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L'aborto e la contraccezione

La maledetta questione dell'aborto.

Si direbbe che due immagini congelino due posizioni estreme: la prima è quella di un medico cattolico che esibisce un feto completamente formato in un'ampolla ed il feto ha sembianze innegabilmente umane. "Questo", dice il medico "è un aborto. L'assassinio di un essere umano." La seconda è quella di una donna che mostra un lungo oggetto di metallo a forma di cucchiaio dicendo "questo è l'oggetto che ha ucciso milioni di donne quando l'aborto era vietato dalla legge, E solo per impedire alla donna di decidere quando restare incinta."

La vera stranezza è che, in via assolutamente astratta, una volta tanto l'idea sottesa dalla dottrina non può essere scartata come retriva o obsoleta. A parte la maggiore gravità che comporta l'aborto per un cattolico, conseguente al problema del peccato originale ed alla condanna eterna all'inferno del feto, la soluzione comportata da un intervento in genere traumatico non è mai facile per alcuno.

E questo, anche tenendo conto dei i sistemi che eliminano l'embrione chimicamente, con sistemi non traumatici, con pastiglie o supposte che lo provocano, pone molti problemi di carattere generale e speciale che devono, in una società civile, essere risolti con i mezzi disponibili e con la politica del male minore.

Ricordando che la questione della morte di figli o feti è stata evidenziata dalle dottrine cristiane, mentre nelle civiltà precedenti era in genere normale sia l'aborto sia l'eliminazione della progenie più debole e/o inadatta (così era per greci, romani, egiziani, ittiti, celti e goti), è bene fare presente che negli ultimi cento anni si è verificato nella società moderna un radicale cambio di attitudine verso l'aborto. Solo nel 1939 erano pochissime le nazioni nelle quali , solo in pochi casi ben specificati, era possibile porre in essere un'interruzione di gravidanza. Ora la maggior parte delle nazioni cosiddette "civili" lo contempla e lo regola nella propria legislazione.

Pur non essendo eticamente favorevole alle procedure abortive, soprattutto tenendo conto delle innumerevoli interruzioni di gravidanza che si verificano annualmente nel mondo (stimate in 60 milioni) e dell'idiozia dell'intervento "in se", non posso che contemplarlo come possibile in un contesto sociale nel quale le varie confessioni religiose pongono così drastici paletti alla contraccezione ed all'insegnamento sessuale.

Magari un po' meno conversioni e catechismo ed un po' più di educazione sessuale renderebbe meno pressanti alcuni problemi per la nostra gente.

Ma non esprimo giudizi, che sarebbero menosi e complessi, mi limito a dire che Giovanni Paolo II ha condannato l'aborto fissando quattro punti essenziali, riconosciuti da sempre come certi per il cristianesimo, e cioé: 1) il concepito è un essere umano; 2)è un essere umano dal momento del concepimento; 3)ha quindi gli stessi diritti di ogni altro essere umano (gli stessi della madre o dei fratelli, per esempio); 4) uccidere "direttamente" il concepito è "sempre" un omicidio.

Anche se egli avesse ragione su ogni punto, quanto di queste affermazioni è "costante insegnamento cattolico"? La risposta è proprio NIENTE.

Molti cattolici ritengono che l'anima sia infusa al momento del concepimento. Lo credono un articolo di fede, mentre in realtà non lo è. Vaticano II° lasciò la questione in sospeso per l'ottima ragione che dal quattrocento in poi tutti i cattolici, papi compresi, davano per scontato che l'anima non fosse infusa nel corpo al momento del concepimento. E se la chiesa si opponeva all'aborto anche allora non era sulla base della teoria che il feto fosse un essere umano.

Vi rammento che queste non sono questioni di lana caprina. Gli aspetti ideologici della questione sottendono una complessa serie di conseguenze che, in una confessione religiosa (salvo che non sia "aperta"), conducono a condanne eterne e definitive (naturalmente non tutti dispongono di un papa onnipotente che decide al posto di Dio).

Dal quinto secolo in poi la chiesa accettava senza discussioni la primitiva embriologia di Aristotele, nella quale l'embrione partiva come essere "non umano" che progressivamente si animava, evolvendo da essere vegetativo, attraverso una fase animale, sino ad essere umano (solo negli ultimi momenti della sua vita fetale era "umano"). Graziano perciò poteva dire: "Non è un assassino colui che produce l'aborto prima che l'anima sia nel corpo."

Le caratteristiche del feto venivano attribuite solo al padre. La cosa (ed era corretto chiamarlo "la cosa") diventava "umano" a quaranta giorni se maschio e ad ottanta giorni se femmina. Le femmine erano causate da un difetto nel seme o dal clima al momento del concepimento (così sostiene Tommaso d'Aquino). Un aborto all'inizio della gravidanza quindi non era un omicidio, anche se doveva considerarsi come sbagliato perchè nel feto c'era il "potenziale" per diventare un essere umano.

Nel quindicesimo secolo cominciarono a domandarsi se non fosse possibile liberarsi senza colpe del feto in certe particolari circostanze. Per esempio quando fossero frutto di violenza, incesto o anche adulterio, oppure nel caso la salute della madre fosse a rischio. Le discussioni andarono avanti altalenando tra le varie soluzioni. I papi fecero lo stesso. Gregorio XIII (1572-85) sostenne che non era affatto omicidio abortire nei quaranta giorni dal concepimento ed anche dopo era si un omicidio, ma non un omicidio serio, in quanto non causato da odio o vendetta. Sisto V (Bolla Effrenatum , 158 stabilì che l'aborto era sempre omicidio e poteva anche essere punito con l'eventuale scomunica dalla Santa Sede (a piacere). Il suo successore, Gregorio XIV affermò che le censure di Sisto V dovevano essere considerate inesistenti e mai emesse.

