Re:
ReteLibera, 25/11/2012 15:31:
Ma non lo avete ancora capito?
Abacuc, gradisce che il confronto si facesse su cose concrete: luoghi, fatti, periodi storici, personaggi, dati concreti (quando è lui stesso ad ignorarli).
Ci provo io...
Abacuc, in
Daniele 1 è riportato:
[1]
L'anno terzo del regno di Ioiakìm re di Giuda,
Nabucodònosor re di Babilonia marciò su Gerusalemme e la cinse d'assedio.
Nabucodonosor non era ancora re di Babilonia a quel tempo!
Infatti, in
Geremia 25 si legge:
[1] Questa parola fu rivolta a Geremia per tutto il popolo di Giuda
nel quarto anno di Ioiakìm figlio di Giosia, re di Giuda -
cioè nel primo anno di Nabucodònosor re di Babilonia -.
Come lo spieghi?
Se una settimana biblica corrisponde ad un anno (le sette settimane) un anno, corrisponde ad un secolo?
Ne ho trovata una fantastica, che mette gli atei in seria difficoltà.
Non sapranno davvero come fare...
a smettere di ridere
LE SETTANTA SETTIMANE
Daniele nacque verso il 610 a.C. e fu profeta e principe di Giuda (Daniele 1,1-7). Venne imprigionato da Nabucodonosor che lo deportò giovanissimo a Babilonia. Visse fino al tempo dei re persiani Dario e Ciro (Daniele 6,28) e morì dopo l’editto di Ciro verso il 530 a.C.. Ripieno di Spirito Santo e dotato di grande sapienza, interpretò sogni e visioni dei re babilonesi e fu così nominato capo dei saggi e governatore di Babilonia (Daniele 2,48). Profetizzò sugli imperi di babilonese, medio-persiano e macedone, nonché sulle successive lotte tra i regni dei diadochi. In tutte le sue profezie annunciò la venuta del regno di Dio e l’avvento di un misterioso Figlio dell’uomo (Daniele 7,13-14).
La precisione e l’accuratezza delle profezie di Daniele stupirono molti, spingendo critici, increduli e scettici a mettere in dubbio la sua reale esistenza e a postdatare la redazione del libro al II secolo a.C..
L’esistenza di Daniele è però chiaramente attestata dal profeta Ezechiele che ne lodò la giustizia (Ezechiele 14) e la saggezza (Ezechiele 28). Le testimonianze di Ezechiele risultano affidabili, essendo i due profeti vissuti nello stesso periodo storico. Al di sopra di ogni sospetto è poi un preciso riferimento al profeta Daniele presente all’interno di una profezia sulla città di Tiro. Ezechiele, dopo aver rimproverato il re di Tiro per essersi atteggiato a dio e a uomo più sapiente di Daniele (Ezechiele 28,3), annunciò l’imminente caduta di Tiro per mano del re babilonese Nabucodonosor. Come Ninive ai tempi di Giona (Giona 3), Tiro sopravvisse ai castighi divini e fu espugnata solo alcuni secoli dopo, spingendo il profeta a rettificare la profezia (Ezechiele 29,18)[1].
Autorevoli sono anche tre testimonianze di un famoso storico antico, a proposito del libro di Daniele. Giuseppe Flavio (37 d.C.-103 d.C.), di ricca famiglia sacerdotale, nel 67 fu fatto prigioniero dell’imperatore romano Vespasiano, che dopo averlo trattato con grande benignità, finì per lasciarlo ben presto libero. Fu quindi in Palestina con Tito ed assistette nel 70 d. C. alla distruzione di Gerusalemme. Recatosi poi a Roma svolse attività di letterato, tentando di fare conoscere al mondo antico la cultura e le tradizioni ebraiche. Scrisse così la Guerra Giudaica in 7 libri (prima in aramaico e poi in greco) e le Antichità Giudaiche in 20 libri (in greco) narrando la storia del popolo ebraico dalle origini fino alla rivolta contro i romani. Nell’opera in due volumi Contro Apione difese la cultura giudaica contro gli attacchi dei romani, dei greci e degli alessandrini. Egli narrò che:
a) il libro di Daniele fu noto ad Alessandro Magno già verso il 332. A tal proposito egli infatti, scrisse: "Quando gli si mostrò il libro di Daniele ove (il profeta) rivelava che un Greco avrebbe distrutto l'impero dei Persiani, ravvisò se stesso nella persona indicata; e colmo di gioia, per il momento congedò la folla, ma nel giorno appresso la convocò di nuovo e disse che chiedessero qualunque regalo desiderassero". [Flavio Giuseppe, Antichità Giudaiche, XI, 337][2].
