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Non per cattiveria e neanche per malafede, ma avendo visto da dove viene quell' articolo, e conoscendo i miei clienti ...

Famiglia Cristiana compresa.

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L'inganno delle staminali embrionali
Inviato da PLACST il 2 April, 2005 - 10:58.

di Marina Corradi

Il professor Angelo Vescovi, ricercatore di fama internazionale nel campo delle cellule staminali, in un discorso all’Accademia dei Lincei ha definito "infondato" il "dubbio dilaniante" che i proponenti del referendum pongono ai cittadini: lasciare morire milioni di malati, o permettere la ricerca sugli embrioni. Non è vero, afferma Vescovi, che le staminali embrionali rappresentino l’unica o la migliore via per la guarigione di molte malattie incurabili: «A oggi non esistono terapie, nemmeno sperimentali, che implichino l’impiego di staminali embrionali, né si può attualmente prevedere se e quando questo diventerà possibile, data la scarsa conoscenza dei meccanismi che regolano l’attività di queste cellule, e la loro intrinseca tendenza a produrre tumori».
Molto più avanzate invece le linee di ricerca sulle staminali adulte, in numerosi casi già applicate alla terapia. Inoltre, la stessa produzione di staminali embrionali può avvenire senza passare attraverso gli embrioni, "deprogrammando" cellule adulte.

Professor Vescovi, lei ha spiegato l’equivoco indotto circa le staminali embrionali. Tuttavia appena pochi giorni fa in Gran Bretagna Ian Wilmut, il creatore della pecora Dolly, ha ottenuto l’autorizzazione alla clonazione terapeutica dell’embrione umano. Il fine è la produzione di staminali nell’ambito della ricerca su una malattia dei motoneuroni, cioè delle cellule nervose deputate al movimento del corpo. Perché Wilmut prosegue sulla strada delle staminali embrionali?

«La richiesta di Wilmut – ci spiega Vescovi nel suo studio all’Istituto San Raffaele di Milano – non è una sperimentazione con fini terapeutici, ma ricerca di base: è il tentativo di studiare lo sviluppo di una patologia. Wilmut evidentemente è convinto di ottenere il miglior modello di malattia dei motoneuroni. Questa sperimentazione naturalmente ha un senso se la patologia studiata è genetica. Quando il ricercatore ha ottenuto le cellule staminali embrionali così clonate – e le possibilità di successo della clonazione, sottolineo, sono di una sola su 200 – deve riuscire a generare quel tipo di cellule che vuole studiare. Se riesce a generare il tipo di cellula che muore, non è detto però che la causa della malattia sia in quella cellula, e non nelle cellule adiacenti. Quindi è necessario ricreare l’intero tessuto che degenera. L’unico modo per fare questo sarebbe portare l’embrione allo stadio di sviluppo di un sistema nervoso centrale».

E a quante settimane si sviluppa il sistema nervoso centrale?
«Intorno alle sette-otto settimane, e naturalmente un simile esperimento non sarebbe ammissibile. Dunque, nella realtà del tentativo di individuare la cellula degenerante, c’è una concatenazione di se, di ma e di forse che rendono molto poco probabile la riuscita della sperimentazione. Si tratta di incognite concatenate fra loro, che moltiplicano la incertezza fino a creare un livello vicino alla impossibilità».

Un enorme sforzo con scarsissime probabilità di riuscita?
«La speranza che una simile sperimentazione vada a buon fine è tragicamente bassa. Se poi pensiamo che la malattia genetica studiata è solo un sotto-sotto gruppo nel grande ambito delle malattie neuronali, e che per ottenere un clone da un embrione bisogna fare 200 tentativi; e che da questo clone bisogna riuscire a isolare le cellule staminali embrionali, cosa che non sempre riesce, e da qui produrre i motoneuroni... E quando tutto ciò è fatto, le cellule fabbricate sono comunque alterate – questo è noto – per via del processo stesso di clonazione. Infine, che il sistema ottenuto approssimi la malattia è molto improbabile, e che vi si possa studiare la degenerazione lo è anche di più».

E il senso, allora, di una simile impresa qual è, la pura sfida scientifica?

«La sfida della ricerca pura, sì, ma con il background etico di uno scienziato per il quale tutti quegli embrioni utilizzati non sono vita. Vorrei mettere l’accento su questo punto: Wilmut fa una clonazione che non è per fini di terapia, ma per una ricerca dagli esiti estremamente incerti. Per una terapia con le staminali embrionali, se e quando se ne farà, occorrerà davvero tanto tempo».

Lei ha affermato recentemente che dietro al sostegno alla ricerca sulle staminali stanno spesso l’ideologia, e anche «interessi economici rilevantissimi».