Nel 1621 un medico romano, Paolo Zacchia, suggerì che l'ottica di Aristotele non fosse proprio corretta ed in conseguenza il Vaticano permise il battesimo dei feti di meno di quaranta giorni (ma senza renderlo obbligatorio).

Solo dopo il 1750 la Chiesa assunse posizioni più rigide sulla questione, sino ad arrivare alle obbligazioni poste in essere da Pio IX nel 1869 (per le quali ogni aborto meritava la scomunica). Ma questi (Pio) era ben lungi dal rinforzare una tradizione esistente, anzi se ne staccava completamente, adottando la posizione di un unico papa prima di lui, Sisto V, quasi quattrocento anni addietro.

Le sue giustificazioni furono che l'anima veniva infusa al momento del concepimento e che embrione e madre avevano gli stessi diritti.

Di lì a poco veniva sancita la sua infallibilità e la dottrina della Chiesa diventava ferrea. Il Sant'Ufficio chiuse la porta ad ogni possibilità.

Persino in casi pratici (Leone XIII, 1985) la decisione obbligatoria era di lasciar morire madre e feto piuttosto di effettuare un aborto. Nel 1917 le punizioni religiose per l'aborto vennero estese anche alla madre (pur se impotente o incosciente). Per un certo periodo furono anche condannati gli aborti cosiddetti "indiretti" e cioè quando si interveniva a rimuovere un tumore o un escrescenza provocando involontariamente l'aborto. Solo nel 1951 Pio XII permise l'aborto "indiretto" in certi particolari casi.

Le problematiche diventano complesse quando si va sul pratico. Per esempio se un medico rimuove un embrione pericoloso da una tuba di Fallopio "senza rimuovere anche il pezzo di tuba" commette un aborto. Se rimuove anche il brandello di tuba che lo conteneva si tratta invece di un aborto "indiretto" e quindi permesso (nel primo caso è un omicidio diretto , nel secondo un omicidio incidentale).

Naturalmente l'approccio all'aborto è una diretta conseguenza "pratica" della dottrina sulla contraccezione. Se tutto lo sforzo posto dalla Chiesa sull'evitare le pratiche contraccettive fossero state rivolte solo alle pratiche abortive, considerando accettabile la contraccezione, è probabile che questa piaga dolorosa (soprattutto per le giovani madri) avrebbe una differente diffusione.

Preciso ancora che non ho pregiudizi in merito. Personalmente ed astrattamente ritengo l'aborto una pratica retriva ma sostengo e sosterrò sempre il diritto delle madri di decidere se portare avanti la gravidanza o meno. Sono loro che ne portano il peso, pagandone l'altissimo prezzo, e meritano tutto l'appoggio e l'aiuto possibile.

Il problema etico connesso con l'anima del feto non è di facile soluzione, soprattutto quando si pensa che due terzi degli ovuli fecondati vengono naturalmente abortiti senza che la madre nemmeno se ne accorga.

In astratto sarebbe come dire che un buon terzo degli esseri umani esistenti in un certo momento finisce nella coppa del cesso (oddio!.. prima o poi ci finisce lo stesso anche il resto).

Il diritto alla vita è sicuramente un diritto fondamentale, come sostiene l'attuale pontefice, ma non è sicuramente un valore che superi sempre e comunque gli altri valori. Se così fosse la guerra dovrebbe essere considerata fuori legge e così gli sport a rischio di vita , anche ipotetica, e le pratiche scientifiche, come spedire razzi nello spazio, che possono causare perdita della vita.

La posizione del papa è scorretta anche perché diversa è la potenzialità vitale dell'embrione e dell'essere che lo contiene. Senza la madre l'embrione non esiste, non ha possibilità alcuna di sopravvivenza (la crescita in vitro è ancora una possibilità e non una realtà scientifica), mentre la madre sopravvive tranquillamente (anche se generalmente non benissimo e di certo non è contenta della faccenda). Questo implica che anche i diritti dell'embrione debbano essere considerati potenziali (come la sua vita) e siano quindi diritti "qualificati" ma non assoluti.

Le mostruose posizioni assunte dai difensori della posizione papale sembrano a volte uscite dalla mente di un sadico.

David Granfield scrive "due morti naturali sono un male minore di un singolo omicidio".Un prete cattolico ha detto:"è meglio che muoiano madre e bambino piuttosto che un dottore pratichi un aborto".Orientierung (rivista tedesca dei gesuiti) ha precisato che bisogna elogiare l'eroismo, il coraggio ed il sacrificio delle donne che preferiscono morire piuttosto di tradire la propria coscienza (abortendo in pericolo di vita per se e per il feto), sostenendo in pratica che in tali casi le uniche madri buone sono quelle morte.

Quella testa di cazzo di Bernhard Häring (teologo moralista cattolico) parla del grave danno psicologico e del rapporto "disturbato" con Dio che l'aborto provoca nelle povere madri, senza pensare al suo disgraziato rapporto con una vita di tutti i giorni durissima.

La Chiesa tedesca non prende nemmeno in considerazione le madri, trattando dell'aborto "terapeutico". La decisione "morale" che considera è solo quella del medico, rispettandone la decisione "di coscienza", cosicchè le madri passano dalla decisione di un estraneo a quella di un altro estraneo. Häring sostiene nel suo libro "La legge di cristo"(1967) che la medicina venne salutarmente stimolata dalla proibizione papale (che condannava l'aborto anche in grave pericolo di vita di "entrambi", madre e feto). Come dire che le migliaia di disgraziate che ci hanno lasciato la pelle hanno fornito ottimo materiale di sperimentazione alla moderna medicina. Ora "grazie ai papi" i medici non hanno quasi più bisogno di madri morte come stimolo a sviluppare la loro prassi (Ute Ranke-Heineman).

Ricordando Sant'Alfonso De'Liguori che sostenne nel 1700 la quasi assoluta necessità dell'intervento (allora decisamente omicida) cesareo sulla madre al solo fine di battezzare il feto (l'importante è salvare l'anima al feto, la madre magari è già stata battezzata), mi viene lievemente da vomitare (magari sono anche le terapie neoplasiche).

