Apologia della libertà

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kelly70
00mercoledì 30 luglio 2008 00:10
Il razionalista che non le rispetta non le sfida, le giudica


ATTENZIONE: CIO' CHE SEGUE È SOLO UNA PROVOCAZIONE, UN ESERCIZIO DEL RAGIONAMENTO. NON C'È ALCUNA INTENZIONE DI APOLOGIA O DI ISTIGAZIONE. LE LEGGI POSSONO ESSERE CIVILMENTE, DEMOCRATICAMENTE E LIBERAMENTE CONTESTATE; MA NEL FRATTEMPO VANNO COMUNQUE RISPETTATE E SCRUPOLOSAMENTE OSSERVATE.

di Calogero



Tesi: le regole, in tutte le loro forme sociali (divieti, precetti, codici, usi, leggi, ecc), sono necessarie solo in quanto destinate a un target che senza di esse non saprebbe comportarsi o rischierebbe di comportarsi in modo inefficiente e/o dannoso. Il modello è quello dei bambini, i quali hanno davvero necessità a sottostare a un insieme di regole. Necessità, però, che ha due irrinunciabili limiti: temporaneità e schematizzazione.

Le regole vanno senz'altro apprese e inizialmente seguite con scrupolo, allo scopo di sperimentare il loro funzionamento; ma successivamente, quando interviene il raziocinio e si è padroni della regola, vanno elaborate ed eventualmente discusse e bocciate. Qualunque regola, per sua stessa natura, non può essere mai eterna o valida per tutti. Non a caso, i Sistemi (politici, economici, sociali), essendo per definizione sistemi di poteri, ci hanno tenuto e ci tengono ad affermare il concetto "le regole vanno comunque rispettate"; concetto che più o meno a tutti appare ancora oggi segno di civismo e garanzia di libertà. Vedremo fra poco se questo è vero o meno e utile a chi.

Non è possibile avere un carnet di regole, un abbecedario da cui estrarre all'uopo ogni sorta di insegnamento comportamentale. Questo lo pensano le persone ottuse, per esempio certi genitori, quando si affaticano a elencare giornaliermente ai figli le azioni buone e quelle cattive; la prova dell'inefficacia di questa loro convinzione sta nel fatto che i figli ripetono all'infinito i comportamenti bollati come "irregolari" senza mai assimilare le regole imposte loro. E lo pensano anche tutti coloro - e sono molti - che detengono potere su altri loro simili: politici, militari, magistrati, forze dell'ordine, manager, religiosi, insegnanti, ecc. Questo è il motivo per cui quel pensiero illusorio è così diffuso e sedimentato.

Nel mondo reale, invece, esistono gli "insiemi" delle regole, schemi generici da cui poi razionalmente si potrà dedurre (chi lo sa fare...) il singolo comportamento da adottare. Ed è la parte difficile: saper fare a meno delle regole.



Si può fare a meno delle regole?



Sembrerà strano (o destabilizzante, dipende dai punti di vista) ma sì, delle regole si può fare a meno. Con un'importante premessa: non tutti gli esseri umani possono fare a meno delle regole, ma solo quelli evoluti razionalmente e inseriti in una società dall'etica molto avanzata e totalmente laica. Ci vuole un certo allontanamento dai concetti teorici e assoluti di bene e di male, infatti, per poter apprezzare l'efficacia della razionalità.

Facciamo un esempio: il semaforo. Il codice della strada impone lo stop al rosso, senza deroghe, senza eccezioni, ci si ferma e basta. La regola è semplice, quindi è comprensibile da tutti; il meccanismo è proprio questo: la semplicità del divieto (un solo netto concetto: no) impedisce ogni equivoco e nessuno può intendere diversamente. Quindi, la regola funziona, ed è questo che importa. Immaginiamo invece che lo stop al rosso fosse corredato da due sub-regole: 1) si rallenta senza fermarsi se la strada è un incrocio sgombro, e 2) il rosso non vale se la visuale a 360 gradi è superiore ai 200 metri e non sopraggiunge alcun veicolo. Questa apparirebbe una complicazione capace di confondere i più. Anzi, peggio: molti potrebbero dare la stura a interpretazioni autonome e sfrecciare inconsultamente con tutti i colori del semaforo.

