(31) Inflessibile con gli eretici (gr.: hairesis = scelta, discernere, pensare con la propria testa), da lui sempre perseguitati senza tregua, Celestino I protesse il dissoluto Apiario e il famigerato vescovo Jussale, tenuto a distanza perfino da Agostino, lo stesso ecclesiastico che gettò il seme dell’Inquisizione spronando al proselitismo violento (compelle intrare). Ma C. è molto amato dai più anguilleschi vaticanisti: «saggio e prudente occupò degnamente la sedia pontificia, perché si levò con forza contro l’eresia di Nestorio, vescovo di Costantinopoli, che sosteneva non essere Maria madre di Dio ma dell’uomo Gesù».
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(32) Deipara (gr.: procreatrice di dio). Nessuno prima di lui si sognava, eccetto forse il viscido e contorto Agostino, d’ipotizzare qualità soprannaturali in una vergine... madre di tanti pupi, come nessuno prima del 325 parlava di divina Trinità, tardiva copia della Trimurti indiana. Il tanto esaltato candore mariano ripete banalmente quello di Inanna, dea sumerica dell’amore, vergine madre adorata ad Uruk e agghindata come la fenicio-cananea Aschera (VII sec. a.C.), che allatta un bambino, ha il capo circondato da una corona di stelle e dagli adoratori di Baal è chiamata «regina dei cieli». Aschera è capostipite della greca Afrodite, della romana Venere e finalmente della nostrana Madonna. Anche alla figlia di Maometto, Fatima, ultima arrivata tra le donne circonfuse di luce, è riconosciuta l’immunità, d’origine pagana, dal peccato (Rotter). Sublimando Maria, terrifica glaciale supervergine, i più accaniti misogini sbaragliano ogni residua resistenza pagana imponendo il disumano modello della cosiddetta Madonna a tutte le donne, maritate comprese, per costringerle, pena l’inferno, a macerarsi nella penitenza e nell’astensione sessuale. Ma il vangelo di Marco, dopo quello di Tommaso uno dei meno rifatti e rimaneggiati (in totale più di sessanta), non accenna ad alcun concepimento virginale, e persino secondo quello di Giovanni, il più fantasioso e manipolato di tutti, Gesù è vero figlio di Giuseppe (Gv. 45; 6,42). Il concepimento virginale, assente anche nelle prime versioni di Matteo e Luca, è copiato dalla nascita di Budda e fatto circolare con le interpolazioni dei sec. II e III. Anche Matteo, per i preti l’evangelista più integro, esordisce con una genealogia di ben 42 generazioni solo per vantare Gesù figlio effettivo del davidico Giuseppe. Prima dei pesanti cincischiamenti ieratici, eventuali ciarle sulla verginità mariana e sulla paternità putativa di Giuseppe sarebbero state respinte da tutti gli stessi cristiani come ridicole e cervellotiche elucubrazioni.
(33) L’odio feroce contro la donna è largamente condiviso dai padri della chiesa. Anche la giovanile eterosessualità di Agostino, ammesso che sia mai esistita, si era evoluta, per imperscrutabili motivi, in un’invincibile repulsione fisica per la donna, da lui caritatevolmente definita «cloaca». E misogini a prova di bomba sono rimasti in genere i preti, come il livido don Livio, direttore e sfavillante starlet di Radio Maria, il quale racconta, torcendosi dalle risa, di un tale che fingendo di non vedere per strada la sua compagna, da lei apostrofato con un «Io sono quella!», ribatte strafottente: «Ma io non sono più quello!» (02-11-96). Bel modo di promuovere la coesione di coppia! Ma la chiesa, costretta a riconoscere nelle donne gli strumenti della procreazione, dovette (eccetto dei mentecatti come Innocenzo III, Innocenzo VIII, s. Carlo e Federico Borromeo, smaniosi di farne totale sterminio) contentarsi di un loro drastico sfoltimento. E prima di abbandonarsi all’orgia di milioni di roghi, si limitava a dissuaderle in ogni modo dal matrimonio per rinchiuderle in massa in sepolcrali monasteri, tanto che ancora nel sec. XVIII ogni città cattolica ne contava almeno uno in ogni strada. Saputo del sacerdozio conferito alle donne inglesi, ora Woitjla emette l’angoscioso grido: «È un’offesa a Gesù Cristo!» (Rai Due, Prima pagina, 13-04-94). Offesa a Cristo, egli specifica arrampicandosi disperatamente sugli specchi, perché Gesù non era femmina, e «tra i dodici non ce n’erano durante l’ultima cena» (Corsera, 28-05-94). Mancavano anche i negri, eppure Woitjla scodella a rotta di collo cardinali e presuli abbronzatissimi, come l’allegro saltimbanco Milingo. Ma il Santo Padre non ha pregiudizi di razza. Solo di sesso! Anche nella devota escrescenza mafiosa sopravvive l’idea medievale d’onestà correlata solo all’astinenza eterosessuale. Onesto, per gli uomini d’onore, è chi non ha rapporti extraconiugali e porta sotto la camicia, accanto alla pistola, una crociona d’oro, magari tempestata di diamanti, come il noto boss Riina e tanti altri specializzati in sequestri di persona e affogamenti nel cemento liquido. Ed onestissimo è, ovviamente, chiunque passi consistenti e regolari mazzette al clero.
