00 13/09/2006 16:48

Sempre sia lodato.

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il regno dei cieli è simile ad un re,
Lett. ad un uomo-re, per contrapposto al Re del cielo. È questa la prima parabola nella quale Iddio comparisce nel suo carattere di Re.
Il quale volle fare i conti
Questo rendiconto, fu il re medesimo che lo volle, ed ai sottoposti non fu dato né evitarlo, né opporvisi. Non è questo però il rendiconto finale, di cui parlasi in Matteo 25:19. Iddio fa i conti con noi ogni volta che gli piace di rammentarci i nostri peccati, facendoci sentire che anche i più segreti, egli "li mette alla luce della sua faccia" Salmo 90:8, e dimostrandoci, colla sua Parola, colla sua Provvidenza, col suo Spirito, quanto abbiamo bisogno del suo perdono.
con i suoi servitori.

Non si tratta qui di servitori ordinari, poiché uno era debitore di diecimila talenti. Erano probabilmente ministri di Stato, o esattori d'imposte, sebbene ciò non implicasse di necessità ch'essi fossero nati liberi. Dai monarchi orientali, gli schiavi emancipati venivano spesso elevati a cariche di gran fiducia: così avvenne di Daniele in Babilonia. A ogni modo, che non fossero schiavi è cosa chiara, poiché risulta dalla narrazione, che il Re poteva venderli, non già per il solito diritto, ma perché il loro debito li metteva a sua mercé. Nel linguaggio orientale vedi Erodoto, tutti i sudditi d'un monarca. Inclusi i suoi ministri di Stato, eran chiamati "servi". Coloro che Cristo redense dalla schiavitù del peccato e dai lacci di Satana, sono pur sempre "sotto la legge di Cristo" e sono servi di Dio.

PASSI PARALLELI
Matteo 3:2; 13:24,31,33,44-45,47,52; 25:1,14
Matteo 25:19-30; Luca 16:1-2; 19:12-27; Romani 14:12; 1Corinzi 4:5; 2Corinzi 5:10-11
24 24. Ed avendo cominciato a fare i conti, gli fu presentato uno, ch'era debitore di diecimila talenti.
Dal testo risulta che il Re chiamò a rendere conto in primo luogo i più alti funzionari. Per un servo subalterno, sarebbe stato impossibile contrarre un sì grosso debito, senza farsi scoprire. Probabile cosa è che il conto si facesse in talenti attici di argento; giacché, se trattato si fosse di oro, la somma, sarebbe stata enorme. Il valore del talento d'argento viene calcolato diversamente Secondo Calmet Dizionario della Bibbia, il ragguaglio sarebbe questo: 1 Mina = 100 danari = L. It. 71,30; 60 Mine = 6000 danari = 1 Talento L. It. 4.278,00; dunque 10.000 talenti sarebbero L. It. 42.780.000. Secondo il calcolo di Lange Commentario su Matteo: 1 Mina = 100 danari = L. It. 78,12; 60 Mine = 600 danari = 1 Talento = L. It. 4.687,20; dunque 10.000 talenti equivarrebbero a L. It. 46.872.000. La grandezza del qual debito risalterà ancora maggiormente, quando si pensi al fatto, ricordato in 2Cronache 25:6, che il re Amasia poté arruolare un esercito di 100.000 uomini con 100 talenti d'argento, e che tutto quanto l'oro adoperato nella costruzione del Tabernacolo nel deserto, sebbene profuso, non superò i 29 talenti Esodo 38:24. Il servitore non si sarebbe mai presentato volontariamente, anzi si sarebbe, se fosse stato possibile, sottratto a quel rendiconto; ma troppo assoluto era il comandamento del Re. Iddio scruta il cuore, e, volere o no, s'impadronisce della nostra coscienza.

