La creazione della santità: don Bosco e Domenico Savio
Si può basare un programma di "rinascita cristiana" basandosi sulla rinuncia alla sessualità? Per la società dell'epoca, come per quella di oggi, la risposta era ed è evidentemente no.
Eppure l'ossessione di Bosco per la "purezza" mostra che egli in parte ci credette, come suggeriscono anche i suoi famosi "sogni", allucinazioni oniriche in cui le più sadiche catastrofi colpiscono i "giovinetti" che si lasciano traviare (sempre su questioni di "purezza", ovviamente) da "cattive compagnie".
Lo stesso modo in cui "costruì" la santità di Domenico Savio dopo la morte (a quindici anni) del ragazzo, mostra fino a che punto lo slogan "la morte, ma non peccati" (di tipo sessuale, ovviamente) fosse importante per lui.
Domenico si è meritato un posto nel calendario cattolico lottando contro i suoi primi istinti sessuali. Nessuno in quell'epoca si è meritato la canonizzazione lottando contro gli industriali che per pochi centesimi facevano lavorare quattordici ore al giorno bambini di molti anni più giovani di Domenico Savio.
Evidentemente per Santa Madre Chiesa 14 secondi di orgasmo sono più nocivi di 14 ore di lavoro pesante. Strani parametri di giudizio...
In ogni caso se don Bosco credette tanto a questo "itinerario verso la santità", una ragione a mio parere c'è. Ed è che quello fu l'itinerario che guadagnò a lui la santità. Se egli non avesse represso e sublimato così bene i suoi desideri, sarebbe forse stato solo uno di quei "froci di paese" di cui è piena la cronaca nera dei giornali di provincia. Chissà.
Ciò che aveva funzionato per lui (sembra di sentire il suo ragionamento) perché non avrebbe dovuto funzionare per gli altri?
La risposta è: semplicemente perché gli altri non erano lui. Come ha compreso la stessa Chiesa cattolica, che oggi guarda con un certo sospetto agli ideali educativi di don Bosco. Puzzano di pederastia anche per lei, ormai.
Specie in un'epoca in cui sul prete che "tocca i ragazzini" in Oratorio non si ride più dandosi di gòmito: oggi si denuncia, perché la pedofilia, a differenza di qualche anno fa, è presa molto sul serio, ormai.
Forse anche troppo, al livello di caccia alle streghe (come mostra la moltiplicazione di casi di clamorosi errori giudiziari in materia), grazie anche alle campagne mediatiche ossessive condotte da cattolici alla don Di Noto.
Sia come sia, resta il fatto che, lasciato da parte diavolo e diavoletti, anche la Chiesa cattolica comincia a capirne qualcosa di "tendenze sessuali" "pulsioni" e simili "diavolerie" laiche.
E anche chi non le capisce o non le vuole capire, capisce comunque che non si può più continuare a perdere processi per avere dato copertura e omertà a pedofili violentatori di bambini. Se non altro perché per pagare i danni alle vittime sono già fallite delle diocesi.
E anche quando la Chiesa fa ancora finta di non volersi insozzare con certe idee laiche, ormai di psicologia ne ha capito abbastanza per diffidare delle implicazioni erotiche di questo rapporto amoroso (seppur "amore in Cristo"...) fra insegnante e ragazzo.
Oggi i pedagogisti cattolici non vedono di buon occhio il "farsi fanciullo tra i fanciulli" di don Bosco, e la sua "amicizia amorosa" per loro.
Ciò non significa - sia chiaro - che i cattolici siano disposti ad ammettere che Bosco era omosessuale, foss'anche casto. Per esempio Giacomo Dacquino, psicoanalista cattolico (docente alla Università Pontificia Salesiana di Torino) ha così osservato:
"In questo rapporto affettivo tra don Bosco e i giovani, non è mancato chi ha voluto intravedere una devianza (sic) omosessuale. Ma per lo studioso della psiche umana, conscia e inconscia, è scontato che in ogni individuo sono presenti valenze omosessuali. (...)
A parte queste considerazioni di ordine tecnico, possiamo senz'altro affermare che don Bosco non ebbe verso i ragazzi quella simpatia erotica che degenera in pedofilia o in altre perversioni istintive. Chi ha studiato la problematica omosessuale pedofila non può cadere nella grossolana confusione di identificare tale perversione con l'affetto sublimato e oblativo che don Bosco ebbe verso i ragazzi.
Sono quindi semplicemente antiscientifiche (sic) la tesi o l'insinuazione di un don Bosco omosessuale o pedofilo represso, anche perché nel suo comportamento e nei suoi sogni non traspare mai, in maniera diretta o indiretta, che egli abbia avuto pulsioni pedofile a livello istintuale (sic) [15].