Eppure, quelle due sub-regole sono evidentemente sagge e razionali! Cosa significa ciò?

Significa che se dici a un bambino che non è che non deve utilizzare il coltello (teorema del no assoluto) ma solo utilizzarlo con accortezza (teorema del no relativo), probabilmente quel bambino finirà con tagliarsi alla prima occasione. Vieppiù, a un adulto sarà possibile affidargli lo stesso coltello senza il ragionevole timore che vi si tagliuzzerà. Quindi, deduciamo che la stessa regola (vietato utilizzare il coltello) è assoluta - sempre e comunque no - con un target involuto, come un bambino, e diventa relativa o superflua con un target evoluto, come un adulto. Il bambino è incapace di capire e di apprezzare le molte varianti della pericolosità di un coltello, quindi con lui funziona solo il divieto assoluto; l'adulto, invece, per ovvie ragioni di esperienza e di maturità, è in grado di cogliere le sfumature e quindi non c'è bisogno che segua una regola uninomiale, no, ma gli basta la versione relativista di quella stessa regola (per esempio: non t'infilare il coltello nell'occhio...) per sopravvivere alle probabilità di fare e di farsi dei danni.

La conseguenza logica che discende da tale metafora è semplice. Rispetto a una regola, non è saggio comportarsi tutti allo stesso modo. Non è saggio né conveniente. La persona irrazionale, istintuale, poco avvezza alla logica, molto condizionata da una filosofia dell'accettazione ottusa, preda di comportamenti di principio, non potrà far altro che fermarsi allo stop anche quando è da sola in mezzo al deserto; e, naturalmente, non farà altro che evitare di protestare, soggiacere a ogni comando, rispettare acriticamente tutte le norme, cercare di essere l'acefalo perfetto così come lo vogliono i poteri che ne governano l'esistenza.



Rapporto fra soggezione alle regole e religiosità



Un disastro. Di cui non è priva di responsabilità la religiosità: avere una mentalità religiosa (o magica, che è sostanzialmente lo stesso) significa giustappunto accettare la sottomissione a poteri incontestabilmente superiori e assoluti come un dio (o forze spirituali di vario genere), accettare tutti i suoi capricci, trasformare le sue evidenti incoerenze in dogmi da rispettare ciecamente; e, per traslazione, quel dio-modello di autorità assoluta diventa di volta in volta un politico, un militare, un magistrato, un manager, un prete, un insegnante, ecc. a cui dovere obbedienza e in cui ritrovare il rappresentante di una norma e il titolare di un'ubbidienza e di un'osservanza. Le regole diventano "la Regola".

La religione cattolica è una religione del dolore, dell'afflizione e della miseria. Essa riconosce come propria soltanto una realtà fatta di queste tre cose, per il semplice motivo che se ne nutre. Non è un caso se dove la popolazione è arricchita, è felice e soffre poco, il cristianesimo tende a scomparire e la popolazione diviene laica, mentre al contrario non appena le condizioni economiche peggiorano, o ci sono guerre o quanto altro, ecco che tutti tornano alla religione.

Il cattolicesimo è una religione a potere piramidale, al cui ultimo gradino c'è sistematicamente l'Uomo; è un sistema gerarchico che, come tutte le strutture primitive, si autoregge sul potere e dunque sull'obbedienza scalare. Riconoscersi in esso implica accettare quel potere, ma accettarlo dalla parte di chi lo subisce non già di chi lo detiene (dio, pantheon e, più concretamente, preti, prelati e papi). Dalla religione alla vita civile il passo è breve e il sistema è perfettamente interscambiabile. Bisogna soggiacere alle regole del vivere comune; chi dèroga sbaglia. Una sintesi di tale atavico imbroglio? "La mia libertà finisce dove comincia la tua". Invece, semmai la mia libertà inizia dove finisce la tua (se la tua è una libertà posticcia, impaurita, controllata, gerarchica). Per la Chiesa, la libertà non è un valore positivo ma negativo. La libertà è il male. Una delle virtù più importanti di un cristiano è l'ubbidienza, non certo la libertà. Tra le virtù cardinali o tra le virtù teologali, o tra una qualsiasi delle virtù elencate da un qualsiasi pensatore cristiano riconosciuto, non si trova la parola libertà da nessuna parte. La libertà per i cristiani non è un valore ma un nemico. Istigare alla libertà è una delle caratteristiche di Samael, il serpente tentatore. Gli uomini liberi, per i cristiani, sono indemoniati. Nella bolla "ad extirpanda", il processo ideale per eresia e stregoneria doveva avvenire, testuali parole, "absque strepitu advocatorum", lontano dal gridare degli avvocati. In pratica, per loro nei processi l'imputato non doveva aprire bocca, né aveva diritto alla difesa. E il latino è una lingua piuttosto precisa.



