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Un papa paesano (di fatto e di mente)

Erano i primi di agosto 1903 nella Cappella Sistina. All'ombra del Giudizio Universale il voto sembrava andare come previsto quando il cardinal Puszyna, il vescovo polacco di Cracovia (allora parte dellì'impero austro-ungarico), si alzò per rivolgersi ai suoi 61 colleghi del conclave. Aveva da consegnare un messaggio prima della terza votazione per eleggere il successore di Leone XIII. Si trattava di un messaggio di Francesco Giuseppe, che, esercitando il suo antico diritto, esercitava il veto nei confronti del Cardinal Rampolla, ex segretario di stato.

Si trattava di un terribile insulto e di una interferenza assolutamente non accettabile.

Gioacchino Pecci, Leone XIII, era morto il 19 luglio 1903 , dopo aver regnato molto a lungo. Malgrado la sua fama di liberale per aver aperto gli archivi vaticani (dicendo: "La Chiesa non ha paura della storia"), era anch'egli un assolutista. Il suo amicio e biografo Giuliano de Narfon riporta una conversazione tipica del tempo: "Cosa farebbe Lei - viene chiesto ad un cardinale - se il Santo Padre volesse obbligarla ad ammettere che due più due fa sei?" "Lo ammetterei senza indugio" fu la risposta, "e prima di sottoscriverlo gli domanderei : Vuol mica che gli faccia fare sette?".

Nel 1896 Leone decise che gli ordini anglicani erano invalidi, abolendo tutti i sacramenti di questa confessione religiosa e trasformando (solo nell'ambito del suo campo da gioco, per fortuna) l'arcivescovo di Canterbury in un laico. Ma , malgrado tutto questo, Leone diede il via ad una stagione di realpolitik, insistendo per il riconoscimento della repubblica francese e cessando di invocare il ritorno della monarchia. Forse un po' d'aria fresca cominciava a circolare.

L'intervento nel corso del conclave , nel quale Rampolla, filo francese, era favorito rispetto al suo avversario, Gotti, filo austriaco, modificò l'evoluzione del voto (malgrado le veementi proteste e le dichiarazioni di indipendenza dei cardinali), conducendo all'elezione di Giuseppe Sarto, patriarca di Venezia. Pio X° non aveva desiderato l'incarico e lo accettò dopo molte esitazione e dopo lunghi pianti e molti tentativi di convinzione da parte di altri cardinali.

Figlio di un operaio, era nato nel 1834 a Riese ed entrò in seminario giovanissimo. Aveva verso la vita un'attitudine semplice e bonaria. Alcuni eventi sicuramente ne segnarono l'indirizzo politico, come la lunga attesa dell'Exsequator prima di poter prendere possesso della sua diocesi veneziana quando venne nominato patriarca di Venezia, ciò che lo convinse che l'unica soluzione ai problemi della società (secondo lui malata) era il papa e l'obbedienza assoluta al pontefice stesso.

La sua semplicità e la fede estatica, nel loro scontro quotidiano con i fatti sociali e politici, rafforzarono le sue convinzioni di una società malata , apostatica e moralmente depravata. Sicuro dell'esistenza di una congiura diretta contro la chiesa e portata avanti da teologi modernisti, evoluzione sociale, rivendicazioni politiche , la sua pochezza intellettuale lo rese facile alle castronerie, non giustificate dalla sua ipotetica infallibilità. Alcune sue encicliche sembrano frutto della mente di un deficiente, ignorante persino della dottrina che predica.

La cosa spiace perché innegabile è la sua sostanziale bontà d'animo verso le sue smarrite pecorelle.

Le decisioni assunte in ordine alla Commissione Biblica (istituita da Leone XIII per limitare le conservatrici decisioni del Sant'Uffizio) riportarono indietro la libertà di interpretazione dei testi sacri di cent'anni, ripristinando la "realtà storica" dei primi tre capitoli della Genesi (cinquant'anni dopo l"Origine delle Specie" di Darwin), l'assoluta realtà dei quattro evangelisti come autori dei vangeli sinottici ed attribuendo a Paolo tutte le epistole riportate come sue, anche se palesemente frutto dell'opera altrui.

Come giustamente diceva Voltaire solo quando il "mito" è accettato come tale esso acquista la sua intrinseca beltà e significanza.

Per Pio X il Diluvio è un evento reale e completo, la morte e le malattie degli uomini sono originate dal peccato originale e via così.

Persino il riduzionismo interpretativo che permette di vedere gli eventi biblici come accettabili, in quanto limitati nel tempo e nello spazio, rappresentava per Pio un indicibile errore teologico.

Nel suo "Lamentabili" il papa si scatena (si fa per dire) contro il suo mortale nemico, il Modernismo, elencando ( alla maniera del Sillabo degli Errori) una serie di proposizioni meritevoli di condanna che sembrano uscite dalla mente di un demente retrivo. Inaccettabili da un pensiero libero ed indipendente. L'enciclica "Pascendi" sembra un romanzo di spionaggio, rappresentando una società cristiana infiltrata dalla setta dei "Modernisti" che cerca di distruggerla.

Le condanne a grandi teologi cattolici irrogate da questo pontefice, con la sofferenza che inflisse, (v.Tyrrel e Loisy, Lagrange, Duchesne; tutti ne ebbero la vita e la professione rovinata malgrado fossero studiosi ed uomini di grandissima levatura scientifica e morale) rappresenta un grave peso sulla sua serenità spirituale. Il peso che portò l'abate Bremond, quando ammesso all'Academie Française nel 1924, a dire nella sua "orazione d'apertura" :"Io ho vissuto sotto quattro ponteficiio IX, Leone XIII, Benedetto XV e Pio XI", implicando o che per lui Pio X° non era proprio esistito oppure che sotto Pio X non era proprio possibile vivere.

La censura e le persecuzioni colpirono un po' dappertutto (persino Angelo Roncalli, il futuro straordinario Giovanni XXIII, venne indicato e sospettato come colpevole di "modernismo").

