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La pena di morte: opinioni personali

Ultimo Aggiornamento: 21/01/2008 16:38
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Cardinale
19/12/2007 00:05
 
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L'evento politico che induce l'apertura di questo topic è già stato abbondantemente riportato dai media e su questo forum, quindi non è mia intenzione riprenderlo qui.
Vorrei invece raccogliere le vostre opinioni in merito alla legittimità o meno della pena di morte.

Questo topic non è inteso per essere un sondaggio, perché in questo caso non credo che dovrebbe interessarci contare i SI e i NO, ma piuttosto cercare di capire i PERCHE'.

Spero in una partecipazione attiva e numerosa, in un secondo momento anche io dirò la mia.



[Modificato da Rainboy 19/12/2007 00:09]
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Padre Guardiano
19/12/2007 08:28
 
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re

Penso che uno Stato si debba dotare di leggi che meglio si adattino alla propria esistenza e al mantenimento del suo status quo.
Ora se uno stato ritiene opportuno dotarsi della pena capitale lo può fare;d'altra parte il magistrato non porta invano la spada.
Naturalmente questa dovrebbe essere comminata in casi gravissimi e con la certezza matematica della colpevolezza.
L'abolizione nel mondo della pena capitale mi puzza di falso buonismo e indice di ansia di dimostrare quello che in realtà poi non si è.

Non mi è chiaro poi il significato di utilità rinchiudere a vita in una cella di 3 x 3 metri una persona.
Se si va a vedere fino in fondo tutte le cose hanno qualcosa di umano e qualcosa di disumano; è il mantenimento della libertà al servizio della umanità quello che deve determinare lo spostamento dell'ago della bilancia.
Questo è il mio perfettibile pensiero.


omega [SM=x1414722] [SM=x1414848]



O=============O===========O

Se la vita ti sorride,ha una paresi.(Paco D'Alcatraz)

Il sonno della ragione genera mostri. (Goya)

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21/12/2007 11:47
 
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io sono contraria alla pena di morte.
e non per buonismo, perchè come ho già avuto modo di dire, probabilmente potrei uccidere, senza nemmeno sentirmi in colpa, chi dovesse ad esmpio torturare mia figlia...
1. quando si ha la certezza della colpevolezza? assoluta e libera dal dubbio che ci siano attenuanti o malattie mentali dietro un gesto criminale?
2. lo stato decide anche in nome mio. questo mi mette angoscia.
3. credo nell'esempio. uno stato che uccide per vendetta, non dà un buon esempio ai suoi cittadini.
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02/01/2008 21:58
 
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...e ora tocca a me.

Io sono favorevole alla pena di morte.
Non tanto perché la trovi di per sé intrinsecamente "giusta", ma perché è la risposta più ovvia e a parer mio anche più umana, a determinate situazioni.

Mi spiego meglio.
Innanzi tutto, diciamo che tutti coloro colpevoli di reati capitali che siano giudicati e condannati in uno stato che non prevede la pena capitale, vengono condannati all'ergastolo. E io trovo assurda la pena dell'ergastolo. La carcerazione è una misura che ha uno scopo riabilitativo: se la società volesse soltanto punire un individuo colpevole di un reato, basterebbe applicare la legge del taglione; hai rubato? Ti stampiamo a fuoco sulla fronte la "L" di ladro, come facevano i romani con gli schiavi fuggiti, e bell'è fatta. Invece oggi siamo arrivati alla più evoluta convinzione che una seconda opportunità debba essere data a chiunque, che il reinserimento nella società sia possibile perché le persone colpevoli di reati penali non sono intrinsecamente malvagie. O almeno, laddove di questo non siamo sicuri, la società sceglie comunque di "scommettere" che sia così, dando a tutti lo stesso trattamento rieducativo, sulla base principio legale dell'uguaglianza di ogni individuo.
L'ergastolo però è l'antitesi di questa filosofia; si entra in un luogo "rieducativo" per non uscirne più, quindi qualsiasi desiderio dell'individuo di lavorare al fine di reinsersi nella società, se mai c'era stato, sparisce.
Il fallimento è totale, il detenuto diventa soltanto un costo per la società e probabilmente un rischio per gli altri carcerati: infatti se l'aspirazione alla libertà sparisce, compare invece quella di procurarsi le migliori condizioni di vita carceraria possibile, magari facendo qualche lavoro sporco per conto di un capomafia. Paradossalmente non si ha nulla da perdere, quindi si è liberi e addirittura incentivati ad abbrutirsi più che possibile.
Trovo demenziale questa pena.
E' alla luce di queste considerazioni che ritengo non abbia nessun senso dire che l'abolizione della pena di morte serve a "dare una seconda chance"; e sempre per questo io preferirei di gran lunga che un ergastolo fosse commutato sempre e comunque nell'esecuzione. Trovo molto più dignitoso e umano uccidere rapidamente una persona, piuttosto che distruggere lentamente in modo deliberato ogni traccia della sua moralità, e forse anche della sua umanità, nel corso di anni e anni di costosa, interminabile carcerazione; oltretutto senza nessuna remora ad esporre questo esempio orribile di sofferenza e di snaturazione agli altri carcerati.

