molto incisiva. E se è vero che disprezzano i non ebrei, il loro odio nei confronti degli ebrei che si oppongono al loro punto di vista è spesso anche più forte.

Nascono cosi l’universalismo profetico ebraico, totalmente affidato alla volontà di Dio, il proselitismo dei cristiani chiamati ad “ammaestrare” tutte le genti, il richiamo coranico alla natura musulmana di ogni uomo.
È allora che si pone il problema: cosa fare della religione degli altri? Tre monoteismi, tre universalismi. Ebraismo, Cristianesimo e Islam condividono il medesimo presupposto, ossia ciascuno di essi si dichiara l’unica religione vera, l’unica religione universale. Ma a quali condizioni la religione di un popolo può aspirare ad essere la religione di tutti i popoli?



Fondamentalismo, Laicità e Libertà religiosa: conclusioni


Finora abbiamo ragionato all’indicativo. Cos’è il fondamentalismo? Forse è venuto il momento di cambiare il modo del verbo e passare al condizionale. Ponendoci delle domande, sollevando dubbi, che con la storia del fondamentalismo come manifestazione più o meno oggettiva nulla hanno a che fare.

Arrivati a questo punto ci poniamo il quesito centrale: si può parlare di fondamentalismo ogni qual volta si puntano i piedi a difesa di valori e principi assolutamente non negoziabili? Facciamo un esempio che nulla ha a che vedere con la religione ma che può tornare utile al ragionamento. George Bush senior, il padre dell’attuale Presidente degli Stati Uniti, in occasione del primo vertice mondiale sull'ambiente a Rio De Janeiro, fece una dichiarazione che di fatto paralizzò i lavori del vertice. Poche ma significative parole: the american way of life is not negotiable. Il messaggio era chiaro: se il vertice ambientalista chiede agli americani di limitare l’emissione dei gas serra, di ridurre il consumo energetico e modificare le abitudini di vita basate su un indiscriminato spreco delle risorse, sappia pure che lo stile di vita americano non è negoziabile. Perché questo è, quindi, un valore assoluto sul quale non si discute, non si scende a compromessi, non si media né si tratta. Domanda: è questa una forma di fondamentalismo?
Le ragioni per rispondere positivamente a questa domanda sono evidenti. Di fronte ad un problema mondiale di proporzioni molto preoccupanti come il surriscaldamento del clima e l’inquinamento del pianeta, il Presidente Usa volle mettere in chiaro che i fondamenti su cui si basa(va) lo stile di vita della sua nazione venivano prima di qualsiasi altra cosa. Atteggiamento di chiusura, questo, di non accettazione del cambiamento, di rifiuto del confronto con altre verità rispetto alle proprie.

Uscendo fuori dall’esempio, ci domandiamo: ogni dichiarazione di assoluta ed irrinunciabile contrarietà da parte della Chiesa a porsi in un atteggiamento di ascolto e mediazione nei confronti delle istanze che provengono dalla società – che si chiamino Dico o ricerca sulle cellule staminali o, ancora, eutanasia – è qualificabile come un atto di fondamentalismo?

Ognuno risponde a questa domanda secondo la propria coscienza e la propria cultura e sensibilità. Noi lasciamo volutamente priva di risposta questa provocazione. Anche all’interno del nostro gruppo sussistono, a questo rilievo, posizioni differenti. Ma è importante anche solo porla la domanda. Per tentare di allargare le nostre menti ad altre possibili, discutibili ma argomentabili, declinazioni del termine fondamentalismo.

Perché è quanto mai sottile la linea che separa un giusto e sano diritto alla libertà religiosa dalla sua degenerazione, ovvero dal fondamentalismo.
Una linea che da alcune parti è stata fatta passare attraverso il concetto di dimensione privata della religione. Perché tratto fondamentale di ogni accezione del fondamentalismo è il rifiuto di accettare di vivere la propria fede in modo privato. La religione invece – sostiene chi ne propugna una dimensione fondamentalista – deve avere un suo spazio pubblico, politico.

A questo proposito riprendiamo nuovamente in prestito le parole di Luigi Tosti. Questa volta tratte da un altro articolo, datato ottobre 2006, pubblicato su la Lente…

Il ragionamento del magistrato romagnolo ci porta direttamente al cuore del problema: la laicità. Al capo esattamente opposto del concetto di fondamentalismo c’è la dimensione privata della religione. E, di conseguenza, la laicità dello Stato.