La lotta del papato contro l'evoluzione continuò anche con i due papi seguenti, anche se con minor convinzione e capacità di repressione, Benedetto XV e Pio XI, che tutto potevano essere tranne che dei giganti intellettuali.

Pio XII, che porta l'orribile peso della sua viltà o della sua personale mostruosa scelta di campo nel corso della seconda guerra mondiale, era comunque un individuo intellettualmente di grandi doti anche qui è necessario non dimenticare i campi di steminio organizzati in Croazia da Ante Pavelic (1942/1943), ricevuto regolarmente da Pio XII, e la partecipazione alle stragi dei frati francescani (Miroslav Filipovic, "Bruder Tod", ossia sorella morte). Persino alcuni ufficiali delle SS protestarono direttamente con Hitler per gli orrori serbo-croati, dei quali il papa era purtroppo informato ed alla sua morte, comunque, anche se non era lecito piangere un sant'uomo non si rese possibile trovare qualcuno alla sua altezza.



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Il Pontefice Che Amava Il Mondo

Non parve affatto un miracolo quando , nel 1958, Angelo Roncalli uscì sulla loggia di San Pietro per dare il suo augurio "Urbi et Orbi" alla città ed al mondo. Sembrava di più una benigna nonna italiana che il Sommo Pontefice.


Pio XII aveva abituato i cattolici ad una maestosa Presenza e ad un cervello affilato come un coltello. Roncalli sembrava un papa succedaneo, un vecchio che sarebbe durato qualche anno, finché i cardinali non avessero trovato qualcuno con cui rimpiazzare l'irrimpiazzabile (Pio XII, il papa politico). Poteva probabilmente trattarsi di Montini di Milano, una volta confidente di Pio. Se solo Montini fosse stato cardinale quando cominciò il Concilio avrebbe già potuto diventare papa in quel momento (anche se il Cardinal Siri, di Genova, era un avversario da non sottovalutare. Uno splendido conservatore, che fu capace di accettare in toto Giovanni XXIII ed il suo messaggio, pur non condividendolo affatto).

E poi il nome scelto da questo amabile personaggio? Giovanni XXIII. Non c'era stato un papa Giovanni da 500 anni, anche se era stato uno dei nomi più amati dai papi precedenti. Era il nome del Battista e del discepolo prediletto di Gesù. Inoltre c'era già stato un Giovanni XXIII e, come abbiamo visto, Baldassarre Cossa, il pirata , era stato anche la ragione dello sparire del nome dalle scelte dei nuovi papi. Deposto nel Concilio di Costanza nel 1415 (ve ne parlo a pagg. 21 e 22) era tuttora seppellito nel battistero ottagonale della cattedrale di Firenze (tomba disegnata da Donatello). Roncalli spiegò la scelta con il fatto che, per quanto ne sapeva lui, i "Giovanni" non erano mai durati molto, ed essendo lui parecchio oltre i settant'anni gli era sembrata una scelta appropriata. La situazione era invero assai più strana perché , lasciando da parte il Cossa, Giovanni XVI fu un antipapa, e non esiste un Giovanni XX perchè il papa che avrebbe dovuto chiamarsi così decise invece per Giovanni XXI, credendo che ci fosse stato un papa extra con quel nome nel nono secolo (si trattava della fantastica Papessa Giovanna). Così lo stupore di molti quando Roncalli scelse di chiamarsi Giovanni XXIII invece di Giovanni XXIV° non era giustificato perchè lui sarebbe stato solo il XXI dei papi con quel nome.

Vorrei non starvelo a menare con i tratti salienti della sua vita, ma credo sia inevitabile per comprenderne la personalità.


Nacque il 25 novembre 1881 a Sotto il Monte, vicino a Bergamo. Suo padre, Giovanni Battista, era un povero contadino e Angelo era il terzo di redici figli (il maschio più anziano). Fu battezzato nello stesso giorno della nascita in Santa Maria in Brusico, portatovi di corsa dallo zio Saverio, ma la registrazione comunale precedette il battesimo perché il prete della parrocchia era fuori in visita.

La sua vita familiare (da ragazzo) era vivida, piena di movimento e di fede. Ritornava annualmente in famiglia "per ritemprarsi", come spesso diceva. Egli stesso racconta:" Non c'era mai pane alla nostra tavola, solo polenta; ne vino, e carne assai di rado. Solo a Natale e a Pasqua potevamo avere un pezzetto di torta fatta in casa...eppure quando un povero si presentava alla porta e tutti noi venti aspettavamo impazienti la minestra in tavola, mia madre trovava sempre posto ed occasione per farlo sedere a mangiare con noi.
Il povero non era uno sconosciuto, naturalmente.
Agli occhi di Marianna Roncalli era lo stesso Gesù.

Con enormi sacrifici la famiglia lo mandò a studare al seminario giovanile di Bergamo e nel 1900 entrò al Collegio Cesarola di Roma. Fu ordinato il 10 agosto 1904 e, ottenuto il dottorato in Teologia, divenne segretario del liberale vescovo di Bergamo, posto che ricoprì per nove anni.
Partecipò come ordinanza medica alla prima guerra mondiale.
Nel 1922 incontrò , per caso, nella Libreria di Milano Monsignor Achille Ratti, direttore della medesima e futuro Pio IX, che lo prese in simpatia.
Tre anni dopo era vescovo ed entrava nel corpo diplomatico.

Per coloro che lo immaginano come un bonario semplicista, ricordo che Giovanni XXIII parlava correntemente Latino, Greco, Francese e Bulgaro. Capiva e si esprimeva in Spagnolo, Turco e Rumeno. Leggeva Inglese, Tedesco e Russo. Ed era uno straordinario diplomatico, che serenamente e con quieta intelligenza insisteva sulla necessità di libertà e sul rispetto dei diritti di ciascuno:"benedetti siano i mansueti perché essi erediteranno la terra, benedetti siano i "pacificatori" perché essi saranno chiamati i bambini di Dio". Altra sua espressione era "Legum servi sumus, ut liberi esse possumus"(Cicerone). Siamo soggetti alla legge al fine di essere liberi. Nobile espressione di saggezza romana che ben rappresenta la necessità di cercare il cambiamento attraverso la modifica delle regole sociali e nel rispetto della legge.

