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Le lenti bifocali della Curia romana

Ultimo Aggiornamento: 01/09/2009 00:20
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01/09/2009 00:20
 
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di Juan Masiá
Ho scelto questo titolo per presentare, il 4 luglio scorso a Tokyo, la traduzione giapponese del Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa (Città del Vaticano, 2004). Tre giorni dopo, la pubblicazione dell’enciclica Caritas in veritate sembrava confermare l’ipotesi su uno stile curiale che fa marcia indietro rispetto al Vaticano II, ma usandone lo stesso linguaggio e manipolandone i testi.

Questa lettura della retorica dei documenti ufficiali ecclesiastici coincide essenzialmente con l’interpretazione dei Documenti del Concilio da parte di Hans Küng nei suoi due volumi di Memorie e con l’analisi di quanto avvenuto al Concilio secondo John O’ Malley. Già la stessa Gaudium et spes presentava il fenomeno che può definirsi metaforicamente come centauro bicefalo: il famoso “no, però sì” o “sì, però no” della diplomazia vaticana. Ultimamente preferisco utilizzare l’immagine ottica: lenti bifocali - metà pre-conciliari e metà post-conciliari - graduate male e montate male, ma con la stessa montatura postconciliare per salvare le apparenze...

Guardiamolo con un esempio: l’evoluzione della Dottrina Sociale della Chiesa dal 1891 al presente. Riassumo di seguito l’intervento citato.

Leone XIII e Pio XI si sforzarono di far sì che la Chiesa rivolgesse la propria attenzione alla questione sociale, alla questione operaia, alla povertà e all’ingiustizia: assunsero un nuovo sguardo.

Ma non era sufficiente guardare a tali realtà, se si usavano gli stessi occhiali di sempre. Giovanni XXIII e il Vaticano II fecero sostituire gli occhiali, cambiarono il paradigma. Basta soffermarsi sul modo di parlare dei diritti umani dell’enciclica Pacem in terris o sulla prospettiva della Gaudium et spes nella sua seconda parte: rileggere il Vangelo alla luce dell’esperienza e rileggere l’esperienza alla luce del Vangelo (che sarebbe il luogo chiave nella metodologia delle teologie della liberazione). Paolo VI, sempre dubbioso e indeciso, usò a tratti nuovi occhiali (per esempio, Populorum progressio e, soprattutto, Octogesima adveniens: le comunità, in situazioni concrete, discernono la chiamata evangelica alla luce dell’a-nalisi sociale) e a tratti gli occhiali del paradigma anteriore (per esempio, Humanae vitae).

Nell’era di Giovanni Paolo II, la Curia romana torna a prendere le redini del magistero e inonda la Chiesa di documenti che, citando il Vaticano II, cercano di seppellirlo e di resuscitare paradigmi anteriori. Mantengono la montatura degli occhiali conciliari, ma cambiano le lenti. Se avessero posto le lenti antiche, sarebbero andati allo scontro. Ma pongono lenti bifocali e, sicuramente, graduate e montate male. Dalle citazioni riprese da questi documenti si potrebbero trarre conclusioni opposte, sottilmente preconciliari le une e timidamente postconciliari le altre (altri esempi dettagliati nella mia Moral de interrogaciones, PPC, 2000, p. 80 e sgg.: il doppio linguaggio del catechismo e il doppio linguaggio dell’enciclica Veritatis splendor).

Il citato Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, a seconda di come lo si usi, può risultare un’arma a doppio taglio. Per questo conviene segnalarne le luci e le ombre. Le luci: un insieme di citazioni sistematicamente organizzate, riassunte, per temi, facili da usare come riferimento. Sul-l’altro lato della medaglia vi sono le ombre: testi appartenenti ad epoche molto diverse e a differenti contesti letterari, storici e sociali si allineano in maniera omogenea, in forma sintetica, con citazioni fuori dal contesto e dando forzatamente dell’in-sieme un’impressione di coerenza e immutabilità: si dà per scontato ciò che manca, per evidenziare che non è cambiato nulla e che già dall’antichità si avevano le risposte per tutto.

Per questo, propongo una lettura di questi documenti, per epoche:

1) 1891-1961. Da Leone XIII alla fine del pontificato di Pio XII.

2) 1961-1971 (o 1975). Da Giovanni XXIII, con Mater et Magistra (1961) e Pacem in terris (1963) ai migliori paragrafi di Octogesima adveniens (1971) e di Evangelii nuntiandi (1975) di Paolo VI.

