Riguardo al Sacramento della Confessione:
la confessione dei peccati
A cura di frà Tommaso Maria di Gesù dei frati minori rinnovati
Via alla Falconara n° 83 - 90100 Palermo - Tel. 0916730658
Non cattolico. Voi cattolici dite che la confessione è un sacramento istituito da Gesù Cristo, che i sacerdoti sono incaricati di assolvere i peccati e che i fedeli devono confessare i loro peccati almeno una volta l'anno. Noi invece diciamo che è stato il papa Innocenzo III, che per primo si attribuì il titolo blasfemo di "Vicario di Cristo", il quale al IV Concilio Lateranense del 1215, impose l'obbligo della confessione auricolare almeno una volta l'anno.
Cattolico. Noi cattolici, seguendo la S. Scrittura, la storia della Chiesa e la stessa ragione umana, rimaniamo sempre più sbalorditi di fronte alle affermazioni dei contestatori perché le loro obiezioni stravolgono, stranamente, tutte le realtà relative al Sacramento della Confessione. Una sola cosa ci appare di una certa logicità e cioè: che i nostri fratelli non cattolici, avendo ereditato dai loro “capostipiti" come sistema razionale la "protesta" contro la Chiesa cattolica, essi ne fanno largamente uso, anche irrazionalmente e forse anche senza rendersene completamente conto.
Infatti, spesso i nostri fratelli non cattolici affermano di volersi attenere strettamente alla S. Scrittura, ma poi, poiché il Cattolicesimo è tutto basato sulla S. Scrittura, e poiché essi lo contestano e lo rifiutano, "sono costretti", per una certa loro coerenza, a cercare o ad inventare ragioni per dimostrare che la Chiesa cattolica non si attiene strettamente alla Parola di Dio.
Non è difficile rispondere alle obiezioni dei non cattolici. Infatti:
1. Il Vangelo è molto chiaro e non ammette false interpolazioni. Esso suona così:
a) Gv 20,19-23: “La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato,... venne Gesù... e disse: “Pace a voi...” Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi”. Dopo... alitò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi".
Non credo che occorra molto spremersi le meningi per capire che Gesù abbia voluto istituire, con queste parole, il Sacramento della Penitenza. Basta leggerle e pronunziarle devotamente per capirne l'importanza e la solennità. Non c'è dubbio: "come il Padre ha mandato me, così io mando voi". E' chiaro che agli Apostoli che ascoltano viene affidata da Gesù la stessa missione che il Padre ha affidato a Lui. Si, sono cose sorprendenti, inaudite, quasi incredibili. per la mente umana. A degli uomini viene affidata la potestà di Cristo-Dio: quella cioè di rimettere i peccati!...
b) Mt 16,18-29: “... E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi dei regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli”.
Anche qui non credo che sia necessario spremere troppo le proprie meningi. Le parole sono molto chiare e solenni e sono una promessa.
c) Mt 18,18: “In verità vi dico: tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo".
Sono difficili queste parole? Non mi sembra proprio, esse sono chiarissime e precise. Anche qui, come a Pietro, Gesù fa una promessa che si sarebbe realizzata.
Non cattolico. Ma quando si realizzò questa promessa? Dimmelo.
Cattolico. Io ti ho citato prima Gv 20,19-23, perché Gesù con le sue parole, dopo la risurrezione, istituiva il Sacramento e, quindi, adempiva la promessa fatta a Pietro e agli altri apostoli quando disse: “tutto ciò che legherai...", "tutto ciò che legherete"... “sarà sciolto anche in cielo".
Non cattolico. Ho già detto che la storia, contrariamente a quanto affermi, ci dice che fu il papa Innocenzo III ad imporre l'obbligo della confessione, perché le parole da te citate hanno un altro significato.
Cattolico. Il dire che papa Innocenzo III, nel Concilio Lateranense IV (1215), abbia istituito il Sacramento della Penitenza è una grossolana falsità. Chi lo afferma o ignora, o vuole ignorare tutta la storia precedente in merito alla confessione. Innocenzo III non fece che disciplinarne l'uso, comandando che tutti i cristiani si confessassero almeno una volta l'anno sotto pena di incorrere in certe censure della Chiesa. Si vede chiaro che in quell'epoca molti cristiani si confessavano raramente, ed il papa intervenne giustamente.
Per far comprendere il vero significato delle parole "almeno una volta l'anno" a certi penitenti, io faccio questo discorso: "Supponi che dopo che ti sei sposato, nei primi tempi vai spesso a far visita ai tuoi genitori. Passando del tempo ci vai più raramente; dopo ancora altro tempo, fai passare dei mesi e poi anche oltre un anno senza recarti da tuo padre e tua madre. Il che provoca, certamente, dispiacere e risentimento nei tuoi genitori, i quali, rammaricati, ti dicono: “figlio mio, se tu non vieni almeno una volta l'anno a farci visita, noi non ti riteniamo più nostro figlio, né ti daremo, nella divisione dell'eredità, tutto quello che avremmo voluto darti”. A questa minaccia, tu ti decidi di andare a far visita ai tuoi genitori almeno una volta l'anno.
Ora ti domando: Un figlio che va a trovare i genitori solo una volta l'anno e di più, per non perdere alcuni beni materiali, secondo te, ama i propri genitori?
Ecco la risposta che mi è stata sempre data: "No". Un figlio che agisce cosi non ama i suoi genitori. Ebbene, concludo io, anche tu, confessandoti una volta l'anno, non ami Gesù, non ami la tua anima, sei preso principalmente, solo dalle cose materiali.
Quando la Chiesa ci dice di “confessarci almeno una volta l'anno", non ci dà un consiglio, ma ci fa una minaccia.
Non cattolico. Io, parlandoti di Innocenzo III, mi riferisco proprio alla storia. Fu lui che obbligò a confessarsi.
Cattolico. Della storia tu conosci solo una parte. Infatti, ignori:
a) che negli Atti degli Apostoli (19,18) è scritto: "Molti di quelli che avevano abbracciato la fede venivano a confessare in pubblico le loro pratiche magiche";
b) che l'apostolo Giovanni (1 Gv 1,9) ci dice che: "Se riconosciamo (=confessiamo) i nostri peccati, Egli che è fedele e giusto, ci perdonerà e ci purificherà da ogni colpa";
c) che alcuni passi delle lettere paoline sembrano sottintendere la dottrina e la prassi penitenziale:
- 1 Cor 5,3-5: "Orbene, io, assente con il corpo, ma presente con lo spirito, ho già giudicato come se fosse presente colui che ha compiuto tale azione... nel nome del Signore... con il potere del Signore nostro Gesù, questo individuo sia dato in balia di Satana per la rovina della sua carne, affinché il suo spirito possa ottenere la salvezza nel giorno del Signore".