E' stato senza dubbio il Papa Giovanni che resterà nella storia. Tutto in lui , tranne l'altezza, era grossocchi, orecchie, bocca, naso, collo, cuore. Soprattutto il cuore. La sua faccia era come un puzzle composito, ma il suo cuore era uno dei capolavori del Signore.

Uomo del mondo non perse mai la capacità di essere bambino e di guardare al futuro.
Il suo orientamento verso il futuro e l'assenza totale di paura furono i grandi doni che portò al papato. Nel suo discorso di addio ad Auriol (dopo otto anni di rettorato del Corpo Diplomatico), disse:" Se noi conserviamo una fede ferma, un invincibile ottimismo e cuori sensibili ai sinseri appelli alla fratellanza umana e cristiana, noi tutti abbiamo il diritto di essere senza paura e di credere all'aiuto di Dio". Amore, amicizia e ottimismo erano virtù che aveva in abbondanza. E come i suoi alleati lo vedevano così, altrettanto facevano i suoi oppositori, che rifiutavano di chiamarlo "nemico". Lui era al di fuori di queste categorie.

Herriot, leader del Partito Radicale, disse di lui:"se tutti i preti fossero come il Nunzio Roncalli non ci sarebbero più anticlericali".

Quando divenne Patriarca di Venezia, il Presidente Auriol insistette per consegnargli personalmente il cappello rosso, nel corso di una cerimonia all'Elieseo, e Roncalli disse che a Venezia, nella sua casa, ci sarebbe sempre stata una lampada accesa per i suoi amici.
Il canadese Generale Vanier gli rispose:" Noi siamo tutti Vostri amici e quando verremo a Venezia la prima cosa che guarderemo sarà la lampada accesa nella casa del Patriarca. Sappiamo che avremo solo da bussare e ci sarà aperto.".

Come Patriarca Roncalli visse diversi anni di pace e di serenità. Il suo ottimismo era contagioso e produceva effetti pacificatori. Sembrava il massimo di una lunga carriera:dieci anni a Sofia (Bulgaria), dieci a Istambul, otto a Parigi, il suo ultimo impegno. Si aspettava probabilmente di finire i suoi giorni a Venezia, come Giuseppe Sarto prima di lui ed anche lui si sbagliava

Ci vollero undici votazioni nell'ottobre del 1958 per eleggerlo papa, ma ci volle molto meno per comprendere che era differente da tutti gli altri papi. Prima di tutto era un essere umano, poi era un umile cristiano e poi, da ultimo, era un cattolico Cattolico (universale). Era il papa del Mondo.
Alcuni dissero addirittura che sembrava addirittura un papa non italiano, per il maggior rilievo concesso alle vicende del Mondo piuttosto che a quelle italiane, come sempre confusamente rissaiole ed inconcludenti.

La Curia si lamentò amaramente per i suoi presunti cedimenti ai comunisti, alle eresie ed ai nemici religiosi di molti secoli e così fecero le destre estreme. Concesse persino un'intervista, in un delicato momento politico, alla Izvestia (principale quotidiano moscovita), diretta allora dal figlio di Khrushiov, provocando la furia belluina dei cardinali e dei prelati più retrivi.

La verità è che non era particolarmente interessato a salvare l'Italia dal comunismo, ma piuttosto a divulgare il Vangelo di Cristo a tutta l'umanità e soprattutto alla Chiesa.

Dove i suoi predessori avevano combattuto il mondo, l'avevano denunciato, avvisato, condannato, Giovanni XXIII l'amava, lo incoraggiava e gli sorrideva come un cherubino.

Giovanni era un grande "artista dello spirito". Diede una nuova dimensione al cattolicesimo, utilizzando i vecchi mezzi che aveva a disposizione. Molti , soprattutto tra i Cardinali, e uomini astuti come il Cardinal Heenan non furono in grado di coglierne l'originalità e la grandezza e lo criticarono duramente come fosse un "semplice".
Sicuramente lo era ma era anche una delle menti più acute del suo tempo ed il suo non perdere contatto con il Vangelo gli permetteva di mantenere sempre il rapporto con il mondo intero.

Rappresentò la dimostrazione che si può essere un santo e saper fare il proprio lavoro contemporaneamente.

La verità lo rappresenta meglio di mille leggende. Il Santo Stefano del 1958 si recò a Regina Coeli (la prigione) e disse ai reclusi:"Voi non potete venirmi a trovare e così sono venuto io da Voi.". Ad un bimbo che gli scriveva di sapersi decidere sul cosa fare da grande, se il papa o il poliziotto, rispose:"Sarebbe più saggio per te studiare da poliziotto. Tutti quanti possono fare il papa, visto che, come puoi vedere, anche io lo sono diventato." Aveva l'abitudine di girare per i giardini a tutte le ore, così i visitatori della cupola di San Pietro cercavano sempre di guardare se lui stesse passeggiando nei giardini, visibili dalla cupola."Cosa succede?" domandò Giovanni ad un preoccupato ufficiale della sicurezza. "Vogliono vederVi, Santità.""E perchè no?" chiese Papa Giovanni sinceramente stupito."Non sto mica facendo niente di sbagliato, credo?"

L'umanità di quest'uomo e la sua capacità di comprensione, tenendo conto del ruolo ricoperto, hanno dello straordinario. Del magico, vorrei dire, senza tema di essere blasfemo.

Sia lui che Pio X erano di origine contadina. Sia lui che Sarto erano santi uomini, senza personali preoccupazioni, senza macchie private. Uomini dedicati e pieni di umiltà personale eppure incredibilmente differenti.
Dove Pio esigeva, per il suo ruolo, assoluta obbedienza e persino sottomissione, sentendosi obbligato ad imporre la sua autorità quale rappresentante di Cristo in terra, Giovanni non esigeva nulla, nulla temendo tranne di agire diversamente da come Gesù avrebbe agito.
Non esisteva in lui contraddizione tra essere papa ed essere buon cristiano. Lui non era null'altro che il "buon pastore".

