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I cattolici sono più uguali degli altri?

Ultimo Aggiornamento: 09/01/2008 00:22
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09/01/2008 00:22
 
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Celebriamo con un numero speciale di Resistenza Laica il 59° anniversario della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo stilata dall’Organizzazione delle Nazioni Unite nel 1948.


Articolo 1: Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza
Articolo 2: Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciati nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione.



***


Il processo di adattamento dell'uomo alle difficoltà ambientali ha comportato tra l'altro una progressiva acquisizione della coscienza di sé come parte dell'universo, insieme all'esigenza di porre un freno alla violenza degli istinti atavici, per conseguire conquiste sociali, come l'abolizione della schiavitù, l'emancipazione della donna e l'estensione più ampia possibile di quei diritti umani, civili e di libertà che sostanziano l'idea di laicità, la forma più avanzata di democrazia.

La religione si è sempre opposta a questo processo, in quanto rappresentava una minaccia ai suoi privilegi e riduceva le sue possibilità di controllo sociale. Le Sacre Scritture infatti sono infarcite di inviti a sottomettersi rivolti rispettivamente agli schiavi e alle donne e di incitamenti allo sterminio delle tribù confinanti.

Dal quarto secolo dell'era volgare la politica della Chiesa è stata sempre quella di allearsi con il potente di turno, utilizzando gli strumenti più disumani per eliminare i suoi oppositori in cambio di denaro e privilegi. Rientra in questa logica la pretesa di impedire alle persone omosessuali di godere dei diritti previsti dagli articoli 1 e 2 della Dichiarazione universale dei diritti umani e dall'articolo 3 della Costituzione italiana o del diritto del malato terminale di chiedere la desistenza terapeutica.

Questa battaglia tuttavia è perduta in partenza, perché alla Chiesa nessuno riconosce più il monopolio dell'etica, da quando la società ha preso coscienza del fatto che, per discernere il bene dal male, è più proficuo seguire la ragione che prendere in considerazione i precetti interessati di una casta tanto cinica quanto lontana dai bisogni della gente.

Annidare in Parlamento i suoi agenti con il compito di perseguire i suoi interessi ha provocato infatti una crisi di rigetto in quella parte degli italiani che si sentono cittadini di uno Stato laico preposto specificamente alla tutela dei loro diritti. I parlamentari che giurano fedeltà alla Costituzione di uno Stato laico, come quello italiano, non hanno nessun diritto di operare perché le sue leggi, che hanno un valore erga omnes, rispecchino le norme di una religione, come quella cattolica, che non è più la religione dello Stato.

È dovere degli uomini politici risolvere questo conflitto di interessi che può portare al ricrearsi delle condizioni che diedero vita agli scontri tra i guelfi e i ghibellini. I laici infatti non saranno mai disposti a perdere il loro status di cittadini, per tornare a quello di sudditi della teocrazia sconfitta con la breccia di Porta Pia.


***


Riuscire a trattare i diritti dell’uomo e, contestualmente, essere il più possibile sintetici, appare operazione ardua (sennonché utopica) anche per il più preparato studioso in materia: questo perché la teorizzazione dei diritti umani posa su una tradizione e riflessione, sia filosofica che giuridica, antica di secoli, tradizione e riflessione che hanno forgiato un immenso catalogo di diritti e libertà (o meglio, di principi) che rientrano nella su indicata categoria concettuale e che, con il passare degli anni e dei decenni, si è ulteriormente arricchita di nuovi elementi ed implicazioni che hanno tenuto il passo della dinamica storico-sociale dell’intero pianeta Terra…

Preliminarmente, è opportuno chiedersi quale valore e quali implicazioni può avere un documento, emanato da una qualsivoglia istituzione politica (Re o Parlamento statale od Assemblea di una qualsiasi Organizzazione internazionale – Onu, Unione europea, Consiglio d’Europa e via discorrendo), che ha la pretesa di definirsi Dichiarazione dei diritti (dell’uomo, del cittadino, del fanciullo, del lavoratore e via dicendo).