- 2 Tes 3,14-15: "Se qualcuno non obbedisce a quanto diciamo per lettera, prendete nota di lui e interrompete i rapporti, perché si vergogni; non trattatelo però come un nemico, ma ammonitelo come un fratello".
- Tt 3,10-11: “Dopo una o due ammonizioni sta lontano da chi è fazioso, ben sapendo che è gente ormai fuori strada e che continua a peccare condannandosi da se stesso;
- 2 Cor 2,18-20. In questo passo S. Paolo è più esplicito e le parole sono abbastanza chiare e precise: "Dio ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. Noi fungiamo da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro".
Non cattolico. Dal momento che tu insisti, io ti dirò che proprio un altro papa, S. Clemente I, romano, molto prima di Innocenzo III nello scrivere ai Corinzi, dice quello che diciamo noi. Ecco le sue parole: “Il Signore nulla esige dagli uomini se non una confessione fatta a Lui" (Clemente Romano, Epist. I ad Cor., 52; cit. da: H Ch. Lea, Storia della confessione auricolare e delle indulgenze nella Chiesa latina, 1911, p. 211).
Cattolico. Anch'io insisto e ti dirò che il Papa S. Clemente (88-97) nella sua lettera ai Corinzi (scritta nel 95) dice tante belle cose.
La lettera di S. Clemente Romano ai Corinzi è un documento storico di grande portata. “E’ un capolavoro che racchiude valori espressivi e contenuti dottrinari che da soli potrebbero costituire gli elementi di una teologia completa dell'epoca". (cf “I Padri Apostolici”, 7° Ed., Città Nuova, 5° Vol., p. 43). A Corinto, comunità fondata dall'Apostolo Paolo, si verificarono delle sedizioni di una certa gravità al punto che i dissidenti deposero i presbiteri. Il papa Clemente interviene con tatto quasi materno per calmare gli animi. Il suo linguaggio, informato ai sensi biblici e alla realtà spirituale, tende sempre all'universale. Esorta i responsabili della sedizione a correggersi deponendo ogni superbia, e a ricordarsi su quello che comporta il nome santo e glorioso di cristiano.
Fatta questa premessa, la frase da te citata suona propriamente così: “Fratelli, il Signore dell'universo non ha bisogno, non cerca nulla da nessuno tranne che si faccia a Lui la confessione" (52, 1).
Prima di scrivere queste parole, in 51,3 dice: "E' meglio per l'uomo confessare le sue colpe che indurire il suo cuore..."
Seguendo sempre la lettera-omelia di Clemente in 57,1-2 scrive: “Voi che siete la causa della sedizione sottomettetevi ai presbiteri e correggetevi con il ravvedimento, piegando le ginocchia dei vostro cuore. Imparate ad assoggettarvi deponendo la superbia e l'arroganza orgogliosa della vostra lingua. E' meglio per voi essere trovati piccoli e ritenuti nel gregge di Cristo, che avere apparenza di grandezza ed essere rigettati dalla sua speranza”.
In queste ultime frasi è difficile vedervi soltanto un’esortazione a sottomettersi ai sacerdoti: è più facile vedere nelle parole di Clemente un chiaro riferimento alla Confessione, perché è propriamente questa la dottrina cattolica del Sacramento della Penitenza.
Il monito che talora si legge nei Padri, di confessare i peccati solo a Dio, quando non si riferisca alle colpe quotidiane che si possono espiare con la preghiera (cf Agostino, D e Symbolo, sermo I ad catechumenos, 7,15; Serm., 9,11), indica la confessione da farsi in segreto, in opposizione a quella pubblica (cf G. Crisostomo, De Lazaro, Hom., 4,4); e ciò con tanta più ragione in quanto, temendo i Padri che nella riconciliazione del peccatore il sacerdote agisce come strumento e ministro del Signore (cf Ambrogio, De paenit., 1, 8934-37; , Paciano, Epist., 1,6 e 3,7; Crisostomo, In Joan. hom., 87,4) potevano essi con ragione, fermando la considerazione sull'agente principale, parlare della Confessione come se dovesse farsi solo a Dio.
In realtà, che la Confessione fatta a Dio non escludesse l'intervento del sacerdote è confermato sia dalle esortazioni, che si leggono negli scritti dei Padri, rivolte al ministro della confessione, perché accolgano benevolmente i peccatori; sia dalla preoccupazione costante che gli stessi Padri manifestano di essere ministri idonei della penitenza, con il sanare le malattie (= peccati) dei fedeli che mediante la Confessione venivano loro manifestate, e con il proporzionare la penitenza alla diversa specie dei peccati
(cf Cipriano, Epist. 59, 15-16; Paciano, Paraenes. ad paenit., 8; Gregorio di Nazianzo, Orat. 2 Apologetica, 16-33; Crisostomo, De Sacerdotio, 2, 24).
Non cattolico. Io sto alle parole dette da.papa Clemente, esse sono inequivocabili:
“Il Signore nulla esige dagli uomini se non una confessione fatta a Lui".
Cattolico. So bene che il non cattolico, quando può, si attacca ad una frase, ad una parola, pur di difendere le sue opinioni, ma la storia è storia e bisogna tenerne conto ed ascoltarla.
Non cattolico. Io ti sto ascoltando. Hai finito?
Cattolico. Sulla storia della Confessione ho ancora da riferirti molte cose.
Anzitutto voglio dire, come risulta dalla storia e dalla logica, che l'istituzione del Sacramento della Penitenza, per il suo carattere psicologico e giudiziario, fu in grado di adottare costantemente, nel corso dei secoli, la procedura voluta dalla durezza dei costumi oppure dalla sensibilità religiosa del tempo. Il diritto di rimettere o di ritenere i peccati, di accordare o rifiutare al fedele la partecipazione all'Eucaristia attuò ancora una volta la legge, che si verifica tanto spesso nel Cattolicesimo, della continuità del principio nel multiforme sviluppo della vita feconda e generosa. Certamente il potere delle chiavi è rimasto quale lo aveva istituito Gesù Cristo; e tuttavia, salvando tale sostanza, come dice il Concilio di Trento, si conformò ai diversi bisogni delle anime, ai diversi climi e alle successive civiltà. Diventò un metodo, un’educazione, un'ascesi; e, ogni volta che fu necessario, assunse una forma nuova, imprevista, utile, benefica. E per aver dato la pace a tante e cosi varie coscienze, non è invecchiato e continua a piegarsi alle nostre esigenze spirituali al fine di soddisfarle.