Ma come si vivrebbe senza regole?



In una società di razionalisti, senza regole si vivrebbe benissimo. I razionalisti saprebbero da sé quali comportamenti sono lesivi e quali cònsoni alla propria società; e farebbero questa distinzione su basi non moralistiche ed emozionali, ma in rispetto del principio della funzionalità: non si commettono furti per non ledere la proprietà altrui, non perché "è peccato". Comprendendo ciò, sarebbe superfluo vietare i furti! E, alla lunga, sarebbero inutili pure le sanzioni e quindi le punizioni. Ma pure nella società attuale non è un problema non rispettare le regole: sempre che si sappia non rispettare le regole! Al semaforo rosso di prima, ci si potrebbe facilmente non fermare, ma bisogna che si riconoscano i parametri della deroga, vale a dire che passare col rosso non implichi un'insostenibile probabilità di incidente o pericolo per sé o per altri. E questo calcolo non tutti sono capaci di farlo. Per cui, purtroppo, spesso chi passa col rosso, pur esercitando il lodevole diritto all'autodeterminazione e allo scetticismo, crea una situazione di pericolo. Per costui, quindi, è meglio l'imposizione della regola con annessa sanzione.

Ma colui che è padrone della situazione? Colui che ha il controllo della deroga? Perché equipararlo al primitivo incosciente che passa col rosso solo perché vuole sfidare il codice? Il razionalista non è mosso affatto da questa motivazione. Il razionalista deroga alla regola perché la giudica ed eventualmente la riconosce inefficace, erronea, superflua, illogica, inadatta, stupida, superata.



Regole inutili e superflue



Fino agl'anni '80, in Italia erano in bella evidenza sugli autobus molte targhette coi precetti più assurdi: Non sputare per terra, non parlare al conducente, prepararsi in tempo a scendere. Oggi sono spariti: perché? Evidentemente, qualcuno s'è accorto che la capacità media di stare su un autobus è cresciuta, e che quindi nessuno - se pure l'avesse mai fatto - sputava più per terra, o che era tutto sommato non così pericoloso chiedere qualcosa all'autista, o che era davvero sciocco raccomandare di prepararsi a scendere. Ciò conforta la tesi su esposta: le regole arretrano con l'avanzare della maturità di coloro cui sono indirizzate. Peccato che chi dovrebbe misurare tale maturità, onde adeguarvi le regole, è sempre in ritardo almeno di mezzo secolo...

Sui treni, invece, resistono amenità similari, quali "vietato gettare oggetti dal finestrino". Ma è forse possibile, su molti treni ermeticamente chiusi, aprire quel finestrino per gettarvi cose? E, anche sui treni ancora normali, è davvero così diffuso e aggressivo quel mal costume tanto da giustificare targhette del genere? E, infine, qualcuno ha mai monitorato se funziona e quanto funziona quell'infantile deterrente? Non mi pare che la cronaca sia piena di feriti o morti causa lancio oggetti dai treni...

Ritornando un attimo alla strada, una regola davvero incomprensibile (e, quindi, molto creduta) è quella sui limiti di velocità. È pur vero che, per banali leggi fisiche, la velocità allunga i tempi di frenata e accorcia i tempi di reazione. Ma perché affermare una correlazione diretta fra velocità e incidenti, se non c'è? Si sono fatti degli studi che hanno confortato questa tesi? E non è forse più probabile che un incidente stradale abbia uno o più di altri motivi quali la distrazione, l'imperizia, la qualità del mezzo, la condizione del manto stradale o quella atmosferica? E perché si batte e si ribatte sull'esigenza di limitare la velocità e di inasprire le pene ai contravventori, mentre si lascia sostanzialmente immutata la incapacità dei più a pilotare correttamente, la vetustà e l'inaffidabilità di molti mezzi e la pericolosità del manto stradale? A che serve andare piano se sono una bestia di pilota o se dietro una curva mi sorprende una fossa in mezza alla strada?

