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IO NON VOTO. Etienne de La Boétie Discorso sulla servitù volontaria

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    00 15/02/2013 13:41
     

    Com’è possibile che tanti uomini sopportino un tiranno che non ha forza se non quella che essi gli danno? Da dove prenderebbe i tanti occhi con cui vi spia se voi non glieli forniste?

    (Etienne de La Boétie, Discorso sulla servitù volontaria).

     

     
     
    Il testo citato, che potete leggere integralmente qui, è del 1500 o giù di lì. Scritto da Etienne de La Boétie, ha in sé il fascino sottile di tutti quei libri che vengono intruppati sotto l’etichetta di “classici”. Sono buoni per tutte le stagioni, per ogni età dell’uomo, per tutte quelle situazioni che incessantemente si ripetono nella storia che sembra incapace di insegnare qualcosa agli uomini che ignari l’attraversano senza acquisire un briciolo di consapevolezza da quello che il passato gli ha rovesciato addosso.
    Tutta la divagazione parte da quella che sembra proprio una domanda retorica.
    Si chiede l’autore:

    “Com’è possibile che tanti uomini sopportino un tiranno che non ha forza se non quella che essi gli danno? Da dove prenderebbe i tanti occhi con cui vi spia se voi non glieli forniste?”
     
    Si può notare subito quindi che sul banco degli imputati non c’è il tiranno ma tutti quelli che a diverso grado sono, consapevolmente o non, suoi complici.

    “Se due, se tre, se quattro cedono a uno solo è cosa strana, ma comunque possibile… Ma se cento, se mille sopportano uno solo, non si dirà forse che non vogliono, e non già che non possono affrontarlo, e che non è per viltà quanto per abiezione e mancanza di dignità?”
     

    In fin dei conti il tiranno è uno, mentre gli asserviti sono milioni e allora non può essere una questione di paura. Certo, chi si presenta come tiranno è molto più risoluto dei molti che lo dovrebbero soverchiare, ma non può essere solo un mero rapporto di forza fisica il motivo del suo dominio.

    È il castello che lo sorregge che gli dà la forza.

    Risiede nella servitù volontaria il piedistallo che gli permette di dominare incontrastato.
    È quindi sul consenso di molti che fonda la sua potenza.

    Il tiranno costruisce intorno a sé, meglio dire sotto di sé, una piramide di solidarietà perversa che gli permette di avere non due ma milioni di occhi che gli permettono di invadere tutti gli spazi. Di avere non due ma milioni di braccia pronte ad agire ed eventualmente reprimere le minoranze lunatiche che ipotizzano ribellioni. Gli strumenti per creare questa piramide di consenso e connivenze sono vecchi come il cucco ma sempre micidiali. Prebende, titoli onorifici, guadagni facili, poteri distribuiti con saggezza perversa e che garantiscono una forza inimmaginabile per uno solo e che sono il privilegio di chi sceglie di far parte di questo meccanismo che si fa sempre più pervasivo.

    “Insomma grazie  a favori o vantaggi, a guadagni o imbrogli che si realizzano con i tiranni, alla fin fine quelli cui la tirannide sembra vantaggiosa quasi equivalgono a quelli che preferirebbero la libertà”.

    “coloro che sono rosi da sfrenata ambizione e da non comune avidità, si raccolgono attorno a lui e lo sostengono per avere parte al bottino e comportarsi a loro volta da tirannelli sotto il grande tiranno”.
     
    Come non leggere negli ultimi avvenimenti convulsi della nostra patria storia un’attualizzazione di quanto scritto cinquecento anni fa? Certo non è facile riconoscere in Monti il tiranno classico. Ma se si pensa alla sua presa di potere, coincidente con lo svuotamento terminale degli ultimi vagiti politici dei nostri partiti.

    Se si pensa ai beneficiati dal tiranno, che oltre a non incidere, se non marginalmente e strumentalmente, sui loro privilegi, ne rinsalda altri offrendo allo strapotere di banche, finanzieri, imprenditori, politici fiancheggiatori, boiardi statali e dirigenti ministeriali nuove forme di prebende (non ultima quella di scaricare tutto l’onere della crisi sulle tasche esangui di coloro che a vario titolo non sono inseriti nel circolo vizioso della connivenza al tiranno).

    Anche gli strumenti sono analoghi e tra questi l’ultimo e più subdolo: quello del ricatto. Una volta dettata (stravolta?) la verità, che ci vuole o consenzienti o condannati al baratro, al default, alla Grecia, la condizione capestro è quella di seguire muti il volere del tiranno o farsi corresponsabili del disastro.
    Il ricatto potenziato dalla riprovazione sociale per i dissenzienti, visti come degli immorali, è un’arma letale.

    Se si pensa a tutto questo, non si può che ravvisarne analogie con quanto indicato da de La Boétie che, tuttavia, non propone alcuna ricetta per il cambiamento del potere, ciò che gli sta a cuore è la presentazione in tutta la sua ampiezza e profondità di una situazione paradossale ma resa tuttavia quasi ovvia della vita di ogni uomo: l’accettazione spontanea della subordinazione. Il “Discorso sulla servitù volontaria” è più una condanna dei servi che dei tiranni; De La Boétie sostiene che i tiranni detengono il potere in quanto sono i sudditi a concederglielo. 
     
