La sessuofobia cattolica degli erotomani "vergini"

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Claudio Cava
00giovedì 12 aprile 2007 17:39

Il risvolto reale di questa oratoria dogmatica è la morale cattolica, che è ancora oggi fondata e radicata – chi vi riflette con raccapriccio? – sull’arcaico decalogo ebraico di Es.20,1-17 e Deut.5,6-21, attribuito a Mosé e celebrato, fraseggiato e commentato nell’ultimo Catechismo della Chiesa cattolica (Libreria Editrice Vaticana 1992), voluto e ordinato dal papa Wojtyla! La “Parte terza”, intitolata “La vita in Cristo”, alla “sezione prima” riafferma imperativamente “La vocazione dell’uomo: la vita dello spirito”, integrata poi con ”la nostra vocazione alla beatitudine”, prerogative di donazione irrinunziabili della santa ecclesia, con “la libertà dell’uomo” garantita, “la moralità degli atti umani”, “la moralità delle passioni” e “la coscienza morale” da essa medesima presidiate. La sezione seconda è tutta dedicata ai “Dieci Comandamenti” mosaici: “Amerai il Signore Dio tuo”, con espressa e attualissima citazione biblica dell’Esodo, rifraseggiata e chiosata con ampio afflato predicatorio, nel più collaudato stile vaniloquente.

Qui il sesto comandamento, “Non commettere adulterio”, è integrato di un dubbio detto di Gesù secondo Matteo (5,27-2, severamente regressivo: “Avete inteso che fu detto. ‘Non commettere adulterio’; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore”.. Segue un commento che riafferma impudentemente, allo scadere del XX secolo, le originarie alienanti istanze ascetiche, preponendo “La vocazione alla castità”, e mistificando che essa oscuramente “esprime la positiva integrazione della sessualità nella persona e conseguentemente l’unità interiore dell’uomo nel suo essere corporeo e spirituale”. E’ così ritemprata l’antica vocazione sessuofòbica, l’ossessione repressiva peculiare del cristianesimo dalle origini paoline, patrocinata non a caso dagli operosi asceti cristiani più afflitti da erotomania irrisolta, e più ardentemente impegnati a perseguire “eresie” nel mondo nemico..

Ma se il sesso s’identifica con la propulsione e la continuità della vita, funzione naturale primaria per la procreazione e per la difesa e la durata biologica della vita universale, di che nessuno può ragionevolmente, legittimamente dubitare, l’inibizione e repressione sessuale è uno dei crimini contro natura, contro la vita, contro l’umanità più perversi, più malvagi, più psichiatricamente pericolosi, che si siano escogitati e praticati. Chi ha del corpo e di tutte le sue funzioni naturali, non solo un generico rispetto, ma anche un elevato concetto, prioritario rispetto a ogni fantasia animistica, a ogni illusionismo spiritualistico; chi riconosce massimamente il valore dovuto alla naturalità della materia vivente, degli organismi generativi e degenerativi, comunque vitali; chi ha raggiunto o ritrovato nell’antica cultura della physis tale superiore livello anche conoscitivo, attinto da nobili funzioni cerebrali; non può che trovare esaltante l’universale attualità del sesso, la pura bellezza del-l’eros, che nel piacere intenso genera e rigenera la perpetuità della vita.

Lo avevano inteso bene i greci, celebrando l’eros in tutta la sua complessità, fisica psichica estetica, istintuale e ideale, in quel capolavoro lirico-dramma-tico e filosofico che è il citato Convivio platonico. Ma occorsero due millenni perché la scienza moderna ritrovasse, nella esplorazione dei processi fisici, la riassunzione definitiva del suo compito esclusivo. E solo nel secolo XX Freud, partendo da ricerche neuro-psichiche e da esperienze terapeutiche, ha comunque riscoperto la sessualità pervasiva e “profonda” della intera esistenza psico-somatica dell’uomo: parcella minima – io aggiungo – della sessualità universale, che rigurgita di energia generativa e conservativa, rigenerando il deperibile mondo vivente. In questo quadro remoto e presente della “cultu-ra dell’uomo”, proiettato nel futuro, si è sempre patologicamente opposta la cultura avversa, la cultura alienata del cristianesimo.





