In Italia un laureato su cinque ha difficoltà a scrivere

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kelly70
00mercoledì 6 febbraio 2008 17:59
per la serie: siamo tutti analfabeti...


Dirimere un’ambiguità lessicale è un problema per un laureato su cinque. A dir la verità, anche solo comprendere la frase che avete appena letto è un problema per un laureato su cinque. “Termini come dirimere, duttile, faceto, proroga si trovano comunemente sui giornali, ma per molti italiani con pergamena appesa al muro sono parole opache”. Luca Serianni, linguista all’università di Roma 3, ne fece esperienza diretta un giorno nell’ambulatorio di un dentista cui s’era rivolto per un’urgenza. “Con le mie lastrine in mano chiamò al telefono un collega per avere un parere: “Senti caro, aiutami a diramare un dubbio…”". E il professore sudò freddo: “Un medico che non sa maneggiare le parole è un medico che non legge, quindi non si aggiorna, quindi forse non sa maneggiare neanche un trapano”.
Analfabeti con la laurea. Non è un paradosso. E nessuno s’offenda: ci sono riscontri scientifici. Il report 2006 del ramo italiano dell’indagine internazionale All-Ocse (Adult Literacy and Life Skill), coordinato dalla pedagogista Vittoria Gallina, non lascia spazio a dubbi: 21 laureati su cento non riescono ad andare oltre il livello elementare di decifrazione di una pagina scritta (il bugiardino di un medicinale, le istruzioni di un elettrodomestico).

E non sanno produrre un testo minimamente complesso
(una relazione, un referto medico, ma anche una banale lettera al capocondominio) che sia comprensibile e corretto. Una minoranza? Sì: un laureato italiano su due, per fortuna, raggiunge il quinto e massimo livello. Ma è una minoranza terribilmente cospicua, anche se si maschera bene. Negli Usa tre anni fa fu uno shock scoprire che i graduate fermi al livello base sono il 14%. Da noi il buco nero si manifesta a tratti, in modo clamoroso, come un mese fa, a Roma, al termine dell’ultimo dei concorsi per l’accesso alla magistratura. Preso d’assalto da 4000 candidati, in gara per 380 posti. Nonostante questo, 58 posti sono rimasti scoperti: 3700 candidati, tutti ovviamente laureati (magari anche più) hanno presentato prove irricevibili sul piano puramente linguistico. “Per pudore vi risparmio le indicibili citazioni”, commentò uno dei commissari d’esame, il giudice di corte d’appello Matteo Frasca. […]

“La società sprintata”, come la chiama il pedagogista Franco Frabboni, preside di Scienze della formazione a Bologna, uno degli autori della riforma universitaria, è arrivata negli atenei. E gli atenei la assecondano: “La trasmissione del sapere universitario è regredita dalla scrittura all’oralità”, spiega. Nelle aule della nostra istruzione superiore, il grado di padronanza della lingua italiana non è mai messo alla prova. Persino l’arte dell’argomentazione orale, ponte fra i due universi semantici, è svanita, racconta Frabboni: “Professori sempre più incerti fanno lezione con diapositive, seguendo una traccia fissa. Ai laureandi si lascia esporre la tesi con presentazioni powerpoint. I “test oggettivi” d’ingresso sono crocette su questionari”. La competenza linguistica non è considerata un pre-requisito indispensabile: “Devi guadagnarti cinque crediti per la lingua straniera, e cinque per l’informatica, ma non c’è alcun obbligo per quanto riguarda la buona pratica dell’italiano”. Un tacito accordo fissa tetti massimi di lettura ridicoli per i testi d’esame: “Quando un professore assegna più di 150-180 pagine, davanti al mio ufficio c’è la fila di studenti che protestano”. […]

Ma se avessero ragione loro? Perché alla fine si scopre che il laureato analfabeta non fa necessariamente più fatica a trovare lavoro rispetto ai suoi quattro colleghi più letterati. le imprese non sembrano granché interessate a selezionare i propri quadri dirigenti sulla base delle competenze linguistiche di base. E non perché non si accorgano delle deficienze dei loro nuovi assunti. Parlare con Carlo Iannantuono, responsabile delle risorse umane per la filiale italiana della Sandik, una multinazionale del ramo macchine per cantieri, reduce da una lunga selezione di personale laureato, è come farsi raccontare una serata allo Zelig: “Quello che se potrei, quello che s’è laureato per il rotolo della cuffia (e si vede), quello che glielo dico così, an fasàn (e io: e dü pernìs…)…”. Gli analfabeti conclamati, calcola, sono solo un 3-4 per cento, ma molti altri non sembrano pienamente padroni delle loro parole. E lei li assume lo stesso? “Dipende”, si fa serio, “noi cerchiamo bravi venditori. Quello che deve discutere con i dirigenti della Snam è meglio sappia i congiuntivi. A quello che deve convincere un capocantiere della Tav forse serve di più un buon paio di stivali di gomma”.

“Non c’è alcuna sanzione sociale verso l’analfabetismo con laurea”, commenta con sconforto Tullio De Mauro, il padre degli studi linguistici italiani. Forse perché non si riconoscono immediatamente, si mascherano bene da alfabetizzati. “Fino a cinquant’anni fa l’incompetenza linguistica era palese: otto italiani su dieci usavano ancora il dialetto. Oggi il 95 per cento degli italiani parla italiano. Ma che italiano è? Solo in apparenza parliamo tutti la stessa lingua. Quando si prende in mano una penna, però, carta canta, e le stonature si sentono”. […]

L’articolo completo è raggiungibile su Repubblica
www.repubblica.it/2008/02/sezioni/scuola_e_universita/servizi/laureati-analfabeti/laureati-analfabeti/laureati-analfab...

=omegabible=
00mercoledì 6 febbraio 2008 18:08
re

Ma l'avete mai sentito un discorso di Di Pietro alla tv???????

....e che ciazzeccasse..... [SM=x789051] [SM=x789051] [SM=x789051] [SM=x789052] [SM=x789052] [SM=x789049] [SM=x789049]



omega [SM=x789063]
Claudio Cava
00mercoledì 6 febbraio 2008 18:48
Re: per la serie: siamo tutti analfabeti...

Ma non tutti laureati.

Per fortuna. [SM=x789048] [SM=x789049]

[SM=x789062]
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