Ma se affrontiamo il problema con una prospettiva propriamente giuridica, quale lucchetto troviamo a serrare le porte della laicità e a difesa e legittimazione di riflussi fondamentalisti?
Se guardiamo al dibattito intorno ad alcuni nodi cardine della legislazione – soprattutto in Italia ma non solo – da parte della Chiesa cattolica, del suo primo interprete, ovvero Papa Benedetto XVI, e della Conferenza episcopale italiana di Camillo Ruini e Angelo Bagnasco, il principale ostacolo che viene posto alla piena affermazione di un’impostazione laica e civile dell’ordinamento è il diritto naturale.
Già, proprio quel diritto naturale contro cui la Chiesa uscita sconfitta dalle rivoluzioni liberali di fine Settecento si era tanto animatamente scagliata, oggi torna di moda, o torna comodo, come principale arma di difesa dalla secolarizzazione sempre più spinta delle legislazioni laiche. È appellandosi al diritto naturale che il Pontefice e i suoi più stretti collaboratori intendono opporsi a qualsiasi provvedimento di regolamentazione delle coppie di fatto, alla ricerca su cellule staminali, alla legalizzazione dell’eutanasia. Così come tornano ora a porre sotto pesante critica le legislazioni sull’aborto.
Nessuno – se non all’interno della Chiesa – usa più il termine “diritto naturale”. Le teorie giusnaturalistiche e le sue implicazioni sociali hanno fatto il proprio corso storico e sono state col tempo accantonate. Solo la Chiesa, ancora, e in aperto contrasto con se stessa a distanza di poco più di un secolo, continua a dichiararne la fondamentale importanza come strumento di una giusta legislazione. Ponendosi – ovviamente – come unica depositaria dell’unico modo di leggere questo diritto inscritto nel cuore di ogni uomo, di interpretarlo e di renderlo cogente attraverso la sussunzione della legge civile all’interno dei suoi principi.

È dunque contrario al diritto naturale abortire, morire per propria volontà, donare parte del proprio corpo per fini di ricerca (cellule staminali), esercitare il proprio diritto all’affettività al di fuori del sacramento del matrimonio. E grazie all’appello alla indisponibilità dei principi del diritto naturale, ecco che la Chiesa sottrae alla legittimità del dibattito politico-giuridico numerose materie, ritenute di sua competenza.
Siamo forse, di nuovo, di fronte ad un caso di fondamentalismo? Possiamo dunque considerare fondamentalista la volontà di sottrarre alla legge civile istituti e istanze provenienti dalla società ma considerate dalla Chiesa contrarie al diritto naturale?

Anche rispetto a questo quesito vogliamo lasciare aperta la risposta. Ragionando però con l’ottica dello storico del diritto non possiamo fare a meno di notare come dietro questo tentativo di appropriarsi degli schemi logici e logico-giuridici tipici del giusnaturalismo si nasconda un profondo malessere da parte della Chiesa. Un malessere, chiamiamolo così, giuridico: la mancanza di alternative valide all’accettazione di quei principi di laicità, di relativismo giuridico ed etico, ha fatto riscoprire alla Chiesa un modo di intendere il diritto che non solo è stato spazzato via dalla Storia, ma che la stessa Chiesa aveva additato come male assoluto poco più di un secolo fa. Potremmo definirla una forma di debolezza. Alla quale rispondere con un ferreo arroccamento e ripiegamento su se stessa. Un altro modo per dire fondamentalismo.

Tornando alla premessa di questo lavoro, ragionare di fondamentalismo significa anche ragionare del concetto di identità. Significa ragionare su cosa sia la laicità e di quali contenuti essa debba essere vestita. Significa prendere coscienza del fatto che – data per scontata la fondamentale presenza di un forte elemento religioso nella natura di quella particolare specie di mammifero che chiamiamo homo sapiens – lo scontro fra le esigenze identitarie e quelle di convivenza fra diversi deve fare i conti con la naturale tendenza all’assolutizzazione dei principi e delle verità. Col fondamentalismo, quindi. E soprattutto significa prendere atto che fra queste due opposte istanze – quando si prende in considerazione l’elemento religione – non c’è altra via se non quella del conflitto. Magari, e questo è un augurio che ci facciamo, un conflitto che però si manifesti all’interno di una dimensione dialettica, democratica, e non militare.


La fede è una corda alla quale si rimane appesi, quando non ci si impicca. Sören Kierkegaard




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“Non esiste delitto, inganno, trucco, imbroglio e vizio che non vivano della loro segretezza. Portate alla luce del giorno questi segreti, descriveteli, rendeteli ridicoli agli occhi di tutti e prima o poi la pubblica opinione li getterà via. La sola divulgazione di per sè non è forse sufficiente, ma è l'unico mezzo senza il quale falliscono tutti gli altri”.
Joseph Pulitzer (1847-1911), Fondatore Premio Pulitzer
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