Sul cristiano “Rifiuto del piacere”, Le Goff ha scritto un saggio accolto in L’immaginario medievale (1985, tr.it. Laterza 1988, Mondadori 1993, pp.123ss.). Ma è appena sortita (2000), nelle edizioni Massari, la traduzione italiana del libro che K. Deschner dedicò nel 1974 alla “Storia del sesso nel cristianesimo”, col titolo La croce della Chiesa, riveduto e ampliato nel 1989. Vi trovo conferme esatte dei miei punti di vista, sulle buone ragioni della globale reiezione dell’anti-umanesimo ecclesiastico cristiano-cattolico, della cultura innaturalistica e sessuofòbica che ne è il fondamento, e ne esprime le manifestazioni psichiatriche e criminògene. più odiose per ipocrisia etica, più violente e distruttive per l’uomo. La tecnica compositiva di Deschner mi pare legata al suo privilegio di usufruire di un’amplissima letteratura critica e storico-religiosa di lingua tedesca, che non ha eguali in nessuna altra lingua. E che lui utilizza largamente, con dipendenza ricercata e con accorta selezione tematica, costruendo i suoi capoversi variabili irti di citazioni e dei relativi rimandi alle fonti, accolte sempre cumulativamente, in funzione della sua inflessibile contestazione anti-cristiana. Qui interessano principalmente i primi capitoli, che affrontano i temi inerenti alle aberrazioni psicotiche dell’ascetismo, su cui insistiamo nel vol.I, e non ci stancheremo di continuare a farlo.

Deschner al solito non ne fa una propria trattazione specifica, ma vi apporta pezze di appoggio significative, risalendo intanto fino ai più antichi culti, dalla Grande Madre al “santo membro”, quando ancora beneficamente i genitali erano finanche sacralizzati, e l’amplesso ritualizzato nei templi. L’ascetismo nasceva per stravolgi- mento, in opposizione a tutto questo, con rigetto spiritualistico della corporeità, della natura vivente, quindi delle funzioni naturali, dalla nutrizione alla sessualità. E sùbito l’attacco giustificato colpisce il (mono)teismo post-esilico ebraico, in cui la “castità cultuale” era legata al “disprezzo della donna”, alla subordinazione biblica della donna, “creata dall’uomo” (pp.25ss.). Ma la Bibbia che, pure essendo ossessivamente teistica, è eminentemente mondana e anti-ascetica, “consentiva la poligamia, il concubinaggio con schiave e con prigioniere di guerra, il rapporto sessuale con le prostitute e le donne non sposate, non più soggette alla tutela paterna, e il divorzio (Babilonesi ed Egizi concedevano il diritto alla separazione anche alle donne)” (p.30).

Così Deschner, conoscitore sommario e esterno della cultura ellenica, sembra fare interamente carico alle religioni misteriche ellenistiche, dall’orfismo dipendente dal pitagorismo fino alle derivazioni neoplatoniche ecc., del rovesciamento antimondano e ascetico. Nella duplice svalutazione cristiana (cita Clemente alessandrino!) e nietzschiana, esce malconcio specialmente Platone, crocifisso cristianamente alla utopia senile della Repubblica. Per Deschner, che qui combina pregiudizi cristiani e anticristiani, Platone è riassumibile nelle battute tendenziose di Clemente, visto come il “Mosè di lingua greca”; e di Nietzsche che lo infama come “il grande calunniatore della vita”, e “la più grande disgrazia d’Europa” (cit. p.32). Deschner evidentemente non ha mai letto il Simposio, e probabilmente ha letto poco di Platone, nella tradizione dei vari “padri” del cristianesimo, o non lo ha recuperato almeno dopo il suo rigetto antimistico e anti-teologale, che l’ha reso così giustamente avverso alle nefaste culture e pratiche ascetiche orientali e misteriche, confluenti nel cristianesimo con una peculiare esasperazione sessuofòbica.