A tal riguardo, l’elaborazione di tal sede prende le mosse dalla riflessione costituzionalista della seconda metà del XVIII secolo e, per tale motivo, qualcuno potrebbe chiedersi: perché si parte proprio dal costituzionalismo che rappresenta una riflessione prettamente costruita sull’entità Stato, quindi, senza alcuna valenza internazionalistica?

La risposta ad un simile interrogativo è da ricercarsi nel fatto che la visione internazionalistica dei diritti dell’uomo rappresenta un passo posteriore rispetto alla nascita del concetto di Dichiarazione dei diritti, soprattutto perché, nel periodo su indicato, non esisteva un diritto internazionale come attualmente inteso e strutturato.
Infatti il moderno costituzionalismo ha nella promulgazione di un testo scritto, contenente una Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, uno dei suoi momenti nodali di sviluppo e delle sue principali conquiste, che consacra le vittorie dell’individuo sul potere.

A tal proposito, per cogliere sul piano storico l’origine del concetto di Dichiarazione dei diritti, si risale alla Declaration des droits de l’homme et du citoyen, votata dall’Assemblea nazionale francese nel 1789, nella quale si proclamava la libertà e l’eguaglianza nei diritti di tutti gli uomini, in cui si rivendicavano i loro diritti naturali ed imprescrittibili (la libertà, la proprietà, la sicurezza, la resistenza all’oppressione), in vista dei quali si costituiva ogni associazione politica legittima.

In realtà, la Declaration aveva due grandi precedenti: i Bills of rights di molte colonie americane, ribellatesi nel 1776 al dominio dell'Inghilterra, ed il Bill of rights inglese, che consacrava la Gloriosa Rivoluzione del 1689.
Dal punto di vista concettuale, non vi sono sostanziali differenze fra il suddetto testo francese ed i corrispondenti testi americani, dato che tutti maturano nello stesso clima culturale dominato dal giusnaturalismo e dal contrattualismo: gli uomini hanno dei diritti naturali anteriori alla formazione della società, diritti che lo Stato deve riconoscere e garantire come diritti del cittadino; assai diverso, invece, è il testo inglese, dato che in esso non si riconoscono i diritti dell’uomo, ma si ribadiscono i diritti tradizionali e consuetudinari del cittadino inglese, fondati sulla common law.

Detto ciò, lo strumento politico Dichiarazione dei diritti, sin dalla sua formulazione originaria, ha posto un grossissimo problema che è stato, insieme, politico e concettuale. Gli studiosi dell’epoca si sono trovati di fronte alla risoluzione del problema relativo al rapporto sussistente tra la Dichiarazione e la Costituzione: in sostanza si riteneva possibile un conflitto fra gli astratti diritti dell’uomo ed i concreti diritti del cittadino, ovvero si riteneva possibile un contrasto sul valore del contenuto delle due Carte fondamentali. A dimostrazione di ciò, si tenga presente che inizialmente sia in America che in Francia la Dichiarazione era contenuta in un documento separato dalla Costituzione.
Rappresenta questo, un accorgimento che, in seguito, è stato superato, tant’è vero che le odierne Costituzioni statali prevedono l’enunciazione dei diritti fondamentali in proprio seno (la prima Costituzione ad apportare siffatta innovazione fu proprio quella americana).

L’evoluzione appena presentata dimostra, in sostanza, che la su accennata contrapposizione fra le due tipologie di Testi fondamentali era solo apparente.
Nonostante la suddetta evoluzione, proprio perché i principi racchiusi all’interno di una Dichiarazione dei diritti pongono l’entità Stato in una situazione alquanto “complicata” (dato che, se si riconoscesse ad essa un carattere “vincolante” sul piano giuridico, lo Stato avrebbe il dovere di fare di tutto per produrre una legislazione osservante siffatti principi), si ritiene ancora oggi, in ossequio alla tradizione, di valutare questa non come un documento vincolante, ma come un elenco di principi dal valore fortemente simbolico e di indirizzo (sempre non-vincolante) per gli organi legislativi.