I diritti delle persone non possono essere sempre considerati assoluti. Essi sono soggetti alle circostanze e, tristemente, il feto non è in grado di esercitare i propri diritti. La protezione che gli deve essere attribuita dovrebbe essere in primis costituita dalla prevenzione, perché, come scrive giustamente Callaghan nel suo libro "Abortion:Law,Choise and Morality", IL BENE CHE SI VUOLE OTTENERE VIENE REALIZZATO A SPESE DI ALTRI BENI; IL PREZZO PAGATO PER LA PROTEZIONE DELLA VITA FETALE E' TROPPO ALTO. UN'INTERPRETAZIONE DELLA "SANTITA' DELLA VITA" CHE STABILISCA FISSE REGOLE MORALI, RIGIDE GERARCHIE DI VALORI E DI DIRITTI ED UNA FERREA ESCLUSIONE DELL'ESPERIENZA E DELLE RISULTANZE SOCIALI RAPPRESENTA UNA POSIZIONE ASSOLUTAMENTE INSOSTENIBILE.



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La criminosità dell'aborto

Persino coloro che simpatizzano con la posizione papale e ritengono che la società stia scivolando in un pericoloso permissivismo non pensano necessariamente che tutti gli aborti costituiscano un "crimine".

E' persino possibile interpretare la moderna normativa sull'aborto in chiave di legge eccezionale, che permette alle donne di prendere una decisione che, in senso stretto, concerne primariamente loro stesse.

Negli U.S.A. il rettore del Boston Law College , il gesuita Robert Drinan, da sempre totalmente contrario all'aborto, di fronte alla prospettiva di una revisione della legge, nel 1967, dopo lunga meditazione assunse, au contraire, una posizione favorevole alla revisione della norma.

Spiegò il suo cambiamento sostenendo che la normativa revisionata non avrebbe dovuto fare differenza tra embrioni che avevano diritto di nascere ed embrioni che non avevano tale diritto, perché tale sarebbe stata una pericolosa discriminazione. Nella Conferenza sull'aborto, tenutasi a Washington nel settembre 1967, egli disse che era preferibile che venisse completamente eliminata ogni forma di protezione del feto durante le prime ventisei settimane di esistenza. Almeno i feti sarebbero stati tutti uguali. All'espressa richiesta di Roma affinché Drinan facesse un passo indietro e si defilasse, egli si rifiutò, dimostrando poi nei fatti che la sua posizione era condivisa anche da molti antiabortisti e corrispose effettivamente ad un pratico e documentato miglioramento della legge.

La posizione liberale nei confronti dell'aborto corrisponde all'atteggiamento della società evoluta verso i diritti civili. Permettere l'aborto non equivale ad approvarlo o a sostenere che sia sempre moralmente giusto, ma soltanto a ricordare che è più prudente per la società permetterlo piuttosto che proibirlo. Il divieto non è mai riuscito ad eradicare l'aborto, ma soltanto a renderlo clandestino. Renderebbe mortali e pericolosissime migliaia di pratiche abortive, come avveniva prima della legge attualmente vigente in Italia.

Il proibizionismo fu una normativa dannosa per l'alcool e nel settore dell'aborto sarebbe, ora, catastrofico. Le sanguinose e squallide pratiche clandestine tornerebbero a produrre migliaia di vittime, cosa che sicuramente neanche il pontefice desidera, anche se sembra disposto a correre il rischio. Ma farebbe parte di una netta minoranza.

Giovanni Paolo II è cresciuto culturalmente in un regime totalitario, in un epoca nella quale la parola del papa era legge e regna in un regime che solo per lui non è democratico. La situazione è radicalmente cambiata ed ogni magniloquente imposizione da parte del pontefice sarebbe addirittura controproducente per fedeli che non si fanno impressionare più di tanto.

Molti degli attuali insegnamenti catechistici sembrano irreali, fuori tempo e spesso privi di ogni minima parvenza di "umanità", e, malgrado l'assoluta innaturalità delle "leggi naturali" così spesso ed a sproposito citate dal papa, la Chiesa continua a trattare ogni persona impersonalmente e senza tenere conto delle differenze tra soggetti, sessi, culture ed ambiente.

Lo stesso trattamento subiscono quello che usano contraccetivi, che divorziano, che abortiscono per ragioni mediche e gli omosessuali, che, evidentemente, non si adeguano ai costumi sessuali "biologicamente" compatibili con la morale romana. Peraltro gli omosesuali non costituiscono un gruppo omogeneo. Ne esistono di molti tipi: bisessuali, omosessuali in senso stretto, geneticamente o socialmente condizionati, transessuali, etc.,etc. Mi risulta che Gesù mostrò una spiccata simpatia per i fuoricasta. Cenava e si accompagnava abitualmente con prostitute, pubblicani, lebbrosi, storpi e criminali (socialmente) diversi. Era il Salvatore e con il suo tocco leniva le loro sofferenze, quasi senza mai evidenziare la loro presunta "colpa".

La Chiesa sembra avere un atteggiamento del tutto opposto: invece di avvicinare i reietti e i diversi essa li allontana, asserragliandosi in un borghese perbenismo e privilegiando la rispettabilità al Vangelo di Gesù.

Tristemente il Cattolicesimo romano si è trasformato (in breve tempo a giudicare da quanto raccontato nelle pagine precedenti) nella più punitiva religione mai conosciuta dagli uomini. Quelli che violano le regole, diciamo la "legge di natura", sono etichettati come peccatori, "mortali peccatori", destinati irrevocabilmente (se non si pentono) alle fiamme eterne ed all'esclusione dal cielo.