In secondo luogo, valga unicamente come mia personale considerazione, ma ho il sospetto che la pena di morte sia un deterrente molto più efficace di qualsiasi promessa di carcerazione, per chi sta meditando di commettere un crimine di sangue. E' ovvio che chi premedita ha la convinzione di riuscire ad evitare di essere scoperto; scoraggiare le sue intenzioni criminose a questo livello, è un ambito che riguarda l'efficacia del sistema investigativo più che non la gravità delle pene. Ma se facciamo un confronto diretto, sospetto che il nostro istinto di conservazione sia molto più intimidito dalla prospettiva di un'iniezione letale che da quella di una vaga e astratta "detenzione" intedeterminata.

Avrei anche altre considerazioni da fare, ma penso che per adesso basti così.
[Modificato da Rainboy 02/01/2008 22:21]
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02/01/2008 22:06
 
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In effetti essere contrari "a priori" alla pena di morte non ha senso.

Credo proprio che tu abbia ragione.

Kelly



La cattiva notizia è che Dio non esiste. Quella buona è che non ne hai bisogno.
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02/01/2008 22:21
 
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Io sono più o meno d'accordo con questa linea di pensiero:



Capitolo 28 - DELLA PENA DI MORTE

Questa inutile prodigalità di supplicii, che non ha mai resi migliori gli uomini, mi ha spinto ad esaminare se la morte sia veramente utile e giusta in un governo bene organizzato. Qual può essere il diritto che si attribuiscono gli uomini di trucidare i loro simili? Non certamente quello da cui risulta la sovranità e le leggi. Esse non sono che una somma di minime porzioni della privata libertà di ciascuno; esse rappresentano la volontà generale, che è l'aggregato delle particolari. Chi è mai colui che abbia voluto lasciare ad altri uomini l'arbitrio di ucciderlo? Come mai nel minimo sacrificio della libertà di ciascuno vi può essere quello del massimo tra tutti i beni, la vita? E se ciò fu fatto, come si accorda un tal principio coll'altro, che l'uomo non è padrone di uccidersi, e doveva esserlo se ha potuto dare altrui questo diritto o alla società intera?

Non è dunque la pena di morte un diritto, mentre ho dimostrato che tale essere non può, ma è una guerra della nazione con un cittadino, perché giudica necessaria o utile la distruzione del suo essere. Ma se dimostrerò non essere la morte né utile né necessaria, avrò vinto la causa dell'umanità.