Don Bosco, insiste Dacquino, condannò più volte l'omosessualità; il che secondo lui dimostra che omosessuale non fu! (ma basta davvero così poco per "dimostrare" così tanto?).
Dunque secondo Dacquino chi fa certe insinuazioni si mette sul livello di coloro che tali insinuazioni fecero mentre lui era vivo, come Bosco stesso confessò a un testimone (parlando di sé in terza persona) poco prima di morire:
"Ti manifesto adesso un timore (...), temo che qualcuno dei nostri abbia ad interpretar male l'affezione che don Bosco ha avuto per i giovani, e che dal mio modo di confessarli vicino vicino, si lasci trasportare da troppa sensualità verso di loro, e pretenda poi giustificarsi col dire che don Bosco faceva lo stesso, sia quando loro parlava in segreto, sia quando li confessava.
So che qualcuno si lascia guadagnare dal cuore, e ne temo pericoli e danni spirituali" [16].
No, conclude Dacquino dopo questa sconcertante confessione (che a mio giudizio costituisce da parte di Bosco l'ammissione di essere andato un po' troppo in là): don Bosco non "lo" era perché se fosse stato omosessuale non avrebbe avuto tanti collaboratori e amici che gli furono fedeli per tutta la vita.
Trasecolo. Con argomenti a "difesa" dell'eterosessualità di don Bosco come questi, non c'è nemmeno bisogno di "accusa"...
Con buona pace di Dacquino, la verità è che oggi la stessa educazione segregata per sessi, un tempo considerata unica salvezza contro lascive frequentazioni tra giovani, è vista come un pericoloso incentivo allo sbocciare di tentazioni omoerotiche fino a quel punto assopite. Ben vengano le scuole miste, dunque, in barba al terrore che delle donne aveva don Bosco!
Insomma: magari nella Chiesa l'idea di un don Bosco gay non la manderanno mai giù, però intanto il buon prete contadino si ritrova sì santo, ma sconfessato proprio in quell'aspetto della sua vita che ha fatto di lui un santo.
Ironie della storia...
Una lettera che contesta in ottica cattolica questa pagina del mio sito (http://digilander.libero.it/giovannidallorto/biografieindex.html) , con mia risposta, è online qui.
Questo saggio, riedito sul sito di gay.tv, ha suscitato una polemica furibonda, corredata da insulti gratuiti delle chierichecche offese e speziata da pesantissime considerazioni omofobe e intolleranti.
Post scriptum.
Qualche anno fa il responsabile di un sito di cattolici gay mi chiese la prima stesura di questo scritto, che inviai; il pezzo fu così messo in Rete.
Non l'avesse mai fatto. Gli attacchi e le proteste che subì da parte degli stessi omosessuali cattolici furono tali che (senza dirmelo, perché per fortuna un po' si vergognava della censura che stava esercitando), fu costretto a togliere di mezzo lo scritto. (Per leggere un divertente strascico delle polemiche, fare clic qui e qui).
Ora, se gli omosessuali cattolici sono i primi a pensare che sia disonorevole "insinuare" che un omosessuale possa diventare santo, quanto sarà credibile la pretesa della Chiesa cattolica di "odiare il peccato omosessuale, ma amare e rispettare i peccatori"?
Davvero, se si nasce omosessuali, la via della santità è preclusa?
Se la risposta fosse sì, perché allora i cattolici gay perdono tempo a inseguire un cammino ideale che a loro, per volere divino, è stato precluso?
E se la risposta - come io spero (per loro) - fosse no, allora perché fare tanto chiasso se io discuto del caso in cui uno di noi ha trionfato in questo cammino?
Come si vede, la contraddizione è insanabile, e alla fin fine il proclama cattolico di odiare "solo il peccato" dimostra tutta la sua ipocrisia: ciò che tutti i cattolici odiano, a quanto pare ivi inclusi quelli omosessuali, sono gli omosessuali in quanto tali, siano o non siano "peccatori".
Come dimostra appunto la loro indisponibilità a discutere del fatto che uno di loro possa essere stato omosessuale, anche se casto.
A titolo di documentazione, ricopio qui due obiezioni mosse alla prima stesura del presente saggio
Obiezione n. 1:
Penso che sia scorretto tirare in ballo persone, in modo così poco piacevole, a
sostegno delle proprie tesi. Personalmente non avevo bisogno di un articolo come quello per avere conferma che la via della santità non è preclusa a nessuno.