3) Dal 1978 ad oggi: sottile marcia indietro, in mezzo ad affermazioni decise sulla giustizia e la pace (nelle encicliche sociali di Giovanni Paolo II).

Il decennio 1961-71 è quello del nuovo paradigma che, appena nato, sarà soffocato già nella redazione dei documenti del Vaticano II dalla minoranza curiale che prenderà nuovamente le redini, soprattutto nel pontificato di Giovanni Paolo II, il Restauratore.

C’è un prima e un dopo la Pacem in terris (appena citata da Benedetto XVI) nella lettura della “dottrina sociale della Chiesa”, espressione che era stata sostituita da “messaggio sociale del Vangelo”, secondo il suggerimento di Chenu, ma a cui si torna, soprattutto a partire dalla Sollicitudo rei socialis (1987), come tentativo di giustificare la preoccupazione sociale, ma allo stesso tempo rifiutando o ignorando la linea delle teologie della liberazione.

Se sottolineassimo soltanto alcune parole chiave (per esempio, dignità umana, bene comune, giustizia sociale, compassione e riconciliazione, ecc.) avremmo l’impressione di una stessa “dottrina sociale” ripetuta lungo oltre cento anni. Ma se leggiamo questi documenti nel quadro della epocale citata, noteremo che la stessa melodia è orchestrata con strumenti diversi e si armonizza in modo diverso: il paradigma non è lo stesso.



L’insistenza sulla continuità

Fin qui la sintesi del citato intervento del 4 luglio.

Quando il 7 è apparsa l’enciclica Caritas in veritate, già le due parole del titolo (forse per via del pregiudizio delle mie stesse lenti?) mi hanno fatto pensare alla bifocalità, che già mi aveva colpito nel “Catechismo del ‘92” (che evito di chiamare “Nuovo catechismo”, giacché non è nuova se non una parte delle sue lenti). Nella mia prima lettura dell’en-ciclica Caritas in veritate, mi ha richiamato l’attenzione l’insi-stenza sulla presunta continuità e coerenza della dottrina sociale. Il paragrafo 12 sarebbe quello che riporta il segnale rosso più prolungato. Dice così:

“Il legame tra la Populorum progressio e il Concilio Vaticano II non rappresenta una cesura tra il Magistero sociale di Paolo VI e quello dei Pontefici suoi predecessori, dato che il Concilio costituisce un approfondimento di tale magistero nella continuità della vita della Chiesa. In questo senso, non contribuiscono a fare chiarezza certe astratte suddivisioni della dottrina sociale della Chiesa che applicano all'insegnamento sociale pontificio categorie ad esso estranee. Non ci sono due tipologie di dottrina sociale, una preconciliare e una postconciliare, diverse tra loro, ma un unico insegnamento, coerente e nello stesso tempo sempre nuovo”.

Se questa citazione è la parte delle lenti bifocali in cui si usa il paradigma preconciliare, l’altra metà delle lenti è nelle righe che seguono tale citazione, in cui si riprende la frase prediletta della morale di Häring, quella della “fedeltà dinamica”, per dire in tono postconciliare: “Coerenza non significa chiusura in un sistema, quanto piuttosto fedeltà dinamica a una luce ricevuta”. Ma, a continuazione, con una formulazione opposta a quella del paragrafo n. 33 della Gaudium et spes, si afferma: “La dottrina sociale della Chiesa illumina con una luce che non muta i problemi sempre nuovi che emergono. Ciò salvaguarda il carattere sia permanente che storico di questo ‘patrimonio’ dottrinale che, con le sue specifiche caratteristiche, fa parte della Tradizione sempre vitale della Chiesa... Per queste ragioni, la Populorum progressio, inserita nella grande corrente della Tradizione, è in grado di parlare ancora a noi, oggi” (il paragrafo 33 della Gaudium et spes, che nella sua prima redazione diceva che “la Chiesa ha le soluzioni”, ha finito col dire che la Chiesa non ha le soluzioni, ma trae dalla Bibbia luce e forza per cercare le soluzioni che non sono state ancora trovate).

Quanto dice la Caritas in veritate nel citato paragrafo 12 (a mio giudizio, quello in cui più si scopre la mano dei redattori curiali), si collega ad altri paragrafi. Per esempio: il Concilio visto come approfondimento di “quanto appartiene da sempre alla verità della fede” (n.11), le allusioni indirette che mettono a tacere la teologia della liberazione (n.14), il modo di “fagocitare” un buon documento di Paolo VI come la Evangelii nuntiandi associandolo a un altro tanto discutibile come la Humane vitae (n.15), dicendo che entrambi sono importanti per “il senso pienamente umano dello sviluppo proposto dalla Chiesa” (in corsivo, per dargli maggiore enfasi!), il rifiuto di umanismi non credenti (nn. 18, 78, ecc.), il tipico panico ratzingeriano rispetto al relativismo (n. 26), il facile ricorso al “peccato originale” (n.34), e un lungo eccetera.