La Chiesa, forse un pò spaventata dai propri diritti, forse un pò stupita che “Dio avesse dato un tale potere agli uomini” pare esitasse a servirsi troppo spesso di un'arma nuova e tagliente.
Le coscienze di allora, tanto fervide quanto semplici, forse non avevano ancora bisogno di cure troppo speciali. Venivano dal mondo giudaico e da quello romano e nessuno dei due era pronto per fare esami di coscienza particolareggiati. La ragione giudaica più fedele che tenera, più esatta che inquieta, conosceva "il cuore contrito e umiliato", ma ne esponeva i dettagli solo a Dio; riposava più sopra un largo fondamento di speranze nazionali e religiose, su un dogmatismo duro e irriducibile, un proselitismo implacabile che non sopra delicatezze mistiche e confessioni precise, e se soffriva di scrupoli erano troppo spesso scrupoli di farisei. Quanto ai Gentili, Greci e Romani nulla li disponeva direttamente a quello che noi chiamiamo Sacramento della Penitenza, o Confessione o Riconciliazione.
Gli antichi solo a stento manifestavano le loro anime, che d'altronde conoscevano appena. Il Cristianesimo, perseguitato per oltre tre secoli, non, aveva ancora iniziato il grande lavoro per far rientrare le anime nella loro interiorità. La religione rimaneva un dovere o un'estasi, una fede o una morale; sotto le pressione del Vangelo essa doveva divenire un'ascesi e una confidenza, un esame e una confessione. Il Sacramento avrebbe attuato il grande cambiamento, e finché non fosse compiuto, s'accontentava di abituare il fedele a rendere conto davanti alla comunità delle grandi linee della sua coscienza.
In quell'epoca la Penitenza è soprattutto una liturgia, lunga e austera, monotona e un pò teatrale; colpiva soprattutto i sensi esteriori.
Nei secoli successivi soprattutto il progresso dell'ascetismo volgarizzò ed estese l'uso della istituzione penitenziale: medicina severa per i peccatori, diventò a poco a poco un rimedio preventivo per le anime ferventi. Da sanzione disciplinare qual'era e rimase, divenne un esercizio ascetico. L'evoluzione probabilmente è dovuta ai monaci. Crebbe il numero di coloro che si accostavano al sacramento, che però dovette farsi più discreto; per essere frequentato, dovette farsi meno visibile. Era l'epoca in cui la spiritualità occidentale, erede delle esperienze religiose che avevano sovvertito e poi pacificato la grande anima di Agostino, si metteva per sempre alla scuola di questo grande penitente il quale aveva avuto il sentimento del peccato più di tutti i Padri anteriori (cf Enciclopedia Apologetica, Ed. Paoline, V Ediz., pagg. 508-509.)
Non cattolico. Io ti ringrazio per tutte queste belle notizie che mi dai, però esse sono piuttosto parole e opinioni, mentre io ti chiedevo una storia più concreta e documentata sulla confessione.
Cattolico. Non pensare che quanto ti ho detto finora sia opinione e basta. Nel riferirti certi giudizi ho anche fatto delle citazioni di autori ben noti tra i Padri della Chiesa, come Agostino, Ambrogio, Paciano.
Rispondendo alla tua richiesta di storia documentata, ti segnalo quanto appresso.
a) Che la Chiesa antica abbia avuto in uso la Confessione, risulta dalle seguenti constatazioni.
E' noto che la penitenza era determinata dal sacerdote, il quale, prima di imporla, doveva tener conto della natura e della gravità della colpa, delle condizioni personali del reo, delle circostanze in cui era stato commesso il peccato. Viene attestata tale prassi, tra gli altri, da Agostino (Serm., 351,9), da Innocenzo 1 (Ep. ad Decentium, 7), da Gregorio Magno (In Evang. hom., 26). Ma evidentemente ciò supponeva l'uso della confessione da parte del penitente. Difatti, tale previa confessione è ricordata da papa Cornelio (251-253) scrivendo della riconciliazione da lui fatta di alcuni novazionisti (Ep. Cornelii ad Cyprianum: PL 3,718-22). E' ricordata dalla Didascalia degli Apostoli in occasione del diverso modo in cui venivano riconciliate alcune determinate specie di peccatori (2,16-18; 38-41; 42-43).
Cipriano, poi, ci fa sapere che alcuni fedeli, pur avendo solo pensato di sacrificare agli idoli, tuttavia "confessando ciò con dolore e semplicità ai sacerdoti di Dio, fanno l'esame della coscienza, manifestano il peso dell'anima loro, cercano un rimedio salutare alle ferite" (De Lapsis, 28). Il che dimostra come anche dei peccati commessi solo internamente ora in uso fare la confessione.
Da parte sua, Tertulliano, già montanista, ci attesta la consuetudine dei fedeli di ottenere dal vescovo il perdono dei peccati meno gravi e più facile a commettersi (De Pud., 18,17; 19,23-24): evidentemente dopo che il vescovo ne ha avuto notizie mediante la confessione.
Né sono infrequenti le recriminazioni dei Padri contro quei fedeli, i quali, mentre confessano al sacerdote i propri peccati, tuttavia si astengono poi dal fare la penitenza che viene loro imposta. Così, per es., Ambrogio (De paenit., 2,9.86 e 10,91), Paciano (Paraenesis ad paenit., 8), Asterio di Amasea (Hom.: PG 40,368).
b) Alla prassi dei fedeli di confessare i propri peccati dà saldo fondamento dottrinale l'insegnamento dei Padri e degli scrittori ecclesiastici sulla necessità della confessione. Esplicita, infatti è la loro affermazione che, per la remissione dei peccati è dei tutto richiesta la confessione al sacerdote: cf Cipriano: “Confessi ciascuno il proprio delitto, mentre chi peccò è ancora nel mondo, mentre può ammettersi la sua confessione, mentre la soddisfazione e la remissione per opera dei sacerdoti è grata presso il Signore" (D e Lapsis, 29); Origene (11n Levit. homil., 3,4); Ambrogio di cui è detto: “Il peccato è veleno, il rimedio è l'accusa dei proprio crimine; veleno è l'iniquità, la confessione è il rimedio della caduta" (In ps., 27,11); Girolamo, il quale afferma che è ufficio dei sacerdoti della Nuova Legge legare e sciogliere, non già ad arbitrio, ma solo “dopo udite la varie specie dei peccati” (In Matth., 3,16,19); Agostino (Serm., 351,10); Leone Magno, il quale scrive che la norma della Chiesa è di concedere la penitenza solo a quanti confessano le proprie colpe (Epist., 108,2).
c) Ma in altro modo ancora insegnano i Padri la necessità della Confessione; e cioè, con il descrivere il processo penitenziale in analogia o alla risurrezione di Lazzaro o alla guarigione delle malattie corporali.