L’ex teologo cristiano tende a differenziare nettamente la mancanza di ascetismo, il realismo vitale che quasi potrebbe dirsi umanistico, nell’insegnamento evangelico e nella vita di Gesù, a fronte della sessuofobia psichiatrica di Paolo, vero ispiratore di Agostino: i due ossessi del “peccato originale” identificato con la “lussuria”, che improntarono l’aberrante ideologia repressiva della corporeità nel cristianesimo, la sua violenza etica della “mortificazione della carne” ecc. Una sorta di contro-apologetica la più acre è qui riservata al monachesimo cristiano maschile e femminile, alla “santa verginità” che il “dottore” Ambrogio esaltava perché “essa stessa rende martiri”. Avendo già citato nel vol.II gli scritti del retore Ambrogio su La verginità (Città nuova 1974), ora vorrei rifarmi su questo tema al commento di una donna, M.L.Danieli, forse una religiosa attuale, traduttrice e introduttrice del libello da cui attingo. Secondo la sua oratoria cristologica femminile, “la verginità non è l’astenersi dall’unione carnale, non è un esercizio di filosofia, è il Cristo stesso: la sua carne immacolata, gloriosa, risorta, comunicata a noi nella vita generatrice del battesimo, nel nutrimento dell’eucarestia, nella incessante operazione vivificante dei misteri: non il Cristo è ‘della verginità’, ma la verginità ‘del Cristo’” (cita Ambrogio, p.14).

E’ ancora una tipica celebrazione teo-spiritualistica, gonfia di parole-vento, a beneficio di quella aspra negatività contro-naturale che è l’astensione virginale dal-l’amplesso, oratoria che così continua: “se la verginità è un dono di partecipazione alla vita dello Spirito, un dono che discende dall’alto, dal Padre delle luci [ancora ENEL], essa è pure una consuetudine di vita celeste che si estrinseca in una condizione umana, in una consacrazione ecclesiale che Ambrogio è fra i primi, in occidente, ad avere ratificato con la sua paternità di vescovo, con il suo grande ascendente sulle anime” (pp.14-15). E’ infatti qui che vuole arrivare Ambrogio, vescovo autoritario di grande potere politico: a questo dominio mira la rappresentazione esemplare della pseudo-virginea patologia ecclesiastica cristiana, che coinvolge il mito della verginità assoluta di una “Madonna” di pura invenzione, eretta sugli altari come “Madre del Dio” nuovo. Prosegue insaziata la melopea apologetica della Danieli: “Fratello di sangue di una vergine consacrata, Marcellina, padre nello Spirito di numerose vergini che da lui ricevono il velo della consacrazione, Ambrogio vibra per queste anime a lui affidate di un affetto tenerissimo e le segue con vigilanza mirabile. Le accoglie fin dall’Africa lontana, le ricerca per le varie regioni d’Italia, ne ricorda i nomi, le lotte, le fatiche, le difficoltà presso i parenti, le sostiene, le illumina e soprattutto si preoccupa di innestarle fortemente nella radice che può sostenerle e portarle: la verginità luminosa della Madonna” (ivi).

Ambrogio, come poi Agostino alla sua schola, due “grandi” vescovi eresiologi implacabili, al culmine delle “origini” della già “grande chiesa” imperiale, con tali droghe retoriche sulla sacra virginitas mitizzata nella stessa Mater Dei, adescavano, eccitavano, seducevano tante giovani donne alla castità sessuòfobica più rigida, fra le delizie “spirituali” delle rinunce monastiche. Ancora oggi, come la Danieli qui citata, padre Trapè agostiniano di nome Agostino, introduttore e commentatore pletorico, dedica l’edizione Città nuova del libello di Agostino santo, su La verginità consacrata, “Alle novizie della casa di formazione delle monache agostiniane d’Italia (Roma, Santi Quattro Coronati), dove molte pagine di quest’opera sono state approfondite insieme, e ai loro monasteri". Il libello-orazione di santo Agostino, uomo anche sessualmente ardente, nella giovinezza e nella maturità, dopo il Proemio esordisce con questo capoverso lirico di falso pathos mistico, inverginando sulla scia di Paolo finanche la sua chiesa, già piuttosto malfamata (pp.84-85).