Dopo una seconda e terza lettura dell’enciclica, la mia prima impressione veniva confermata. Se mi sentissi obbligato ad una “fedeltà letterale”, anziché ad una “fedeltà dinamica o creativa”, avrei dovuto ritrattare il 7 luglio quanto affermato nel mio intervento del 4. Ho preferito optare per l’umorismo e, paragonando l’enciclica a una paella mista, mi sono messo a guardare con la lente di ingrandimento le note a piè di pagina, con il risultato che riporto qui di seguito.

La paella e l’insalata miste sono un piatto ambiguo che dipende dal luogo. A Valencia e Alicante può essere meraviglioso. In un ristorante economico per turisti a Madrid non è lo stesso, anche se innaffiato di vino del Paese. Lo stesso discorso può essere fatto per questa enciclica... “della casa” e “riscaldata”.

Invito i lettori e le lettrici che ne hanno il tempo a percorrere le note a piè di pagina dell’enciclica, giocando con le statistiche. Gli ingredienti di questa “enciclica-paella” sono così tanti che quasi non si vede il riso. Segnalerei, tra gli altri:

Vongole, più di 35: citazioni della Populorum progressio.

Gamberi, mezza dozzina scarsa: citazioni della Gaudium et spes.

Peperoni, in abbondanza, quasi eccessivi: più di 65 citazioni di Giovanni Paolo II.

Calamari: più di 20 citazioni dello stesso Benedetto.

Piselli: citazioni postconciliari con proiettili preconciliari nascosti, per esempio la citazione n. 13 che invita a leggere Paolo VI, ma... valutandolo alla luce del “corretto punto di vista” della tradizione, “patrimonio dell’antico e del nuovo” (che è il modo vaticano di dire il contrario del predecessore, precedendo la frase “come ha detto ammirevolmente il mio venerato predecessore”).

Riso: di Valencia e Calasparra, ma mescolato con quello cinese, buono per l’insalata di riso, meno per la paella. La dose di solidarietà, diritti umani, attacchi alle radici della crisi economico-finanziaria, salvaguardia della dignità di ogni persona senza discriminazioni e un lungo eccetera è di e abbondantissima, tutto riso di qualità, per quanto gli eccessivi ingredienti non consentano di vederlo. Ma si mescola sottilmente con cucchiaiate di riso preconciliare. Come nel Catechismo e nella Veritatis splendor (e persino nello stesso Concilio), il problema è la mescolanza di due tipi di riso (il “sì, pero no”; e il “no, pero sì” della retorica stile Osservatore romano).

Alcune cozze di quelle buone: scarsissime citazioni, obbligate e di passaggio, della Pacem in terris di Giovanni XXIII.

L’enciclica Caritas in veritate ripete e conferma la Dottrina Sociale della Chiesa. È stata valutata da alcuni commentatori come una “svolta a sinistra”, ma, in fondo, la sua interpretazione del Vaticano II è sempre in termini di continuità e non di rottura. Ho posto prima il semaforo rosso sul paragrafo 12, dove si dice che “il legame tra la Populorum progressio e il Concilio Vaticano II non rappresenta una cesura tra il Magistero sociale di Paolo VI e quello dei Pontefici suoi predecessori, dato che il Concilio costituisce un approfondimento di tale magistero nella continuità della vita della Chiesa”. Si noti che ciò è confermato da una nota a piè di pagina (la numero 19) che rimanda al Discorso alla Curia Romana per la presentazione degli auguri natalizi (22 dicembre 2005), in cui si insiste sul fatto che il Concilio non è su una linea di rottura ma di continuità. La sua lettura del Concilio tranquillizza la minoranza di opposizione al Concilio. Molto diversa dalla lettura che fa H. Küng nelle sue Memorie o da quella che fa John O’ Malley nel suo libro What happened at Vatican II. Si veda anche, più breve e davvero illuminante (meriterebbe di essere tradotto!), Vatican II. Did anything happened, N.York, Continuum, 2007, dello stesso John O’ Malley).

In conclusione: Per quanto la Curia si vesta / Finemente di seta... / Complimenti ai lefebvriani! / scolastica resta.

www.adistaonline.it/index.php?op=articolo&id=45856



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