Come a Lazzaro fu detto “Vieni fuori" (Gv 11,43) e quindi fu sciolto dalle fasce che lo tenevano legato, così è necessario che il peccatore metta fuori, cioè, manifesti le sue iniquità mediante la confessione, perché possa essere quindi sciolto dai ministri della Chiesa: cf Ambrogio (Depaenit., 2,7,57-58); Agostino (Enarr. in ps, 10 1, 2, 3; Serm., 67, 1,2; In Joan. tract., 22,7).
Inoltre, come per ottenere la guarigione dal medico bisogna innanzitutto fargli conoscere la malattia, così per essere guarito dal peccato bisogna manifestarlo al sacerdote con la confessione: cf Origene (In Ps., 37, hom., 2,6), Afraate (Demonstr., 7: De paenitentibus, 2-3).
d) E' da rilevare che nella Chiesa antica la cosa più grave ed impressionante che costituiva la maggiore difficoltà per il peccatore, non era l'accusa dinanzi al sacerdote, ma la penitenza. Tanto è vero che parecchi si confessavano, chiedevano ed ottenevano la penitenza, ma poi non avevano il coraggio e la forza di compierla.
Si comprende allora che i pastori di anime insistano tanto sulla penitenza e poco sulla confessione: contrariamente a quanto avviene oggi, quando, costituendo la manifestazione dei peccati, per molti cristiani, l'ostacolo principale, è su di essa che insiste la predicazione, senza peraltro pensare che la Chiesa non richieda più la penitenza o la contrizione del cuore.
Che poi i Padri intendevano per confessione la manifestazione dei peccati al sacerdote, si deduce dall'insistenza cori la quale essi inculcano che la confessione deve essere fatta in Chiesa, deve essere orale, deve riguardare i singoli peccati, né deve lasciarsi il peccatore vincere dal timore di arrossire nello svelare le proprie iniquità (cf Ambrogio, De paenit., 2,7,57; In ps., 37,57; Crisostomo, Hom. 2 de paenit., 1; De Lazaro, hom., 4, 4; Hom. non esse ad gratiam contionandum, 3): ammonizioni queste che non si comprenderebbero qualora si trattasse di confessione fatta solo a Dio, come ho già detto precedentemente (cf Enc. Cattolica) .
Non cattolico. Hai finito con la storia?
Cattolico. Credo di aver detto tanto quanto basti a dimostrare sufficientemente che la Confessione va fatta, si, a Dio, ma tramite il ministro designato, e che Innocenzo III non fu lui a stabilire la confessione dei peccati, ma ne regolò alcune norme.
Non cattolico. Io ho ancora da farti presenti molte cose sull'argomento della confessione.
a) Dalla storia sappiamo invece che il colpevole di qualche scandalo o peccato doveva umiliarsi a confessare pubblicamente quella sua colpa, e non certo tutti i suoi peccati.
b) Dopo le persecuzioni, molti cristiani che avevano avuto la debolezza di abiurare, domandavano di essere riammessi alla Chiesa. Si trovò, allora più pratico, anziché far comparire costoro davanti a tutta l'assemblea, di delegare un penitenziere ad ascoltare i penitenti. Era naturale che, contemporaneamente alla istituzione dei penitenzieri, i fedeli si confidassero con i loro ministri. Questi cominciarono a dire che la pratica è buona, anzi consigliabile. Ma quando, nel 1215, il papa Innocenzo III decretò l'obbligo della confessione, sollevò l’opposizione più violenta del popolo” (H CH. Lea, Storia della confessione auricolare e delle indulgenze nella Chiesa latina, 1911, p. 211).
Cattolico. Ho già detto precedentemente che il Sacramento della Penitenza, dato il suo peculiare complesso, ha avuto una importante evoluzione. Ciò non toglie nulla alla istituzione fatta da Cristo con molta chiarezza e precisione. I documenti storici, che abbiamo a disposizione, ci persuadono di tale sviluppo.
D'altra parte, le parole di Gesù presentano la missione che Egli sta per affidare ai discepoli come una continuazione di quella che il Padre ha affidato a Lui: "Come il Padre ha mandato me, cosi io mando voi". L'investitura è espressa col gesto simbolico dell'alitare su di loro, quasi comunicando il suo stesso spirito che è lo Spirito Santo. In forza della vita del Cristo e della potenza dello Spirito in loro, essi continueranno a fare quello che Gesù ha fatto: rimettere i peccati. Gli ascoltatori non potevano sbagliarsi: né potevano dubitare dell'efficacia nell'ordine invisibile e spirituale a quel modo con cui di altre parole di Gesù avevano constatata l'efficacia nell'ordine visibile e materiale. Gesù ha rimesso. i peccati: per questo fu mandato dal Padre. Anche essi rimetteranno i peccati: per questo sono mandati dal Figlio.
La Chiesa apostolica e la Chiesa primitiva subito così intesero e così praticarono. Negli Atti si dice che “molti di coloro che avevano creduto venivano a confessare e a manifestare quanto avevano fatto" (At 19,18). Giacomo nella sua lettera pone questa esortazione: “confessate l'uno all'altro i vostri peccati e pregate gli uni per gli altri, affinché siate guariti" (5,16). S. Giovanni nella prima lettera afferma: "se noi confessiamo i nostri peccati, Egli (Dio) è fedele e giusto per rimetterci i nostri peccati e purificarci da ogni iniquità" (1,9). Da quanto detto, pur non potendo sostenere una testimonianza esplicita della confessione sacramentale, resta non di meno incontestabile che questi testi suppongono una società nella quale il loro significato fosse ben accessibile, esprimendo una prassi consueta: manifestare ad altri le proprie colpe per ottenere da Dio il perdono.