:“Ci aiuti Cristo, figlio della Vergine e sposo dei vergini, nato fisicamente da un grembo verginale, sposato misticamente con nozze verginali. Se tutta la Chiesa è una vergine fidanzata a un sol uomo, il Cristo (come si esprime l’Apostolo), quale non dovrà essere l’onore che meritano quelle persone che custodiscono anche nel corpo l’integrità che tutti i credenti conservano nella fede! La Chiesa ricopia gli esempi della madre del suo Sposo e del suo Signore, ed è, anche lei, madre e vergine. Se infatti non fosse vergine, perché tanto preoccuparci della sua integrità? E se non fosse madre, di chi sarebbero figli coloro ai quali rivolgiamo la parola? Maria mise al mondo fisicamente il capo di questo corpo; la Chiesa genera spiritualmente le membra di quel capo. Nell’una e nell’altra la verginità non ostacola la fecondità; nell’una e nell’altra la fecondità non toglie la verginità. La Chiesa è tutta intera santa nel corpo e nell’anima, ma non tutta intera è vergine nel corpo, anche se lo è nell’anima. Di quale santità non dovrà dunque rifulgere in quelle sue membra che conservano la verginità nel corpo e nell’anima?”



E’ la predicazione confusa e mistificante con cui la chiesa si auto-celebra, con l’autorità dei suoi vescovi, esigendo la riduzione contro-naturale dell’uomo, asservito al “sacro”, strumento del potere ecclesiastico, con la soppressione inibitiva e auto-repressiva della corporeità naturale, la “carne” degradata nella vergogna. Sempre con le sue annotazioni rapide, assai spesso di stile esemplificativo e quasi aneddotico, Deschner compone un profilo ripugnante della ascesi cristiana, antica medioevale e moderna, come il “rovescio dell’umano”, in polemica espressa coi retori ecclesiastici odierni, falsi ammiratori dell’ascesi altrui, predicata dai loro pulpiti inascoltati (pp.52ss.). Si arriva così alla mistica nel cristianesimo, che a noi molto interessa, e che Deschner compendia nell’erotismo mariologico e cristologico (pp.68ss.), riferendosi in particolare alle “Spose di Gesù” del Medioevo alto fino al XVI secolo, con l’esemplarità di Matilde di Magdeburgo e di Teresa di Avila. Ma questa è materia che intendiamo trattare estensivamente, cioè col possibile “appro-fondimento”, sui testi aurei dei mistici cristiani “moderni”, nella terza parte di questo volume III.

Vorrei invece notare la libertà di linguaggio critico, perfino con apparenti rimandi genitali, che si permette l’ex teologo tedesco, parlando ambiguamente della “Minne intensa” [“Minne” è però l’amore ideale] delle mistiche cattoliche (p.72), e della “mistica del prepuzio”! S’intende quello di Gesù, ancora “in epoca moderna” (pp. 81ss.), con ovvio riferimento al Gesù amante oggetto del desiderio ardente dei mistici cristiani, nel florilegio di una diffusa letteratura ecclesiastica, fino al XVIII secolo e oltre. Prepuzio non metaforico, se nel XV secolo fu fondata una Confraternita del Santo Prepuzio. “La monografia composta dall’ex domenicano A.V.Müller, Il santissimo prepuzio di Gesù (1907), indica 13 luoghi che vantano il possesso di un ‘autentico’ prepuzio divino: il Laterano, Charroux presso Poitiers, Anversa, Parigi, Brugge, Boulogne, Besançon, Nancy, Metz, Le Puy, Conques, Hildesheim, Calcata ‘e anche altri luoghi’. Il prezioso pezzo d’antiquariato prepuziale giunse a Roma grazie a Carlomagno, che a sua volta l’aveva avuto da un angelo” (p.83). Non meno ampio il capitolo sulla vita scandalosa dei monaci nei conventi, degradati a lupanari privilegiati (pp.86ss.), il più crudo rovescio realistico delle verbose fantasie virginali di cui sopra.