La morte di un cittadino non può credersi necessaria che per due motivi. Il primo, quando anche privo di libertà egli abbia ancora tali relazioni e tal potenza che interessi la sicurezza della nazione; quando la sua esistenza possa produrre una rivoluzione pericolosa nella forma di governo stabilita. La morte di qualche cittadino divien dunque necessaria quando la nazione ricupera o perde la sua libertà, o nel tempo dell'anarchia, quando i disordini stessi tengon luogo di leggi; ma durante il tranquillo regno delle leggi, in una forma di governo per la quale i voti della nazione siano riuniti, ben munita al di fuori e al di dentro dalla forza e dalla opinione, forse piú efficace della forza medesima, dove il comando non è che presso il vero sovrano, dove le ricchezze comprano piaceri e non autorità, io non veggo necessità alcuna di distruggere un cittadino, se non quando la di lui morte fosse il vero ed unico freno per distogliere gli altri dal commettere delitti, secondo motivo per cui può credersi giusta e necessaria la pena di morte.

Quando la sperienza di tutt'i secoli, nei quali l'ultimo supplicio non ha mai distolti gli uomini determinati dall'offendere la società, quando l'esempio dei cittadini romani, e vent'anni di regno dell'imperatrice Elisabetta di Moscovia, nei quali diede ai padri dei popoli quest'illustre esempio, che equivale almeno a molte conquiste comprate col sangue dei figli della patria, non persuadessero gli uomini, a cui il linguaggio della ragione è sempre sospetto ed efficace quello dell'autorità, basta consultare la natura dell'uomo per sentire la verità della mia assersione.

Non è l'intensione della pena che fa il maggior effetto sull'animo umano, ma l'estensione di essa; perché la nostra sensibilità è piú facilmente e stabilmente mossa da minime ma replicate impressioni che da un forte ma passeggiero movimento. L'impero dell'abitudine è universale sopra ogni essere che sente, e come l'uomo parla e cammina e procacciasi i suoi bisogni col di lei aiuto, cosí l'idee morali non si stampano nella mente che per durevoli ed iterate percosse. Non è il terribile ma passeggiero spettacolo della morte di uno scellerato, ma il lungo e stentato esempio di un uomo privo di libertà, che, divenuto bestia di servigio, ricompensa colle sue fatiche quella società che ha offesa, che è il freno piú forte contro i delitti. Quell'efficace, perché spessissimo ripetuto ritorno sopra di noi medesimi, io stesso sarò ridotto a cosí lunga e misera condizione se commetterò simili misfatti, è assai piú possente che non l'idea della morte, che gli uomini veggon sempre in una oscura lontananza.

La pena di morte fa un'impressione che colla sua forza non supplisce alla pronta dimenticanza, naturale all'uomo anche nelle cose piú essenziali, ed accelerata dalle passioni. Regola generale: le passioni violenti sorprendono gli uomini, ma non per lungo tempo, e però sono atte a fare quelle rivoluzioni che di uomini comuni ne fanno o dei Persiani o dei Lacedemoni; ma in un libero e tranquillo governo le impressioni debbono essere piú frequenti che forti.

La pena di morte diviene uno spettacolo per la maggior parte e un oggetto di compassione mista di sdegno per alcuni; ambidue questi sentimenti occupano piú l'animo degli spettatori che non il salutare terrore che la legge pretende inspirare. Ma nelle pene moderate e continue il sentimento dominante è l'ultimo perché è il solo. Il limite che fissar dovrebbe il legislatore al rigore delle pene sembra consistere nel sentimento di compassione, quando comincia a prevalere su di ogni altro nell'animo degli spettatori d'un supplicio piú fatto per essi che per il reo.

