Demografia totalitaria

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Claudio Cava
00lunedì 12 novembre 2007 20:10

Tra la prima e la seconda guerra mondiale il declino della fecondità in Europa fu motivo di preoccupazione per i politici che vedevano sia una causa che un sintomo del declino dell’Occidente. In quegli anni nacque l’interesse per una nuova scienza, la demografia, che studiava l’andamento della popolazione. La prima politica demografica di ampio respiro venne da un paese che da poco aveva iniziato a conoscere la denatalità, l’Italia.

La precocità di questa politica venne accelerata dall’instaurarsi della dittatura fascista; la forza è nel numero, era lo slogan mussoliniano che esigeva la crescita della popolazione insieme all’indottrinamento politico e ideologico. Per prima cosa si cercò di imporre alla popolazione italiana un modello demografico, esortando ad una maggiore fecondità e alla migrazione verso particolari destinazioni, scoraggiando, anzi vietando del tutto, la contraccezione e l’aborto. La politica demografica fascista piacque alla Chiesa: le due istituzioni si trovarono d’accordo sui mezzi impiegati per aumentare le nascite, specie quando, dopo gli accordi dei Patti Lateranensi, la neonata struttura per la tutela della maternità e l’infanzia (Onmi), venne, di fatto, appaltata al clero.

Come ci racconta la storia della popolazione italiana, il fascismo non riuscì a bloccare la scelta delle donne di regolare la dimensione della propria famiglia, così come pochi anni dopo, la Chiesa romana non la spuntò con la legge sull’interruzione volontaria della gravidanza.
Cardine delle dittature è il controllo della sessualità riproduttiva delle donne.

Nel regno di Vladimir Putin dove secondo le proiezioni demografiche i russi tra venti anni saranno poco meno di 100 milioni, è partita una campagna che ha stanziato 10mila dollari per il secondo figlio in bonus per l’istruzione. Oggi, la russa che desidera abortire, deve firmare un modulo che la informa dei rischi che potrebbero verificarsi per la salute fisica e psichica, e negli ospedali gli assistenti sociali dissuadono dall’intervento. L’incesto e lo stupro sono le uniche cause che consentono l’accesso gratuito all’intervento. Alla Duma è stata depositata una proposta di legge di deputati nazionalisti che vorrebbero equiparare l’aborto ad un reato penale, esattamente come ai tempi di Stalin. L’URSS, che era stato il primo paese a liberalizzare l’aborto, lo riammise soltanto con Krusciov (’54-’64), e diventò, vista la mancanza di altri metodi, un contraccettivo. Una donna nel corso della sua età riproduttiva abortiva sette–otto volte (ma anche di più) in condizioni disumane. Con Gorbaciov (’85-’92) venne imposta l’anestesia, sconosciuta per la gran massa delle donne, e la signora Raissa Gorbaciova diede impulso a ong, anche straniere, per l’educazione alla contraccezione.

La Romania di Ceausescu mise in atto una delle più criminose politiche demografiche nell’Europa moderna. Le donne erano sottoposte periodicamente a visita ginecologica per individuare aborti clandestini. Senza successo, non riuscendo a modificare la volontà delle romene. Testimonianza preziosa è il duro film di Mungiu (Quattro mesi, due settimane…) che ha ricevuto a Cannes il Prix de l’education (assegnato dal ministero dell’Istruzione e per questo il film sarà visionato durante l’anno scolastico in tutte le scuole francesi). Esattamente l’opposto avviene ancora oggi in Cina, (il paese delle Olimpiadi, olè) dove le donne sono obbligate a visite periodiche per accertare che abbiano un solo figlio in città, due nelle campagne.

Terribile, ma non sorprendente, la notizia che in Nicaragua l’ex rivoluzionario Daniel Ortega si è reinventato cattolico per riconquistare la presidenza, recependo un anno fa il bando all’aborto voluto dalla chiesa e accolto dal papa Benedetto XVI (che si è comunque detto dispiaciuto delle eventuali sofferenze delle donne). Il paese è rimasto profondamente scosso dalla morte per emorragia di una giovane donna alla quale è stata rifiutata l’interruzione di una gravidanza extrauterina. I medici sono turbati e in preda al panico, le sanzioni arrivano fino all’espulsione dall’ordine e al carcere per un intervento abortivo, mentre alle donne rimane la pericolosa risorsa delle “vecchie e salvifiche” mammane. Human Rights Watch sostiene che questa legge contrasta con gli obblighi previsti dalla legge internazionale sui diritti civili.

Oggi i paesi che vietano l’aborto anche in caso di stupro o gravidanza a rischio mortale per la donna sono il Nicaragua, il Cile e El Salvador. Vietano l’aborto 69 paesi, ma tra questi in molti prevedono eccezioni in caso di rischio della vita della donna. In Italia la legge 194 prevede l’aborto in caso di pericolo per la salute fisica e/o psichica. Inoltre contempla l’obiezione di coscienza dei medici e del personale coinvolto nell’intervento (anestesisti, infermieri, portantini). Una legge frutto dell’ipocrisia italiana, ma che, nonostante i suoi limiti e i continui attacchi partitici e clericali, la forza delle donne ha trasformato in un successo.

Tiziana Ficacci, www.nogod.it

www.nogod.it/tiziana2007.htm
=omegabible=
00lunedì 12 novembre 2007 20:28
re

Bel panorama di informazione!!! Poi scritto dalla Ficacci mi piace ancora di più. [SM=x789048] [SM=x1421970] [SM=g8902]


omega [SM=x789054] [SM=x789054] [SM=x789054]
Claudio Cava
00lunedì 12 novembre 2007 21:33
Re: re
=omegabible=, 12.11.2007 20:28:


Bel panorama di informazione!!! Poi scritto dalla Ficacci mi piace ancora di più. [SM=x789048] [SM=x1421970] [SM=g8902]


omega [SM=x789054] [SM=x789054] [SM=x789054]



[SM=x789049] [SM=x789049] [SM=x789049] [SM=x789049]

Piu' ti leggo.... meno ci credo [SM=x789051]


[SM=x789062]

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