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Un altro articolo di Elio Rindone:
Gli intellettuali italiani e la chiesa cattolica

di Elio Rindone
Nessuno può mettere in dubbio il fatto che la Chiesa cattolica, presente in Italia da duemila anni, abbia avuto un’enorme influenza sulla nostra storia. Ciò non significa però che le sue gerarchie, a differenza di quanto è accaduto per il messaggio evangelico, siano state e siano comunemente apprezzate dalla maggioranza degli Italiani, o almeno dalla maggioranza degli intellettuali. Anzi, una rapida rassegna di alcuni tra i nostri più rappresentativi uomini di cultura attesta esattamente il contrario.

Nel Medioevo il papato, che vuol essere l’autorità suprema a cui è sottomesso l’impero stesso, appare a molti corrotto dalla brama di potere e di ricchezza. Già l’iniziatore della nostra tradizione poetica, Dante Alighieri (1265-1321), nelle sue opere denuncia a più riprese quella brama come causa della decadenza della Chiesa. Nella Divina Commedia, ad esempio, pone in bocca a Pietro una violenta invettiva contro i papi del tempo, lupi che travestiti da pastori sbranano il gregge cristiano invece di custodirlo, portando il papato a livelli di corruzione inimmaginabili: "Quelli ch’usurpa in terra il luogo mio, il luogo mio, il luogo mio ... , fatt’ha del cimitero mio cloaca del sangue e de la puzza ... In vesta di pastor lupi rapaci si veggion di qua sù per tutti i paschi ... o buon principio, a che vil fine convien che tu caschi!"(Paradiso XXVII, 22-23, 25-26, 55-56, 60).

Non meno duro il giudizio di Marsilio da Padova (1275-1343), prestigioso rettore dell’Università di Parigi, che nel Defensor pacis condanna la pretesa ecclesiastica di interferire nelle questioni temporali e si augura che i fedeli riescano ad andare oltre le ingannevoli apparenze per scoprire qual è la realtà della curia papale: "e allora, se mai hanno visitato la curia romana (o, per parlare con verità, la casa di mercanti e l’orribile spelonca di ladri), percepiranno chiaramente che essa è diventata quasi del tutto il rifugio di tutti gli scellerati e di coloro che mercanteggiano sia le cose temporali che quelle spirituali. ... Ivi si fanno piani accurati per invadere delle province cristiane ... ma non vi si vede nessuna preoccupazione e nessun disegno per guadagnare le anime"(II, 16).

Francesco Petrarca (1304-1374), che ad Avignone ha modo di frequentare la corte pontificia ivi da tempo trasferitasi, se ne fa una pessima opinione, tanto da parlarne in qualche sonetto del Canzoniere come di "nido di tradimenti, in cui si cova quanto mal per lo mondo oggi si spande: de vin serva, di letti e di vivande, in cui lussuria fa l’ultima prova ... scola d’errori e templo d’eresia ... fucina d’inganni"(CXXXVI, CXXXVIII). Sul tema il Petrarca ritorna con insistenza nella raccolta di lettere Sine nomine, di cui il poeta tace appunto il nome del destinatario al fine di tutelarne la sicurezza, dato il carattere scottante degli argomenti trattati: alla corte avignonese "l’unica speranza di salvezza è riposta nell’oro ... in essa non risiede alcuna pietà, alcuna carità, alcuna lealtà! In essa regnano l’orgoglio, l’invidia, la lussuria, l’avarizia ... Ho conosciuto per esperienza ... come nulla vi sia di santo, di giusto, di equo, di stimabile, e infine persino nulla di umano ... [Essa è] diventata dimora di demòni, anzi loro regno, perchè essi vi regnano con le loro arti se pure in veste di uomini"(Lettere nn 10; 11; 14; 18).

In numerose novelle del Decameron uno dei nostri maggiori prosatori, Giovanni Boccaccio (1313-1375), ci tramanda un divertente e amaro affresco della Chiesa del suo tempo. Particolarmente incisiva quella che narra di un giudeo che si fa cristiano perché convinto che non può che essere animata dallo Spirito divino una religione che si diffonde nonostante la corruzione della corte papale: "quivi niuna santità, niuna divozione, niuna buona opera ... in alcuno che cherico fosse veder mi parve, ma lussuria, avarizia e gulosità, fraude, invidia e superbia e simili cose e piggiori ... che io ho più tosto quella per una fucina di diaboliche operazioni che di divine. ... Con ogni arte mi pare che il vostro pastore e per consequente tutti gli altri si procaccino di riducere a nulla e di cacciare del mondo la cristiana religione, là dove essi fondamento e sostegno esser dovrebber di quella"(I, 2).