Questo orribile destino tocca a coloro che usano contraccettivi, che si risposano, che hanno aborti (anche se dolorosamente vissuti), che si masturbano, che sono omosessuali o compiono atti sessuali definiti "contro natura". Tutti costoro sono banditi dai sacramenti religiosi (solo la confessione con pentimento e rinuncia è a loro concessa). Nel nome di Cristo a loro è vietato accedere a Cristo.

La medesima idiota posizione la Chiesa l'assume anche nei confronti della fecondazione in vitro, della fecondazione artificiale (anche se qui comincia a fare dei distinguo), della maternità surrogata (a volte straordinario atto d'amore) e, mentre la regina Elisabetta decora ed onora Edwards e Steptoe (i pionieri della tecnica della fecondazione in vitro) il Vaticano condanna la loro tecnica come peccato mortale.

Il dubbio che il papa sia o non sia cattolico è sempre stato presente nella mia mente, ma, attualmente, quello che per me era un dubbio sta diventando una vera e propria certezza: il papa non è cattolico.

E non lo sono stati la maggior parte dei papi, come abbiamo ben visto. Molti erano eretici dichiarati e riconosciuti come tali dalla Chiesa medesima.

Essere cattolici ed insegnare in modo cattolico deve riflettere e nascere dal "sensus fidelium". La comunità dei fedeli è in maggioranza in disaccordo con le tesi e le restrizioni papali. Ed un buon numero di coloro che si dichiarano d'accordo peccano scientemente di mendacio (per le ragioni più diverse, a volta assai mondane), ignorando le indicazioni della loro morale interiore.

Le prescrizioni imposte dal papato e dal Vaticano alla comunità dei fedeli come "assolute risposte" alle necessità della comunità cristiana si sono troppo spesso dimostrate non solo fallaci ma anche orrende per la nostra sensibilità umana.

Streghe ed eretici sono stati bruciati sul rogo su ordine del Vaticano.

Gli ebrei sono stati barbaramente e crudelmente trattati su ordine del Vaticano.

I diritti umani sono stati calpestati , con la reintroduzione della tortura, su esplicito ordine del papato.

I diritti civili sono stati negati per secoli ad esseri umani come noi negli Stati Pontifici su prescrizione papale.

La libertà di religione continua ad essere sostanzialmente negata, anche oggi, dalla Chiesa.

La vera domanda da porsi è : La Chiesa ed il Papato hanno ben compreso il senso della predicazione di Gesu? hanno capito il Discorso della Montagna?

Sembrerebbe proprio di no.

L'amore non pone condizioni o regolamenti, che esattamente ciò che fa ed ha fatto il papato, in genere per propri personali interessi politici, basandosi su incolte e lacunose interpretazioni di poche parole indirizzate ad un popolo che condivide con noi essenzialmente solo la fede in un unico Dio (che noi abbiamo già abilmente triplicato o, se consideriamo la Madonna, San Gennaro, San Cristoforo, etc.etc. , moltiplicato a dismisura. Il nostro Pantheon ha poco da invidiare a quello Greco e si avvicina molto, numericamente, a quello Indù).

ll papato, considerandosi il referente morale del mondo e l'istantaneo legislatore di ogni aspetto della vita e della sessualità ha combinato un bel casino. Gran parte dei "decreta" vaticani sono rabbinici nel senso peggiore del termine, negativi e punitivi e la soluzione non sembra poter essere la "castità" o il "celibato" (proprio della classe che fornisce le regole), anzi proprio questo, il celibato, potrebbe sostanzialmente essere il problema o la causa di gran parte dei problemi.



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Qualche cosa sul celibato

La recente posizione della Chiesa sulla concessione al clero di ritornare allo stato laicale è abbastanza variegata, andando da un papa che, come Paolo VI, prendeva saggiamente atto della situazione e cercava di porvi rimedio limitando il danno (Sacerdotalis Caelibatus , 20 giugno 1967) a pontefici come Giovanni Paolo II, che hanno rinnovato le severe restrizioni precedenti, ritenendo , erroneamente, che limitare queste "licenze" avrebbe positivamente influenzato i fedeli e fermato il calo delle vocazioni (cosa che non è assolutamente successa).

Considerando che le ordinazioni ecclesiastiche normalmente vengono assegnate a soggetti che non hanno alcuna esperienza di vita sociale, sembra ragionevole ritenere che il contatto continuo con il "gregge" possa offrire al giovane pastore o alle pastorelle squarci di orizzonte prima impediti dalle mura dei conventi e dei seminari.

Che il celibato si richiami ad epoche apostoliche sembra affermazione ridicola, soprattutto tenendo conto di quanto raccontatoVi in precedenza su papi e clero, sulle loro famiglie e sulle loro discendenze (ricordiamo che il celibato è stato istituito "ufficialmente" dal Concilio di Trento del 1545 ed incluso formalmente nel Diritto Canonico solo nel 1917), e considerando che Pietro era sposato così come lo era probabilmente anche Paolo.

Personalmente ritengo che anche Gesù fosse maritato, ed anche felicemente, il che spiegherebbe discorso della montagna e la sua posizione sul matrimonio. Renderebbe assolutamente appropriata la posizione ambigua della "Maddalena" (spesso identificata con Maria di Betania e con la sorella di Lazaro [la cui resurrezione , così contro natura, avrebbe un senso se egli fosse stato cognato di Gesù]) e giustificherebbe la sua posizione "ufficiale" di rebbi (che dovevano essere sposati, secondo le tradizioni) ed anche alcuni altri interventi altrimenti inspiegabili (vedi l'episodio delle nozze di Canaan, nel quale non si capisce con quale criterio i servi si rivolgano a Maria prima ed a Gesù poi per risolvere il problema della mancanza di vino, salvo che non trattasse della madre dello sposo e dello sposo medesimo, deputati tradizionalmente a "pagare" il rinfresco).