Il passo di S. Giovanni poi attesta un punto importantissimo della dottrina cristiana: nessuna specie di peccati è esclusa dalla possibilità di perdono: Dio può “rimettere tutti i nostri peccati e purificarci da ogni iniquità"; tutti, ossia in qualsiasi numero; ogni iniquità, ossia di qualunque specie. Nessun limite all'infinita misericordia di Dio: né limite quantitativo, né limite qualitativo.
Parlando della storia e della tradizione, già ho segnalato il pensiero dei SS. Padri. Da tener presente che S. Cipriano e il papa Cornelio sono della metà dei "duecento". La Didaché, invece, è dei primo secolo (circa il 90): essa invita i fedeli a celebrare, di domenica, il sacrificio eucaristico “dopo di avere confessati i vostri peccati". S. Ignazio martire (circa il 107) ai fedeli di Filadelfia scrive che "il Signore perdona a coloro che si ravvedono, purché il loro pentimento li riconduca all'unità di Dio e alla comunione con il vescovo". Nel secolo II ci sono testimonianze più esplicite, come quella di Dionigi di Corinto che raccomanda - in una lettera circolare ad alcune chiese e alcuni vescovi del Ponto - di “accogliere coloro che si convertono da qualsiasi peccato o delitto o anche da uno sviamento eretico". Queste parole ci fanno entrare nel vivo delle controversie che dovevano, nei secoli II-IV, travagliare la Chiesa a proposito del sacramento della penitenza.
A metà del II secolo si abbozzò una tendenza rigorista che per distogliere dal peccato il battezzato, gli minacciava preclusa ogni via al perdono: già sei stato perdonato nel battesimo, come puoi pretendere di essere perdonato ancora un'altra volta? Non é ben chiaro se costoro intendessero contestare alla Chiesa l'uso della confessione o anche il potere di confessare, il potere cioè di rimettere i peccati.
Contro questa corrente ci rimangono due documenti insigni: un lungo scritto intitolato Il Pastore, scritto da Erma, fratello del papa S. Pio I. Siamo verso il 150. Gran parte dello scritto è inteso proprio a rivendicare la liceità della confessione, ossia di un mezzo sacramentale di remissione dei peccati dopo il battesimo. L'annuncio è proposto con circospezione e cautela, forse per non urtare troppo rudemente la coscienza dei rigoristi bene intenzionati: si afferma cioè l'unicità della confessione: dopo il battesimo si dà la confessione, ma per una sola volta.
La stessa rivendicazione, con lo stesso limite, fa Tertulliano nella sua opera intitolata appunto "De paenitentia".
Eppure il Vangelo è così chiaro: "Quante volte dovrò perdonare - chiese Pietro a Gesù - al mio fratello se pecca contro di me? Fino a sette volte?”. E Gesù gli rispose: "non fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette" (Mt 18,22). Se l'uomo deve perdonare sempre, Dio non perdonerà sempre? Non credo che la generosità dell'uomo dovrà essere più grande di quella di Dio!
La crisi rigorista del secolo III. All’inizio di questo secolo (circa il 220) si accese un'altra controversia a proposito della specie dei peccati da assolvere. I rigoristi deviarono in una eresia, il montanismo, cui aderì anche Tertulliano. Essi pretendevano irremissibili i più gravi peccati carnali: in un secondo momento credettero irremissibile anche il peccato di apostasia. Il papa S. Callisto, con un suo provvedimento, prescriveva di assolvere tali peccati da chiunque fossero commessi, anche da un presbitero.
Contro quest'ultima parte del decreto insorse anche Ippolito, prete romano, più tardi antipapa, il primo antipapa che la storia conosce. Il decreto papale ribadiva dottrina e prassi sempre tenute dalla Chiesa di Roma: il potere delle chiavi riguardante ogni specie di peccato. Né invero Tertulliano disconosceva aver Cristo dato a Pietro il potere di rimettere ogni peccato: ma pretendeva o che tale potere non fosse trasmissibile, o che non convenisse usarne senza eccezione.
Per il peccato di apostasia, che prese più grandi proporzioni in un secondo momento e durò più a lungo, molti si rifiutavano, opponendo all'apostasia la resistenza, le sofferenze, di quelli che si erano tenuti fedeli sino al martirio. Il perdono e la remissione non era forse un'ingiuria per i martiri? Anche qua i rigoristi finirono in una eresia: l'eresia dei novaziani, che contestava alla Chiesa lo stesso potere di assolvere. A difendere dottrina e prassi romana scese in campo il vescovo di Cartagine S. Cipriano.
Dalla fine del secolo III si può considerare superato il periodo di controversie teoriche e di incertezze pratiche: ormai la dottrina e la prassi, sempre vive in Roma, diventarono la dottrina e la prassi universali. Ogni peccato è remissibile senza limite alcuno, purché - evidentemente - vi siano le condizioni soggettive ed oggettive per le quali il sacramento sia valido e lecito.
E' da notare che anche i rigoristi, i quali negavano o il potere o l'opportunità di assolvere da certi peccati, non è che condannassero il peccatore alla perdizione eterna: anche se volevano che la Chiesa non l'assolvesse neppure nel punto di morte, protestavano tuttavia di affidare il peccatore alla misericordia di Dio. La Chiesa intanto che rifiutava il suo officio di mediazione efficace, avrebbe offerto il suo officio di efficace impetratrice.
I vari atteggiamenti dei rigoristi potevano con qualche plausibilità rifarsi ai testi neotestamentari e cioè:
- Atti 15,20 dove il concilio degli Apostoli tenuto a Gerusalemme nel 54, deliberò di non sottoporre i gentili, che volevano farsi cristiani, alle obbligazioni della legge mosaica, ma di invitarli tuttavia ad "astenersi dalle contaminazioni degli idoli, dalla fornicazione, dagli animali soffocati e dal sangue".
- Eb 6,5-6, dove è scritto: "essere impossibile che coloro i quali sono stati una volta illuminati e cioè battezzati - e hanno mangiato l'Eucaristia, e hanno ricevuto lo Spirito Santo, e poi sono caduti nel peccato, si rinnovellino un'altra volta a penitenza" (forse qui impossibile" è uguale a "molto difficile").