L’Italia del Quattrocento respira già il clima dell’Umanesimo. Il papato non svolge più un ruolo politico di carattere universale ma ciò non significa che voglia dedicarsi ai suoi compiti spirituali. Anzi, è possibile assistere a una crescente mondanizzazione della corte pontificia, il che provoca ulteriori critiche. La Chiesa di Roma è stata infatti il bersaglio costante dell’appassionata predicazione fiorentina del grande riformatore Girolamo Savonarola (1452-1498), che così la rampogna in uno dei suoi sermoni: "Hai profanato i sacramenti con la simonia. La tua lussuria ti ha reso una prostituta. Sei un mostro abominevole. Hai edificato una casa di tolleranza. Ti sei trasformata da cima a fondo in una casa infame. E che cosa fa la prostituta? Fa segno a tutti i passanti: chiunque ha del danaro entra e fa tutto quello che desidera, mentre chi vuole comportarsi bene viene buttato fuori. E così, o Chiesa prostituta, la vergogna di cui ti sei macchiata appare agli occhi dell’intero universo, e il tuo fiato avvelenato è salito fino al cielo".

Sarcastico, invece, il tono usato per parlare della corte pontificia da Nicolò Machiavelli (1469-1527) nei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio: "per gli esempli rei di quella corte questa provincia [l’Italia] ha perduto ogni divozione e ogni religione; il che si tira dietro infiniti inconvenienti e infiniti disordini: perché come dove è religione si presuppone ogni bene, così dove quella manca si presuppone il contrario. Abbiamo adunque con la Chiesa e con i preti noi Italiani questo primo obbligo: di essere diventati sanza religione e cattivi. ... [Chi avesse il potere di spostare la sede pontificia in Svizzera] vedrebbe che in poco tempo farebbero più disordine in quella provincia i rei costumi di quella corte che qualunque altro accidente che in qualunque tempo vi potesse surgere"(I, 12).

Anche Ludovico Ariosto (1474-1533) in una delle Satire denuncia il carrierismo diffuso negli ambienti clericali e la politica nepotistica dei papi, impegnati soprattutto ad assicurare domini temporali ai propri discendenti. Gli ecclesiastici pare che non desiderino altro che di diventare vescovi, e questi cardinali e infine papi. E "Che fia s’avrà la catedra beata? Tosto vorrà gli figli o li nepoti levar da la civil vita privata"(II, 208-210). Quindi far guerra ai signori vicini "per tòrgli Palestrina e Tagliacozzo, e darli a’ suoi, sarà il primo discorso. E qual strozzato e qual col capo mozzo ne la Marca lasciando et in Romagna, trionferà del cristian sangue sozzo. Darà l’Italia in preda a Francia o Spagna chè, sozzopra voltandola, una parte al suo bastardo sangue ne rimagna"(218-225). Tutta la gerarchia ecclesiastica, in poche parole, appare al poeta dominata da ambizione e avidità: "Ho sempre inteso e sempre chiaro fummi che argento che lor basti non han mai o veschi, o cardinali o pastor summi"(232-234).

Perentorio il giudizio che Francesco Guicciardini (1483-1540) formula nelle Considerazioni intorno ai Discorsi del Machiavelli: "Non si può dire tanto male della corte romana che non meriti se ne dica più, perché è una infamia, uno esemplo di tutti i vitupéri e obbrobri del mondo"(XII). E Guicciardini conosce la corte papale dall’interno, avendo svolto a servizio di Leone X e di Clemente VII mansioni di grande responsabilità: "Io non so a chi dispiaccia più che a me l’ambizione, l’avarizia e la mollizie dei preti ... Nondimeno el grado che ho avuto con più pontefici m’ha necessitato a amare per el particulare mio [per la mia carriera] la grandezza loro; e se non fussi questo rispetto, arei amato Martino Luther quanto me medesimo ... per vedere ridurre questa caterva di scelerati a’ termini debiti, cioè a restare o sanza vizi o sanza autorità"(Ricordi, C 28).