b) il canone della Bibbia ebraica fu definitivamente chiuso ai tempi di Artaserse ed Esdra verso la metà del V secolo a. C. (Flavio Giuseppe, Contro Apione, I, 8), confermando l’impossibilità che il libro di Daniele sia stato aggiunto al canone nel II secolo a. C. durante le guerre dei Maccabei; [3] [4]
c) sia la persecuzione di Antioco IV Epifanie che la successiva distruzione di Gerusalemme da parte dei romani furono previste dal profeta Daniele, notando come: “Questa desolazione del tempio si verificò in conformità alla profezia di Daniele fatta quattrocentotto anni prima: egli infatti aveva rivelato che i Macedoni l'avrebbero distrutto”. [Flavio Giuseppe, Antichità Giudaiche, XII, 322]e anche “La nostra nazione ebbe a sperimentare questi sfortunati eventi sotto Antioco Epifane, proprio come vide Daniele, molti anni prima che avvenissero. Allo stesso modo Daniele scrisse anche a proposito dell'impero dei Romani, che Gerusalemme sarebbe stata presa da loro e il tempio distrutto. Tutte queste cose rivelategli da Dio, egli tramandò per iscritto, sicché quanti le leggono e osservano come esse accaddero, si stupiscono dell'onore fatto da Dio a Daniele. Da tali eventi si comprende quanto sbagliano gli Epicurei, i quali escludono la Provvidenza dalla vita umana e si rifiutano di credere che Dio regga le sue vicende o che nell'universo vi sia un Essere benedetto e immortale che lo dirige a un fine e che il tutto possa durare, sostengono invece che il mondo si muove per forza propria senza conoscere né guida né cura di altri”. [Flavio Giuseppe, Antichità Giudaiche, X, 276-278]
Fin dai primi secoli dell’era volgare, i cristiani hanno sempre tenuto in alta considerazione le profezie di Daniele, nonostante le contorte esegesi ebraiche (iniziate già ai tempi di Aquila, Teodozione e Simmaco), le critiche pagane (portate avanti soprattutto da Porfirio, filosofo neoplatonico anticristiano del III secolo, autore di un libro polemico contro i cristiani nel quale tentò, tra le altre cose, di mettere in dubbio l’attendibilità della profezia delle 70 settimane) ed i sottili sofismi elaborati dalla recente critica atea, razionalista e liberale. L’applicazione a Cristo delle profezie di Daniele fu difesa, nei corso dei secoli, da Giulio Africano, da Tertulliano, da Gerolamo, da Eusebio di Cesarea, da Teodoreto di Ciro, da Lutero, da Calvino e da Newton e fu ribadita, fino all’inizio del secolo scorso, da tutta la Chiesa Cattolica. All'inizio del XX secolo, anche un grande papa applicò a Cristo la profezia delle settanta settimane (Pio X, Breve storia della religione, 80, in Compendio della dottrina cristiana, 1905). Solo negli ultimi 50 anni, si sono insinuate all'interno della cristianità ostinate critiche sulla datazione del libro del profeta Daniele e sulla reale possibilità di riferire a Cristo alcune sue famose profezie.
Giulio Africano (160-240 dopo Cristo) nacque ad Elia Capitolina (Gerusalemme), fu un erudito cristiano e visse ai tempi dell’imperatore romano Settimio Severo, del quale fu anche bibliotecario. Amico di Origene, fu autore di scritti profani, come una Enciclopedia di notizie varie (Κεστοι) e di opere cristiane, nonché di una ricca Cronografia in cinque volumi. Secondo Eusebio di Cesarea (Eusebio, Dimostrazione Evangelica, Libro VIII, II, 46-57), Giulio Africano fornì una spiegazione piuttosto precisa della profezia delle settanta settimane nel V libro della sua Cronografia, in netta polemica con Aquila, Teodozione e Simmaco, fortemente propensi a contare le settanta settimane in modo piuttosto approssimativo (per evitare ogni riferimento a Cristo), partendo cioè dall’editto di Ciro (538 a. C.) e terminando con la morte di Antioco Epifane (167 a. C.).
Secondo Giulio Africano la profezia avrebbe il suo punto di partenza con l’editto di Artaserse I (Neemia 2) e non con gli editti di Dario I (Esdra 5-6) e di Ciro (Esdra 1).
