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Parte II

Continuiamo la rivisitazione critica di dottrine della Chiesa cattolica prendendo in considerazione le posizioni assunte da papi, santi e teologi, per molti secoli e in parte ancora oggi, sulla vita umana, la guerra, la tortura, la pena di morte. Esse mostrano quanto sia falsa e ipocrita l’odierna pretesa del cristianesimo di presentarsi come religione “della vita”


“Nella vita umana la Chiesa riconosce un bene primario, presupposto di tutti gli altri beni, e chiede perciò che sia rispettata tanto nel suo inizio quanto nel suo termine” (1), ha dichiarato Benedetto XVI, poco dopo la sua elezione a papa, nel quadro della campagna in difesa dell’embrione e contro l’aborto.

Questa affermazione suonerebbe meno risibile se Ratzinger avesse precisato che la Chiesa ha assunto solo di recente tale posizione, dopo aver predicato per quasi duemila anni il contrario, ossia il più totale disprezzo per la vita di uomini, donne e bambini messi a morte in quanto “infedeli”, eretici o ribelli alle autorità; e che ancora adesso il rispetto si limita alla vita dell’embrione, o di chi è ridotto a un vegetale attaccato alle macchine, non a quella degli adulti che, specie nei paesi del Terzo mondo, la condanna vaticana dei preservativi espone disarmati alla peste dell’Aids (2).







Tredici secoli di crociate

L’esaltazione della violenza e il disprezzo per la vita umana, cioè il capovolgimento di quell’amore verso il prossimo che si vorrebbe tipico dei cristiani, si manifestarono appena il cristianesimo cessò di essere perseguitato.

“Prima della vittoria del Cristianesimo”, nota il teologo tedesco Carl Schneider, “si pretendeva che lo Stato non potesse costringere nessuno a venerare una determinata divinità, ma poi, con la stessa determinazione, si pretese che esso dovesse costringere tutti all’adorazione del Dio proprio dei cristiani, anche con l’uso di ogni forma di violenza” (3).

Le guerre di sterminio, i massacri e gli omicidi per la fede, istigati o sostenuti, spesso ordinati e talora anche eseguiti dai papi, non furono episodici ma sistematici, per almeno tredici secoli. Andarono dalle campagne del IV-V secolo contro il vecchio paganesimo fino a quella condotta nell’VIII-IX secolo da Carlo Magno contro i sassoni, passati a fil di spada se non si convertivano, dalle crociate contro i turchi alla “reconquista” della Spagna contro gli Arabi, dai roghi dell’Inquisizione, attiva per oltre sei secoli, alla crociata promossa nel 1208 da Innocenzo III per sterminare gli Albigesi e alle altre persecuzioni contro gli eretici, dalle guerre di religione concluse con la guerra dei Trent’anni (1618-48) alla conversione forzata degli indios.



Voltaire calcola che siano stati uccisi per ragioni di fede, solo in Europa, circa 9 milioni e mezzo di cristiani, senza contare i milioni di “infedeli” o gli indios delle Americhe.

Si devono poi aggiungere i milioni di vittime delle rivolte contadine (centomila solo in quella del 1525 in Germania), sanguinosamente represse per tutto il Medioevo da vescovi-conti o feudatari laici benedetti dai papi, dai vescovi cattolici e da Lutero, nell’intento di difendere l’ordine sociale fondato sullo sfruttamento dei servi della gleba.







Il dovere di uccidere


Qui tuttavia, più che su tali comportamenti criminali, comuni per molti secoli alle massime autorità ecclesiastiche, merita insistere sul fatto che essi furono presentati come un “dovere” da bolle e altri documenti papali: tali documenti obbligavano i fedeli, in nome di Dio e della “santa” religione, a ricercare, torturare e bruciare gli eretici o bandivano le crociate, promettendo salvezza eterna e indulgenze plenarie a chi vi partecipava.

Alle posizioni papali vennero di rincalzo le teorie dei massimi teologi, come Agostino, Tommaso d’Aquino, Bernardo di Chiaravalle che non solo non furono smentite o condannate in seguito dalla Chiesa ma furono proposte, nel caso di Tommaso d’Aquino, come verità e filosofia “perenne”.

I papi elevarono inoltre questi e altri simili personaggi all’onore degli altari, facendoli santi. “I papi”, come ha detto lo storico cattolico Acton, “non furono solo assassini in grande stile ma fecero del delitto un fondamento giuridico della Chiesa cristiana e una condizione della salvezza” (4).







La “santa“ inquisizione

Agostino fu il primo a sostenere, già nel V secolo, la “conversione coatta” e la necessità di ricorrere all’intervento statale contro gli eretici. Tommaso d’Aquino, soprannominato il “dottore angelico”, affermò che è “un delitto molto più grave falsificare la fede, che è la vita dell’anima, che falsificare il denaro, che serve alla vita mondana”. Se quindi per i falsari vige la pena di morte è giusto che gli eretici “non soltanto possano essere cacciati dalla comunità ecclesiale, ma anche a buon diritto giustiziati!” (5).