Giodano Bruno (1548-1600) è convinto, invece, che nessuna rinascita culturale potrà realizzarsi in Europa senza la lotta contro le chiese cristiane, cattolica luterana o calvinista che siano, perchè tutte ostili al libero pensiero, che vorrebbero sottomettere a insensati dogmi accettati ciecamente per fede. Così, nella Cabala del cavallo Pegasèo, innalza un beffardo inno di lode all’ignoranza tanto amata dalle chiese cristiane: "O sant’asinità, sant’ignoranza, Santa stolticia e pia divozione, Qual sola puoi far l’anime sì buone, Ch’uman ingegno e studio non l’avanza; ... Che vi val, curiosi, il studiare, Voler saper quel che fa la natura ... La santa asinità di ciò non cura, Ma con man gionte e ’n ginocchion vuol stare ... Nessuna cosa dura, Eccetto il frutto de l’eterna requie, La qual ne done Dio dopo l’essequie"(Sonetto in lode de l’Asino). Era inevitabile che con tali idee Bruno facesse una brutta fine: la sua condanna al rogo doveva servire da monito efficace.

Nell’età della Controriforma, infatti, l’incontrastato predominio della Chiesa in Italia non lascia molto spazio alle voci critiche, ma appena la sua autorità comincia a vacillare le accuse riemergono, anzitutto quella che la considera usurpatrice di poteri terreni. Fama europea acquista Pietro Giannone (1676-1748) per le ricerche storiche che gli permettono di mettere in luce le prevaricazioni della Chiesa sul potere temporale, sino a dimenticare la sua missione spirituale. Anzi egli arriva ad affermare che il primato papale non è di origine divina ma è frutto di circostanze storiche, e quindi accidentali: il ruolo che la città aveva come capitale dell’impero, le grandi personalità che occuparono quella cattedra vescovile, le ricchezze e gli onori conferiti da Costantino al vescovo di Roma "queste sono le vere e potissime [più importanti] cagioni della sua [del papa] preminenza sopra gli altri vescovi dell’orbe cristiano. Ma dappoi i pontefici romani non vollero attenersi a queste, ma ... ne inventarono altre [il ruolo attribuito da Cristo a Pietro, e quindi ai suoi successori], sopra le quali s’ingegnarono stabilire e fondar meglio la lor potenza, per poterla poi stendere per tutto il mondo"(Il Triregno, vol. III, Bari 1940, pp 177-178). Si capisce come Giannone, arrestato per le pressioni della curia romana, sia morto in carcere.

Un’altra accusa ricorrente è quella che vede nella Chiesa la nemica della libertà. Così Vittorio Alfieri (1749-1803) argomenta il suo giudizio nell’opera Della tirannide: "La cristiana religione, che è quella di quasi tutta l’Europa, non è per se stessa favorevole al viver libero, ma la cattolica religione riesce incompatibile quasi col viver libero. ... Un popolo che rimane cattolico dee necessariamente, per via del papa e della inquisizione, divenire ignorantissimo, servissimo, e stupidissimo. ... [Infatti] l’autorità illimitata sopra le più importanti cose, e velata dal sacro ammanto della religione, importa e molte e notabili conseguenze; tali, in somma, che ogni popolo che crede od ammette una tale autorità si rende schiavo per sempre. ... Ma questa autorità [esercitata mediante l’Inquisizione] dei preti e dei frati (vale a dire della classe la più crudele, la più sciolta da ogni legame sociale, ma la più codarda ad un tempo) quale influenza avrebbe ella per se stessa, qual terrore potrebbe ella infondere nei popoli, se il tiranno non la assistesse e munisse colla propria sua forza effettiva? Ora, ... dove alligna l’Inquisizione, alligna indubitabilmente la tirannia; dove ci è cattolicismo, vi è o vi può essere ad ogni istante l’Inquisizione: non si può dunque essere a un tempo stesso un popolo cattolico veramente, e un popolo libero"(Libro I, Capitolo VIII).