Perché una pena sia giusta non deve avere che quei soli gradi d'intensione che bastano a rimuovere gli uomini dai delitti; ora non vi è alcuno che, riflettendovi, scieglier possa la totale e perpetua perdita della propria libertà per quanto avvantaggioso possa essere un delitto: dunque l'intensione della pena di schiavitù perpetua sostituita alla pena di morte ha ciò che basta per rimuovere qualunque animo determinato; aggiungo che ha di piú: moltissimi risguardano la morte con viso tranquillo e fermo, chi per fanatismo, chi per vanità, che quasi sempre accompagna l'uomo al di là dalla tomba, chi per un ultimo e disperato tentativo o di non vivere o di sortir di miseria; ma né il fanatismo né la vanità stanno fra i ceppi o le catene, sotto il bastone, sotto il giogo, in una gabbia di ferro, e il disperato non finisce i suoi mali, ma gli comincia. L'animo nostro resiste piú alla violenza ed agli estremi ma passeggieri dolori che al tempo ed all'incessante noia; perché egli può per dir cosí condensar tutto se stesso per un momento per respinger i primi, ma la vigorosa di lui elasticità non basta a resistere alla lunga e ripetuta azione dei secondi. Colla pena di morte ogni esempio che si dà alla nazione suppone un delitto; nella pena di schiavitù perpetua un sol delitto dà moltissimi e durevoli esempi, e se egli è importante che gli uomini veggano spesso il poter delle leggi, le pene di morte non debbono essere molto distanti fra di loro: dunque suppongono la frequenza dei delitti, dunque perché questo supplicio sia utile bisogna che non faccia su gli uomini tutta l'impressione che far dovrebbe, cioè che sia utile e non utile nel medesimo tempo. Chi dicesse che la schiavitù perpetua è dolorosa quanto la morte, e perciò egualmente crudele, io risponderò che sommando tutti i momenti infelici della schiavitù lo sarà forse anche di piú, ma questi sono stesi sopra tutta la vita, e quella esercita tutta la sua forza in un momento; ed è questo il vantaggio della pena di schiavitù, che spaventa piú chi la vede che chi la soffre; perché il primo considera tutta la somma dei momenti infelici, ed il secondo è dall'infelicità del momento presente distratto dalla futura. Tutti i mali s'ingrandiscono nell'immaginazione, e chi soffre trova delle risorse e delle consolazioni non conosciute e non credute dagli spettatori, che sostituiscono la propria sensibilità all'animo incallito dell'infelice.

Ecco presso a poco il ragionamento che fa un ladro o un assassino, i quali non hanno altro contrappeso per non violare le leggi che la forca o la ruota. So che lo sviluppare i sentimenti del proprio animo è un'arte che s'apprende colla educazione; ma perché un ladro non renderebbe bene i suoi principii, non per ciò essi agiscon meno. Quali sono queste leggi ch'io debbo rispettare, che lasciano un cosí grande intervallo tra me e il ricco? Egli mi nega un soldo che li cerco, e si scusa col comandarmi un travaglio che non conosce. Chi ha fatte queste leggi? Uomini ricchi e potenti, che non si sono mai degnati visitare le squallide capanne del povero, che non hanno mai diviso un ammuffito pane fralle innocenti grida degli affamati figliuoli e le lagrime della moglie. Rompiamo questi legami fatali alla maggior parte ed utili ad alcuni pochi ed indolenti tiranni, attacchiamo l'ingiustizia nella sua sorgente. Ritornerò nel mio stato d'indipendenza naturale, vivrò libero e felice per qualche tempo coi frutti del mio coraggio e della mia industria, verrà forse il giorno del dolore e del pentimento, ma sarà breve questo tempo, ed avrò un giorno di stento per molti anni di libertà e di piaceri. Re di un piccol numero, correggerò gli errori della fortuna, e vedrò questi tiranni impallidire e palpitare alla presenza di colui che con un insultante fasto posponevano ai loro cavalli, ai loro cani. Allora la religione si affaccia alla mente dello scellerato, che abusa di tutto, e presentandogli un facile pentimento ed una quasi certezza di eterna felicità, diminuisce di molto l'orrore di quell'ultima tragedia.

Ma colui che si vede avanti agli occhi un gran numero d'anni, o anche tutto il corso della vita che passerebbe nella schiavitù e nel dolore in faccia a' suoi concittadini, co' quali vive libero e sociabile, schiavo di quelle leggi dalle quali era protetto, fa un utile paragone di tutto ciò coll'incertezza dell'esito de' suoi delitti, colla brevità del tempo di cui ne goderebbe i frutti. L'esempio continuo di quelli che attualmente vede vittime della propria inavvedutezza, gli fa una impressione assai piú forte che non lo spettacolo di un supplicio che lo indurisce piú che non lo corregge.