Al suo annuncio di aver convocato un Concilio, nel gennaio 1959, i cardinali erano stupefatti che chiedesse loro consiglio. Non ne avevano da dargli. Per troppo tempo erano stati abituati a seguire i comandi dei papi piuttosto che a collaborare. E perché avrebbero dovuto mostrare qualche entusiasmo? L'unico Concilio in quattrocento anni era servito a proclamare l'infallibilità del papa. Perché Giovanni voleva un nuovo Concilio ed a cosa gli sarebbe servito?

Le resistenze furono moltissime, anche all'interno della Curia, ma niente arrestò Giovanni.
Nell'ottobre del '62 presenziò, con lacrime di gioia agli occhi, alla seduta d'apertura.
Si diceva che se tutti i papi fossero stati come lui, tutti quanti avrebbero fatto la coda per diventare cristiani, ma le cose non furono affatto facili.
La resistenza della vecchia Guardia, con le condanne e gli anatemi, fu grandissima. Ottaviani, Spellman, McIntyre, Godfrey opposero strenue obiezioni allo spirito di comprensione e di libertà che Giovanni andava diffondendo, tanto da indurre, in una particolare occasione, il cardinal Léger ad alzarsi in piedi e rispondere duramente alle reazionarie istruzioni di Ottaviani: "Dovrete fare il lavoro (di contenere lo spirito di novità) da solo. Se la Vostra attitudine è questa, Voi siete l'unico ortodosso qui e tutti noi altri siamo eretici. Arrivederci." .
La prima sconfitta della Vecchia Guardia fu dovuta al coraggio di due cardinali, Frings di Colonia e Liénart di Lille, che si opposero alla composizione delle Commissioni, con membri tutti nominati dalla Curia.
Giovanni, guardando l'evolversi della situazione sulla televisione in circuito chiuso, deve aver sorriso come Monna Lisa. La Curia, che aveva così a lungo controllato l'indirizzo della politica della Chiesa, non la rappresentava più.
Molti passi avanti vennero posti in essere nel corso del Concilio, anche se nessuna reale modifica strutturale alla catechesi venne materialmente apportata. Le resistenze al nuovo furono troppo forti e l'idea che, al termine del Concilio, la Curia avrebbe comunque ripreso in mano le fila politico/religiose del potere era troppo consolidata perché si potesse realizzare una "Nuova Chiesa". I colpi inferti alla vecchia struttura furono però tremendi. L'intervento di Massimo IV, Patriarca di Antiochia e della Chiesa Orientale che emerse come figura di rilievo, modificò neanche tanto sottilmente gli atteggiamenti ed i comportamenti di adeguamento al nuovo da assumere di fronte all'evoluzione civile.
Le questioni poste sul tappeto della discussione, aborto, catechismo, irrilevanza delle strette e dure regole di comportamento imposte a fedeli per i quali non avevano ormai alcun senso, e persino l'astrusità di un concetto di paradiso che era poco meglio di un monastero medioevale, vennero messe in discussione.

Quando la prima sessione conciliare terminò, nel dicembre del 1962, nessuno dubitava più che la Chiesa stesse entrando pienamente nel XX secolo.

Nel marzo 1963, tra le furenti critiche della Curia, Giovanni ricevette il Premio Balsan della Pace, con l'appoggio completo dei quattro membri sovietici del comitato di nomina. Fu accusato di essere un cripto-comunista, di avere sminuito il prestigio del papato per aver accettato un premio di terza categoria da nemici della fede.
Nella medesima primavera del '63 Giovanni pubblicò la sua enciclica "Pacem in Terris", con la quale dava sostanzialmente il benvenuto al progresso e proclamava il diritto di ogni uomo di "venerare Dio secondo i dettami della propria coscienza e di professare la propria religione sia privatamente sia pubblicamente".
Egli distrusse definitivamente l'idea che l'errore non ha diritti, come sostenuto per secoli dall'Inquisizione, rimpiazzandola con quella che gli esseri umani hanno ricevuto da Dio diritti che nessuno può togliere loro.

Nella stessa epoca cominciò a mostrare i sintomi della malattia che l'avrebbe ucciso nel giugno del 1963.
Lasciò un vuoto che nessuno è stato in grado di colmare.
Rese attraente la bontà e la santità, rese cattolica la Chiesa, diede al cattolicesimo un nuovo cuore ed un nuovo spirito ed anche se non riuscì a completare il suo gesto d'amore nessuno di noi potrà dimenticarlo.



Il Concilio era ancora in corso perciò quando, il 17 giugno, venne nominato il suo successore, Giovan Battista Montini, che prese il nome di Paolo VI.



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L'amletico personaggio

Giovanni Battista Montini era nato il 26 settembre 1897 a Brescia ed era stato educato in famiglia (come Pio XII) prima di essere ordinato sacerdote nel 1920. Due anni dopo venne comandato presso il Segretariato di Stato , dove servì sotto due imperiosi pontefici, Pio XI e Pio XII. Nel 1954 Pio XII lo spedì in esilio, se così si può dire, quale arcivescovo di Milano (si ipotizza per alcune sue simpatie sinistrorse). Certo è che non lo nominò mai cardinale.

Giovanni XXIII lo nominò immediatamente a tale carica e, quando iniziò il Concilio Vaticano II, Montini fu l'unico prelato in trasferta ospitato nel Palazzo Vaticano. Benché Giovanni lo descrivesse come "amletico personaggio", incapace di prendere decisioni immediate, probabilmente si rendeva conto che sarebbe stato il suo successore.

Una delle sue priorità, dopo la nomina a pontefice, fu quella di allargare la Commissione papale sul controllo delle nascite, aggiungendo abbastanza membri (ultraconservatori) da equiparare il numero dei laici.