Nell’Europa dell’Ottocento, in cui si vanno affermando idee liberali, democratiche e socialiste, alle vecchie critiche relative alla corruzione si aggiungeranno ancor più numerose quelle che vedono nella Chiesa un ostacolo al rinnovamento della società. Desolante, sia dal punto di vista culturale che morale, il quadro della Roma pontificia delineato da Giacomo Leopardi (1798-1837). Scrivendo al fratello, il poeta si dice avvilito vedendo "i più santi nomi profanati, le più insigni sciocchezze levate al cielo, i migliori spiriti di questo secolo calpestati..., la filosofia disprezzata come studio da fanciulli" e appare invece divertito quando lo informa di ciò che si raccontava del cardinale Malvasia, che corteggiava le signore del gran mondo "e mandava all’inquisizione i mariti e i figli di quelle che gli resistevano. Cose simili [si dicevano] del Card. Brancadoro, simili di tutti i Cardinali (che sono le più schifose persone della terra), simili di tutti i Prelati, nessuno dei quali fa fortuna se non per mezzo delle donne. Il santo Papa Pio VII deve il Cardinalato e il Papato a una civetta di Roma"(A Carlo Leopardi, 16/12/1822).

Carlo Cattaneo (1801-1869), pensatore politico di orientamento democratico, tra i più originali del nostro Risorgimento, attribuisce agli ecclesiastici la responsabilità di trascurare le parole liberanti del vangelo, abituando così i popoli all’obbedienza servile: "Molti insegnamenti di libertà stanno nell’Evangelio; ma il popolo li ha sempre ignorati perché quello è tesoro del quale i nemici della libertà tengono la chiave. E inoltre vi stanno anche molti precetti di servitù. E questi vengono ripetuti, e degli altri si tace"(Scritti politici ed epistolario, Firenze 1892-1902, p 375).

Anche Luigi Settembrini (1813-1876), patriota e letterato di chiara fama, considera nefasta l’influenza del clero e ritiene che questa influenza dipenda dai beni che la Chiesa possiede in tutta Italia. Egli chiede perciò di privare gli ecclesiastici del loro potere economico: "Togliete loro questi beni che hanno acquistato togliendoli alle vedove, ai pupilli, ingannando i creduli, vendendo il paradiso, ciurmando la buona gente ... I clerici faranno ogni sforzo per conservarli, verranno a tutte le transazioni, si faranno anche maomettani per ritenere i beni che sono la vita, la verità, il Dio vivo e vero per loro"(25 maggio 1865 in Scritti vari, Napoli 1880, p 301).

Sul tema della Chiesa nemica della libertà e sulla conseguente necessità che lo Stato garantisca ai cittadini un’educazione laica Antonio Labriola (1843-1904), il filosofo che ha contribuito alla diffusione in Italia del pensiero di Marx, ritorna in una Lettera al Comitato pisano per le onoranze a Giordano Bruno: "A tenere in vita la nazione e a spingerla sicura per le vie del progresso occorre che gli animi dei cittadini siano emancipati per davvero dal tradizionale servaggio in cui li ha messi la Chiesa e che questa sia ridotta in termini tali da non avere nè forza nè potestà da contendere allo Stato alcuno degli uffici di pubblico educatore"(passo citato in Ernesto Rossi, Nuove pagine anticlericali, Milano 2002, p 137).

Con la nostra carrellata siamo così arrivati al Novecento, ma la situazione non cambia: anzi alle critiche dei liberali si sommano quelle di chi vede nell’alleanza della Chiesa con i ceti privilegiati il tradimento del messaggio originario di solidarietà con gli ultimi. Nella Storia d’Europa nel secolo decimonono Benedetto Croce (1866-1952), un pensatore che ha esercitato un’enorme influenza sulla cultura italiana e che pure riconosceva che non possiamo non dirci cristiani, scrive che "il cattolicesimo della Chiesa di Roma [è] la più diretta e logica negazione dell’idea liberale, e che tale si sentì e si conobbe e volle recisamente porsi fin dal primo delinearsi di quell’ideale, tale si fece e si fa udire con alte strida nei sillabi, nelle encicliche, nelle prediche, nelle istruzioni dei suoi pontefici e degli altri suoi preti, e tale (salvo fuggevoli episodi o giuochi di apparenze) operò sempre nella vita pratica ... [La Chiesa ormai] si restringe a tutrice di forme invecchiate e morte, d’incultura, d’ignoranza, di superstizione, di oppressione spirituale"(Bari 1965, pp 22-23 ).