Non è utile la pena di morte per l'esempio di atrocità che dà agli uomini. Se le passioni o la necessità della guerra hanno insegnato a spargere il sangue umano, le leggi moderatrici della condotta degli uomini non dovrebbono aumentare il fiero esempio, tanto piú funesto quanto la morte legale è data con istudio e con formalità. Parmi un assurdo che le leggi, che sono l'espressione della pubblica volontà, che detestano e puniscono l'omicidio, ne commettono uno esse medesime, e, per allontanare i cittadini dall'assassinio, ordinino un pubblico assassinio. Quali sono le vere e le piú utili leggi? Quei patti e quelle condizioni che tutti vorrebbero osservare e proporre, mentre tace la voce sempre ascoltata dell'interesse privato o si combina con quello del pubblico. Quali sono i sentimenti di ciascuno sulla pena di morte? Leggiamoli negli atti d'indegnazione e di disprezzo con cui ciascuno guarda il carnefice, che è pure un innocente esecutore della pubblica volontà, un buon cittadino che contribuisce al ben pubblico, lo stromento necessario alla pubblica sicurezza al di dentro, come i valorosi soldati al di fuori. Qual è dunque l'origine di questa contradizione? E perché è indelebile negli uomini questo sentimento ad onta della ragione? Perché gli uomini nel piú secreto dei loro animi, parte che piú d'ogn'altra conserva ancor la forma originale della vecchia natura, hanno sempre creduto non essere la vita propria in potestà di alcuno fuori che della necessità, che col suo scettro di ferro regge l'universo.

Che debbon pensare gli uomini nel vedere i savi magistrati e i gravi sacerdoti della giustizia, che con indifferente tranquillità fanno strascinare con lento apparato un reo alla morte, e mentre un misero spasima nelle ultime angosce, aspettando il colpo fatale, passa il giudice con insensibile freddezza, e fors'anche con segreta compiacenza della propria autorità, a gustare i comodi e i piaceri della vita? Ah!, diranno essi, queste leggi non sono che i pretesti della forza e le meditate e crudeli formalità della giustizia; non sono che un linguaggio di convenzione per immolarci con maggiore sicurezza, come vittime destinate in sacrificio, all'idolo insaziabile del dispotismo. L'assassinio, che ci vien predicato come un terribile misfatto, lo veggiamo pure senza ripugnanza e senza furore adoperato. Prevalghiamoci dell'esempio. Ci pareva la morte violenta una scena terribile nelle descrizioni che ci venivan fatte, ma lo veggiamo un affare di momento. Quanto lo sarà meno in chi, non aspettandola, ne risparmia quasi tutto ciò che ha di doloroso! Tali sono i funesti paralogismi che, se non con chiarezza, confusamente almeno, fanno gli uomini disposti a' delitti, ne' quali, come abbiam veduto, l'abuso della religione può piú che la religione medesima.

Se mi si opponesse l'esempio di quasi tutt'i secoli e di quasi tutte le nazioni, che hanno data pena di morte ad alcuni delitti, io risponderò che egli si annienta in faccia alla verità, contro della quale non vi ha prescrizione; che la storia degli uomini ci dà l'idea di un immenso pelago di errori, fra i quali poche e confuse, e a grandi intervalli distanti, verità soprannuotano. Gli umani sacrifici furon comuni a quasi tutte le nazioni, e chi oserà scusargli? Che alcune poche società, e per poco tempo solamente, si sieno astenute dal dare la morte, ciò mi è piuttosto favorevole che contrario, perché ciò è conforme alla fortuna delle grandi verità, la durata delle quali non è che un lampo, in paragone della lunga e tenebrosa notte che involge gli uomini. Non è ancor giunta l'epoca fortunata, in cui la verità, come finora l'errore, appartenga al piú gran numero, e da questa legge universale non ne sono andate esenti fin ora che le sole verità che la Sapienza infinita ha voluto divider dalle altre col rivelarle.