Cambiando tema, da un po' è in atto una campagna molto aggressiva contro la cosiddetta pirateria musicale e filmografica. L'orchestrazione (scambiare o acquistare musica contraffatta è reato!) è stata così efficace che lo stesso termine, pur non avendone i requisiti (il pirata è un predatore marinaresco che non si occupa certo di sharing musicale) è entrato anche nel lessico ufficiale attraverso il vocabolario Zingarelli 2004: "pirateria - attività abusiva di chi riproduce e vende libri, cassette, dischi, programmi per elaboratori e simili".

In buona sostanza, con una Legge del 2005 (relatore: Giuliano Urbani) si è punita la compravendita e anche il semplice scambio su web di files musicali, film ed altre opere protette dal diritto d'autore. Tralasciando la fin troppo evidente polemica, chiediamoci perché questa legge è così disattesa. Perché, nonostante le sanzioni (da salate multe al carcere), il file sharing (scambio di files sul web) non ha subìto battute d'arresto? Forse perché praticamente tutti considerano innocente e benigno scambiarsi files gratis (commerciarli sarebbe diverso!) attraverso internet, e quindi ritengono oppressiva e sbagliata quella legge. Forse perché i Poteri hanno voluto una regola le cui argomentazioni o non sono ritenute valide (arginare la criminalità organizzata) o sono ritenute pretestuose (proteggere non gli acquirenti onesti ma gli interessi delle case editrici).

In queste condizioni, non era affatto difficile prevedere il flop della legge. Siamo dunque, probabilmente, di fronte a una regola controproducente: vale a dire che non regola ma sregola un comportamento; che non risolve ma acutizza un problema; che non difende ma soffoca i diritti di tutti; che infondo è irrazionale, giacché procura danni a molti (gli indagati) per difendere un principio teorico e moraleggiante di legalità, la cui difesa non apporta alcun beneficio alla società.



Regola segno di civismo?



Una società attuale (per lo meno quella di tipo occidentale) è strutturata sull'assunto del popolo da educare. E da educare discende il controllare, e dunque la necessità di una Autorità-docente a cui sottomettere un popolo-discente. E la democrazia, il governo del popolo? Idealismo superato: in verità, in ogni democrazia la sola struttura della rappresentanza politica (eletto che agisce in rappresentanza degli elettori) già è sufficiente a trasformare l'eletto in una autorità autoreferenziale spesso aliena dagli interessi e dalla volontà di chi lo ha eletto, giacché a sua volta vittima di interessi diversi e di obiettivi quasi mai coincidenti con quelli della gente comune. DEMOCRAZIA è un concetto ambiguo: è una classe di eventi accomunati tra loro dalla più o meno aperta coincidenza del termine con un imprecisato numero di condizioni.

Secondo i luoghi comuni e i tempi, la democrazia si configura come ciò che si ritiene aderente al principio del controllo della civitas , della comunità dei portatori di diritti sulla cosa pubblica, lo spazio del politico. E’ pertanto ovvio che democrazia possa essere di volta in volta, l’Assemblea della Polis, come la Monarchia Costituzionale, la Federazione degli Stati del Nord America , come la Biparlamentare Repubblica Italiana : tutto e il suo contrario. Democratica può essere definita la società "aperta" che fonda il suo patto di unità su presupposti laici, piùttosto, che teologici o legalistici. Democatico è l’atto mediante il quale, una nazione può decidere il proprio disarmo, piuttosto, che una dichiarazione di guerra contro un’altra società.

Che vuol, dire, allora, democrazia? Non la stessa cosa per un filosofo greco che per un giacobino; per un liberal puritano che per un partigiano comunista. Democrazia è un metodo come una visione del mondo, una procedura tecnica come un presupposto teoretico. E’ un obiettivo per il tiranneggiato che aspiri alla libertà, è un espediente utile per il demagogo in cerca di larghe intese; è la tirannia della maggioranza per il rigoroso avversario delle rappresentanze e il laccio alla caviglia del superuomo, per il nobile individualista decadente.

www.calogeromartorana.it/regole.htm
kelly70
00mercoledì 15 aprile 2009 21:17


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