Sul tema rimosso della sessuofobia cristiana (perfino il “laico” di Nola, che non ne era esente, nella sua voce “Sesso” della Enciclopedia delle Religioni italiana (vol.V), insolitamente corta e ridotta a motivi etnologici, dedica al sesso nel cristianesimo le ultime tre righe-colonna più elusive, prossime al silenzio preferibile), si potrebbe e dovrebbe scrivere largamente, come fa Deschner. Mi limito a segnalare che, fra le derivazioni e ripercussioni da una sessuofobia sostanzialmente anti-femminista, nel secolo di Freud vi sono stati pure intellettuali “laici” (filosofi) che, eredi sia pure ignari di quella cultura millenaria, si sono permessi di fare della “metafisica” del sesso. Mi riferisco in particolare al giovanissimo Weininger, morto suicida a 23 anni, che all’inizio del secolo, in Sesso e carattere (1903, tr.it. Bocca 1945, 1967), fece scandalo per la sua radicale misoginia “metafisica”. Che opponeva l’archetipo femminile, della “donna” radicata nella sua natura terrestre, irrazionale e demonica, a un fantastico archetipo maschile, dell’“uomo” ascendente al “cielo”, con la sua irresistibile tensione “spirituale”, “soprannaturale”, “trascendente” ecc., ostacolato dalla carne femmina.

Mezzo secolo dopo, l’arcaista Evola ritraduttore di Weininger si è messo su quella scia con un suo ampio libro, che azzardava appunto il titolo Metafisica del sesso (Atanòr 1958, Mediterranee1969, 1994). Vi ha svolto e integrato in latitudine quelle tesi. sempre nella sua consueta visione stravolgente, nella sua più antiquata riduzione “spiritualistica” e esoterica al “sacro” e al “trascendente”, anche della sessualità universale, nel presupposto paradossale che l’ascetismo sarebbe “una forma superiore di virilità”, ovviamente inattingibile dalla “fisicità” della donna, tellurica-materna ecc. Fra gli altri paradossi, quello anti-evoluzionistico per cui non l’uomo deriverebbe dalla scimmia per evoluzione, ma la scimmia dall’uomo per involuzione. Basti dire in sintesi stringente che questa “metafisica”, in quanto tale, è eminentemente virilista (maschlista), nella predominante tradizione cattolica.



Ma infine oggi si può registrare la pubblicazione di un libro di reazione piuttosto eccezionale, della tedesca Uta Ranke-Heinemann teologa cattolica – “prima donna abilitata dalla chiesa cattolica” lungimirante –, poi privata di quell’insegnamento, per avere osato affermare la “verginità” non biologica ma solo teologica della ultra-vergine Maria. Il libro, dal titolo Eunuchi per il regno dei cieli. La chiesa cattolica e la sessualità (1988, tr.it. Rizzoli 1991), dedicato “A mio marito”, purtroppo è viziato dall’inizio, dalla pretesa tutta cattolica che anche la sessuofobìa sia “un retaggio dell’antichità classica”, cioè abbia radici greco-romane, pescate a caso fra un Pitagora quasi monastico e un Seneca o un Musonio stoici ellenisti, o un Galeno medico di Marco Aurelio (oltre ai soliti gnostici cristiani), intellettuali già in età cristiana deltutto malintesi a suo uso e consumo. Sembra ignorare o rimuovere tutta la ierolatria sessuale antica dei culti fallici e degli amplessi sacri ecc., di cui pure riferiva brevemente Deschner (“Il santo membro”), mentre alla “antichità” intera addebita “La pianificazione familiare”, l’uccisione dei neonati, l’aborto e la contraccezione, violentemente contrastati dai cristiani.