- L’editto di Ciro (538 a. C.) si limitò infatti a sciogliere dalla prigionia e dall’esilio il popolo ebraico,
- l'editto di Dario I (520 a.C.) autorizzò la ricostruzione del tempio, mentre
- l’editto di Artaserse I (445 a.C.) permise la ricostruzione della Città Santa e delle mura di Gerusalemme.
Secondo Giulio Africano il principe consacrato sarebbe pertanto Esdra, giunto a Gerusalemme dopo sette settimane (nel 398 a. C.) dall’editto di Artaserse, per promulgare la legge mosaica (Esdra VII-X). L’unto soppresso senza colpa sarebbe Gesù Cristo (e non il mite sommo sacerdote Onia III, immagine del Messia venturo, crudelmente assassinato nel 175 a. C. durante la persecuzione ellenistica), mentre l’abominazione della desolazione si riferirebbe alla distruzione del tempio ebraico per opera di Tito (e non alla premonitrice profanazione del tempio operata da Antioco IV Epifane nel 167 a. C.). Sostanzialmente concorde con Giulio Africano è pure l'interpretazione delle "settanta settimane" fornita da Teodoreto di Ciro (393-457) nel Commento a Daniele, IX capitolo
Questa lettura della profezia di Daniele è attendibile e confermata da Gesù Cristo, che mise in guardia i giudei del suo tempo dall'abominazione della desolazione come da un evento non ancora pienamente avvenuto "Quando poi vedrete l'abominazione della desolazione, di cui parlò il profeta Daniele, posta là dove non deve stare (chi legge faccia attenzione!), allora quelli che saranno nella Giudea, fuggano ai monti..." (Matteo 24,15 e Marco 13,14). Di fatto, Antioco IV Epifane non distrusse il tempio ma si limitò a profanarlo, asportandone gli arredi sacri, innalzando la statua di Giove Olimpo (1 Maccabei 1,54) e celebrando in esso cerimonie pagane sacrileghe. L'esercito di Antioco IV entrò in Gerusalemme distruggendo parte della città, incendiando molte case, uccidendo molte persone ed abbattendo le mura (1 Maccabei 1,29-53). Giuseppe Flavio testimonia come nel 70 d.C. Gerusalemme sia stata distrutta per la seconda volta, dopo la prima distruzione operata da Nabucodonosor (nel 587 a.C.). Egli ci ricorda come: "In tal modo, dunque, Gerusalemme venne espugnata nel secondo anno del regno di Vespasiano, il giorno otto del mese di Gorpieo; in precedenza già cinque volte era stata presa, e questa fu la seconda volta che veniva distrutta. A conquistare la città, ma senza distruggerla, furono Asocheo, re degli egiziani, e dopo di lui Antioco IV, quindi Pompeo e infine Sosio, unito con Erode (Giuseppe Flavio, Guerra Giudaica, Libro VI, 435-436).
Volendo applicare la profezia delle Settanta Settimane alla persecuzione ellenistica subita dagli ebrei ai tempi dei Maccabei (came fanno quasi tutti i commentatori odierni) si parte dall’editto di Ciro (538 a.C.) sul ritorno in patria e sulla ricostruzione del tempio. I 490 anni vanno però a scadere nel 48 a.C., cioè oltre un secolo dopo la profanazione del tempio da parte di Antioco IV Epifanie (167 a. C.) e più di un secolo prima della distruzione di Gerusalemme. Anche calcolando le Settanta Settimane dalla caduta di Gerusalemme (587 a. C) non è possibile ottenere alcuna data storicamente significativa, perché i 490 anni vanno a scadere verso il 100 a.C. Ancor peggio è calcolare i 490 anni dall'editto di Dario I sulla ricostruzione del tempio (521 a.C): i 490 anni vanno a cadere verso il 30 a.C., data storicamente non rilevante per il popolo ebraico. A nessun risultato utile si perviene, in tutti questi casi, tanto adottando l’anno lunare di 354 giorni, quanto l’anno solare di 360 o 365 giorni.
La profezia di Daniele identifica pertanto, con ragionevole precisione, sia il tempo della venuta di Cristo sia la fine dell'antico culto giudaico. Infatti:
- le prime sette settimane(circa 50 anni) vanno dall’editto di Artaserse del 445 a. C. (Neemia 2,1) alla promulgazione della legge di Esdra del 398 a. C. (Neemia 8,1-18);
- le sessantadue settimane(62 x 7 = 434 anni) vanno dalla lettura pubblica della legge (398 a. C.) alla morte di Cristo (tradizionalmente fissata nel 33 d. C.);
- l’ultima settimana (dilatata per divina misericordia ad una generazione di circa 40 anni)va dalla morte di Cristo (33 d. C.) alla distruzione di Gerusalemme (70 d. C.) o riguarda unicamente la guerra giudaica (dal 67 d.C. al 74 d.C.).