PASSI PARALLELI
Luca 7:41-42; 13:4
Luca 16:5,7
1Cronache 29:7; Esdra 9:6; Salmo 38:4; 40:12; 130:3-4
25 25. E, non avendo egli di che pagare, il suo signore comandò ch'egli fosse venduto lui con la moglie, e i suoi figliuoli, e tutto quanto avea, e che il debito fosse pagato.
Per la legge giudaica, se un ladro non aveva tanto da restituire il maltolto, poteva il derubato farlo vendere come schiavo Esodo 22:3; un debitore insolvente poteva vendere sé medesimo, od esser venduto dal creditore Levitico 25:39,47; ed i figli d'un debitore defunto si potevano sequestrare 2Re 4:1; onde possiamo dedurne che si potevano anche vendere. Confrontate Deuteronomio 15:12; Geremia 34:14; ed anche Isaia 50:11; 1Re 21:20; 2Re 17:17, ove trovansi allusioni metaforiche a siffatti usi. In questa parabola però la similitudine è tratta dal dispotismo orientale, poiché, sotto la legge mosaica, quella vendita veniva mitigata dalla liberazione obbligatoria all'epoca del giubileo. Anche l'idea della prigione e degli aguzzini Matteo 18:30,34, favorisce questa congettura, essendo cose che non hanno che fare colla legge giudaica. La punizione qui, sebbene rigorosa, concordava colla legge e colle costumanze; il reo non si lagnò della sentenza come ingiusta; egli chiese solamente pietà. Quando un uomo, il quale, per lungo tempo, ha resistito alla propria coscienza ed a Dio, viene finalmente costretto ad aprire il proprio cuore all'Onnisciente, e ad esaminare se stesso, egli scopre che il suo debito è indicibilmente grande. La somma qui nominata non è un'esagerazione; non indica essa tutta quanta la reità che Iddio scopre nel peccatore, la quale gli viene rimproverata dalla sua coscienza? il momento nel quale il peccatore si trova faccia a faccia con DIO, oppresso dal proprio peccato, è tremendo! in quell'istante la legge compie l'opera sua, terribile ma pure misericordiosa, di convincimento.

PASSI PARALLELI
Levitico 25:39; 2Re 4:1; Nehemia 5:5,8; Isaia 50:1
26 26. Onde il servitore, gittatosi a terra, gli si prostrò dinanzi, dicendo: Abbi pazienza con me, e ti pagherò tutto.
La promessa di pagare non indica altro che il suo desiderio di scampare; prometteva, non perché sperasse di poter mantenere, ma perché era questo il miglior mezzo di sfuggire il castigo. Egli pensava di ottenere grazia promettendo di saldare l'intiero debito. Ecco l'immagine d'un peccatore, cui la parola di Dio coi suoi rabbuffi, e la coscienza con i suoi rimorsi convincono di peccato, ma che non si è umiliato davanti a Dio, e non ha ancora ottenuto la sua grazia il primo sentimento che gli nasce in cuore, lo spinge a dire: "Abbi pazienza inverso me, ed io ti pagherò tutto". Ch'egli speri seriamente di adempiere alla promessa, può esser dubbio; ma certamente egli pensa che è impossibile di soddisfare Iddio altrimenti. Infatti, il primo proponimento d'una coscienza conturbata è sempre: "Io pagherò tutto". L'uomo vuol fare ammenda dei peccati passati col pentimento, fidando nella futura obbedienza.

PASSI PARALLELI
Matteo 18:29; Luca 7:43; Romani 10:3
27 27. E il signor di quel servitore, mosso a compassione, lo lasciò andare, e gli rimise il debito.
Il Re mosso a compassione, non solo aderì alla sua richiesta, ma gli concesse al di là di quello che egli aveva ardito domandare o sperare: "gli rimise il debito!". È questa un'immagine ammirabile, di ciò che "Iddio suole fare col peccatore". Iddio non obbliga il reo a mantenere la promessa temeraria ch'egli fa; egli non lo tratta secondo i suoi meriti, ma secondo i suoi bisogni, concedendogli un perdono immediato, completo e senza condizioni. Questo perdono appartiene a chiunque l'accetta con riconoscenza e senza riserve. Il servo, come il seguito dimostra, non l'aveva accettato con questo sentimento.

PASSI PARALLELI
Giudici 10:16; Nehemia 9:17; Salmo 78:38; 86:5,15; 145:8; Osea 11:8
28 28. Ma quel servitore, uscito, trovò uno dei suoi conservi, che gli dovea cento denari: ed afferratolo lo strangolava, dicendo: Paga quel che devi!
Costui non aveva mai sentito né pentimento profondo né gratitudine vera, altrimenti non avrebbe mostrato una simile spietatezza; riconoscente, avrebbe tosto fatto partecipare alla sua gioia il suo debitore. La somma dovutagli dal suo conservo ammontava a 100 denari romani, cioè a lire 80 circa. Il debitore perdonato che non perdona, rappresenta l'uomo che tremò nel sentimento del suo peccato, e all'idea del giudizio, ed avendo udito e ricevuto il Vangelo per qualche tempo, si sentì liberato dai suoi timori. Passato il momento in cui Dio scosse l'anima sua egli è ricaduto di nuovo nel mondo! Fu impaurito, ma non convertito; non ricevette il perdono, ma solo una sospensione del castigo. Il timore è passato per il momento, ma non è subentrata la fede. Appena gli si presenta la tentazione, la sua non domata carnalità riprende vita e vigore.