IV
(34) San Sisto III (435-40) abbatte una quantità di marmorei palazzi e monumenti dell’antica Roma cavandone materiale per «costruire e abbellire molte chiese». E sfoga la sua esuberanza compiendo varie prepotenze, finché sotto il console Anicio Basso è processato per lo stupro di una giovane cristiana. Ma ormai prevale il potere ecclesiastico e il processo laico, esattamente come oggi (v. le buffonate giudiziarie De Gasperi-Guareschi, Melluso-Tortora, «Usura cardinalizia napoletana», ecc.), finisce in una farsa, con l’accettazione incondizionata di un «certificato d’innocenza» del santo redatto dai suoi colleghi vescovi. Non appena assolto, S. assassina la sua accusatrice e ne strazia selvaggiamente il cadavere, e ancora nel sec. XIX l’ipocrisia e l’eufemismo serviranno a mascherare il suo crimine: «Egli fu sì pieno di carità da imbalsamare e seppellire con le sue stesse mani la persona che l’aveva incolpato di un sacrilego adulterio» (Henrion). In un caso analogo un altro gesuita scriverà che se gli sgherri papalini assassinarono una giovinetta nella sua casa, poi però, pieni di cristiana compassione, «sollevarono l’infelice da terra, posaronla sopra un letto, la composero sui guanciali». E il De Sanctis di rimando: «Piangevano quei buoni Svizzeri! [...] Egregiamente, padre Bresciani; voi sapete ben giustificare e soprattutto sapete ben tacere. Congratulazioni: non vi manca la malizia. Voi che ficcate il naso in tutti i caffè e in tutti i ritrovi, quando si tratta di libertini, non vi attentate mai di gettare un’occhiata curiosa nel Vaticano, nel congresso di Gaeta. Avete saputo ben tacere. Possiamo gridare in coro Sanctus, sanctus, sanctus!».
(35) San Leone il Grande (440-61) fu il primo ad avanzare pretese di supremazia su tutti gli altri vescovi. Le parole e il gesto imperioso con cui si favoleggia che egli avrebbe arrestato l’invasione degli Unni, non hanno il benché minimo fondamento storico. L. tremava come una verga tappato in Laterano, mentre le orde di Attila, battute in Gallia da Ezio e sconfinate nella pianura veneta, si ritiravano in Pannonia decimate da un’epidemia e incalzate dall’imperatore Marciano, che avanzava a tappe forzate dall’Illiria per attaccarle alle spalle.
(36) Ancora ai tempi di Clemente VIII, il papa che fece bruciare Giordano Bruno, un dipinto di una chiesa di Roma mostrava la beata Vergine discesa dal cielo a riattaccare la mutila mano di uno dei papi più frocî (Monticelli).
(37) San Felice III (483-92), nonno di s. Gregorio I, passava il tempo litigando col vescovo di Costantinopoli, maledicendolo e scomunicandolo per futili motivi, come la bambinesca preghiera detta il Trisagio, motivo d’infinite diatribe sull’inserirvi o no il vocabolo sabaoth. Il suo predecessore, s. Simplicio, si era opposto a un editto di tolleranza religiosa dell’imperatore Antemio, obbligandolo a revocarlo, e s. Ilario ordinò di dividere «le rendite dei beneficî in quattro parti: la prima per l’ecclesiastico beneficiato, la seconda per la manutenzione delle chiese, la terza per i poveri, la quarta per gli altri ecclesiastici» (Henrion).