Peraltro è bene ricordare che Paolo non fece mai alcun collegamento tra ministero e celibato, anzi affermò esplicitamente che "un vescovo deve avere una sola moglie", volendo significare che colui che seguiva la tradizione patriarcale ebraica di avere diverse mogli, non avrebbe potuto diventare vescovo. Paolo fu molto chiaro sulla questione e questa è la ragione per la quale in quelle epoche un gran numero di uomini sposati divenne prete.

Le più antiche Costituzioni Apostoliche (terzo/quarto secolo) impongono addirittura la regola per la quale gli uomini maritati, invece di liberarsi della moglie al momento della loro ordinazione, hanno l'obbligo di tenerla (Canones Apostolorum, Can.6 "Episcopus aut presbyter uxorem suam non abjiciat"- Episcopus aut presbyter uxorem propriam nequaquam sub obtentu religionis abjiciat. Si vero rejecerit, excommunicetur; sed si perseveraverit, dejiciatur.-) D'altra parte se venivi ordinato celibe, tale dovevi restare.

Dei due più grandi canonisti medievali, Graziano dice, nel 1150, che la Chiesa Greca ha "conservato le tradizioni più antiche"(ricordiamo che l'atteggiamento della Chiesa Orientale è ancora quello sopra citato, i preti possono essere sposati), mentre l'Aquinate sostiene che Gesù non separò Pietro da sua moglie perchè non desiderava sciogliere un vincolo sacro agli occhi di Dio (cosa che, come abbiamo già visto, i papi si sono arrogati sovente il diritto di fare).

Il pesante influsso gnostico (decisamente sessuofobico) e le interferenze di una cultura semibarbarica nella quale la donna valeva meno di zero, condussero presto ad un ottica nella quale la castità rimpiazzò la carità come principale virtù evangelica. La religione diventò sempre più ascetica, casta, dolorosa e priva di gioia. La correlazione posta in essere tra peccato originale e sesso (il piacere sessuale venne identificato, da quella insulsa banda di dementi inibiti e masochisti, come il primo e più amaro frutto del peccato originale) accentuò la visione sordida del sesso e , per simpatia, anche del rapporto coniugale.

Anche la visione della verginità appare ai nostri occhi pesantemente pervertita dall'incapacità di osservare la situazione con onestà intellettuale.

Essa costituiva uno stato che si era liberi di scegliere o di lasciare, ma non era una condizione meritevole di onore. Nella tradizione biblica una vergine non era una ragazza pura, ma una ragazza "non maritata", qualcuno talmente povero ed impotente da non essere richiesto in moglie da alcuno. Tale era anche l'ottica dei primi cristiani nei confronti di Maria, che, nel Magnificat, prega Dio di porre la sua mano pietosa non sulla sua purezza, ma sulla sua solitudine e sulla sua "nullità". Egli colma la sua fame e la sua povertà. Le nascite dalle "vergini" esprimono solo la capacità di Dio di porre rimedio alla sterilità, creando la vità in un grembo morto e questo spiega anche la molteplicità degli interventi divini, che ritroviamo nella bibbia, posti in essere in casi di donne anziane e non più fertili.

Questo basilare errore interpretativo su Maria contribuì ulteriormente a dequalificare il sesso ed il coniugio, conducendo alla insulsa affermazione che Maria era benedetta perchè aveva rinunciato al sesso.

Nel sinodo di Elvira (locale, spagnolo) si cercò di costringere alla castità, senza riuscirci, tutti i ministri del culto, collegando anche la balorda ideà (assolutamente pagana e ritualmente pre-cristiana) che il contatto con la donna comportasse una "impurità" che non permetteva di toccare poi l'ostia.

La regola di proibire ai preti di sposarsi dopo l'ordinazione sacerdotale divenne presto generale. Assunse forma ufficiale con il Concilio di Nicea del 325, ma mentre il vescovo di Roma (futuro papa) voleva che venissero condannati a lasciare la moglie anche i preti già regolarmente sposati il Concilio decise in maniera del tutto contraria, stabilendo anzi che i preti già sposati avevano l'obbligo di tenere con se la moglie.

Con il consolidarsi della Cristianità persino la verginità assunse a titolo di merito e celibi e vergini ebbero anche occasione di trarre forti vantaggi economici dalla loro condizione (celibi e vergini venivano incentivati con agevolazioni fiscali e privilegi legali).

Nel quarto secolo una Chiesa riccamente dotata di patrimonio terreno vide il possibile rischio comportato da soggetti che si dovevano preoccupare anche del futuro benessere terreno dei propri figli e, privilegiando ulteriormente i celibi, rese tale qualità quasi indispensabile.

Damaso, papa nel 366, inventò un'altro genere di abuso, rinunciando alla moglie ed ai figli e così fece Adriano II nell'867, lasciando la moglie Stefania ed i figli quando salì sul seggio papale. Siricio , vescovo di Roma nel 385, sostenne per primo la necessità per il clero di dormire in letti separati, dolendosi per la scarsa sensibilità dimostrata verso il suo messaggio dalla Chiesa Spagnola e da quella Africana. Innocenzo I rinforzò i concetti di Siricio (che, tra l'altro, non era riuscito a trovare uno straccio di documento che giustificasse la sua tesi). Il non sanzionare la violazione del dettato papale (al solo fine di non portare a conoscenza dei fedeli l'esistenza del problema) condusse però nei secoli successivi ad un progressivo imbarbarimento della vita del clero. La maggior parte si proclamava celibe, mentre viveva in maniera spensieratamente libertina. Leone I, affermò che i vescovi ed i preti sposati dovevano trattare le moglie come "sorelle", mentre in Italia abati e preti gestivano famiglie degne di patriarchi giudei. Le cariche ecclesiastiche divennero quasi ereditarie, tanto che un gran numero di papi e vescovi erano essi medesimi figli di preti (Bonifacio I, Gelasio, Agapito, Silverio [figlio addirittura di un altro papa, Sant'Ormisda], Teodoro). La situazione era tale che il celibato trionfava a spese della castità e, dato che la carriera ecclesiastica era condizionata dal celibato, la scelta più vantaggiosa era sempre il concubinaggio.