Il problema sorse quando i tre principali teologi liberali cominciarono a fare convertiti, convincendo i quattro quinti della commissione che non vi era differenza tra il "periodo di infertilità" (permesso da Pio XII) e l'uso del preservativo (che aveva rappresentato sino ad allora una forma di mutuale e peccaminosa masturbazione). La necessità di apportare dei cambiamenti netti e definitivi, deliberata sostanzialmente dalla Commissione, arrivò al pontefice mediata dall'orrore della vecchia guardia Curiale ed il papa "amleto" riportò indietro il papato di mezzo millennio in un colpo solo.

Egli decise infatti che avrebbe personalmente esaminato il rapporto della Commissione e poi avrebbe deciso per conto suo. Tutto quanto Giovanni aveva prodotto rinnovando il concetto di Collegio Ecclesiale di amore e fratellanza andò a puttane (l'originale concetto di chiesa, clero e fedeli unitariamente coinvolti nei processi decisionali).

Così una volta ancora la Chiesa cattolica adottò l'attitudine de: "Il Papa sa meglio".

Padre F.X. Murphy, ancor prima della decisione Paolina, scrisse nel 1967/8: "l'insuccesso della Gerarchia nell'intervenire esplicitamente sull'argomento (contraccezione) è soltanto criminale. Lasciare la decisione solo nelle mani del pontefice non sembra, nelle attuali circostanze (Concilio Vaticano II°) ne giusto ne appropriato.".

I vescovi cedettero ed il loro crollo psicologico e morale può essere accostato con quello verificatosi cento anni prima nel Vaticano I°, quando abbiettamente, subirono la papale "infallibilità" malgrado le giuste proteste delle loro coscienze.

I due giorni più esplosivi del Concilio furono il 29 ed il 30 ottobre 1964, quando i padri discutevano de "la Chiesa nel mondo moderno". Il cardinal Léger di Montreal suggerì che il matrimonio non dovesse necessariamente fruttificare in unici atti di rapporto ma dovesse essere considerato come "intero". L'amore , egli insistette, deve essere considerato come un fine "di per se stesso" e non meramente come un mezzo per qualche altro fine, come la fecondità. Si trattava di un'interpretazione normale per qualunque laico ma straordinaria per un prelato.

Il belga Suenens chiese che venisse rivista l'intera dottrina classica della contraccezione, alla luce della scienza moderna, pregando i suoi "fratelli vescovi" di evitare un nuovo "affare Galileo".

L'intervento del patriarca Maximos IV° Saigh diede voce prestigiosa alle preoccupazioni di tutto il clero liberale esponendo con chiarezza intellettuale le problematiche legate all'interpretazione del matrimonio e del sesso poste in essere da soggetti (il clero) che non erano in grado di afferrare completamente i problemi e spazzando via le distinzioni tra fine primario (procreazione) ed altri fini del rapporto coniugale.

Persino il conservatore cardinal Alfredo Ottaviani manifestò le questioni legate all'assenza di controllo nelle nascite (e di conseguenza alla possibile sovrappopolazione).

La votazione del 30 concluse il dibattito e quella fu l'ultima volta in cui ai vescovi ed ai cardinali fu permesso dibattere liberamente questa essenziale problematica.

Il papa sospese la questione riservandosi di decidere ex cathedra. Alla sua richiesta di riaffermare quanto deciso con la "Casti connubi di Pio XI la Commissione rifiutò recisamente. Ottaviani e Garrone lo avvisarono che stava giocando con il fuoco vietando ai padri di discutere e poi cercando di imporre unilateralmente la propria idea. Si trovò un temporaneo compromesso apportando emendamenti alla relazione della commissione, ma mantenendoli solo verbali.

Naturalmente nulla venne ufficialmente deciso in sede Conciliare e Paolo VI, nelle sue successive uscite pubbliche ed approfittando dell'impossibilità dei vescovi di riunirsi nuovamente, dimostrò ampiamente di non aver capito un cazzo, ripetendo come un pappagallo tesi che non sarebbero andate bene due millenni prima e risultavano adesso ancora più improprie.

Idiozie sulla donna quale "riflesso" della "immacolata" "vergine" "docile" "addolorata" "benedetta" Vergine Maria, personaggio mitico se ce n'è uno, visto che anche queste sue prerogative erano state decise per via conciliare. Altre pesanti idiozie sul controllo delle nascite, sul "periodo sicuro", per finire con il dismettere le conclusioni della Commissione come "non definitive", conservando inalterato lo statu quo.

Evito di esporVi le diverse tesi della Commissione (ci furono due differenti relazioni , una moderata ed una estremista), che sostanzialmente portavano a modificare in concreto la posizione della Chiesa sul matrimonio e sul controllo delle nascite, con chiarezza interpretativa così sorprendente da far pensare che si trattasse di problemi profondamente sentiti anche dal clero.

Humanae Vitae fu la risposta, il 25 luglio 1968, a tutte le feconde istanze di rinnovamento portate alla luce da Giovanni XXIII. Frutto di lunga riflessione questa enciclica rappresenta il culmine della repressione etica e della retrività.

Riferendosi al "costante" insegnamento della Chiesa il papa rivieta il "periodo fertile" quando lo si utilizzi per non avere più figli oltre quelli esistenti, rivieta l'aborto e la sterilizzazione, condannando a morte milioni di madri e di figli insieme.

Condannando alla sofferenza ed alla povertà milioni di individui, considerandoli come disgraziati animali che devono seguire pedissequamente le leggi "naturali".

Lo squallore morale ed etico di questa encliclica, mascherata come saggio ed illuminato insegnamento, non ha pari in nessuna espressione letterario/didattica recente. L'idiozia delle tesi esposte sembra non avere limiti ragionevoli, ne umani ne divini. L'interpretazione dei rapporti umani che traspare dalle parole del papa appare quella di un semideficiente (eppure era un politico di grande qualità) che non si rende conto di come e di dove vivano i suoi disgraziati, questa volta veramente, fedeli.