- In Mt 12,32 (cf anche Mc 3,29; Lc 12,10) si parla della irremissibilità della bestemmia contro lo Spirito Santo, e nella 1° lettera di Gv (5,16), si parla di peccati che conducono alla morte... Questi testi non sono certamente molto chiari, e perciò si comprende come agli inizi della riflessione cristiana, agli inizi del cammino esegetico, essi dovessero pesare sulla dottrina e sulla prassi penitenziale. Così Origene, in un passo del De oratione parla di peccati insanabili, pure affermando il potere della Chiesa di rimettere ogni peccato. Persino S. Cipriano parla di irremissibilità della bestemmia contro lo Spirito Santo, la quale molto probabilmente è da intendersi così: L'uomo è scusabile se si inganna sulla dignità divina di Gesù, velata dalle umili apparenze del “Figlio dell'uomo", ma non lo è se chiude gli occhi e il cuore alle opere evidenti dello Spirito. Negandole, egli rigetta la proposta suprema che Dio gli fa e si mette fuori della salvezza (cf Eb 6,4-6; 10,26-31).
Ai rigoristi passati e futuri, possiamo indicare il comportamento di Gesù il quale guarisce ogni male e ogni peccato: neppure la morte è di ostacolo alla sua potenza.
I rilievi fatti finora sulla base dei documenti storici ci persuadono che, se un sacramento è profondamente evoluto nei secoli, specialmente nei primi secoli, questo è il sacramento della penitenza. Dando uno sguardo riassuntivo a quanto (molto poco, perché non ho parlato degli elementi che lo compongono: l'accusa dei peccati, il dolore dei peccati con il proposito di non più peccare, la soddisfazione... il giudizio del confessore, la penitenza...) ho detto di questo sacramento, l'animo si riempie di gioia riconoscente: il nostro Dio è veramente il Dio della Misericordia; e noi siamo veramente, secondo l'espressione paolina, “i vasi di misericordia", i vasi che Egli ama riempire con la pienezza della sua misericordia, perché li ha "preparati per la gloria" (Rm 9,23).
Non cattolico. Mi sembra che ti stai dilungando su fatti e circostanze superflui.
Cattolico. Tutt'altro. Io sto rispondendo alle tue affermazioni secondo le quali la confessione sarebbe nata dalla istituzione dei penitenzieri: io voglio dimostrarti, invece, che la prassi della confessione ha avuto origine fin dai tempi apostolici. L'accusa dei peccati è uno degli atti del penitente costitutivi del sacramento. Non mancò mai nella Chiesa tale pratica, anche se la storia ci documenta maniere diverse di intenderla e di praticarla. Gli scarsi documenti che abbiamo dei primi secoli ci parlano abbastanza largamente di una penitenza, pubblica che includeva, però, anche il riconoscimento del proprio peccato, soprattutto se peccato pubblico. Autorevoli studiosi ritengono che fosse in uso, fin da allora, anche l'accusa aperta. La cosa sembra molto plausibile anche solo in rapporto alla penitenza pubblica. Modalità e tempi di tale pubblica penitenza venivano infatti determinati solitamente dal Vescovo. Egli dunque doveva conoscere le colpe per potervi proporzionare la penitenza. Dalla storia si sa che, almeno in Oriente, ad un dato momento venne istituita la carica del presbitero penitenziere, proprio per ricevere l'accusa. Secondo gli storici greci tale carica fu istituita ai tempi di Decio (metà del sec.III) e forse anche prima. Si può ritenere che quando S. Leone Magno, nel 459 scrive ai Vescovi della Campania che “le colpe della coscienza basta che siano manifestate soltanto ai sacerdoti in una confessione segreta" (D.B. 145), non facesse altro che sancire una prassi che ormai si era imposta universalmente. Il passo di Leone Magno non solo testifica l'uso della confessione segreta, confessione auricolare, ma che il ministro di tale confessione è solamente il sacerdote. Teniamo sempre presente che quando fu istituito il sacerdote penitenziere (metà del III sec.), ci imbattiamo in documenti contemporanei, come quelli di papa Cornelio (251-253) che parla della riconciliazione da lui fatta di alcuni novazionisti, e di S. Cipriano che scrive (in De Lapsis) che i fedeli "si confessano con dolore e semplicità ai sacerdoti... manifestano il peso della loro anima e cercano rimedio salutare alle loro ferite"; mentre la Didachè, che è del primo secolo, invita i fedeli a celebrare di domenica il sacrificio eucaristico "dopo di aver confessati i vostri peccati”. E ricordiamo ancora S. Ignazio (107 circa) il quale scrive ai fedeli che "il Signore perdona a coloro che si ravvedono, purché il loro pentimento li riconduca all'unità di Dio e alla comunione con il vescovo".
Con tutte queste parole, che a te sembrano fatti e circostanze superflui, io voglio dimostrarti che le deduzioni da te ripetute e avanzate già prima di te dal prof. Henry Charles Lea (1-5-1909) sono soltanto supposizioni di un protestante. Si sa che il Lea, nato e cresciuto protestante, trattando la storia, specialmente religiosa, esprime giudizi e valutazioni non equamini dei fatti che racconta. Pubblicò pure la Storia della confessione auricolare e delle indulgenze nella Chiesa latina in tre volumi, “nei quali il preconcetto religioso impedisce all'autore ogni oggettività di giudizio”. Questo è quello che dice di lui la storia (cf Enc. Cattolica). Credo che questo basti per dirti che sono i tuoi preconcetti a farti rifiutare tante verità della fede cristiana.
Non cattolico. Dici quello che vuoi, ma io ti ripeto che in un primo momento la confessione era pubblica e basta.
Cattolico. lo non ho negato che ci fosse una confessione anche pubblica, ti ho detto però che il sacramento della penitenza, data la sua importanza e tutto quello che comporta nella Chiesa e nei singoli fedeli, ha avuto uno sviluppo e una evoluzione notevole. Ti dico anche che il carattere pubblico aveva una duplice finalità: da una parte era di eloquente ammonimento a tutti i fedeli, dall'altra interessava alle sorti dei penitenti tutta la comunità: tutta la Chiesa gemeva e pregava per essi. Questa pubblica penitenza - che importava pratiche anche assai gravi, come lunghe orazioni, ripetuti digiuni, vestire in un certo modo, non servirsi di privilegi anche nella vita civile, e persino non usare il matrimonio - poteva protrarsi anche per anni. Era stabilita dal vescovo in base alla gravità della colpa: si trattava per lo più di colpe pubbliche, soprattutto se scandalose. Dopo tutto quello che ho detto sulla evoluzione del Sacramento della Penitenza, non fa meraviglia che la Chiesa al momento giusto (es.: Conc. Lateranense, Conc. di Trento ... ) sia intervenuta a regolare e a precisare tanti elementi componenti il Sacramento stesso.