PASSI PARALLELI
Matteo 20:2
Deuteronomio 15:2; Nehemia 5:7,10-11; 10:31; Isaia 58:3; Ezechiele 45:9
29 29. Onde il conservo, gittatosi a terra lo pregava, dicendo: Abbi pazienza con me, e ti pagherò. 30. Ma colui non volle; anzi andò, e lo cacciò in prigione, finché avesse pagato il debito.
Il suo conservo non nega di essere suo debitore, ma si contiene e parla con lui precisamente come egli aveva fatto col Re. Così il rigore che lo spietato usa senza rimorso è in diretta opposizione colla misericordia da esso implorata e ottenuta. Un uomo, che ha ricevuto da Dio il perdono dei suoi peccati, è stato lievemente offeso da un suo simile, e benché questi gli chiegga pietà nel modo stesso col quale egli testè l'aveva chiesta a Dio, non però la ottiene: il che prova ch'egli medesimo non aveva accettato la misericordia offertagli da Dio. Se avesse aperta l'anima sua all'eterna fonte della misericordia, per riceverla, la misericordia medesima ne sarebbe sgorgata a richiesta del suo fratello che la implorava. Ma nessuna compassione scaturì da quel cuore a rinfrancare l'anima del suo prossimo angustiato, perché quel suo cuore non si era veramente aperto a ricevere la misericordia di Dio.

PASSI PARALLELI
Matteo 18:26; Matteo 6:12; Filemone 18-19
31 31. Or i suoi conservi, veduto il fatto, ne furono grandemente contristati, e andarono a riferire al loro signore, tutto l'accaduto.
L'indignazione provata dai conservi, e che li induce a riportare il fatto al loro padrone, rappresenta ciò che gli uomini sentono contro l'ingratitudine di coloro che sono stati largamente beneficati. Quel re terreno aveva bisogno d'essere informato, ma lo scrutatore dei cuori non ne ha bisogno. Pure, non è improbabile che il nostro Signore, parlando di quel che fecero "i conservi", avesse l'intenzione di alludere alle preghiere di intercessione a favore dei perseguitati contro, i loro oppressori, le quali vengono fatte di continuo da coloro che temono il Signore e odiano l'ingiustizia e l'oppressione. Se l'oppressore potesse udire tutte le voci che gridano vendetta contro di lui, ed "entrano nell'orecchie del Signore degli eserciti" Giacomo 5:4, egli tremerebbe!

PASSI PARALLELI
1Re 21:27-29; 22:27
32 32. Allora il suo signore lo chiamò a se, e gli disse:
Questa intimazione al servo infedele di comparire in presenza del suo Signore indica senza dubbio il rendiconto finale nel giorno del giudizio.
Malvagio servitore, io t'ho rimesso tutto quel debito, perché tu me ne supplicasti; 33. non dovevi anche tu aver pietà del tuo conservo, come anch'io ebbi pietà di te?
innanzi di castigarlo, il re gli rinfaccia seriamente la vergognosa ed irragionevole condotta da lui tenuta, dopo essere stato perdonato, e gl'infligge una doppia punizione. Questo è analogo al giudicio di Matteo 25:41.

PASSI PARALLELI
Matteo 25:26; Luca 19:22; Romani 3:19
Matteo 5:44-45; Luca 6:35-36; Efesini 4:32; 5:1-2; Colossesi 3:13
34 34. E il suo signore, adirato, lo diede in man degli aguzzini,
letter. tormentatori, Noi sappiamo che nell'antica Roma i debitori incarcerati erano consegnati al "tormentatore", affinché egli li costringesse al pagamento. Nell'Oriente, ove spesso accade che le persone, le quali si dichiarano insolvibili, posseggono dei tesori nascosti, la tortura è tuttora applicata ai debitori per costringerli a dichiarare dove trovansi i loro tesori; o, se non ne hanno, per eccitare la compassione dei loro amici, affinché paghino per loro. Se noi consideriamo il senso spirituale della parabola, l'uso della parola "tormentatori" desta in noi idee terribili di castigo.
fino a tanto che avesse pagato tutto ciò che gli doveva.
Cioè fino alla fine della vita, perché costui non avrebbe mai potuto pagare. Quindi, questo rappresenta la sentenza che pronunzierà il giudice all'ultimo giorno Matteo 25:41. È questo uno dei passi che i teologi romani recano con qual ragione, lo lasciamo giudicare al lettore a conforto della dottrina del purgatorio Vedi note Matteo 5:26; e "Il Purgatorio", del dott. Desanctis, cap. 4.

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“Non esiste delitto, inganno, trucco, imbroglio e vizio che non vivano della loro segretezza. Portate alla luce del giorno questi segreti, descriveteli, rendeteli ridicoli agli occhi di tutti e prima o poi la pubblica opinione li getterà via. La sola divulgazione di per sè non è forse sufficiente, ma è l'unico mezzo senza il quale falliscono tutti gli altri”.
Joseph Pulitzer (1847-1911), Fondatore Premio Pulitzer