Slums e favelas, ghetti, periferie sporche e case fatiscenti. Decine di figli senza il cibo con cui nutrirli e le medicine con cui curarli. Donne e uomini che vivono un'esistenza bestiale di fatica, dolore e sofferenza.

Non credo che noi che viviamo nel "primo mondo" (10% scarso della popolazione mondiale) ci rendiamo completamente conto della situazione esistente negli altri "mondi". Ma il papa, lui si avrebbe dovuto rendersene conto.

The Guardian, The Economist e persino il cattolico The Tablet ironizzarono sulle posizioni papali. The Times dissentì rispettosamente. I giornali italiani, l'Unità compresa, sfiorarono il ridicolo per la pochezza dei loro commenti.

Le resistenze nel mondo cattolicofurono comunque fortissime e condussero, come era prevedibile, alla assoluta pratica irrilevanza delle prescrizioni papali, producendo analogicamente il mancato rispetto di altre ben più nobili e serie disposizioni etico/religiose.

Come gli studi di Padre Andrew Greely (The American Catholic, 1977) dimostrarono ampiamente ed irrefutabilmente, il declino della Chiesa cattolica e delle sue vocazioni deve attribuirsi essenzialmente, non al Concilio Vaticano II° come sostengono alcuni teologi conservatori, ma alla leadership papale nell'area della morale sessuale. La conclusione di Greely è che il Vaticano II° senza l'"Humanae Vitae" avrebbe dato forte spinta alla crescita della Chiesa. "Humanae Vitae", senza Vaticano II°, sarebbe stata un assoluto disastro. Insieme furono un mezzo disastro.

Non voglio parlarVi delle conseguenze logiche della posizione morale della Chiesa sulla diffusione delle malattie veneree. Magari lo farò in seguito.




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Il Superpapa e le questioni pressanti

Parlare di Giovanni Paolo II è cosa affatto facile. L'uomo possiede qualità e caratteristiche assolutamente contrastanti. Che la sua figura giganteggi in quest'ultimo scorcio di secolo è cosa indubbia, ma altrettanto indubbio è che agli straordinari progressi nel campo della pace tra le genti egli non abbia unito una crescita altrettanto rilevante nella comprensione della vita e della morale correnti. Credo sia bene, per esempio, non dimenticare che buona parte degli orrori verificatisi nel corso dei conflitti in Ruanda nel 1994 hanno avuto la benedizione o la partecipazione diretta di membri del clero cattolico, e sotto il pontificato di Giovanni Paolo II

Le sue posizioni sull'aborto, sulla contraccezione, sul celibato del clero e sulla posizione della donna nella società e nella famiglia potrebbero essere tratte da un volume di catechesi del 600 senza che dovesse esser loro apportata alcuna variazione.

Un alto prelato vaticano ha detto che Giovanni Paolo rifiuta di giocare la partita sui numeri, ma è proprio sui numeri che la partita si gioca.

L'interessante assunto del Santo Padre "qualcuno provvederà" o "ci penserà la Provvidenza" sembra fare tristemente il paio con l'orribile "Dio riconoscerà i suoi" della strage degli albigesi.

Ci sono voluti 1800 all'umanità per raggiungere il miliardo di individui. Dal 1800 al 1920 si è aggiunto un altro miliardo. Il terzo miliardo è stato raggiunto nel 1958, il quarto nel 1975 ed il quinto nell'estate del 1987. Attualmente (marzo duemila) sfioriamo i sette miliardi di persone.

Non c'è mai stato un così grande numero di esseri umani che vivono in condizioni subumane. Un così spaventoso numero di sofferenti e di poveri. Ed il giochetto mentale di sostenere che il 10% della popolazione mondiale utilizza e sfrutta il 90% delle risorse è ridicolo e scorretto. Quel 10% è rimasto pressoché invariato negli ultimi 200 anni , raggiungendo nei paesi più civili una crescita zero.

I governi democratici sembrano in condizione di controllare meglio i propri tassi di crescita, forse perché meno dipendenti da forme di manipolazione della popolazione o perché la popolazione diventa meno disponibile a farsi manipolare dai governi. Dei circa duecento paesi del mondo solo una trentina sono realmente democratici,esenti da pressioni e colpi di stato. Dove il governo ha carattere tirannico o fortemente religioso, a parte i devastanti pericoli di guerre esterne, la popolazione costituisce il famoso gregge ai cui componenti non sembra restare altro che adempiere al comandamento passatempo "moltiplicatevi" (anche per ragioni di mera sopravvivenza). I propri giovani vengono venduti e/o affittati per limitare i costi o perché ce ne sono in soprannumero (di figli) e perché costituiscono l'unica fonte di "ricchezza".

Per di più sembra difficile esaminare razionalmente il problema senza cadere in trappole buoniste, ecologiste ed umanitariamente "cattoliche".

Se qualcuno suggerisce di interrompere o di controllare con fermezza i flussi migratori verso i paesi industrializzati viene immediatamente catalogato come razzista (se gli va bene) , nazista e/o fascista. Anche gli immigrati prima o poi voteranno, il che è un elemento da non trascurare.

Non credo che esistano facili soluzioni ma sicuramente esse devono essere "imposte" sia pure per via mediata e senza prevaricazioni dirette.

Gli ultimi cinquant'anni hanno dimostrato con estrema evidenza che i cosiddetti regimi arrivano sempre al punto di non aver altra scelta politica oltre a quella di ricorrere ad una guerra contro un nemico esterno e tale scelta, attuata, per esempio, contro un paese come il nostro, può essere una scelta dall'effetto devastante e dirompente.

Ma torniamo al papa.

La completa approvazione di Giovanni Paolo alle prescrizioni dell'enciclica sulla pillola , Humanae Vitae, appare situata fuori dal contesto temporale nella quale estrinseca i suoi effetti.