Non cattolico. Devo farti notare ancora una cosa molto importante, e cioè che le parole che la Chiesa cattolica prende a pretesto per imporre la confessione hanno un ben diverso significato.
Cattolico. Desidererei sapere quali sono le parole che la Chiesa prende a pretesto per imporre la confessione e qual'è il loro vero significato.
Non cattolico. Le parole sono quelle da te citate precedentemente, e cioè: “A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi, e a chi li riterrete saranno ritenuti" (Gv 20,23); e queste altre: “A te darò le chiavi del regno dei cieli; e tutto ciò che avrai legato sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che avrai sciolto in terra sarà sciolto nei cieli" (Mt 16,19).
Cattolico. Il significato di queste parole di Gesù è troppo chiaro. Le parole sono semplici e solenni e non credo che possano ammettere equivoci.
Non cattolico. Il vero significato è questo: "Quando un cristiano annunzia l'Evangelo della grazia, egli scioglie le anime dai loro peccati, non certo per una sua particolare capacità, ma per la potenza della predicazione cristiana. Se però le anime che ascoltano non accettano l'Evangelo, esse rimangono legate, vincolate al loro peccato. Non si tratta quindi di un "perdonare", "rimettere i peccati", "sciogliere" per iniziativa di un uomo. Chi ha diritto di perdonare non è l'uomo, ma solo Dio. I credenti hanno unicamente ricevuto la missione di essere ambasciatori di Dio, e l'annunzio del perdono è sanzionato da Dio in una sentenza di grazia o di condanna, a seconda che gli uditori l'ascoltano o la respingono".
Cattolico. Non ti nascondo che ti sto ascoltando trasecolato!... Mi rendo sempre più conto delle disastrose conseguenze dell'interpretazione arbitraria e personale che vige nel protestantesimo. Dopo queste parole che ho ascoltato io comprendo sempre più chiaramente gli effetti deleteri delle parole di Lutero che invita il credente a dover sentire "nell'intimo del cuore che questa e proprio questa è la Parola divina" per essere sicuro!... Oppure, come dice E. Comba, che “Tutti i fedeli possono ed hanno diritto di interpretare le S. Scritture", e che "Sempre avviene una rivelazione divina nella coscienza umana religiosa, la quale è pertanto l'organo della rivelazione divina, non ve ne sono altri". Oppure, ancora, quello che ha detto un altro protestante: "Per avere la certezza di quello che indichi e voglia la Parola di Dio, dobbiamo decidere da noi stessi e scegliere ciò che soddisfa la nostra ragione...". Questi pensieri, come ben ricorderai, li ho ripetuti già diverse volte con tutti i relativi riferimenti, ma si vede che i protestanti, in preda ai pregiudizi, sacrificano - forse involontariamente o senza accorgersene - l'uso della retta ragione.
Non cattolico. Come puoi sostenere che un uomo possa prendere il posto di Dio? Questa è una bestemmia! ...
Cattolico. Infatti, anche gli scribi e i farisei dicevano di Gesù la stessa cosa quando asseriva di rimettere i peccati: "Egli bestemmia". Essi non credevano alla divinità di Gesù, e potevano anche essere scusati, ma molti non cattolici dicono di credere in Gesù, vero uomo e vero Dio; come mai poi non credono alle sue parole e vogliono dar loro un significato diverso da quello che hanno?
Non cattolico. Sì, io credo fermamente alla divinità di Cristo, ed è proprio per questo che non posso ugualmente credere che degli uomini possano sostituirsi a Dio.
Cattolico. Non voglio ripetere per l'ennesima volta le stesse cose. Le parole di Cristo sono chiarissime: "come il Padre ha mandato me... così io mando voi ... a chi rimetterete ... sarà rimesso ed a chi non rimetterete i peccati saranno ritenuti”.
Questa è la grande misericordia di Dio, la sua immensa bontà: Egli ha delegato i ministri della Sua Chiesa a compiere e svolgere il Suo ministero. Perciò la Chiesa è il Corpo di Cristo, la sua Sposa, Colonna e sostegno della verità. Il non cattolico vuole pensare e credere contro l'evidenza delle parole di Cristo, contro la vita e la realtà dei fatti della Chiesa fondata da Cristo. Ma tutto ciò è invenzione umana.
Non cattolico. Interpretazione umana è tutto ciò che ha inventato la Chiesa. E devi darmi conto di queste invenzioni umane, perché mi hai promesso che oltre alla S. Scrittura e alla storia mi avresti provato anche con argomenti di ragione la pratica della confessione così come viene vissuta nella Chiesa cattolica.
Ecco, i non cattolici hanno potuto constatare che la confessione - com'è insegnata nella Chiesa romana - è responsabile dell'errato concetto di peccato, che viene considerato nelle sue singole manifestazioni esteriori e non nella sua natura. Così l'individuo si confessa al prete, distinguendo fra peccati "veniali" (che si possono tacere) e peccati "mortali", fra la bugia e l'assassinio, fra il peccato di gola e l'adulterio e via dicendo. Così si ignora il problema di fondo, che è quello della nostra natura corrotta, e si dimentica che i singoli peccati (veniali o mortali, che dir si voglia) non sono che delle manifestazioni secondarie del primo e vero peccato, cioè della nostra ribellione contro Dio.
E' quello che aveva capito il re Davide, adultero e assassino, quando esclamava: “Io ho peccato contro te, contro te solo" (Salmo 51,4 = 50,4).
Il danno della dottrina e della pratica della confessione auricolare è immenso. Certo è da deplorarsi che il popolo si sottometta ad una pratica così avvilente per la dignità umana, ma più grave ancora è la responsabilità di chi gliela impone. Ma - direbbe il compianto sacerdote Lorenzo Milani – “sulla soglia del disordine estremo mandiamo a voi quest'ultima nostra debole scusa, supplicandovi di credere nella nostra inverosimile buona fede. Ma se non avete come noi provato a succhiare col latte errori secolari, non ci potete capire" (L. Milani, Esperienze pastorali, Firenze, Libreria Ed. Fiorentina, 1958, p. 437).
