Nel modo in cui molti intellettuali cattolici, anche di spirito illuminato, discutono la questione della cosiddetta, o pretesa, ingerenza della Chiesa negli affari italiani (non parlo di affari in senso economico, anche se la vicenda dell’Ici lo richiederebbe), sono visibili alcuni pregiudizi che non si possono non rilevare.
Primo: l’idea che l’esito del recente referendum sulla procreazione assistita sia una “vittoria della Chiesa” (così Franco Garelli, La Stampa del 10 ottobre), che a sua volta sarebbe un aspetto del più generale crescente consenso che la Chiesa si sta guadagnando nell’opinione pubblica. Ma davvero? Corrisponde a questa “vittoria” una maggiore frequentazione della Messa domenicale e dei Sacramenti? A noi, francamente, non pare.
L’esempio dei giovani papa-boys che delirano per Giovanni Paolo II a Tor Vergata e poi lasciano sul terreno montagne di preservativi usati dovrebbe per lo meno indurre qualche sospetto; non sulla buona “fede” di quei giovani, ma sul carattere mediatico e spettacolare dei recenti “trionfi” dei papi.
Per non insistere sul fatto che annettersi semplicemente l’astensione dal voto referendario come se fosse l’obbedienza positiva a un invito o a un comando etico rasenta pericolosamente l’impudenza.
Ma il secondo pregiudizio è molto più grave e infondato di questo. Si crede di poter dire che il pensiero laico, davanti ai grandi problemi della vita, è come muto e incapace di formulare proposte di soluzione (qui, ahimè, si fa il verso alla destra che rimprovera alla sinistra di non avere progetti “positivi”.
Ma rovesciare Berlusconi e cancellare le leggi vergogna che ha imposto al Paese non è, per l’intanto, un programma sufficiente?).
Il colmo è poi sostenere che il pensiero laico “si ripiega sull’esistente”, dove sotto questa categoria si includono tutte le legittime aspirazioni di liberazione e di riconoscimento di diritti che accomunano coppie di fatto, credenti divorziati, omosessuali non seminaristi, teologi della liberazione, e chi più ne ha più ne metta. Perciò, il pensiero laico dovrebbe “aumentare il suo livello di riflessione e di proposta” (cito sempre Garelli).
Ma per innalzarsi dove?
All’altezza di una cultura cattolica che non batte ciglio davanti alla ripresa delle indulgenze, al ritorno della scomunica, che quando può esclude dai programmi scolastici il darwinismo, che pensa ancora di imporre la sua morale sessuofobica e nevrotizzante (i preti pedofili non li hanno inventati i laici) in nome di una “natura” che sarebbe stata corrotta dal peccato originale (commesso da due mitici progenitori con cui non abbiamo nessuna responsabilità da spartire), al quale si fanno risalire, come necessaria e giusta espiazione, tutti i mali anche sociali che la Chiesa non ha mai, o quasi, voluto combattere efficacemente, in nome della “tranquillità dell’ordine”?
Come ci insegnano i nuovi cantori della durezza e perentorietà dei valori religiosi (Bush, Giuliano Ferrara e compagnia) i laici farebbero bene a smetterla con tutto questo buonismo, che induce anche cattolici non bigotti a non vergognarsi di questa chiesa; della quale, per fortuna, tanti credenti si curano sempre meno.
Gianni Vattimo
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“Non esiste delitto, inganno, trucco, imbroglio e vizio che non vivano della loro segretezza. Portate alla luce del giorno questi segreti, descriveteli, rendeteli ridicoli agli occhi di tutti e prima o poi la pubblica opinione li getterà via. La sola divulgazione di per sè non è forse sufficiente, ma è l'unico mezzo senza il quale falliscono tutti gli altri”.
Joseph Pulitzer (1847-1911), Fondatore Premio Pulitzer