(38) S. Gelasio (492-96) condannò i lupercali, feste della fecondità in onore di Pan precorritrici del cristiano carnevale, durante le quali i passanti erano gioiosamente assaliti e percossi con interiora di capra gonfie d’aria. «I costumi di questo Papa di rara pietà onorano il suo zelo e sapere: fece bruciare i libri dei manichei, che espulse da Roma» (Henrion). Dal V sec. il clero, stroncata nel sangue ogni opposizione, se la spassa alla grande, irritando persino s. Girolamo: «...brigano per farsi preti o diaconi e avvicinare le donne più liberamente; tutte le loro fatiche consistono nel vestire, calzare con eleganza e profumarsi. Arricciano i capelli col ferro, hanno anelli sfavillanti alle dita e camminano in punta di piede: sembrano giovani fidanzati, più che ecclesiastici». Il rigoroso moralista ambisex non vedeva però la trave ficcata nel proprio occhio, né la dilagante omosessualità sacerdotale.
(39) Anastasio II (496-98) per la sua tolleranza verso gli eretici era inviso ai preti (Inf., XI, 8-9). È il primo papa non fatto santo, del quale anzi infangarono ferocemente la memoria fino al sec.XV., quando si compiacquero immaginarlo agonizzante, «per volere e judicio divino», nel fondo di un lurido cesso (An. Fior.). Ma ora si sono magnanimamente degnati di concedere a lui pure l’aureola, in sintonia con la risibile pantomima dell’apertura cattolica ai cristiani separati, sempre ben ancorata alla gesuitica riserva mentale di un mondo asservito al papato.
(40) Successore di Simmaco, il prolifico s. Ormisda (514-23) approvò la fondazione dell’ordine benedettino.
(41) Simmaco guadagna la santità consolidando le colossali rapine della chiesa e costituendole in beni stabili ad usufrutto ecclesiastico. Col sinodo del 499 decreta che nessuno, vivente un papa, ardisca salire al soglio, mentre lui stesso aveva detronizzato il rivale Lorenzo, a prova che anche lo Spirito Santo è fallace. E nel 501 sancisce che nessun papa possa essere giudicato da tribunali laici. Arrogante privilegio, poi esteso a tutto il clero,e che tuttora è vigente in barba alle rivoluzioni liberali e alla tanto conclamata uguaglianza. Postosi sopra la legge, il clero - come osserva Montesquieu - ha imitato Cesare mettendosi fuori portata di qualsiasi punizione. Per quest’immenso merito S. è stato fatto santo, ma al contempo è tanto odiatio per aver liberato alcuni schiavi, che dopo di lui i papi hanno giurato di non assumere mai più il suo nome. Ribadendo che Gesù voleva tutti poveri, eccetto i preti (Del diritto libero della Chiesa... I, pp. 293-94), il papato ancora nel sec. XVIII difendeva lo schiavismo perché «Filemone, ministro del santo evangelio, avea e casa e schiavi, [...] come Archippo vescovo» (ib.), Solo nel sec. XIII il laico comune di Bologna cominciò ad affrancare gli schiavi (servi della gleba), e solo nel 1782 i contadini siciliani furono liberati dall’illuminista viceré Domenico Caracciolo (poi impiccato dagli Inglesi istigati dai preti), il quale soppresse il Sant’Uffizio e restituì ai poveri 45.000 ettari di buona terra rapinata dai gesuiti. Il cattolicismo consolidò la schiavitù mentre essa era già tanto in forte declino tra i pagani da esser già «avviata a scomparire fin dal I sec. per influenza della filosofia stoica, che ai tempi di Epitteto era più forte delle idee cristiane» (Gregorovius). Anche adesso la chiesa, infischiandosi sommamente di Cristo, prende a modelli solo gli apostoli:, cominciando da «s. Paolo, [che] non esige affatto l’abolizione della schiavitù» (AA VV). Anzi, sempre Paolo, «ossia Dio, parlando egli in suo nome», come recita la n. 12 della Sacra Bibbia (Ed. Paoline 1962) comanda agli schiavi di rimanere sempre nel loro stato di soggezione, respingendo ogni occasione d’essere affrancati (1 Cor., 7, 20-21). Se un cittadino offriva la libertà ai suoi schiavi, essi, «da buoni cristiani», dovevano rifiutarla. Ma Paolo, da buon padrone, pensava solo ed unicamente al proprio interesse, secondo l’aulico motto «pancia piena non pensa alla vuota». Ovvio dunque che Woitjla voglia far santo «il fervido protettore degli indios frà Bartolomé las Casas», il devotissimo alla