«Ci sono coloro che in piena libertà di spirito sostengono che l’embrione ai primi stadi del suo sviluppo non è vita. Non condivido, ma li rispetto. La maggioranza ha invece una posizione preconcetta, e quando si dimostra loro che da un punto di vista biologico la vita comincia con la fecondazione, rispondono: sì però non c’è il cervello, sì però l’embrione non comunica, e tu gli smonti le obiezioni una a una, e quelli si rifugiano dietro a una posizione che è evidentemente ostinatamente ideologica».

E gli interessi economici?

«Dietro a tutto ciò, sapientemente manipolata, c’è un tipo di comunicazione che probabilmente riceve sponsorizzazioni da quanti possono avere interessi economici in queste attività. Niente di mostruoso in tutto questo, la nostra società funziona così. Ciò che però si discosta dalla norma è che qui non parliamo di un qualunque business, ma di vita umana. Questo per me segna il grado di maturazione di una società: se il profitto viene anteposto al benessere dell’individuo, e l’embrione è individuo a tutti gli effetti, la qualità della vita decade».

Parlando di interessi economici, che rilevanza hanno i brevetti, nell’ambito della ricerca sulle staminali embrionali?

«La stragrande maggioranza delle applicazioni di queste cellule e delle tecniche per riprodurle sono ormai state depositate. Si deposita il brevetto con la copertura di un determinato punto di applicazione, e poi lo si estende a mille o duemila applicazioni dello stesso punto. Già chi arriva oggi si trova la strada sbarrata».

Quanto vale un brevetto?

«Non è valutabile. Può valere un euro, come mille miliardi. Dipende da quale applicazione ne verrà tratta. La questione è un’altra: se nascono metodi per produrre staminali embrionali che non passino attraverso la clonazione, senza bisogno dunque di produrre l’embrione ma invece con la tecnica del "de-differenziamento", molti dei brevetti esistenti crollano. E questo crea una pressione a livello anche di pubblicazioni scientifiche, perché chi valuta i lavori da pubblicare può avere anche un interesse diretto. Le persone oneste che hanno interessi diretti su quello stesso argomento in genere rifiutano di valutare un lavoro».

Potrebbe esserci però un muro, a livello di letteratura scientifica internazionale, che fa resistenza nel divulgare lavori alternativi alla produzione di staminali da embrioni umani, lavori anche molto interessanti, ma scomodi?
«Certamente. Peraltro questo fenomeno c’è sempre stato nella divulgazione e nella ricerca scientifica».

Qual è un’alternativa promettente alla clonazione per ottenere staminali embrionali?

«Il professor Alan Trounson, a Richmond Victoria in Australia, ha trapiantato una cellula embrionale staminale nel nucleo di una cellula adulta e ha clonato milioni di staminali. Se passasse un brevetto del genere, tutti coloro che basano il valore dei loro brevetti su staminali ottenute da embrioni crollerebbero. E non è la sola ipotesi promettente. Tre settimane fa un gruppo giapponese ha dimostrato che ci sono cellule multipotenti nel testicolo postnatale del topo. Se questo fosse vero noi avremmo nei nostri organi, anche dopo la nascita, una banca di staminali embrionali, utilizzabili nel totale rispetto della vita umana».

Lei, che si definisce agnostico, non manca di ripetere come l’embrione sia fin dall’inizio vita. Ci spieghi le basi di questa sua convinzione.

«Sono basi perfettamente scientifiche. La biologia non è scienza esatta, ma la fisica sì, ed esiste una branca della fisica che è la termodinamica. Qualunque fisico esperto di termodinamica può dire che all’atto della fecondazione c’è una transizione repentina e mostruosa, in termini di quantità d’informazione. Una transizione di quantità e qualità di informazione senza paragoni, che rappresenta l’inizio della vita: si passa da uno stato di totale disordine alla costituzione della prima entità biologica. Che contiene tutta l’informazione che rappresenta il primo stadio della vita umana, concatenato al successivo, e al successivo, e al successivo, in un continuum assolutamente non scindibile, se non in modo arbitrario. Ciò che diceva l’ex presidente della Commissione di bioetica, Giovanni Berlinguer –

"In 1400 anni non si è arrivati a definire quando comincia la vita – non è vero. Piuttosto in 1400 anni non si è riusciti a trovare un parametro obiettivo che determini, all’interno del continuum che biologia e fisica descrivono come "vita", una soluzione nella continuità: non si è trovato un modo di "tagliare". Io rispetto eticisti e filosofi, ma non è possibile fare etica o filosofia prescindendo dalla biologia e dalla fisica. Perché filosofia ed etica devono applicarsi alla realtà, e non a un’astrazione».

www.lucacoscioni.it/node/2486





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Joseph Pulitzer (1847-1911), Fondatore Premio Pulitzer