Inevitabile poi che punti sùbito su Agostino, principe dei mistici erotici sessuòfobi per repressione, che Ranke-Heinemann pone giustamente all’origine della sessuomania fobica dominante nella chiesa cattolica (pp.91ss.): in questo senso ne sottopone a critica le tesi più note, con approfondimenti per noi superflui. E’ questo carattere di discussione etico-teologica continua, da un punto di vista essenzialmente femminile e femminista cristiano, su temi proiettati sempre nella storia della chiesa fino ai nostri giorni; è questo che differenzia nettamente il libro da quello di Deschner. Ciò che l’autrice non osserva col massimo scandalo, lei che di famiglia protestante si è “convertita” al cattolicesimo, è la inamovibilità antistorica della grande ecclesia nei molti secoli della sua storia, la pervicace fissità psichiatrica nell’innatura, che si àncora alla teologia: culminante nella sua “età d’oro”, quella dei domenicani sessuòfobi Alberto e Tommaso.

Che non ha rilievo solo per la “diffamazione delle donne”, denunciata già da Deschner e ora assunta come Leimotiv dalla teologa cattolica recidiva, ma più generalmente per l’avversione al sesso e al piacere, al piacere sessuale in particolare, che si dà ulteriori pazzesche motivazioni bio-spiritualistiche. Per es. nella grande Summa Theologiae tomistica le sentenze che “il piacere sessuale frena l’uso della ragione”, “opprime la ragione”, oscura e perfino annienta lo spirito! Ma a conferma della scarsa e distorta conoscenza del pensiero greco, che mostra l’autrice pursempre cattolica, si legge qui che Tommaso avrebbe trovato sostegno nell’Etica Nicomachea di Aristotele, per la sua “avversione al piacere e alla sessualità” (p.229). Viene cioè attribuita a Aristotele l’affermazione che “il piacere sessuale impedisce l’attività mentale”, in un discusso capitolo (VII,12) in cui invece, parlando del piacere in generale, il filosofo greco espone pareri altrui, che nel VII,13 confuta!

Aristotele, che non parlava di sesso, accennando a piaceri fisici in eccesso ecc., da cui il saggio moderato rifugge, affermava ragionevolmente che il piacere in sé è un bene, in quanto “è un’attività della disposizione che è secondo natura”. Inoltre affermava che anche l’attività della mente procura piacere (e può procurare danno), ma non è impedita che da “piaceri estranei”, che cioè procedono da altra attività, per es. fisica. Semmai Aristotele confutava fra l’altro tesi che trova nel Filebo platonico, dove si oppongono i piaceri e la mente nella ricerca della verità, che è tuttaltro problema: ma è stato notato che nemmeno questo assume là “una valenza anti-eude-monistica”, cioè avversa al piacere (M.Zanatta, in Etica Nicomachea, tr.it. Rizzoli 1986, p.976).Tommaso quindi abusava, come d’abitudine, dei testi aristotelici stravolgendoli, e la contestatrice odierna vi si associa pregiudizialmente. Aristotele poteva tutto fuori che “confermare” Tommaso d’Aquino, pilastro dottrinale ecclesiastico, medioevale e “moderno”, della chiesa cattolica. Le cui “antiche” e quindi anacronistiche, snaturate dottrine si pretende, per decreti pontifici, facciano testo e norma morale fino nel secolo XX, con abuso autoritario di violenza inveterata.

Ma in materia di sesso, l’autrice è di un apprezzabile quasi spregiudicato “realismo”, culturalmente provveduto, di cui mi limito a raccogliere le evocazioni ripetute di un altro mostro ecclesiastico cattolico “moderno”, oramai settecentesco, dunque vissuto e predicante e scrivente nel “secolo dei lumi”: Alfonso de’ Liguori, vescovo santo e dottore della chiesa, grande moralista eroto-sessuòfobo di antico stampo agostiniano, “massima autorità in teologia morale nel XIX e nel XX secolo” (p.326). Di cui purtroppo non hanno avuto remore a scrivere biografie anche illustri storici letterari (cattolici) come G.Getto, sia pure nella giovinezza (Sant’Alfonso de’ Liguori, Perinetti Casoni 1946), con imprimatur.