Madonna che per primo suggerì l’idea della tratta dei negri, più robusti degli indios. // Sotto S., il franco Clodoveo, che come Costantino aveva massacrato amici e parenti (s. Gregorio di Tours, Chron.), mentre stava per soccombere in battaglia, «levati al cielo gli occhi lacrimosi e invocato Cristo, gli promise di farsi battezzare se gli avesse concesso la vittoria. Da quell’istante la fortuna cambiò parte e la battaglia fu vinta» (Grimberg). Nel 506 egli si battezzò a Reims e fagocitò la Francia. Benedetto dal clero, che sempre scodinzola al più forte e se gli conviene se ne frega nel modo più assoluto dell’indissolubilità del matrimonio, egli ripudiò la prima moglie per sposare una visigota, «che amava molto perché gli portava in dote ricchi tesori» (s. Gregorio di Tours). «Ma il suo amore s’intiepidì ben presto..La vecchia concubina Fredegonda seppe attrarlo nuovamente nelle sue reti, e un mattino la regina fu trovata strangolata nel suo letto» (Grimberg). «Il re pianse la sua morte, e qualche giorno dopo contrasse matrimonio con Fredegonda» dice il santo di Tours nel «presentarci una galleria di vescovi, abati e preti che non la cedevano in nulla ai potenti laici in fatto di ghiottoneria, ubriachezza, sete di potere ed altri vizî non meno rivoltanti» (Grimberg). Nel 1996 Woitjla volò in Vandea (come sempre a nostre spese), visitò trepidante la cara chiesetta dove preti e devoti avevano inaugurato, inchiodando al portone un giacobino, una serie di orribili atrocità (centinaia di repubblicani furono sepolti vivi), e dal pulpito di Reims da una esaltò i «grandi ideali di libertà, fraternità ed eguaglianza» dall’altra esortò i Francesi a riconoscere nel criminale cristiano Clodoveo, anziché nel generoso patriota pagano Vercingetorige, «le proprie nobili radici» (La Stampa, «Il papa ribattezza la Francia», «Un trionfo la cerimonia per Clodoveo», 23-09-96).
(42) San Giovanni I (523-36) va a Bisanzio a promuovere la pace con gli ariani per incarico di Teodorico, il re che «meritò non mediocre lode, sendo stato il primo che facesse quietare tanti mali, talché per 38 anni che regnò in Italia la ridusse in tale grandezza, che l’antiche battiture più in lei non si conoscevano» (Machiavelli). All'imperatore però G. non solo parla di pace, ma lo aizza ad odiare e perseguitare gli avversari del papato. Lo squallido individuo però non la fa franca: tornato a Roma, è imprigionato. Lo seguono Felice III, Dioscuro e s. Bonifacio II, che ingiuria il defunto rivale Dioscuro. // Riferisce s. Gregorio che nel 529 s. Benedetto demolì, sul Montecassino, due tempietti pagani di candido marmo e abbatté il bosco sacro che li circondava. Non più popolato di fauni e di ninfe, l’incantevole luogo divenne un’arida spianata dominata da un monastero che col tempo assumerà dimensioni cupamente ciclopiche. Nel 1944 finirà polverizzato da 130 tonnellate di bombe sganciate dagli Americani. Anche se subito ricostruito con indescrivibili sacrifici dagli Italiani affamati e ridotti a miserabili servi del Vaticano, dalla sua storia pare che il cielo non inclini eccessivamente per il cattolicesimo: dopo le bombe americane, ogni anno il buon Dio fulmina campanili, sgretola chiese, brucia figlie di Maria, mutila oranti, affonda barche gremite di bigotti, falcia processioni con automobili impazzite e precipita corriere di pellegrini dai dirupi. In una «preghiera elettorale» tesa a «renderci degni del passato», Woitjla esalta «il grande italiano s. Benedetto», ottuso distruttore del bello, e strumentalizza, profittando della loro impossibilità a protestare, Dante Alighieri (benché tre volte scomunicato e condannato al rogo in contumacia), Michelangelo (benché autore di fierissime rime antipapiste), e l’accecato sotto tortura Galileo, benché svillaneggiato dallo stesso Woitjla come meritevole delle sue disgrazie, perché causategli dalla sua... «arroganza» (L'Opinione, 16-03-94, p.8). E il presidente della Repubblica Scalfaro ha calorosamente ringraziato l’impudente ex scalcagnato polacco a nome di tutti gli Italiani, di tutti quei «semplici» ora apertamente denominati «teste di cazzo» dai preti e dai loro manutengoli.
