Sposata, due figli, casalinga. E’ la donna che mediamente ricorre all’interruzione della gravidanza

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kelly70
00domenica 17 febbraio 2008 19:22


Sposata, due figli, casalinga, d’età compresa tra i trenta e i trentacinque anni. E’ questo, a sorpresa, l’identikit della donna che ricorre all’interruzione volontaria della gravidanza: ad Orvieto si abortisce perché il pensiero di dover mantenere un terzo figlio è insostenibile. Lo dicono le statistiche in mano al consultorio familiare, diretto dalla dottoressa Manuela Teresa Urbani, incrociate con quelle dell’ospedale “Santa Maria della Stella” che parlano di una novantina di aborti nell’ultimo anno.

“Il dato è in calo costante negli ultimi vent’anni, con un cambiamento sostanziale che si è andato concretizzando negli ultimi sette – otto anni – afferma la dottoressa – ovvero: le richieste arrivano sempre meno da italiane e sempre più da donne immigrate”.

Assenti o quasi le minori, con un’incidenza che non è costante e che arriva al massimo ad una richiesta all’anno. Merito, osserva Urbani, della “campagna di prevenzione a tappeto che da anni viene fatta nelle scuole”. Il consultorio familiare di Orvieto, nel 2007, ha attivato l’applicazione della 194 - in queste settimane al centro di feroci campagne nazionali - per 64 casi. Alla novantina d’aborti citati si arriva, dunque, con le donne che approdano all’ospedale, attraverso altri percorsi che non sono quelli del locale consultorio.

Altro dato: le residenti che ricorrono all’interruzione volontaria della gravidanza non superano il trenta percento, dato che va scorporato da quello in mano all’ospedale, perché non tutte le residenti, per ovvie ragioni di privacy, scelgono di ricorrere al nosocomio del territorio di riferimento.

Ma quali sono gli strumenti che l’assistenza sanitaria mette in mano ad una donna che decide di abortire? Esiste una procedura ad hoc, ovviamente. “C’è una prima fase di colloqui – spiega la dottoressa Urbani – volta a rendere consapevole la donna e a risolvere i problemi che sono alla base della scelta di abortire, siano essi economici o di salute. Laddove questo non è possibile si certifica l’interruzione volontaria di gravidanza, con una continuità assistenziale in ospedale che è garantita dalla presenza, presso il reparto di Ostetricia e Ginecologia, di una nostra ostetrica”.

Il percorso, però, non finisce qui. “Dopo l’aborto – spiega la dottoressa Urbani - la donna è invitata a tornare al consultorio, dove, a questo punto, si lavora sulla prevenzione, ovvero sulla contraccezione, perché è importantissimo evitare le recidive”. Ovvero, evitare che la stessa donna ricorra in maniera sistematica all’aborto. […]

L’articolo completo è raggiungibile su OrvietoSi

www.orvietosi.it/notizia.php?id=13302
kelly70
00venerdì 29 febbraio 2008 22:34
Donne e aborto nelle Marche, infermieri pro-eutanasia a Torino e Milano: alcune cifre


Secondo Tiziana Antonucci, “una delle poche ginecologhe a garantire l’applicazione della 194″ nelle Marche, nel consultorio dove presta servizio nel 2007 su 513 richieste di interruzione di gravidanza, 200 sono arrivate da cattoliche praticanti (39% del totale), 108 da non praticanti: le cattoliche rappresentavano circa il 60% delle richiedenti. Di altre confessioni (”anche qualche atea”) erano altre 146 donne; le restanti 59 non hanno voluto rispondere.

Intanto, un’inchiesta dell’Ordine dei Medici Chirurghi ed Odontoiatri della provincia di Torino dell’aprile 2006 faceva emergere che il 76% degli infermieri intervistati (”in maggioranza tra i 30 e i 40 anni, impiegati in reparti di terapia intensiva, lungo-degenza e chirurgia”) era favorevole all’eutanasia volontaria, ” e più o meno lo stesso era emerso a Milano”.

“E’ il Nimby in versione etica. Aborto? No, grazie, dicono i cattolici. No, grazie, dicono le cattoliche. But not in my uterus”.



L’articolo completo di Flavia Amabile è pubblicato sul sito de La Stampa, dal blog ‘Diritto di cronaca’

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