490 anni
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| 70 anni Geremia 25 e 29 | 7 settimane | | 62settimane | | | | | | 1 settimana | |
609-605 a.C. | 589-587 a.C | 538 a. C. | 520-518 a. C. | 445 a. C. | 398 a. C. | 328 a. C. | 175 a. C. | 167 a. C. | 0 a. C. | 29 d. C. | 32 d. C. | 67-74 d. C. | |
Primo attacco a Gerusalemme II Re 24:1 II Cron.36 Dan. 1:1,2 | Distruzione di Gerusalemme II Re 25 Ger. 52:29 | Editto di Ciro (ritorno dall’esilio) Esdra 1 2 Cron 36 | Editto di Dario I (Zorobabele e Giosué ricostruiscono il tempio) Zaccaria 7 | Editto di Artaserse (Neemia ricostruisce le mura di Gerusalemme) Esdra 7 | Esdrarestaura il culto e la legge mosaica | Scisma samaritano | Assassinio di Onia III | Profanazione del tempio (da parte di Antioco IV) | Nascita di Cristo | Manifestazione di Cristo | Morte di Cristo | 70 d.C. Distruzione di Gerusalemme e del tempio (da parte di Tito) | |
70 anni Geremia 25 e 29 | | |
ANNO LUNARE, ANNO SOLARE E ANNO BIBLICO
Giulio Africano osservò come il calendario ebraico utilizzasse l’anno lunare di 354 giorni e non l’anno solare di 365 giorni. La differenza annua è di 11 giorni e su 490 anni i due calendari divergono di ben 5.390 giorni (11x490), pari a circa 15 anni. Le settanta settimane sembrano pertanto concludersi 15 anni prima dell'anno 45 dopo Cristo (data determinata sommando 490 anni alla data del decreto di Artaserse del 445 a. C.), cioè nel 30 d. C. (45-15), data della manifestazione pubblica di Cristo. Un certo periodo di misericordia divina, prima della distruzione di Gerusalemme, potrebbe poi spiegare la dilatazione dell’ultima settimana fino al 70 d. C. . Sebbene le settanta Settimane risultino inesorabilmente esaurite nel 30 d.C., Girolamo, nel Commentario al Profeta Daniele, ci informa che, secondo Giulio Africano, l’ultima settimana di anni si sarebbe adempiuta solo verso la fine dei tempi. Le tesi di Giulio Africano, benché interessante dal punto di vista teologico, vanno accolte con una certa cautela, dato che gli ebrei tendevano ad aggiungere 7 mesi “Adar” in 19 anni (cioè 1 mese ogni 3 anni circa) per ristabilire la corrispondenza tra l’anno solare e l’anno lunare. A ciò va aggiunto il fatto che la profezia non è matematicamente esatta anche perché non è preciso neppure l'inizio della cosiddetta "era cristiana". Gesù nacque infatti sicuramente prima della morte di Erode (4 a. C.) e forse addirittura due o tre anni prima. Inoltre Dionigi il Piccolo fissò la nascita di Cristo nell'anno 753 dalla fondazione di Roma, considerando un inesistente anno zero (si passò infatti dall'1 a. C. all'1 d. C.) ed ipotizzando l'inizio del ministero pubblico di Gesù al compimento del suo trentesimo anno (Luca 3,23), cioè nell'anno decimoquinto dell'impero di Tiberio Cesare (Luca 3,1). Di certo pertanto sappiamo solo che Gesù morì tra il 26 ed il 36 dell'"era volgare", periodo in cui Ponzio Pilato fu procuratore della Giudea, dell'Idumea e della Samaria.
Se, invece dell’anno lunare proposto da Giulio Africano, si segue l’ipotesi che la profezia consideri un più probabile anno biblico di 360 giorni, le conclusioni a cui si giunge possono essere di qualche interesse.
Le sessantanove settimane (7+62) prima dell’uccisione dell’unto senza colpa sono infatti pari a 483 anni (69x7) e corrispondono a 173.880 giorni (69x7x360). Se si considera l’anno astronomico di circa 365 giorni e 6 ore, si hanno 476 anni reali (173.880: 365,25). Tenuto conto del fatto che l’anno zero non è mai esistito (perché si passa direttamente dall’1 a.C. all’1 d.C.), dal 445 (anno del decreto di Artaserse I) si arriva immediatamente al 32 d.C. (anno della crocifissione di Cristo). Moltissimi commentatori hanno poi formulato l’ipotesi che l’ultima settimana della profezia sia iniziata, per misericordia divina, meno di 40 anni dopo la morte di Gesù, cioè prima che fosse passata la generazione di Cristo stesso (Matteo 24,34 e Marco 13,30).