La voce di un filosofo è troppo debole contro i tumulti e le grida di tanti che son guidati dalla cieca consuetudine, ma i pochi saggi che sono sparsi sulla faccia della terra mi faranno eco nell'intimo de' loro cuori; e se la verità potesse, fra gl'infiniti ostacoli che l'allontanano da un monarca, mal grado suo, giungere fino al suo trono, sappia che ella vi arriva co' voti segreti di tutti gli uomini, sappia che tacerà in faccia a lui la sanguinosa fama dei conquistatori e che la giusta posterità gli assegna il primo luogo fra i pacifici trofei dei Titi, degli Antonini e dei Traiani.

Felice l'umanità, se per la prima volta le si dettassero leggi, ora che veggiamo riposti su i troni di Europa monarchi benefici, animatori delle pacifiche virtú, delle scienze, delle arti, padri de' loro popoli, cittadini coronati, l'aumento dell'autorità de' quali forma la felicità de' sudditi perché toglie quell'intermediario dispotismo piú crudele, perché men sicuro, da cui venivano soffogati i voti sempre sinceri del popolo e sempre fausti quando posson giungere al trono! Se essi, dico, lascian sussistere le antiche leggi, ciò nasce dalla difficoltà infinita di togliere dagli errori la venerata ruggine di molti secoli, ciò è un motivo per i cittadini illuminati di desiderare con maggiore ardore il continuo accrescimento della loro autorità.
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02/01/2008 22:37
 
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Non è il terribile ma passeggiero spettacolo della morte di uno scellerato, ma il lungo e stentato esempio di un uomo privo di libertà, che, divenuto bestia di servigio, ricompensa colle sue fatiche quella società che ha offesa, che è il freno piú forte contro i delitti. Quell'efficace, perché spessissimo ripetuto ritorno sopra di noi medesimi, io stesso sarò ridotto a cosí lunga e misera condizione se commetterò simili misfatti, è assai piú possente che non l'idea della morte, che gli uomini veggon sempre in una oscura lontananza.




Ritornerò nel mio stato d'indipendenza naturale, vivrò libero e felice per qualche tempo coi frutti del mio coraggio e della mia industria, verrà forse il giorno del dolore e del pentimento, ma sarà breve questo tempo, ed avrò un giorno di stento per molti anni di libertà e di piaceri. Re di un piccol numero, correggerò gli errori della fortuna, e vedrò questi tiranni impallidire e palpitare alla presenza di colui che con un insultante fasto posponevano ai loro cavalli, ai loro cani. Allora la religione si affaccia alla mente dello scellerato, che abusa di tutto, e presentandogli un facile pentimento ed una quasi certezza di eterna felicità, diminuisce di molto l'orrore di quell'ultima tragedia.



Paragrafi molto interessanti! Denotano d'altronde la visione di una società molto diversa da quella attuale. Un mondo dove le esecuzioni erano pubbliche in piazza, per il sadico godimento del popolino. Dove la gente viveva in media meno di cinquant'anni, gli standard di carcerazione dimezzavano ulteriormente questa aspettativa, e la religione era un passpartout utile a dare un senso a tutto ciò...
[Modificato da Rainboy 02/01/2008 22:39]
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03/01/2008 08:21
 
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Non concordo.

Anche oggi vi è un sadico godimento da parte di qualcuno e l'indignazione da parte di altri.
Il tutto viene trasmesso in TV...la piazza è divenuta virtuale.
Anzi, lo si può pure registrare e rivedere perpetrando il godimento.

Non è poi la durata della vita la questione...poichè, come spiega bene Beccaria, è "Quell'efficace, perché spessissimo ripetuto ritorno sopra di noi medesimi" vale oggi come allora.
E' la sua differenza con quella "'idea della morte, che gli uomini veggon sempre in una oscura lontananza" al centro del discorso di Beccaria.

Pure oggi, come allora, l'uomo può ancora abusare del senso religioso e vedere allettante la pena capitale.

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03/01/2008 11:09
 
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Non concordo.

Anche oggi vi è un sadico godimento da parte di qualcuno e l'indignazione da parte di altri.
Il tutto viene trasmesso in TV...la piazza è divenuta virtuale.
Anzi, lo si può pure registrare e rivedere perpetrando il godimento.