(43) Mercurio è il primo a adottare uno pseudonimo (Giovanni II) e ad obbligare gli acefali creduloni a baciargli i piedi. Il bacio ad entrambi i piedi papali è durato fino a tutto il sec. XIX, e solo ora, volendo astutamente sembrare «democratici», i pontefici s’accontentano del pur sempre servilissimo bacio alla mano.
(44) L’infame s. Silverio, traditore di Belisario («Dimmi, o Silverio - gli chiederà la moglie del valoroso generale - che male abbiamo commesso, da farci consegnare nelle mani dei Goti?»), finisce a sua volta esiliato nell’isola Palmaria dal papa Vigilio, suo rivale. Che tre volte discute, approva, sottoscrive, rifiuta e sconfessa i Tre capitoli, dichiarazione di fede del concilio di Calcedonia. «Vigilio è legittimo, benché usurpatore della sedia apostolica a prezzo di soldo: governò 15 anni con tanto di pietà, di zelo e di fede, quanto aveva mostrato violenza, crudeltà e avarizia durante lo scisma: prova certa che la ricerca di onori, ricchezza e vantaggi incattivisce e che, al contrario, il loro possesso rende buoni e a volte eccellenti» (Henrion). // Il V sinodo d’Orleans (541) prescrive che «i preti e diaconi non dividano la stessa camera con le proprie mogli, per non essere sospettati di rapporti carnali» (can. 17). I coniugi, già costretti alla castità oltre cinque mesi l’anno, erano per di più così minacciati dal vescovo Cesario di Arles († 542): «a chi, prima di una domenica o di altre feste non si astiene dal coito, nasceranno figli lebbrosi, o epilettici, o posseduti dal demonio» (Browe).
(45) Pelagio I (556-61), eletto prima dell’assassinio, «si dice per veleno» (Henrion), di Vigilio, giura sui vangeli (come in uso nonostante il tassativo divieto evangelico di giurare) di essere innocente di tale delitto, ma gli è «tremendamente difficile superare la sfiducia che l’episcopato coltivava nei suoi confronti» (Gelmi). // Il sinodo di Tours (567) ordina che «il vescovo consideri la propria moglie come una sorella. Sempre circondato da chierici, separi la sua abitazione da quella della moglie» (can. 12), «e giacché moltissimi arcipreti di campagna, diaconi e suddiaconi sono sospetti di mantenere ancora rapporti con le proprie mogli, l’arciprete vada ovunque accompagnato da un chierico, che dorma nella sua stessa camera» (can. 19).
(46) Giovanni III (571-74) e Benedetto I (575-79) fecero combutta con i barbari invasori per la comune spartizione del bottino e l’accumulo d’ingenti ricchezze. Ma il Liber pontificalis pretende che B. sia «morto tra gli stenti» (Gelmi). // Il III sinodo di Toledo (589) prescrive che, «puniti i preti che ospitino femmine, il vescovo se ne impadronisca per venderle come schiave». Disposizione ripetuta solennemente dal sinodo di Siviglia (590) e dal IV di Toledo (633). Nel frattempo, s’intensificano le misure terroristiche ecclesiastiche per impedire, o almeno ridurre al massimo, gli amplessi coniugali. «A una donna, che in lacrime mi aveva mostrato un figlio cieco e storpio, confessando di averlo concepito una domenica, dissi che ciò era la punizione del suo peccato commesso nella notte di una festività profanata» (s. Gregorio di Tours cit. da Browe).