La cosa curiosa è che tutti i matrimoni dei preti erano comunque considerati validi, perchè, trattandosi di un diritto naturale, nemmeno la Chiesa è autorizzata a proibire il matrimonio. L'attuale disciplina Romana di invalidare i tentativi di sposarsi dei preti (rinunciando all'ordinazione) è assolutamente immorale e non conforme al costante insegnamento cristiano.

In questo periodo la mancanza di rispetto per la donna raggiunse culmini ineguagliabili. Le loro esigenze non importavano ed i loro diritti non esistevano. Quando un papa, come Sisto III, veniva processato per aver sedotto una suora, si difendeva dicendo "lasciate che chi è senza peccato tiri la prima pietra" e se la passava tranquillamente liscia. Nessuno era senza peccato.

Sia Pelagio II° (che era addirittura contento quando i suoi preti non passavano i beni della Chiesa alle famiglie), sia Gregorio il Grande non ottennero risultati nel cercare di frenare la promisquità del clero, tanto che San Bonifacio descrive la situazione in Germania drammaticamente: tutti i preti erano promisqui, passavano le notti a letto con 4/5 donne, alzandosi al mattino solo per celebrare la messa. I vescovi erano adulteri e fornicatori incalliti. Nel nono secolo molti conventi erano rifugio di omosessuali o bordelli nei quali l'infanticidio era la norma (le donne venivano fatte abortire o veniva ucciso il bambino dopo la nascita per ragioni di carriera). Visto che veniva più facilmente perdonato il concubinaggio del matrimonio , molti preti rinunciavano tranquillamente al matrimonio. Le accuse d'incesto erano frequentissime, tanto da costringere a proibire al clero di tenere in casa sorelle, figlie o madri.

Molti vescovi preferivano consentire ai propri preti di sposarsi al fine di limitare gli spaventosi eccessi portati dal celibato. Il vescovo Segenfredo di Le Mans era tranquillamente sposato con Hildeberga, che veniva ddirittura chiamata "vescovessa". Alla sua morte il figlio Alberico ereditò senza problemi la sua diocesi. Il numero dei vescovi che estesero il loro potere attraverso matrimonio e figli è enorme (Rainbaldo, vescovo di Fiesole, Raturio, Alberico, Segenfredo, etc.).

Se si pensa che papa Alessandro II, nel 1064, prosciolse da ogni accusa un prete che era stato sorpreso in flagrante adulterio con la seconda moglie di suo padre "perché non aveva commesso il peccato di matrimonio", e perdonò , affidandolo solo alle cure del suo vescovo, ad un altro prete che aveva commesso incesto con la propria madre, ci si rende conto di come per il papato persino l'incesto fosse preferibile al matrimonio.

Lo strano è che persino uomini come Pietro Damiano, inviato a imporre il celibato al clero milanese e piemontese (1050 ca.), dovettero riconoscere che i preti piemontesi, tutti regolarmente sposati, erano "un coro di angeli", pastori perfetti del loro gregge, colpevoli solo di essere sposati.

Le cose andarono in modi diversi a seconda delle varie località ma, ufficialmente, a Piacenza nel 1095 Urbano II condannò i matrimoni dei preti una volta per tutte (matrimoni che continuarono come prima in un mucchio di paesi). Al concilio parteciparono anche 500 religiosi, che, per dimostrare il loro impulso evangelico vendettero le loro mogli come schiave (congratulazioni!).

Dal 1050 in poi si susseguono Concili ed Encicliche che cercano disperatamente, è il caso di dire, di imporre il celibato con tutti i mezzi ma senza mai riuscirci pienamente. Le cose andarono avanti più o meno così, nella corruzione più totale e nella promisquità più curiosa, fino al Concilio di Trento, che ci mise un pò ma limitò le conseguenza pubbliche del celibato del clero. Fu anche necessario imporre la separazione tra confessore e confessandi (per mezzo di paratie, grate, etc.) perché la confessione era sempre una fonte di tentazioni e di occasioni per il parroco e per le fedeli (a volte il parroco si rifiutava di assolvere la confessanda se essa non gli si concedeva sessualmente.

In un equilibrato ed interessante volume di recentissima edizione (Preti sposati nel Medioevo - F.Quaranta - 2000 CLAUDIANA) l'autore presenta cinque testi, redatti dall'XI sec. al XIII, che testimoniano la sofferenza e la resistenza opposta dai clerici ad una modifica, violentemente ed ingiustamente imposta, ad una tradizione seguita e rispettata con notevole costanza. Nei testi in esame le argomentazioni addotte per difendere e giustificare il matrimonio dei preti (in senso lato) appaiono valide e ragionevoli ancora oggi, frutto di buon senso, fede ed umanità che rimasero schiacciate tra le esigenze di potere (materiale e spirituale) e di ricchezza che diventarono dominanti nel periodo in discorso.

Ora mi scuso con Voi ma ne ho le scatole piene e non me la sento più di continuare.

So di non essere stato equilibrato nel raccontarVi le cose, ma la disparità delle fonti me lo permetteva. So anche di non aver seguito un corretto ordine cronologico nell'esposizione. Ma documenti e fatti restano lì lo stesso, anche se la loro interpretazione può variare.

Ci sarebbero ancora moltissime cose tristi, orribili, buffe e curiose da raccontare, perché la storia della Chiesa è ricca di personaggi e di inspiegabili incongruenze.

Sicuramente bisognerebbe parlare della donna nel mondo clericale, dell'onanismo, approfondire il discorso sull'omosessualità e magari, perché no, cercare di spiegare le ragioni (veramente misteriose!) della Mariologia.

Magari, tra un po', riprenderò in mano il mouse.

Good-bye e cercate di stare bene (da malato cronico di cancro ho rivalutato il "vale" dei romani)!

