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CITTA' DEL VATICANO - La morte cerebrale non può essere il criterio per sancire la fine della vita: quaranta anni di certezze scientifiche, a partire dallo storico documento della Harvard Medical School che nel 1968 riconosceva appunto nella morte crebrale e non più nell'arresto cardiocircolatorio il criterio di cessazione della vita, vengono messe in discussione da un editoriale dell'Osservatore Romano.
Anche la Chiesa cattolica, ricorda il giornale del Papa, accettò quella definizione, proclamandosi favorevole al prelievo degli organi da pazienti cerebralmente morti. Successivamente è stato dimostrato però, spiega il quotidiano senza però fornire ulteriori dettagli, che "la morte cerebrale non è la morte dell'essere umano". Ed anche la Chiesa si trova ora in una situazione delicata perché l'assunto di "morte cerebrale entra in contraddizione con il concetto di persona secondo la dottrina cattolica, e quindi con le direttive della Chiesa nei confronti dei casi di coma persistenti". Ma l' Osservatore Romano insiste: "Forse - afferma - aveva ragione chi sospettava che la nuova definizione di morte, più che da un reale avanzamento scientifico, fosse stata motivata dall' interesse, cioé dalla necessità di organi da trapiantare".
Una presa di posizione che ha visto l'immediata reazione del mondo scientifico: anestesisti e chirurghi alzano infatti le barricate, sostenendo che il criterio di morte cerebrale è l' unico, al momento, scientificamente valido. Ma i timori vanno oltre: tali affermazioni, rilevano alcuni, possono mettere a serio rischio il futuro dei trapianti e la possibilità, così, di salvare migliaia di vite umane, dal momento che l' accertamento di morte cerebrale è la base per poter procedere al prelievo d'organi. Netto il commento del presidente dell'Associazione anestesisti-rianimatori ospedalieri italiani (Aaroi) Vincenzo Carpino: Il criterio di morte cerebrale "resta al momento l' unico valido, in mancanza di nuove evidenze scientifiche, per definire la morte di un individuo".
Dello stesso parere il direttore del Centro nazionale trapianti (Cnt) Alessandro Nanni Costa: "La comunità scientifica mondiale - afferma - approva i criteri stabiliti dal rapporto di Harvard e le critiche, che arrivano da frange minoritarie, sono basate essenzialmente su considerazioni non scientifiche. Tali criteri sono stati accettati e sono diventati norma in tutti i paesi scientificamente evoluti, e in Italia sono norma con una legge del 1978 riconfermata con una legge del 1993". Scientificamente, osserva Costa, "l'uomo è infatti vivo quando é vivo e funzionante il suo cervello". Ed è anche grazie al documento di Harvard, aggiunge, "importante sia dal punto di vista scientifico che legale ed etico, che in Italia in questi quarant'anni si sono eseguiti più di 50.000 trapianti, di cui 25.000 solo negli ultimi dieci anni".
E' "estremamente pericoloso - incalza il sentaopre Pd e chirurgo dei trapianti Ignazio Marino - far sorgere il dubbio che un individuo in stato di morte cerebrale non sia morto. Ciò - avverte - determinerebbe un arresto delle donazioni di organi, del tutto ingiustificato scientificamente, a livello planetario" e "la conseguenza sarebbe che decine di migliaia di vite non sarebbero più salvate. Per questo, nell'affrontare tali temi bisognerebbe essere molto attenti".
Di segno opposto il commento del vicepresidente del Comitato nazionale di bioetica (Cnb) Lorenzo D'Avack: "Sui criteri di Harvard relativi alla morte cerebrale come definizione della morte di un individuo è necessaria una riflessione, ed i dubbi espressi dalla Chiesa cattolica sono legittimi".