Diritti umani e teologia

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kelly70
00giovedì 22 novembre 2007 22:56
di Juan A. Estrada

"È per me palese che Roma non ha mai cercato né cerca che una cosa sola: l'affermazione della sua autorità. Il resto non le interessa, se non come luogo di esercizio di questa autorità. Salvo un certo numero di casi, rappresentato da uomini di santità e di iniziativa, tutta la storia di Roma è rivendicazione e affermazione della sua autorità, e distruzione di tutto quello che non si conforma alla sottomissione". Queste dure parole non provengono da un libellista né da una persona marginale nella Chiesa, ma dal domenicano card. Congar, a proposito degli interventi del Sant'Uffizio contro di lui e la sua teologia. Il secolo XX è stato prodigo di teologi che hanno protestato contro i procedimenti del Sant'Uffizio, ora chiamato Congregazione per la Dottrina della Fede. Il grande teologo Bernhard Häring, forse il moralista cattolico più importante del secolo, diceva poco prima di morire che avrebbe preferito trovarsi di nuovo davanti ai tribunali della Gestapo piuttosto che passare per quelli della Congregazione della Fede; e il noto Karl Rahner si lamentava prima della morte di essere stato troppo condiscendente con l'autorità della Chiesa, malgrado avesse criticato duramente i procedimenti di giudizio dei teologi.

Nel secolo XXI non sembra che le cose siano cambiate molto. Tutta la stampa commenta la dura Nota della Commissione episcopale della Dottrina della Fede che condanna un libro di Juan José Tamayo, uno dei teologi spagnoli più conosciuti, per proprio conto e per quello della Congregazione romana. Lo si accusa di essere eretico, ariano, cioè di negare la divinità di Cristo, di negare la resurrezione, di condurre un'attività teologica incompatibile con quella di un teologo cattolico e di essere presidente di un'associazione di teologi che non possiede l'approvazione canonica e che, pertanto, "non è un'associazione della Chiesa cattolica".

Si condanna un libro scritto tre anni fa, senza che nel frattempo ci sia stato alcun dialogo con l'autore riguardo al suo scritto; senza che questi sappia chi sono i teologi che hanno presieduto la Commissione, né i rapporti concreti che hanno redatto. Di nuovo la segretezza al servizio di una Commissione in cui le stesse personalità fanno da avvocati, giudici ed esecutori della sentenza. Esattamente la lamentela formulata da Rahner 25 anni fa.

Sembra incredibile che questo accada nel secolo XXI, ma non bisogna dimenticare che il segretario della Commissione della Fede quindici anni fa affermava che i sacerdoti e i religiosi autolimitavano volontariamente i diritti umani "in ossequio gioioso ai valori del Regno". Questo ora viene applicato a Tamayo, sacerdote secolarizzato, dimostrando che le persone alla guida delle Istituzioni sono cambiate, ma questa rimane come prima, al margine dei diritti umani.
Però il problema va oltre il teologo coinvolto, quando si afferma che un'associazione di teologi senza approvazione canonica non è un'associazione della Chiesa cattolica. L'intera dottrina del Concilio Vaticano II si basa sull'affermare che la Chiesa non è la gerarchia, ma la comunità, e che l'identificazione tout court della voce gerarchica con quella della Chiesa è un errore teologico. Qui si ritorna alla "gerarcologia" criticata da Congar: è cattolico solo quello che ha approvazione gerarchica. E siccome gli interventi di Tamayo sono critici verso la gerarchia, riflettendo il malessere di molti - cattolici e non credenti - di fronte ai pronunciamenti e agli atteggiamenti dei vescovi, lo si accusa di allontanarsi dalla comunione ecclesiale, che si identifica solo con quella della gerarchia. Che rimane allora del pluralismo che oggi esiste nella Chiesa? Che spazio si concede alla critica in materia pastorale e teologica? Non esistono teologi vicini alla gerarchia che possano discutere con i dissidenti , senza ricorrere alle sanzioni? Non ci sono risposte, ma viene persino da chiedersi se c'è sensibilità per queste domande.

Il problema sta nel fatto che, nel frattempo, la gerarchia va perdendo credibilità e plausibilità nella società e nella Chiesa stessa. Aumenta il numero di persone che non condividono dottrine ufficiali e comportamenti gerarchici, che a volte si impongono senza offrire argomenti convincenti. I teologi hanno sempre più paura di pronunciarsi su temi problematici, perché sanno che saranno castigati. Si instaura così in regime di terrore e di autorità, che ricorda gli anni conclusivi del pontificato di Pio XII, e si apre spazio all'ipocrisia dei teologi, e di pochi vescovi che in privato manifestano la propria non conformità con le linee d'azione ufficiali e in pubblico rispettano il silenzio o le fanno proprie per evitare conflitti. Non sappiamo quale sarà il futuro del cristianesimo nelle società moderne del XXI secolo, ma c'è poco da sperare con questo modo di agire, che non riesce a convincere né ad imporsi. Al contrario, confermano la constatazione del Vaticano II che i cristiani e il clero sono stati molte volte colpevoli dell'ateismo e dell'indifferenza religiosa di molti dei nostri concittadini.



da ADISTA del 25.1.2003
www.cdbchieri.it/rassegna_stampa/approfondimenti_f.htm
=omegabible=
00giovedì 22 novembre 2007 23:24
Re

Con una chiesa così penso che l'ateismo possa conoscere dei successi enormi altrimenti non raggiungibili in altro modo.!!!



omega [SM=x789054] [SM=x789054] [SM=x789054]
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