Non è poi la durata della vita la questione...poichè, come spiega bene Beccaria, è "Quell'efficace, perché spessissimo ripetuto ritorno sopra di noi medesimi" vale oggi come allora.
E' la sua differenza con quella "'idea della morte, che gli uomini veggon sempre in una oscura lontananza" al centro del discorso di Beccaria.

Pure oggi, come allora, l'uomo può ancora abusare del senso religioso e vedere allettante la pena capitale.



Hmmm, è meglio che chiarisca cosa intendevo dire.
Che oggi il video dell'esecuzione di Saddam sia su youtube, è un dato di fatto. Ma non penso che tutto il mondo occidentale, bambini inclusi, se lo sia andato a vedere per riderci sopra; non è, intendo, un vero fenomeno di culturale di massa... non più di quanto penso che tutti i criminali delle nostre carceri siano gente fanaticamente religiosa che ambisce a morire nella certezza di andare in paradiso.
Un tempo andare a godersi l'impiccagione dei malfattori nella piazza pubblica era l'equivalente della domenica allo stadio, ci andavano tutti coloro che non avevano nulla di meglio da fare; era un fatto normale, una rivincita della propria misera esistenza su quella di qualcuno più sfortunato di te.
Beccaria argomenta che questo contribuisce a dipingere un'immagine ludica dell'esecuzione, e a diluire qualsiasi pretesa intimidatoria di questa condanna. Oggi però questa situazione ha smesso di essere da secoli!

In secondo luogo, "l'idea della morte, che gli uomini veggon sempre in una oscura lontananza" non mi convince affatto. Ai suoi tempi, forse; ma oggi siamo abituati all'idea di vivere bene e a lungo, chiunque si aspetta di vivere minimo sessant'anni (per non dire ottanta), di saltare pochissimi pasti nella sua esistenza, di essere curato se si ammala, di avere un sacco di tempo libero da dedicare a qualsiasi cosa preferisca. Il panico alla prospettiva di morte è molto (moltissimo) superiore a quello dei tempi di Beccaria, basti pensare a idee che abbiamo avuto noi nella medicina e che qualche secolo fa non sarebbero mai venute in mente a nessun medico neanche se avesse potuto realizzarle... come il mantenimento artificiale delle funzioni biologiche di un paziente in stato vegetativo, le case di cura con assistenza medica specializzata per anziani, l'idea stessa di costose terapie palliative contro mali oggi inguaribili come i tumori o l'HIV. Lussi sfrenati, in contrasto con un'epoca dove per ogni coppia era tradizione fare almeno cinque o sei figli per esser certi che la metà sopravvivesse fino all'età matura.
Il contesto sociale dell'occidente moderno denota una paura disperata della morte e una lotta senza quartiere al dolore fisico; mi sembra del tutto incompatibile con la tesi di Beccaria.
[Modificato da Rainboy 03/01/2008 11:13]
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03/01/2008 15:38
 
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Fondamentalmente contraria per un motivo piuttosto semplice : non sempre i condannati sono colpevoli, a volte ci sono errori giudiziari grossi come case che vengono fuori anni dopo, se vengono fuori.
Ci sono casi in cui è difficile fare chiarezza, e dovrebbe esserci un elenco tassativo di reati per i quali è prevista una pena del genere. Ed anche in questo caso diventa un po’ macchinoso : non si può parlare di omicidio in genere (per fare un esempio), ci sono dei distinguo, omicidio colposo, doloso, preterintenzionale, premeditato, e ancora al loro interno ci sono tante distinzioni sulle causa che possono aver portato a commettere un crimine del genere prendete per esempio lo stato di panico, la dottrina e la giurisprudenza hanno scritto fiumi di inchiostro.


Concordo però anche con quello che ha detto Rainboy, è inutile abolire la pena di morte, se l’ alternativa tutt’ altro che rieducativa è l’ ergastolo; purtroppo qui torna fuori l’ annosa e noiosa diatriba fra “sorvegliare” e “punire” .




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