Considerare aborto e preservativo (o contraccezione in genere) quali peccati mortali in tutte le circostanze (la casistica nella quale sono tollerati, quali mali minori è praticamente limitatissima) carica i fedeli di un peso etico e morale assolutamente ingiusto. Vedasi le pesanti problematiche e gli orrori etici che questa posizione ha provocato nei recenti conflitti in Croazia, Bosnia etc., con l'impedire l'interruzione di gravidanza alle molte donne (tra le quali anche alcune suore) stuprate e fecondate dagli stessi soggetti che hanno ucciso i loro mariti o i loro figli. Peraltro senza che tale comandamento religioso trovi una effettiva corrispondenza nelle Scritture.

Praticamente tutta l'elaborazione teologica a giustificazione della Humanae Vitae è frutto dell'opera di Agostino e di Tommaso e non rappresenta certo, come sostenuto da papa Giovanni Paolo, una "costante tradizione cattolica".

Già soltanto il fatto che il "periodo sicuro" , condannato come peccato mortale (in quanto metodo contraccettivo) da Agostino sino al 1951, sia poi diventato l'unico metodo approvato dalla Chiesa (forse perché funziona di merda) la dice lunga sulla costanza. Quanto alle virtù coniugali in "De bono coniugali" il medesimo Agostino (sempre tra le scatole) scrive che gli unici meriti (bona) o valori del matrimonio sono :figli, indissolubilita, fedeltà, gli stessi che ritroviamo in "Casti connubi" di Pio XI nel 1930, saltando a pié pari millecinquecento anni di variazioni sul tema e di differenti insegnamenti catechistici sull'argomento. Con scarse varianti gli stessi concetti vengono reiterati nella "Humanae vitae" e, più di recente, ancora rinforzati con "Evangelium vitae", nella quale l'aspetto paradossale delle spiegazioni e delle istruzioni papali risiede proprio nel continuo autocitarsi da parte di Giovanni Paolo a conferma della validità di posizioni religiose/morali del tutto insostenibili dal punto di vista etico. Per questo papa, uomo politico di grandissimo valore e di enorme coraggio, sembra che duemila anni di orrori e sofferenze,senza dubbio addebitabili in parte alla Chiesa, siano trascorsi inutilmente: mascherati da un linguaggio "prudente" ed apparentemente "paterno" si ritrovano il disprezzo per la donna e l'insofferenza verso il diritto dell'uomo a decidere del proprio futuro e, quello che è peggio, del proprio presente. Insomma, se potesse, Giovanni Paolo sarebbe ben contento di avere due spade (e magari di tagliare la gola a quelli che non la pensano come lui).

D'altra parte basta leggere con attenzione la bibbia per rendersi conto che, così come i Patriarchi avevano spesso diverse mogli, l'originaria visione del rapporto matrimoniale aveva connotazioni profondamente differenti da quelle imposte dalla morale cattolica.

In una società fortemente maschilista, nella quale la repressione dell'altro sesso costituiva (costituisce) elemento indispensabile di sopravvivenza, solo presso i cattolici e gli Stoici (con ben altra caratura etica) l'atto d'amore costituito dal rapporto sessuale coniugale diventa "cosa sporca" e peccato di particolare turpitudine.

La sequenza di storie "edificanti" che ritroviamo nella Patristica su mariti che abbandonano mogli e figli (a morire di fame) per intraprendere una vita "casta e meditativa", sembrano prodotte da una banda di celibi impotenti e/o repressi (senza avercela con gli impotenti, assolutamente incolpevoli di per se), al servizio di un Dio "maschio e sciovinista".

Se solo si pensa che i Padri spesso giustificano la loro posizione spiegando il dolore del parto con la giusta punizione inflitta da Dio alla donna proprio nel posto e nella parte del suo corpo dove ella ha commesso peccato, si resta spaventati dalla pochezza e dall'inumanità di coloro che hanno guidato la nostra vita religiosa per venti secoli.

Proverò a parlarne un poco nelle prossime pagine, ma Vi prego, abbiate pazienza.



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Le posizioni di Gregorio e degli altri

Gregorio il Grande, che regnò dal 590 al 604 d.C. , fu una delle meraviglie della sua epoca. Solo Leone I (440-61) poteva rivaleggiare con lui come teologo e vescovo pastorale.

Gregorio era di media altezza con un'enorme testa calva (teschio che molte città - Costanza, Praga, Lisbona, Sens - dichiararono di possedere come reliquia) . Aveva la fronte alta e piccoli occhietti giallo/marroni. Naso aquilino con grandi narici e labbra larghe e carnose. Di nobile famiglia senatoriale aveva deciso fin da piccolo di fare il monaco. Era di cattiva salute ed aveva peggiorato ulteriormente la sua qualità di vita mangiando male e bevendo peggio (importava direttamente da Alessandria il "cognidium", vino insaporito con resine), beccandosi la gotta (dolorosissima) e una digestione disastrosa.

Egli fu uno dei primi pontefici ad approvare ufficialmente l'opera di Agostino, condannando i rapporti sessuali non solo durante la gravidanza ma anche nel periodo dell'allattamento.

Secondo Gregorio, dopo che un uomo ha dormito con sua moglie, non può nemmeno entrare in una chiesa prima di essersi lavato e di aver fatto debita penitenza, poiché la sua volontà rimane contaminata. Il Matrimonio non è di per se peccaminoso, ma il sesso tra i coniugi lo è sempre . In accordo con Agostino, Gregorio collegò strettamente sesso e peccato originale.

Il peccato originale è la corruzione innata dell'anima ed assume la forma del desiderio o della concupiscenza, la ribellione della carne contro lo spirito. A causa del peccato di Adamo tutta l'umanità è sporca e dannata ed è come se Adamo, il primo uomo, avesse contratto una malattia ereditaria che porta irrevocabilmente alla morte. Della colpa di Adamo tutta l'umanità è responsabile ed in Adamo tutti noi abbiamo peccato.

Questo significa che noi nasciamo nel peccato e dal peccato le nostre anime sono inquinate sino dalla nascita.