(47) San Gregorio I (590-604), dalle cui colossali rapine tuttora i preti traggono beneficio, si definì umilmente Servus servorum Dei. Raffinata ipocrisia tuttora in auge per «l’impulso che conferisce al prestigio del papato» (Gelmi), ed ottimo motivo per far santo un incallito criminale dopo cinque papi non più canonizzati. G. incrementò il sacro business rinnovando l’annuncio della prossima fine del mondo, e «moltiplicando le reliquie, con l’accostare lane e pezzi di legno ai corpi dei santi». Ma nemmeno, in pratica, si scomodava ad accostarle. Tanto, le «teste di cazzo» credono sempre. «Molto sapiente», secondo Henrion, G. fu chiamato il Grande per le sue elucubrazioni sul sesso e per aver fatto incendiare, quasi non bastasse la distruzione della biblioteca d’Alessandria, anche quella riccamente rifornita di Augusto sul Palatino, che era sempre stata risparmiata dai barbari saccheggiatori di Roma. Non esitò a polverizzarla perché conteneva anche... «demoniaci libri di astrologia». E poi ci scandalizziamo dei talibani! Pensava che «il flusso mestruale [fosse] conseguenza di una colpa, tuttavia, pur lodando le donne che durante il ciclo non si comunicavano, non proibì alle mestruate di entrare in chiesa o di ricevere la comunione» (Ranke-H.). Che bontà! Ancora alla fine del sec. XVII a Dekenpfronn, nella Foresta Nera, «le mestruate dovevano star fuori del tempio, non potevano entrare ed erano schernite» (Browe). Le puerpere erano «impure»e dovevano «riconciliarsi con la Chiesa», mentre le bare delle morte prima del rito erano interrate in luoghi segreti: discriminazione finita solo nel sec. XVIII con la vittoria dell’illuminismo (Ranke- H.). Per G. «il piacere non può essere mai senza peccato», e i coniugi «sporcano la bella immagine del matrimonio mescolandola al piacere del sesso» contro il volere di Dio, che ci fece nascere «senza provare il piacere del peccato carnale, come le piante producono i loro frutti senza godere».
(48) Entrando, s’intende, al servizio della lugubre accolita. I canti liturgici gregoriani, miscuglio di elementi ebraici, orientali, greci e romani, furono raccolti nell’Antiphonarium. Sotto Gregorio I la Chiesa spadroneggiò dalle Alpi Cozie alla Sicilia, dalla Corsica all’Illiria, arrogandosi il diritto di tassare e di punire. Ma «chi parlasse di avidità religiosa, avarizia, influenza sacerdotale» nulla ha capito - sentenzia l’arcilacchè De Maistre - della santità pontificia: «è concepibile una santità senza ricchezze? Quelle della Chiesa Romana sono dunque segno della sua dignità e strumento d’azione legittima, sono l’opera della Provvidenza che la marcò fin dall’inizio del sigillo della legittimità: esse si vedono, se ne sa la loro provenienza, si vedono, e nessuno se ne dispiace».
V
(49) Il tempio cattolico.
(50) Sabiniano, di Bieda presso Volterra (604-06), regola il suono delle campane per meglio attirare i pii. E accennando alla sua borsa don Henrion si appaia al De Maistre (il mastino dal motto: qui mange du pape meurt) nell’apologia delle spropositate ricchezze ecclesiastiche, «perché il potere papale legittima la sua opulenza con l’uso che ne fa». Ma ammette che S. durante una grave carestia «non praticò all’eccesso le virtù del suo predecessore, perché aprì i granai ma invece di distribuire il frumento se non proprio gratis, almeno a modico prezzo, lo vendette ad uno assolutamente inaccessibile ai poveri. Allora i più miserabili si recarono in massa sotto il suo palazzo, e lo supplicarono gridando di non lasciare morire di fame gli stessi che Gregorio aveva conservati in vita. E lui, affacciatosi alla finestra: Cessate di fare schiamazzo; se quello ha comprato i vostri elogi con un po’ di pane, io non posso satollarvi al suo stesso prezzo».
(51) Santo sì, ma troppo avaro, era fatto segno di continue contumelie e violenze: Per risparmiargliele almeno da morto, fu drasticamente abbreviato l’itinerario del suo funerale.
(52) Bonifacio III (697) si fa nominare patriarca ecumenico da Phoca: chiara dimostrazione della sudditanza dei vescovi di Roma che, già in difficoltà nei loro primi tentativi di primeggiare sui colleghi, non osavano ancora pareggiarsi addirittura all’Imperatore.