Proprio il cattolicesimo come è praticato in Italia, scrive lo storico Gaetano Salvemini (1873-1957) in una Lettera a Francesco Luigi Ferrari del 1930, merita l’accusa, che non si può rivolgere alle confessioni riformate dominanti in altri Paesi, di avere una particolare responsabilità nella corruzione morale dei fedeli: "E’ solo dopo essere vissuto in Paesi protestanti che ho capito pienamente quale disastro morale sia per il nostro Paese non il ’cattolicesimo’ astratto ... ma quella forma di “educazione morale” che il clero cattolico italiano dà al popolo italiano e che i papi vogliono sia sempre data al popolo italiano. ... Non darei mai il mio voto a leggi anticlericali (cioè che limitassero i diritti politici del clero cattolico o vietassero l’apostolato cattolico); ma ... se morirò avendo distrutto nel cuore di un solo italiano la fede nella Chiesa cattolica, se avrò educato un solo italiano a vedere nella Chiesa cattolica la pervertitrice sistematica della dignità umana, non sarò vissuto invano"(passo citato in Ernesto Rossi, Il Sillabo e dopo, Milano 2000, p 15).

Per Antonio Gramsci (1891-1937), pensatore italiano tra i più significativi del secolo scorso, il Vaticano è la più grande forza reazionaria esistente in Italia, interessata soprattutto a conservare i suoi privilegi: la Chiesa "è disposta a lottare solo per difendere le sue particolari libertà ... cioè i privilegi che proclama legati alla propria essenza divina; per questa difesa la Chiesa non esclude nessun mezzo, nè l’insurrezione armata, nè l’attentato individuale, nè l’appello all’invasione straniera. Tutto il resto è relativamente trascurabile, a meno che non sia legato alle condizioni esistenziali proprie. Per ’dispotismo’ la Chiesa intende l’intervento dell’autorità statale laica nel limitare e sopprimere i suoi privilegi, non molto di più: essa riconosce qualsiasi potestà di fatto e, purché non tocchi i suoi privilegi, la legittima; se poi accresce i privilegi, la esalta e la proclama provvidenziale"(Note sul Machiavelli, in Quaderni dal carcere, Torino 1952, p 238).

L’Italia repubblicana governata dai democristiani, cui la Chiesa pretende di impartire direttive vincolanti anche in materie temporali che abbiano attinenza con la religione, sembra al giurista Piero Calamandrèi (1889-1956) non uno stato laico ma, come intitola un suo articolo, una Repubblica Pontificia: infatti "i suoi governanti dovrebbero essere soltanto espressione e strumento della sovranità popolare interna, ma in realtà, come appartenenti al più vasto ordinamento internazionale dei fedeli, possono esser regolati da quella suprema autorità esterna [il pontefice], i cui ordini non ammettono discussioni ... Si ha così il singolarissimo fenomeno di una repubblica democratica i cui governanti sono, spiritualmente ma non per questo meno rigorosamente, alle dipendenze di una monarchia assoluta: di un sovrano assoluto che ha il potere di dettar legge ... a uno Stato che formalmente si regge a repubblica"(in Il Ponte, giugno 1950).

Negli stessi anni cinquanta il teorico della nonviolenza Aldo Capitini (1899-1968) indirizza una Lettera all’arcivescovo di Perugia (27/10/1958) in cui esprime la certezza che la Chiesa non potrà mai contribuire alla promozione umana e cristiana della società. Questa convinzione aveva maturato assistendo alla vergognosa alleanza stabilitasi tra il Vaticano e il governo fascista: "A me, mai iscritto al fascismo per fedeltà alla nonviolenza, alla libertà di tutti e alla giustizia nelle strutture sociali, la conciliazione tra il Vaticano e il tiranno, accompagnata da un opulento scambio per anni di favori e di elogi, chiarì per sempre che non ci si poteva aspettare dalla Chiesa di Roma nè lo sviluppo dello spirito cristiano nè la difesa della libertà, della giustizia, della pace"(passo citato in Ernesto Rossi, Nuove pagine anticlericali, Milano 2002, p 345).

Pier Paolo Pasolini (1922-1975) denuncia in alcune poesie il fatto che i cristiani che mettono in pratica il messaggio d’amore del Vangelo non si trovano certo in Vaticano: "Tuttavia, sia pure a parole, non si è mai dimenticata, essa Chiesa, della carità. Anzi, ci sono esempi (tra i piccoli: no, no, non certo qui in Vaticano) di pura carità"(L’enigma di Pio XII). E la commossa partecipazione alle sofferenze degli umili lo induce a lanciare una dura invettiva contro Pio XII: "Ci sono posti infami, dove madri e bambini vivono in una polvere antica, in un fango d’altre epoche. ... Bastava soltanto un tuo gesto, una tua parola, perchè quei tuoi figli avessero una casa: tu non hai fatto un gesto, non hai detto una parola. ... Migliaia di uomini sotto il tuo pontificato, davanti ai tuoi occhi, son vissuti in stabbi e porcili. Lo sapevi, peccare non significa fare il male: non fare il bene, questo significa peccare. Quanto bene tu potevi fare! E non l’hai fatto: non c’è stato un peccatore più grande di te"(A un papa).