Il problema che tale colpa viene lavata via dal battesimo (e quindi non dovrebbe essere trasmessa ai figli da due genitori "purificati" dal sacramento) viene risolto da Gregorio rilevando che la procreazione avviene per il tramite di un atto "sessuale", prodotto della lussuria, e quindi "in se" peccaminoso. Se i bambini muoiono non battezzati essi sono condannati ad un eterno tormento , colpevoli solo di essere nati.

E ricordiamo che i pagani (tutti ed indiscriminatamente) se ne vanno tranquillamente all'Inferno senza scampo alcuno (a queste condizioni li seguo anch'io volentieri. Forse Memnoch aveva qualche ragione a ribellarsi).

L'ottica di Gregorio non è poi tanto lontana o dimenticata nel tempo. Se si riesamina il canone 747 del Codice ecclesiastico del 1917 (non riportato nel codice revisionato del 1983, ma che tuttavia ancora determina i comportamenti pratici dei moralisti) si legge che se esiste pericolo di morte del bambino nel grembo della madre, esso deve essere battezzato prima della nascita (magari frugando nell'utero con una siringa piena d'acqua santa [metodo consigliato]). Sembra un'idea tristemente satirica nata dalla fertile fantasia di Swift. Nella visione di Gregorio solo Gesù nasce incorrotto, in quanto "non frutto" di una congiunzione carnale. Naturalmente , au contraire, la povera Madonna non è , per Gregorio, ne immacolata, ne pura (tanto per contraddire i suoi successori).

In considerazione dell'infallibilità papale viene da chiedersi perchè mai Paolo VI, scrivendo Humanae Vitae, non si sia appoggiato anche alle terrificanti tesi di Gregorio, oltre che a quelle di Pio XI e PioXII. Perchè questi ultimi si ed il Grande Gregorio, sicuramente uno dei cinque o sei papi più importanti nella storia della Chiesa, no?

La verità è che l'nsegnamento religioso degli ultimi papi contraddice in più punti la dottrina precedentemente seguita, producendo dal punto di vista logico una serie di prescrizioni prive di coerenza interna (che invece era perseguita dagli antichi teologi).

Le tesi di Gregorio governano tutto il medioevo e , nel Malleus Maleficarum, Sprenger e Kramer palesano una salda credenza che il sesso sia la porta d'ingresso di Satana nel mondo materiale. Le idiote opinioni di Capello, Genicot ed altri in ordine alla differente qualità di peccaminosità inerente agli atti sessuali non portati a compimento rappresentano solo l'incapacità da parte di ciechi dalla nascita di pontificare sul colore dei quadri.

Nel 1930 la Casti Connubii di Pio XI contraddice tutto quanto precedentemente sostenuto da tutti i papi che lo hanno preceduto, attribuendo al matrimonio "fini secondari" (aiuto reciproco, amore reciproco, lenire la cincupiscenza) e dimeticando che tutto quanto non sia diretto alla procreazione ed ogni altro fine aggiunto alla medesima procrazione , secondo la costante tradizione cristiana, costituisce peccato mortale. Questa è stata la costante ininterrotta tradizione cristiana. Persino Innocenzo XI (1676-89) decretò solennemente che fare sesso solo per il piacere (lenire la concupiscenza, amore reciproco) è peccato.

Secondo questa dottrina fare l'amore con la propria moglie incinta o sterile o in menopausa costituisce un peccato mortale senza possibilità di scampo.

Pio XI modifica strutturalmente la faccenda, affermando nella sostanza che posto che vi sia penetrazione ed inseminazione, diventa irrilevante lo stato del coniuge. Non importa cioè la condizione sostanziale dei soggetti in discorso (se siano sterili, in menopausa, in andropausa, incinti, etc.etc.). L'importante è che non adottino pratiche contraccettive e che l'atto sessuale si definisca in una penetrazione con inseminazione. L'atto, in questi termini e per Pio, appare quasi virtuoso.

Naturalmente quando Vaticano II rifiutò di usare la distinzione tra fini primari e secondari del matrimonio fece una cosa saggia, perché il tentativo di Pio di sostituire una regola morale con una partica descrizione dell'atto lecito rendeva assolutamente impossibile uscire dal dilemma costituito dalla contraccezione.

La nuova moralità imposta dalla Casti Connubii e dalla HUmanae Vitae (da ultimo anche dalla pressochè ridicola Evangelium Vitae) appare priva di coerenza logica e morale , rimanendo inaccettabile come e quanto l'insegnamento tradizionale ma senza averne l'ideale giustificazione. Il tentativo, pur lodevole, di permettere (Pio XII, 1940) agli sposi la sperimentazione del piacere e della felicità nel corpo e nell'anima (senza però comprendere come l'atto sessuale sia un atto d'amore, anzi, l'Atto dell'amore reciproco) rende impossibile produrre un ragionamento logico che permetta di prevedere in astratto quali siano o debbano essere i comportamenti leciti e quelli proibiti. Le varie concessioni (vedasi quella del 1951, Pio XII, relativa alla assoluta liceità del metodo Ogino-Knaus) non hanno fatto che rendere più complesse (e più meccaniche, se pensiamo ai termometri, alle misurazioni, etc.etc) le problematiche dei fedeli legate al sesso.

D'altra parte l'orrore di un Dio che condanna incolpevoli bambini ed ignari adulti ad un Inferno mostruoso solo perché non battezzati non può essere eguagliato da alcuna azione umana, per quanto terrficante. Sarei propenso a valutare Hitler ed Attila come dei patetici dilettanti di fronte alle crudeltà attribuite dai nostri gentili teologi al Dio padre di nostro Signore Gesù Cristo.

Di fatto nemmeno il Demonio appare così crudele.





“Non esiste delitto, inganno, trucco, imbroglio e vizio che non vivano della loro segretezza. Portate alla luce del giorno questi segreti, descriveteli, rendeteli ridicoli agli occhi di tutti e prima o poi la pubblica opinione li getterà via. La sola divulgazione di per sè non è forse sufficiente, ma è l'unico mezzo senza il quale falliscono tutti gli altri”.
Joseph Pulitzer (1847-1911), Fondatore Premio Pulitzer