Ma la Ranke-Heinemann ne ricorda benaltro che gli scritti “letterari”, citando la sua Theologia moralis e altre opere, in cui l’asceta affronta, con la solita arroganza di un magistero degradato, molte gravi questioni come quelle che dovrebbero indirizzare i confessori, per es. “Come il confessore deve comportarsi con coloro che sono infastiditi dal demonio”, s’intende sessualmente. L’illuminato “Alfonso descrive come nascano i figli del demonio: dal rapporto del demonio con una donna, e che un tale bambino non è propriamente un figlio del demonio, ma è figlio di quell’uomo da cui il demonio si era precedentemente procurato il seme” (p.28! Di lui la biografia ufficiale dell’Ordine redentorista, da lui fondato, ne descrive le psicosi come altamente meritorie: “Come vescovo, dava udienza alle donne solo in presenza di un domestico; una volta accolse una donna molto anziana in modo che ella sedesse a un estremo di un lungo banco, ed egli, con la schiena voltata, all’altra estremità. Alla cresima delle donne, se doveva dare lo schiaffo prescritto dalla chiesa, non toccava mai la guancia scoperta, ma il copricapo delle cresimande” (p.394).

Commenta l’autrice cattolica, dopo averne offerto molti esempi lungo tutto il libro: “La sua opera ha raggiunto più di settanta edizioni. Centinaia di teologi moralisti lo hanno copiato e tutti insieme hanno fissato per iscritto la miseria di una teologia morale che, non soltanto presupponeva la minorità dell’essere umano, ma inoltre impartiva sistematicamente un’educazione in funzione di ciò” (pp.294-95). Interessanti infine sono le conclusive “Considerazioni mariologiche”, in cui sono ribadite le tesi mariologiche di bonsenso, che le sono costate la perdita dell’insegnamento teologico. La Ranke-Heinemann parte dal dato oggettivo che la cosiddetta mariologia “non fu elaborata da donne, ma da uomini, per giunta celibi, da persone dunque che non avevano alcun rapporto col matrimonio. Essi anzi affermavano che il loro stato celibatario, che chiamavano e chiamano stato di verginità, avesse un valore più alto del matrimonio, ritenuto inferiore” (p.411).

La Maria storica però era sposata con numerosa prole, e quei preti e monaci mistificatori della loro fede, celibi ma nemmeno vergini, non esitarono a negarle il parto di Gesù e la maternità degli altri figli, distanziati come “cugini” di Gesù, per affermare pregiudizialmente, teo-politicamente, la “verginità” assoluta di Maria, sua madre naturale, eretta a “Madre di Dio” con la divinizzazione del figlio. Ci piace che l’au-trice, di educazione protestantica ma ancora – sembra –, incredibilmente “cattolica”, cioè credente in questa chiesa di falsari pervicaci, scriva che “questa dottrina della ‘verginità nel parto’, alla quale non si può rinunciare senza che tutta la costruzione artificiosa della ‘verginità perpetua’ di Maria rovini su se stessa, è un esempio particolarmente significativo delle fantasticherie alle quali si ricorre per potere trasformare Maria in una vergine” (p.412). Ma l’intera cristologia ha il medesimo fondamento fantastico e artificioso: e lei continua a credervi?



Ci piace comunque che una donna assurdamente “credente” reagisca a tali fiabe disumane, sentendone offesa la sua natura e umanità femminile, come noi ne sentiamo offesa la nostra natura e identità umane. Ancora oggi il “mariologo” papa Wojtyla che, pure nelle sue quotidiane recite agoniche sui massmedia, è riuscito a sforare nel duemila, assicura che Maria è rimasta “inviolata”: lo riattesta lui d’autorità, violatore di ogni verità credibile.

www.ateismodigiannigrana.it/lasessuofobiacattolicadeglierotomaniv...
=omegabible=
00lunedì 9 luglio 2007 21:50
re
Nemmeno i più sfrenati autori di fantascienza si erano esposti così tanto come la CCR e i vari santi e papi. [SM=x789053] [SM=x789053] [SM=x789053] omega [SM=x789054] [SM=x789056]
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