Cattolico. Io resto sempre più sorpreso di quanto dici e ringrazio Iddio che ci ha mandato il Suo Figlio diletto e ci ha anche detto di ascoltarlo. La Chiesa si attiene alla divina rivelazione e a quanto Gesù, Parola del Padre, è venuto ad insegnarci. L'uomo, dopo essere nato, per potersi sviluppare ha bisogno di tante cose (nutrimento, aria, assistenza, medicine, cure, ecc ... ) nell'ordine naturale. Così è dell'uomo anche nell'ordine spirituale (Battesimo, Cresima, Eucaristia, Penitenza, ecc...). Tutto questo gli viene dall'Alto con la divina grazia. Tuttavia, poiché l'uomo, dopo il peccato originale, ha una natura vulnerata per cui è piuttosto incline al male, ecco che Gesù, ben conoscendo la fragilità umana, trovò il mezzo per guarirne le piaghe dell'anima ed istituì il Sacramento della Confessione come tavola di salvezza.
Adesso voglio un pò rispondere, ma con la ragione illuminata dalla fede, a quanto tu dici contro la opportunità della confessione.
- Notiamo anzitutto che se la confessione fosse un'invenzione umana, la storia ci dovrebbe ricordare l'epoca ed il nome di quell'uomo - Papa o Vescovo o prete o frate - che l'ha inventata, come la storia fa con tutti gli altri inventori.
E invece su questo punto la storia è muta. Non c'è scrittore, amico o nemico della Chiesa che ne faccia menzione.
- C'è di più. Ragionando ancora, potremmo pensare: sono stati forse i fedeli a inventare la confessione? No: essi mai si sarebbero imposti un obbligo nuovo e umiliante per l'umano orgoglio. Forse i sacerdoti? Ma qual motivo avrebbe potuto indurli ad imporre ai cristiani un giogo così pesante? L'interesse? E piacere? La curiosità? E' facile, da chiunque, rispondere a queste domande, perché se c'è un ministero pesante e gravoso in cui il sacerdote non guadagna niente è proprio questo! E che bel piacere sarebbe quello che obbliga a levarsi magari nel cuor della notte per correre al letto degli infermi, ad essere spettatori di scene strazianti... ad affrontare, in tempo di peste o di altre malattie contagiose, anche la morte? E qual curiosità ci può essere nel sapere le miserie e le debolezze umane, che spesso si ripetono fino alla nausea, e di cui poi, il confessore deve custodire il più rigoroso segreto, sino a potere o dovere compromettere la propria vita?
Dunque non si può ragionevolmente ammettere che qualcuno nella Chiesa abbia inventata la confessione. E poi come avrebbero potuto farla accettare improvvisamente da tutti? Come volete che contro l'ardito innovatore non fossero insorti a ribellione i popoli, non avessero protestato almeno i re ed i principi, sempre così orgogliosi, non avessero alzato la voce gli eretici che sono là sempre con tanto d'occhi per cogliere la Chiesa in fallo e condannarla?... Ma se non altro, l'inventore o gli inventori, avrebbero dovuto esentare se stessi da questo peso! Invece no: sono obbligati a confessarsi, tanto come i fedeli, anche i preti, i parroci, i vescovi ed il Papa!
Il padre Gioacchino Ventura così scrive: "Quando io ho veduto una volta l'anima pura di Pio IX inginocchiato ai miei piedi per confessarsi e ricevere l'assoluzione; quando io ho veduto questa prima maestà della terra nell'umile attitudine dei penitente davanti all'ultimo dei preti; imbarazzato, stupefatto, commosso sino alle lacrime, dissi tra me stesso: io non mi ingannavo, no, quando credevo che i preti non hanno inventata la confessione; ma al presente io tocco coi dito questa consolante verità, poiché vedo lo stesso Vicario di Cristo, quale uomo e quale cristiano, passare anch'esso sotto la severità della legge della Confessione. Una legge che non esenta neppure il dio della terra, non può avere altro autore che il Dio dei cielo!" (La ragione filosof., Vol. III, conf. XVIII).
- Eppure tutti i “Fratelli separati” con a capo Lutero, sostengono che la Confessione fu inventata dal papa Innocenzo III, nel Concilio Lateranense IV, tenutosi nell'anno 1215.
Voglio ancora ricordare che tutte le sette eretiche che sin dai primi secoli si separarono dalla Chiesa cattolica, taluna delle quali è ancora superstite, sia pure con poche migliaia di seguaci, hanno la confessione che non presero certo da noi nei secoli posteriori, ma che portarono già con sé andandosene come profughe dalla casa madre. Il che mostra che fin dai primi secoli la Confessione era universalmente praticata.
- Pochi - specialmente tra i non cattolici - pensano quanto sia salutare all'uomo la Confessione, per le cinque cose che essa esige dal peccatore.
L'esame lo obbliga a riguardarsi peccatore com'è, suscitandogli avversione al peccato. Il dolore lo obbliga a detestare, a ripudiare i suoi peccati. E proponimento lo induce alla risoluzione ferma di non più peccare. La confessione lo obbliga come a vomitare il peccato che lo tortura, che lo rimorde, a liberarsi di quel peso segreto che lo opprime. La penitenza è la pena che subisce dei peccati a cui sente doverne aggiungere altre volontarie e più gravi.
La Confessione è rimedio del peccato. Questo è superbia e piacere; la Confessione è umiltà e dolore e pena. La Confessione è un peso, ed è giusto, poiché per essa si tratta di ottenere il perdono dei peccati, ma è un peso anche dolce che risponde all'inclinazione naturale del cuore che ha bisogno di confidarsi, e apporta gioia e consolazioni indicibili.
Di fronte a tutte queste osservazioni, frutto della ragione, anzi del più elementare buon senso, sarebbe una cecità inqualificabile il non riconoscere Gesù Cristo come autore e istitutore del Sacramento della Penitenza (= Confessione), e il voler sostenere che una creazione così provvida, santa, sublime, degna della divina bontà, sia opera dell'uomo e non di Dio.
Non cattolico. Dimmi, allora, perché tanti, ad onta di tutto, si ostinano ancora ai nostri giorni, a negare la divinità di questo Sacramento e lo odiano a morte, più di qualunque altro e lo combattono in mille maniere?
Cattolico. La ragione principale è perché molti non vogliono mettere nessun freno alle proprie passioni e lasciare il peccato. Così facendo si allontanano dalle pratiche religiose e gridano contro la Confessione, simili a quella signora che avendo un viso brutto e deforme, non passava mai innanzi ad uno specchio senza mandarlo in frantumi! ...
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Diceva Rabbi Yeudà in nome di Rav:"Dodici ore ci sono nel giorno: nelle prime tre il Santo, benedetto sia, si dedica alla Torà; nelle seconde tre giudica tutto il mondo e, quando vede che questo meriterebbe la distruzione, si alza dal trono del Giudizio e si siede su quello della Misericordia...(b'Avodà zarà 3b)