Nota: a questo punto dell'esposizione non ho più avuto notizie
dell'autore. I successivi ultimi capitoli li ho trovati
nel sito dopo diverso tempo.



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L'incesto e le sue variazioni

Per quel che attiene all'incesto La Chiesa ha assunto nel corso del tempo strane posizioni.
Premesso che per Tommaso d'Acquino esso costituisce peccato assai meno grave, per esempio, della masturbazione,dell'omosessualità, dei rapporti anali ed orali e del coitus interruptus (Summa Theologiae II-II q. 54 a. 11) e che tale indirizzo è condiviso da Ivo di Chartres (morto 1116, seguace di Agostino), che considera il rapporto con la propria madre come "naturale" in quanto aperto alla procreazione, e da molti altri come Graziano o Pietro Lombardo, sembrerebbe, dalle opere di B.Häring, che persino oggi la Chiesa condivida tale tesi.
Malgrado tutto questo l'incesto (non necessariamente inteso in senso stretto) costituì per lunghissimo tempo uno dei più validi sistemi per riuscire ad ottenere validi annullamenti di matrimoni assolutamente regolari.

Vediamo un pò come successe: nell'antico testamento (Levitico e Deuteronomio) il matrimonio tra parenti ed affini viene proibito in un relativamente ridotto numero di casi.
Un uomo non può sposare: madre, sorella, nipote, zia, matrigna, suocera, nuora, figliastra,figlia e nipote della matrigna, figlia della matrigna nata da un marito precedente, moglie del fratello del padre, moglie del fratello (vivente).
Nel caso invece la vedova del fratello non avesse avuto figli, diventava addirittura un obbligo lo sposarla, collaborando a fornire una discendenza (legge del levirato).
Giovanni il Battista fu , è vero, decapitato perché aveva rimproverato Erode Antipa per aver sposato Erodiade, moglie dell'"Erode senza terra", ma soltanto perché il fratello di Erode, precedente marito di Erodiade, era ancora vivo , non certo in quanto egli (Giovanni) fosse a favore dell'indissolubilità del matrimonio, sviluppatasi solo con il cristianesimo.
Molti papi, come Gregorio Magno, si richiamarono a torto al Battista, confondendo ridicolmente fischi con fiaschi.
I Cristiani, con la loro buffa avversione al sesso ed al piacere (unica plausibile spiegazione), riuscirono quindi a sviluppare una quantità enorme di strane limitazioni al matrimonio che nessun'altra religione è mai stata in grado di immaginare, nemmeno sotto il profilo teorico.

Il concilio di Neocesarea (314) stabilì che se una donna sposa successivamente due fratelli deve essere scomunicata per cinque anni.
Il Sinodo di Elvira (inizi IV sec.) prescrive:"se un uomo sposa la sorella della sua defunta moglie, costei (non lui, si badi bene, ma la sorella della morta) deve essere scomunicata per cinque anni".
Persino Sant'Ambrogio fece casino quando nel 397 proibì ad un uomo il matrimonio con sua nipote, facendo riferimento alle prescrizioni del Levitico e citandole a sproposito.
Nel VI° secolo la proibizione del matrimonio a motivo d'incesto raggiunge i cugini di terzo grado (eviterei di approfondire le divergenze tra computo romanico e germanico) e Gregorio Magno, proibendo il matrimonio tra figli di fratelli, trova giustificazione nell'affermazione:" L'esperienza ci ha insegnato che tali matrimoni sono sterili".
Tuttavia proibire l'incesto sulla base di possibili tare ereditarie della prole è cosa relativamente recente (lo fanno Tillmann e Häring senza capire un tubo di genetica).
Nell'VIII e nel IX secolo si pretese addirittura che i coniugi che si erano sposati fino al "sesto" grado di parentela, si separassero e si risposassero con terzi (alla faccia dell'indissolubilità del matrimonio).
Così per i sinodi di Verberie (756) e Compiègne (757).
Nell'800 Leone III ordinò di non consentire alcun matrimonio sino al settimo grado "poiché il Signore si riposò nel settimo giorno" (!?).
Una situazione che in molte località rendeva letteralmente impossibili i coniugii.
L'intera faccenda si ricollega in qualche modo anche ai rapporti "contro natura" (quindi anche quelli in cui si usano contraccettivi), che, pur pesantemente condannati dalla Chiesa, offrirono qualche vantaggio nella complessa materia matrimoniale.
La decisione di Urbano II, per la quale , diventava lecito sposare una donna che avesse precedentemente avuto un rapporto contro natura con il proprio fratello (l'eiaculazione fuori sede non costituisce impedimento), mise in serio pericolo tutte le possibilità di annullamento, basate sull'impedimento di "cognazione", che veniva utilizzate sino ad allora.
Infatti già nel 757 veniva stabilito che se una donna sposa il fratello di un uomo con il quale ha avuto in precedenza un rapporto immorale (che significa:anale, orale, in posizione inversa, con contraccettivi, etc.) tale matrimonio non è valido (vedi il ridicolo parere di Icmaro di Reims). Il ragionamento (?!) alla base di questa tesi è confuso e complicato dal fatto che la Chiesa aveva sino ad allora sostenuto che l'unico rapporto che rende valido ed indissolubile il matrimonio è quello teso alla procreazione (completo, con emissione seminale in vagina, uomo sopra/donna sotto).
Gregorio VII (XI sec.) riuscì infine nell'annullamento dei matrimoni incestuosi (regolamentandolo) insieme all'eliminazione del matrimonio dei preti.

In seguito alla quantità enorme di problemi, anche legali e successorii) che la cosa provocava Alessandro III (morto 1181) dichiarò che se un matrimonio nel quarto grado era durato più di diciott'anni non poteva più essere impugnato e papa Lucio III (morto 1185) concesse, in un caso specifico, di lasciare in vita anche un matrimonio nel quinto grado.