(53) San Bonifacio IV (608-15) ottiene da Phoca il consenso di trasformare il Pantheon, l’ultimo grande monumento che i laici difendevano dalla furia devastatrice e demolitrice dei preti, in una chiesa cattolica. Come erano allora prematuri certi ieratici imbrogli, di cui il più clamoroso sarà la falsa donazione di Costantino, così per demolire i gloriosi edificî pagani, o anche solo per servirsene, i papi - agli occhi dell’Imperatore ancora semplici vescovi - dovevano chiedergli quell’assenso che purtroppo fu loro sempre più facilmente accordato. B. protesse i monaci a cui, per gelosia, i preti precludevano la carriera ecclesiastica. E i primi, grati, esigettero poi che fosse santificato. // A giustificazione della sacrilega fame dell’oro (auri sacra fames) che divorava il clero, useranno i più pretestuosi cavilli gli avidissimi padri della chiesa Giustino, Cipriano, Ilario, Crisostomo, Agostino, Isidoro Pelusiota e l’aperto adoratore di Mammona Clemente Alessandrino(sunt habendae divitiae), tutti concordi nell’ignorare i comandamenti «Non tesaurizzare» (Mt, 6,19), «Vendi i tuoi beni…» (Mt, 19,21), «È più facile che un cammello...» (Mt, 19,24).
(54) Sant’Adeodato (615-18) per primo appone il sigillo sulle bolle pontificie, mentre il napoletano Bonifacio V (619-25) estende ai conventi l’immunità d’asilo delle chiese, per favorire i ladri e gli assassini ed appropriarsi gran parte del loro bottino.
(55) Onorio I (625-38) è per la chiesa legittimo a tutti gli effetti, benché bollato eretico monoteista dal concilio del 680 e condannato alle pene dell’inferno da Leone II. I papi abiurarono l’eresia di Eutiche, il monofisismo, che riconosce in Cristo la sola natura divina (ha tuttora seguaci in Egitto, Armenia, Etiopia) e modificarono a proprio favore il principio giuridico che «un papa non può essere citato in giudizio, a meno ch’egli non devii dalla fede». Sicché i pontefici, dal 1870 proclamatisi infallibili nella fede, pare che prima di allora potessero fallire in tutto, fede compresa.
(56) Teodoro I (642-49), figlio del vescovo di Gerusalemme, flirtò politicamente con Pirro, patriarca di Costantinopoli, allontanandosene poi per divergenze sul monoteismo, non riconoscendo in Gesù conflitti tra due volontà contrarie, come nei comuni peccatori.
(57) Duplice il sacrilegio del papa, che bevve il sangue di Cristo fuori della messa e lo usò come volgare inchiostro. Egli morì, a detta dei preti, avvelenato dai... preti.
(58) Più esattamente, dal 649 al 672 si succedono Marino (o Martino), Eugenio e Vitaliano. Il sinodo di Nantes (658) sancisce che «l’ecclesiastico non può vivere in casa neppure con la madre, la sorella e la zia, essendosi già verificati orribili incesti».
(59) San Vitaliano (657-62) introduce nelle chiese l’accompagnamento di organi e liuti durante le funzioni liturgiche.
(60) Oggi di Adeodato II (672-76) la chiesa non ricorda che la formula Salutem et apostolicam beneditionem.
(61) Domnone (676-78) smantella dei suoi preziosi marmi una piramide dell’antica Roma per pavimentare il cortile del suo palazzo. La distruttrice furia papale contagiava tutti gli ordini religiosi. Secoli dopo, persino i «colti e moderni soldati del papa», i gesuiti dalla duplice faccia (predicando la pace fabbricavano cannoni a Goa), abuseranno della bontà dell’Imperatore e dei sacerdoti del Giappone per compiervi barbariche devastazioni. Credendosi al sicuro, «abbandonarono la tattica della cautele e distrussero gran numero di templi e d’opere d’arte buddiste. Allora il governo mutò atteggiamento e anche la popolazione prese a considerare i cristiani con diffidenza» (Grimberg). I pagani del Sol levante risposero colpo per colpo e la chiesa pianse i suoi «diletti figli martirizzati. [...] Nel 1538 un editto imperiale fece cessare le persecuzioni, ma ormai si proibiva a qualunque cristiano di calcare il suolo nipponico e soltanto nel 1873 la proibizione fu ufficialmente revocata» (ib.). // Conone muore nel 687 «con sospetto di veleno». Leone II, succeduto ad Agatone, «scagliò l’anatema anche contro il papa Onorio che non aveva voluto spegnere sul nascere la fiamma della dottrina eretica, come conveniva alla sua cattedra» (Henrion). Dopo Giovanni VI e VII, Sisinnio «sparì misteriosamente» per ingestione di cibo avvelenato a venti giorni dall’elezione.