Infine Dario Fo (1926), premio Nobel per la letteratura, per esprimere il suo giudizio sulla Chiesa si serve, nel Prologo dell’opera teatrale Mistero buffo (Torino, 2003) che si occupa di Bonifacio VIII, delle parole di un eremita medievale condannato come eretico: Gioacchino da Fiore "aveva detto più o meno: Se vogliamo dare dignità alla Chiesa di Cristo, dobbiamo distruggere la Chiesa [di Roma]. ... E per distruggere la Chiesa non ci basta far crollare le mura, i tetti, i campanili: dobbiamo distruggere chi la governa, il Papa, i vescovi, i cardinali. Un po’ radicale come atteggiamento"(p 261). E, a proposito della scena dell’incontro di Bonifacio VIII con Cristo, non rinuncia a una battuta satirica sul papato in generale: "Quando ho scoperto il frammento che mi ha ispirato la giullarata di Bonifacio, alla descrizione dell’incontro fra Cristo e il pontefice sono rimasto un poco perplesso, ma poi mi sono informato, ho chiesto a storici illustri e mi hanno spiegato che si tratta solo di un anacronismo, classico espediente allegorico delle giullarate medievali. Quindi mi sono assicurato che Cristo non si è mai incontrato con nessun Papa. Ho quindi tirato un bel respiro di sollievo!"(p 388).

Da questa panoramica risulta evidente che, anche se apprezza il messaggio evangelico, buona parte dei nostri maggiori intellettuali - credenti o non credenti, medievali o contemporanei, poeti e filosofi, storici e politici, liberali democratici o comunisti, ma in genere uomini di forte tempra morale e in possesso di strumenti critici che permettono di farsi un’idea non banale della realtà - ha avuto un’opinione estremamente negativa della Chiesa cattolica, e in particolare dei suoi vertici. E’ ovvio che il parere di intellettuali pur numerosi e autorevoli non è un argomento decisivo per provare la validità di una tesi: ma non è sufficiente per suscitare almeno qualche interrogativo?

Certo, anche gli intellettuali possono sbagliare. Il loro giudizio sembra però, in questo caso, confortato da un testo di cui difficilmente la Chiesa potrebbe contestare il valore: la Scrittura. Per il Vangelo di Matteo pare che l’ipocrisia sia la caratteristica principale delle autorità religiose: "Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che rassomigliate a sepolcri imbiancati: essi all’esterno son belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume. Così voi apparite giusti all’esterno davanti agli uomini, ma dentro siete pieni d’ipocrisia e d’iniquità"(23, 27-28).

La realtà che si nasconde sotto apparenza di pietà per l’evangelista è invece ben diversa. E’ un’avidità sempre pronta a sfruttare le esigenze religiose del popolo: "Gesù entrò nel tempio e scacciò tutti quelli che vi trovò a comprare e a vendere; rovesciò i tavoli dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombe e disse loro: La Scrittura dice La mia casa sarà chiamata casa di preghiera ma voi ne fate una spelonca di ladri"(21, 12-13).

Che avesse sostanzialmente ragione il filosofo neokantiano Piero Martinetti (1872-1943) che, anche se con una qualche esagerazione, in un’opera ricca di afflato etico-religioso scriveva: "La chiesa cristiana ha rapidamente deviato dall’insegnamento evangelico e ciò che diciamo "cristianesimo" non è la continuazione fedele dell’opera di Gesù ... Se noi possedessimo gli Acta martyrum di tutti quelli che dal 315 [cioè da quando con Costantino ha inizio l’alleanza della Chiesa con l’Impero] in poi hanno affrontato per la loro fede le persecuzioni delle chiese, allora noi avremmo la vera storia della chiesa di Cristo!"(P. Martinetti, Gesù Cristo e il cristianesimo, Milano 1934, pp 349; 357).

Fonte:
www.ildialogo.org/storia/intellettuali21062004.htm



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"Non spetta alla chiesa decidere se la Scrittura sia veridica, ma spetta alla Scrittura di testimoniare se la chiesa è ancora cristiana" A.M. Bertrand