Dunque, abbiamo visto quella che può definirsi l’origine dello strumento Dichiarazione dei diritti, che, come osservato, non si delinea sin dall’origine nel panorama internazionale, bensì in quello interno-statale.
Oggigiorno parlare di Dichiarazioni di diritti all’interno di un singolo Stato rappresenta un approccio insulso ed anacronistico, dato che, come osservato sopra, le moderne e contemporanee Costituzioni in linea di principio inglobano una propria Dichiarazione dei diritti nel dettato costituzionale (ad es., nella nostra Costituzione, potrebbe essere rappresentata dalla Parte I unita ai Principi fondamentali), bensì la nomenclatura suddetta trova ancora un ampio fondamento nel panorama internazionale ove i destinatari delle norme di diritto internazionale sono gli Stati e le varie Organizzazioni internazionali a carattere regionale ed universale (ma anche siffatta concezione è, oggigiorno, in via di superamento, dato che si ritengono destinatari delle norme internazionali, in maniera riflessa o diretta, anche soggetti privati, singoli o collettivi).

A tal riguardo, infatti, il problema di una tutela internazionale dei diritti umani e delle libertà fondamentali ha iniziato a porsi, nella comunità internazionale, dopo la prima Guerra mondiale con l’istituzione della Società delle Nazioni, ma è dopo gli orrori e le gravi violazioni, perpetrati nel corso del secondo conflitto mondiale, che siffatta attività si consolida in maniera più serrata: infatti, fu la nera parentesi dei regimi totalitari e della seconda Guerra mondiale ad indurre gli Stati ad includere, tra le sfere di competenza della cooperazione internazionale, la finalità di promuovere ed incoraggiare il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali senza distinzione di razza, di sesso, di lingua e/o di religione (si veda, l’art.1 della Carta delle Nazioni Unite).

È proprio in tale contesto che l’Assemblea generale dell’Onu ha adottato, negli anni seguenti alla sua istituzione, molteplici dichiarazioni di principi che, seppur presentando la natura giuridica della raccomandazione (ovvero, un atto decisionale che, tradizionalmente, non ha valore vincolante per il soggetto-destinatario), sono dotate di valore morale e politico ed hanno, spesso, contribuito sia alla formazione di consuetudini internazionali sia alla preparazione delle condizioni atte alla stipulazione di Trattati multilaterali per la tutela dei diritti umani (Atti che, invece, hanno carattere vincolante, in quanto Patti internazionali, come la Convenzione sulla prevenzione e la repressione del crimine di genocidio del 1948, quella sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale del 1965, quella sui diritti del fanciullo del 1989 od, ancora, come il Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966).

Dunque, in quanto raccomandazioni, siffatte Dichiarazioni hanno la finalità di ottenere che gli Stati adeguino spontaneamente i propri ordinamenti interni ai principi enunciati: come si può notare, nel panorama internazionale, la definizione di Dichiarazione dei diritti rimane tuttora quella nata (e più su presentata) nella seconda metà del XVIII secolo.

Nonostante ciò, in molti Stati queste Dichiarazioni dei diritti umani di stampo internazionale hanno avuto il merito di ispirare la legislazione, sia costituzionale sia ordinaria, in favore dei cittadini e degli stranieri ed apolidi residenti.


Trotzky e Antonio Amoroso


Trotzky
trotzky.splinder.com/
[Modificato da kelly70 09/01/2008 00:26]



La cattiva notizia è che Dio non esiste. Quella buona è che non ne hai bisogno.
Apocalisse Laica
Le religioni dividono. L'ateismo unisce


Il sonno della ragione genera mostri (Goya)


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