(62) Oggi papa Costantino (708-15), per compiacere il quale Giustiniano II accecò il vescovo di Ravenna Felice, è detto dai preti «portatore di pace tra la Chiesa e l’Impero».
(63) San Gregorio II (713-15) odiava le donne e amava l’oro. Dopo lunghi maneggi tra il clero romano e il re Pipino il Breve, G. implora Carlo Martello d’invadere l’Italia e sterminare quanti tentassero moderare l’ingordigia ecclesiastica. È peculiare della chiesa prendere sempre e non dare mai. Dalla maxitruffa del Banco Ambrosiano (colpo di circa 2.000 miliardi del 1982 eseguito con destrezza da mons. Marcinkus, poi premiato da Woitjla con la mitra arcivescovile) la spiritual gang ha tratto «profitti altissimi attraverso [anche altre] operazioni spericolate» (Il Giornale, 17-10-93). Notevole pure il sacro riciclaggio di valuta mafiosa, per non dire del prestito usurario fatto al poi suicidatosi industriale Carlo Pesenti, e della combriccola di gangster mafiosi di Los Angeles incaricati dal Vaticano di stampare titoli falsi (Vatican connexion). È del ‘93 la scoperta della complicità della Santa Sede (che tanto si scandalizza dei «politici corrotti»!) nel riciclaggio del denaro illegittimo dei partiti, ai quali estorceva tangenti fino ad un importo del 25 %. «Certo che il Vaticano ne traeva profitto!», replica arditamente il clero, «ma incassava senza contropartita!». E£ se ne vanta pure! Al solito, prendeva, prendeva e non dava. Che santità! La beffarda giustificazione influì sul gettito Irpef, e Woitjla gioì per l’introito superiore alle sue attese («Chiesa cattolica soddisfatta», Corsera, 12-04-1994). Egli infatti inglobò, grazie a un truffaldino codicillo inserito nel Nuovo concordato e nella prassi mantenuto segreto, ben il 75 % del gettito complessivo, pur avendo ottenuto solo il 41 % dei consensi. (L’Incontro, Torino, N.° 4, a. XLVIII, 1996). Dopo lo scippo dell’Ambrosiano, l’assassinio di Roberto Calvi e la defenestrazione dal quinto piano della sua vecchia segretaria, l’erculeo monsignore andò a spassarsela con due segretarie sedicenni danzanti in tanga sulle sabbie dorate delle Bahamas, alla facciaccia dei 360.000 azionisti da lui brutalmente buggerati. E il gregge non batté ciglio, ormai avvezzo e rassegnato a farsi quotidianamente buscherare dal clero. // Al tempo di G. il vescovo Bonifacio diede impulso alle missioni in Germania, specie tra i Frisoni, restii a convertirsi, come «un loro capo [che] in procinto di ricevere il battesimo, con un piede già nel fonte chiese dove potessero trovarsi i suoi avi non battezzati. All’inferno come tutti i pagani, rispose il prete. Allora, - replicò il frisone - preferisco bruciare all’inferno con quei valorosi che andare in cielo con i preti. Così dicendo ritirò il piede dalla vasca benedetta e restò pagano» (Grimberg).
(64) Abilmente raggirato dal papa, nel 728 il re Liutprando gli affida in feudo il borgo di Sutri. Donazione di carattere puramente patrimoniale, non implicante alcuna attribuzione di sovranità, che però offrirà pretesto a Paolo I (757-67) per giustificare, con l’appoggio di documenti rozzamente falsificati, l’istituzione dello Stato pontificio. La grossolana truffa faciliterà al clero l’annessione, con l’inganno e la violenza, di sempre più vasti territorî. Quando nel 1440 l’imbroglio sarà clamorosamente smascherato dal grande umanista Lorenzo Valla, sarà ormai troppo tardi: il dispotico dominio sacerdotale si sarà tanto radicato, che nessuno riuscirà più a farlo vacillare fino ai gloriosissimi giorni del nostro Risorgimento.
(65) Gregorio gettò sul lastrico migliaia di mogli di sacerdoti obbligati, con le solite misure terroristiche, a convertirsi al celibato. E perché non fosse intaccato il prestigio del clero con un’offesa alla sacralità dei suoi testicoli, minacciando la scomunica impedì in perpetuo alle sventurate di ricostituire assieme a un laico un focolare domestico. «Le grandi virtù [di tanto papa] non furono comunque di alcun ostacolo all’abate Vertot nel calunniarne in modo indegno la memoria» (Henrion).
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