L’ultima settimana si riferirebbe pertanto alla guerra giudaica ed andrebbe dal 67 d.C. (anno dell’inizio dell’offensiva di Vespasiano) al 74 d.C. (anno della caduta dell’ultima fortezza giudea di Masada). Durante questa settimana Vespasiano strinse forti alleanze con i sovrani dei territori circostanti (siri ed arabi compresi), i quali parteciparono attivamente all’assedio di Gerusalemme, come testimoniato più volte da un autorevole storico giudaico (Giuseppe Flavio, Guerra Giudaica, II e III). Nello spazio di mezza settimana (3 anni e mezzo), Gerusalemme fu presa (agosto del 70 d.C.), il sacrificio e l’offerta cessarono e nel tempio venne posta la statua di Giove Capitolino (cioè l’abominazione della desolazione).
[1] Secondo la moderna critica storica, il Daniele di cui parla Ezechiele sarebbe un personaggio mitologico, totalmente privo di riferimenti con il profeta Daniele di cui parla l’omonimo libro. Mitologiche ed inattendibili sarebbero quindi le testimonianze di Giuseppe Flavio, mentre i riferimenti all’abominazione della desolazione profetizzata da Daniele (Daniele 9,27 e 11,31) e richiamata sia nel primo libro dei Maccabei (1 Maccabei 1,54) che nella predicazione di Gesù (Matteo 24,15 e Marco 13,14) risulterebbero totalmente privi d’ogni interesse storico e religioso. Anche gli evidenti riferimenti al III ed al VI capitolo del libro di Daniele, contenuti nel testamento di Mattatia (1 Maccabei 2,59-60), sono quindi considerati privi di rilevanza.
[2] Alessandro sconfisse persiani a Granico (334) in Asia Minore, a Isso (333) sempre in Asia Minore e a Gaugamela (331) in Mesopotamia. Tra il 332 ed il 331 ebbe contatti con gli ebrei, assoggettò la Siria, prese Tiro dopo sette mesi d'assedio e trovò pure il tempo di scendere in Egitto e di fondare colà la grande città di Alessandria.
[3] Giuseppe Flavio, oltre ad essere uno storico serio ed onesto, era anche di stirpe sacerdotale. È pertanto improbabile che non conoscesse il canone delle Scritture. Egli parla di 22 libri invece di 24 e potrebbero mancare al suo elenco il Cantico dei Cantici e Quoelet (che la scuola rabbinica di Bet Shamai non considerava ispirati). Di fatto, i libri sacri per gli ebrei sono 39 ma, nella tradizione rabbinica, diventano 24 aggregando i dodici profeti minori, i due libri di Samuele, i due libri dei Re, i due libri delle Cronache, nonché Esdra e Neemia. La formazione del canone ebraico è comunque sicuramente anteriore alle decisioni di Jamnia (90 d. C.) e la tradizione ebraica ha sempre considerato ispirato il libro di Daniele. Per il libro di Daniele qualche discussione riguardò solo l'opportunità di inserirlo tra gli Scritti o tra i Profeti. Se ci fossero stati reali dubbi sull'inserimento di Daniele nel canone della Bibbia ebraica sarebbero sicuramente emersi dalla tradizione orale o dalle discussioni tra rabbini nei primi secoli dell'era volgare. Secondo la Mishnah (Yaddaim, IV, 5), invece, perfino le parti aramaiche di Ester e Daniele sporcherebbero le mani, in quanto ispirate.
[4] Con le decisioni di Jamnia (90 d. C.) il libro di Daniele fu accolto ufficialmente nella Bibbia ebraica con altri 23 libri. Non furono invece riconosciuti ispirati i libri della Settanta in greco, le parti deuterocanoniche dei libri ebraici ed i Minim degli eretici, cioè gli scritti dei cristiani e dei giudeo-cristiani.
http://digilander.libero.it/domingo7/Daniele.htm
Adesso, quale studioso SERIO può sostenere una simile puttanata?????? E scusate il termine, ma quando ce vò ce vò. Se gli studi li hanno fatti così, stiamo freschi, possiamo attribuire le profezie anche alla distruzione delle torri gemelle.
Vogliamo parlare di DATE?