Le nuove piaghe della Chiesa

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kelly70
00martedì 20 novembre 2007 14:30
La crisi dopo la Dc


[…] Parlerò dunque di come viene percepita, nella Chiesa, la crisi di un cattolicesimo che è alle prese, tuttora, con la scomparsa della Dc. Un cammino difficilissimo è cominciato da allora, complicato da una società ormai multireligiosa, multiculturale. La Chiesa che ho incontrato alla vigilia della beatificazione di Rosmini è incerta, in piena transizione. Parla molto, ma è anche afasica. Impossibile afferrarla come monolito: a dispetto degli sforzi compiuti da due Pontefici per renderla compatta, non c’è una Chiesa, una gerarchia, una voce che la rispecchi. Neppure sull’etica c’è un’opinione unica, nonostante la morale (i valori non negoziabili) sia vissuta come bussola dei rapporti con lo Stato nell’epoca intranquilla del dopo-Dc. Soprattutto, non c’è un’unica analisi dell’influenza cattolica sulla politica, e la società. L’unica cosa sicura è lo spazio enorme occupato dal tema della laicità: tutti ne sono tormentati, come non accadeva da decenni. Il fervore con cui se ne discute (per contestare un’ingerenza che si concentra oggi su etica della nascita, della famiglia, della morte, o per negare che di ingerenza si tratti) fa pensare ai torbidi dell’800, che in questi giorni saranno rievocati.

La laicità, nessuno degli uomini di Chiesa sa dirmi quel che ne pensa, senza aggiungere aggettivi che la stemperano fino a invalidarla: la laicità deve esser sana, si precisa, citando un aggettivo che fu di Pio XII. Comunque non deve essere laicismo, questo male impetuosamente indicato ma di rado spiegato. Eppure la distinzione è semplice: a differenza della laicità, il laicismo non è un metodo ma un’ideologia, che santifica lo Stato e nega che il cristianesimo abbia dimensioni sociali oltre che private. Ma non è il laicismo che spiace alle gerarchie, bensì il metodo rigoroso nel separare Stato e Chiesa. Indispone l’indifferenza e la non confessionalità dello Stato democratico, tacciate ambedue di relativismo. In fondo, i critici della laicità hanno nostalgia di uno Stato etico, che somiglia pochissimo allo Stato minimo cui anelava Rosmini. Non stupisce l’alleanza che vede uniti in questa sete ideologica vescovi conservatori e teo-con di destra o sinistra. […]

L’uomo della Chiesa più discusso, nelle conversazioni che ho avuto, è Camillo Ruini: presidente della Conferenza episcopale fino al marzo scorso, ancor oggi presente nella Cei come vicario del Pontefice per la città di Roma. Per alcuni è la persona forte che ha pilotato la Chiesa nel dopo-Dc. Nominato da Giovanni Paolo II, Ruini appare vincente, grazie al peso abnorme che da anni gli attribuiscono i media: ogni suo detto ha l’audience riservata agli statisti. Lui stesso sembra compiacersene. Il 5 novembre, presentando a Milano due suoi libri, ha commentato: «È vero. Sono stato e sono un animale politico». E lo storico Galli della Loggia ha glossato: «La Chiesa ha sempre fatto politica. Non può non fare politica».

Nel mio viaggio nella Chiesa ho avuto un’impressione ben più complessa. La Chiesa ha fatto sempre politica, ma sono molti oggi a esser convinti che la via debba essere un’altra, che di nuovo il magistero sia minacciato da una corruzione non finanziaria ma mentale: che il cattolicesimo farebbe bene a de-politicizzarsi radicalmente, come consigliato dallo studioso Jan Assmann che denuncia un’epoca dove i monoteismi non son più oppio ma dinamite dei popoli (Non avrai altro Dio, Mulino). Sono molti a desiderare che i sacerdoti parlino non politicamente, ma profeticamente. La Chiesa non si identifica oggi con Ruini: né quella sacerdotale, né quella dei fedeli. Chi non condivide la politicizzazione il più delle volte tace, ma il dissenso è diffuso (l’80 per cento dei vescovi disapprova il cardinale). «I costi pastorali della politica di Ruini sono stati enormi»: questa la frase ricorrente che sento. Alcuni certo lo difendono. Altri ricordano che sono i due ultimi Papi ad aver voluto l’arroccamento istituzionale. I più sperano nell’uscita dalla Cei del cardinale. Con speranza guardano a Bagnasco, che oggi guida la Cei: l’arcivescovo di Genova non osteggia il predecessore ma sta distanziandosi dalla politica. Si occupa più di attività pastorale, con il consenso di tanti. […]

Il testo integrale dell’articolo di Barbara Spinelli è stato pubblicato sul sito de La Stampa

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