Penso anche che tu non abbia valutato adeguatamente che in una Chiesa cattolica attaccata da tutti ed insultata da molti, un accostamento di grandi santi associata ad una loro qualità personale ottiene il deprecabile effetto di far perdere di carisma quel santo agli occhi di molti [sic!!], non quella di "santificare" la presunta qualità personale.
(...) La questione è don Bosco: santo o no? Non, "gay o no"?
Obiezione 2:
Perché forzare e affermare ciò che non si legge e che non è mai stato? [sic: il "profondo" ragionamento che sta dietro a questa affermazione è: "non mi piace l'idea che sia così, quindi non può esserlo". NdR]
Perché attribuire tendenze omosessuali a don Bosco? Forse non ti accorgi che tutto questo vorrebbe dire che don Bosco tutta la sua opera l'avrebbe fatta per costruire un harem? [sic!]
Capisci?
Attento allora a ciò che acconsenti [sic] venga detto, credendo non sia importante.
Note
[1] Paul Pennings, "Don Bosco breathes his last. The scenario of Catholic social clubs in the Fifties and Sixties". In: Among mern, among women, Amsterdam 1983, pp. 166-175 e 598-599.
Stephan Sanders,"A phenomenon's bankrupcy; Don Bosco and the question of coeducation". Ibidem, pp. 159-165 e 602-603.
[2] Don Sergio Quinzio, Domande sulla santità, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1986, pp. 31-39.
[3] Le considerazioni di Guido Ceronetti si possono oggi leggere nel suo Albergo Italia (Einaudi, Torino 1985), col titolo di "Elementi per una anti-agiografia", pp. 122-133.
[4] Molti anni dopo aver scritto questo articolo, che si fonda sull'assunto che Bosco non diede mai sfogo fisico ai suoi impulsi, conobbi un torinese che motivava l'anticlericalismo suo e della sua famiglia con li fatto che un suo nonno era stato allievo di don Bosco ed era stato sessualmente molestato da lui. Da qui l'odio - sosteneva - per l'istituzione che di un pedofilo violentatore aveva osato fare addirittura un santo.
Che dirò di questa originale "oral history"? Che nessun tribunale, né quello dell'Inquisizione e nemmeno quello della Storia, accetta testimonianze di terza mano, come questa. Ma che lo storico ha il dovere di registrare anche l'esistenza di voci (magari per confutarle), perché costuiscono documenti storici di una mentalità e di un periodo.
Da qui questa nota.
[5]-San Bernardino da Siena, Le prediche volgari (a cura di Ciro Cannarozzi), Pacinotti, Pistoia 1934, vol. 1, p. 416.
[6]-Qohelet, 4:10
[7] Citato in: Guido Ceronetti, Op. cit., pp. 126-127 e Sergio Quinzio, Op. cit., p. 59.
[8] Citato in: Guido Ceronetti, Op. cit., p. 125, e Sergio Quinzio, Op. cit., p. 59.
[9] Guido Ceronetti, Op. cit., p. 126.
[10]-Ibidem, p. 126.
[11]-Ibidem, p. 127.
[12]-Ivi.
[13] Sergio Quinzio, Op. cit., pp. 35 e 38.
[14]-Ibidem, p. 39
[15] Giacomo Dacquino, Psicologia di don Bosco, Sei, Torino 1988, pp. 124-129, citazione alle pp. 124-125.
D'Acquino è autore di un terrificante romanzo psicoanalitico, Diario di un omosessuale, (Feltrinelli, Milano 1972), spacciato per il diario di un paziente frocio che grazie alla guida di Dacquino "diventa" eterosessuale.
L'omosessualità che emerge dal libro è di uno squallore infinito.
Non contento, in Educazione psicoaffettiva (Borla, Torino 1972) Dacquino osserva:
"L'omosessuale è un immaturo affettivo, che vive i suoi rapporti ad un livello infantile ed è incapace di comunicare con il mondo degli adulti, soprattutto con quello femminile" (p. 102).
"L'omosessualità è una psicopatia e, come le malattie, necessita di cure, non di giudizi morali. (...) L'omosessualità sarebbe quindi l'espressione sintomatica di una famiglia e di una società malate" (p. 112).
Viste le premesse, non si fatica a capire perché Dacquino trovi tanto difficile concepire la coesistenza di santità ed omosessualità nella medesima persona: se gli omosesuali fanno schifo e i santi sono un modello di ciò che è buono, le due cose non possono coesistere.
Ma il problema sta nella sua visione dell'omosesualità, non in quella della santità.
[16]-Ibidem, p. 128.