Nel 1215 Innocenzo III ridusse la proibizione al quarto grado, riuscendo però, nel caso dei neobattezzati lettoni (per i quali era abitudine e costume sposare la vedova del fratello), a creare un casino indicibile stabilendo:" se la vedova aveva figli di primo letto il matrimonio doveva essere annullato se lei o il marito volevano essere battezzati.
Se la donna non aveva figli di primo letto il matrimonio poteva continuare in via eccezionale. Ma nessun uomo, dopo il battesimo, poteva sposare la propria cognata". In sostanza la vedova con figli (piccoli o grandi che fossero) perdeva, insieme al marito/cognato, l'unico suo mezzo di sussistenza.
Capitò anche che qualche lettone, dopo una lite coniugale, decidesse di farsi battezzare.
Ci furono dispense (Alessandro VI a Manuele del Portogallo [1500], a Caterina d'Aragona [1503 - originò la separazione della chiesa Anglicana]) e proibizioni (nel 1468 al Delfino, futuro Luigi XI e ad Enrico VIII. d'Inghilterra).
Il concilio di Trento (1545-63) confermò il limite del quarto grado e soltanto nel 1917 ci fu una riduzione al terzo (riportando la situazione a come era nel V° secolo, cioé millecinquecento anni prima).
Nel 1983 cadde anche la proibizione relativa alla cugina/o del padre, che diventava sposabile.

In tale anno (1983) cessò anche l'impedimento relativo alla parentela "spirituale", quella che impediva il matrimonio tra battezzando e padrino, tra padrino e genitori del battezzando (con sanzioni pesanti che arrivavano alla penitenza ecclesiatica a vita), allargata poi anche al cresimando ed al consorte del padrino.
Una roba assolutamente ridicola e senza costrutto spirituale alcuno (frutto della stessa logica pervertita ed idiota che spedisce alle fiamme eterne i bambini non battezzati), peraltro già mandata in malora con ragionevoli giustificazioni anche da Lutero nel 1520 (La cattività babilonese della Chiesa).

Curiose le giustificazioni dell'aumento delle proibizioni dell'incesto (rispetto alle regole veterotestamentarie) portate da San Tommaso :"poiché per natura l'essere umano ama i suoi consanguinei; se vi si aggiungesse anche l'amore derivante da un legame sessuale, la passione sarebbe eccessiva e ci sarebbe il massimo grado della libidine, e ciò si oppone alla castità"(Summa Theologiae II-II q. 154 a. 9) - e "l'aumento dell'amicizia" viene moltiplicato dal fatto che il matrimonio è circoscritto a persone non imparentate - e "la nuova legge dello spirito e dell'amore" (rispetto alla legge mosaica) rende necessario che "gli esseri umani si tenessero ancor più lontani dalle realtà carnali e si dedicassero alle realtà spirituali".
Con questa sequenza di frescacce il buon Tommaso riesce a giustificare tutto ed il contrario di tutto: indissolubilità del matrimonio, dissolubilità dello stesso, sette gradi, quattro gradi, castità, fecondità, amicizia senza passione, con più passione ma non troppa, monacizzazione dei laici e necessità di fare figli.

Un bel personaggio, capace sempre di fornire pareri a cottimo ed a seconda del committente o dell'aria che tirava.

A soli fini di chiarimento vorrei precisarVi che (secondo quanto si è appreso dalla genetica) "in natura" non esistono limitazioni generalizzate all'incesto (e l'uso del termine incesto per gli affini è assolutamente improprio).
La cosa viene normalmente evitata dai mammiferi e da molti animali superiori, limitatamente ai rapporti genitori/figli, solo quando esistono ragionevoli (si fa per dire) alternative e cioè sono presenti altri maschi e/o femmine della specie disponibili ed in ottima salute.
Se i partners in giro non sono "buoni" qualitativamente, si preferisce sempre il rapporto parentale con il maschio o la femmina dominante.

La riuscita (genetica) della prole non dipende quindi dalla relazione parentale o meno dei genitori, ma dal loro corredo genetico.
Se non esistono difetti rilevanti la cosa è "geneticamente" accettabile (pur con tutte le ragionevoli considerazioni in ordine al "rilassamento della selezione" [Bodmer/Cavalli-Sforza - Genetica Evoluzione Uomo]).

Nel lungo periodo la faccenda può infatti presentare problemi ed evidenziare danni "nascosti" del corredo genetico, ma la cosa non può essere generalizzata ed in alcune regioni/circostanze presenta addirittura qualche (raro a dire il vero) vantaggio selettivo.

Resta naturalmente l'assoluta improprietà di un rapporto che, "eticamente", non può essere considerato a priori come corretto proprio in conseguenza della disparità di posizioni tra gli ipotetici coniugi: i figli subiscono un pesante "imprinting" che ne condiziona la capacità di giudizio e l'affettività, rendendo loro difficile effettuare scelte e valutazioni obiettive, i genitori, per ragioni opposte, cadono nella medesima problematica abusando delle propria posizione dominante e perdendo il necessario realismo (vorrei evitare di impelagarmi in valutazioni morali/religiose/culturali).

Se a tutto ciò si aggiunge l'assenza dell'indispensabile e necessario distacco educativo e del disinteresse personale (difficile da conservare in un rapporto di "passione") questo genere di rapporti, cosiddetti "incestuosi", sembrano comunque rappresentare una relazione da evitare in via generale.





“Non esiste delitto, inganno, trucco, imbroglio e vizio che non vivano della loro segretezza. Portate alla luce del giorno questi segreti, descriveteli, rendeteli ridicoli agli occhi di tutti e prima o poi la pubblica opinione li getterà via. La sola divulgazione di per sè non è forse sufficiente, ma è l'unico mezzo senza il quale falliscono tutti gli altri”.
Joseph Pulitzer (1847-1911), Fondatore Premio Pulitzer