    E allora, ce l’abbiamo, noi, la soluzione? Come si fa a smettere di essere servi, a delegittimare il potere?

    Che si pensi possibile un cambiamento sociale da attuarsi con la non-violenza, mediante una riforma, o con la violenza, mediante una rivoluzione, resta il fatto che il primo passo da compiere per chi vuole farla finita con questo mondo è di corrodere il consenso su cui si fonda l’attuale ordine sociale. Un consenso costruito quotidianamente, nei mille luoghi della riproduzione sociale, senza che neanche ce ne accorgiamo, attraverso un comportamento abitudinario.
    Giorno dopo giorno veniamo allevati ad essere obbedienti, addestrati ad essere rispettosi, istruiti ad essere sottomessi. Questo consenso dev’essere alimentato di continuo perché è friabile e si sbriciola con facilità. Basta osservare cosa accade nelle mille lotte che nascono per contrastare i soprusi compiuti da chi detiene il potere, allorquando onesti cittadini si trasformano in arrabbiati ribelli nello spazio di un respiro. È però innegabile che esiste un momento particolare, in cui il consenso viene convocato a manifestarsi pubblicamente in pompa magna: le elezioni.

    Appuntamento simbolico, è vero, ma quanto significativo!

    Quale più dolce spettacolo per chi ci governa che vedere file ordinate di elettori giunti a deporre il loro obolo nelle apposite urne? E quanto desolante sarebbe per costoro assistere alla diserzione di massa dal ruolo che ci hanno assegnato, quello del cittadino sfinito ma rassegnato a compiere il proprio inesistente dovere! Un piccolo gesto di libertà che spalancherebbe la porta a molti altri.



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    00 15/02/2013 13:42


    Qualunquisti e consenso

     
    Qualunquisti, ecco quel che siamo noi astensionisti. Qualsiasi politico, qualsiasi livrea indossi, ve lo potrà testimoniare. Il rifiuto della politica, il non-voto, è a suo dire sinonimo di indifferenza nei confronti delle questioni sociali.

    Che assurdità!

    Già il pulpito da cui parte una simile accusa non è dei migliori, appartenendo a chi ha dimostrato di avere a cuore solo la propria carriera politica.

    Non sono gli elettori a varare leggi ad personam, non sono loro ad aver lasciato accumulare tonnellate di spazzatura nelle strade di Napoli. Ma poi, a ben riflettere, è vero l’esatto contrario.

    Il qualunquismo è quello di chi affida le decisioni riguardanti la sua vita a qualcun altro, ad un estraneo, sapendo in anticipo che questi tradirà la sua fiducia.

    Il qualunquismo è la delega della propria volontà e della propria capacità decisionale.

    Il qualunquismo è questa stolta passività che porta ogni tot anni l’elettore a mettere una croce sopra le proprie aspirazioni, abdicando alla possibilità di metterle in atto in maniera autonoma. A cosa serve un delegato, un rappresentante, se non a permettere all’elettore di non occuparsi in prima persona delle questioni sociali? Elettore, sei tu il qualunquista.

    L’indifferenza degli astensionisti, degli astensionisti consapevoli per lo meno, è indirizzata esclusivamente a quanto accade in alto, ai piccoli e grandi giochi di potere che travagliano la vita del Palazzo. L’astensionismo esprime una «indifferenza creatrice», un «nulla creatore» del tutto salutari: la tabula rasa di ciò che è che apre la porta a ciò che potrebbe essere.
     


    Che si pensi possibile un cambiamento sociale da attuarsi con la non-violenza, mediante una Riforma, o con la violenza, mediante una Rivoluzione, resta il fatto che il primo passo da compiere per chi vuole farla finita con questo mondo è di corrodere il consenso su cui si fonda l’attuale ordine sociale. Un consenso costruito quotidianamente, nei mille luoghi della riproduzione sociale, senza che neanche ce ne accorgiamo, attraverso un comportamento abitudinario. Giorno dopo giorno veniamo allevati ad essere obbedienti, addestrati ad essere rispettosi, istruiti ad essere sottomessi. Questo consenso dev’essere alimentato di continuo perché è friabile e si sbriciola con facilità. Basta osservare cosa accade nelle mille lotte che nascono per contrastare i soprusi compiuti da chi detiene il potere, allorquando onesti cittadini si trasformano in arrabbiati ribelli nello spazio di un respiro. È però innegabile che esiste un momento particolare, in cui il consenso viene convocato a manifestarsi pubblicamente in pompa magna: le elezioni. Appuntamento simbolico, è vero, ma quanto significativo! Quale più dolce spettacolo per chi ci governa che vedere file ordinate di elettori giunti a deporre il loro obolo nelle apposite urne? E quanto desolante sarebbe per costoro assistere alla diserzione di massa dal ruolo che ci hanno assegnato, quello del cittadino sfinito ma rassegnato a compiere il proprio inesistente dovere. Un piccolo gesto di libertà che spalancherebbe la porta a molti altri.
     
    «Siate dunque decisi a non servire mai più e sarete liberi… [il tiranno] basta che non lo sosteniate più e lo vedrete crollare a terra per il peso e andare in frantumi come un colosso a cui sia stato tolto il basamento»

    Etienne De La Boétie