A queste idee si ispirò l’Inquisizione, cioè la “ricerca” degli eretici, già iniziata in epoca carolingia e regolamentata con il decreto Ad abolendum di Lucio III che fissò nel 1184 la pena del rogo per i peccatori. Con Gregorio IX tale procedura divenne un’istituzione denominata Santa Inquisizione. Innocenzo III con la bolla del 1199 Vergentis in senium trasformò il reato di eresia da reato religioso in reato contro lo stato, rendendolo così perseguibile dai tribunali civili di tutti i paesi europei. E non sarà male notare come ancora oggi papa Ratzinger cerchi di trasformare in un "reato" perseguibile dallo stato ciò che la Chiesa condanna come "peccato", come i Pacs e l'aborto. Innocenzo IV, con la bolla Ad extirpanda del 1252, introdusse e legittimò il ricorso alla tortura per “portare alla luce la verità” obbligando inoltre i governanti “ad eseguire la pena di morte sui colpevoli entro cinque giorni”(6).



Circolari dei papi Alessandro VI, Giulio II, Leone X, Adriano IV spinsero espressamente gli inquisitori tedeschi, francesi e italiani a perseguitare la “setta delle streghe” e, secondo gli stessi atti del Simposio internazionale sull’Inquisizione, indetto dal Vaticano nel 1998, “papa Leone X nel 1521 scrisse una bolla violenta nella quale autorizzava gli inquisitori a scomunicare le autorità civili che dovessero opporsi ai roghi delle streghe condannate dal Santo Ufficio” (7). In soli 10 anni vennero bruciate vive 3.000 streghe.



Paolo III, il papa del Concilio di Trento, riformò l’Inquisizione romana su modello di quella spagnola con la bolla Licet ab initio in cui avvertiva di voler punire quanti persistessero nell’eresia “in modo tale che la loro pena diventasse un esempio per gli altri” (8).

Nel 1556 Paolo IV istituì per la domenica successiva al 5 novembre un rogo solenne, concedendo l’indulgenza plenaria a tutti i fedeli che vi avessero assistito e nel 1557, con la Pro votantibus, diede al Tribunale dell’Inquisizione “licenza e facoltà [di emettere] voti e sentenze che comportassero tortura, mutilazioni e spargimento di sangue, fino alla morte inclusa, senza per questo incorrere in censura o irregolarità” e poco dopo dispensò cardinali e inquisitori “dall’irregolarità in cui incorrevano infliggendo tortura reiterata” (9).

Per la severità con cui punì la bestemmia, l’immoralità, la violazione dei giorni festivi e per lo zelo con cui fece eseguire le condanne a morte decise dagli Inquisitori, si distinse Pio V, papa e santo, che nel 1572 minacciò la pena di morte anche a chi scriveva o leggeva gli “Avvisi”, antenati dei giornali moderni…

Tristemente noto per le esecuzioni capitali di massa fu papa Sisto V.

È solo un parzialissimo spaccato dell’album di famiglia di Wojtyla, Ratzinger, Ruini e altri personaggi così amorevolmente solleciti verso il destino dell’embrione…







Revisionismo storico

Nonostante questo, sul sito "kattoliko" tal Rino Cammilleri scrive: “c’è stato un tempo in cui gli uomini si riconoscevano nella Res publica christiana e chiedevano alla Chiesa di essere difesi dai falsi profeti, propugnatori di idee non di rado aberranti, tali da minacciare gravemente i fondamenti dottrinali, culturali e istituzionali della società religiosa e civile. Fu a questo compito che sovrintese con mitezza e buonsenso il tribunale dell’Inquisizione” (10).

Anche se pochi cattolici arrivano a questa grottesca apologia, non mancano tentativi più accorti, da parte ad esempio di Vittorio Messori o Franco Cardini, di rivalutare le pagine “oscure” della Chiesa. Ma il più ragguardevole tentativo ufficiale di “ridimensionare” il fenomeno si ebbe nel 2003, quando furono presentati gli atti del Simposio internazionale sull’Inquisizione tenutosi su sollecitazione di Wojtyla nel 1998 e già citato.

Scopo del Simposio doveva essere stabilire con esattezza i fatti, su cui basare l’autocritica che il papa poi presentò nella “Giornata del perdono” del Giubileo 2000. Ma del libro di 788 pagine, osserva Adriano Petta su “Alias”, i giornali, “Avvenire” in testa, riportarono solo le poche parole dei presentatori miranti a far notare che “il numero degli eretici mandati al rogo dalla Santa Inquisizione non giungeva nemmeno a 100” (11).

Forte di questi dati, il pro-teologo della Casa pontificia Georges Cottier osservava che la Chiesa deve chiedere perdono solo per “fatti veri e obiettivamente riconosciuti”, non per “alcune immagini diffuse all’opinione pubblica, che hanno più del mito che della realtà” (12).







Sei secoli di torture e omicidi


Naturalmente ad essere “mitico” è il numero dei 99 morti cui si “limiterebbero” le vittime della Inquisizione. Da dove venga tale numero ce lo fa capire il seguente passo degli atti del Simposio in questione: “si stima che il numero di processi di stregoneria in quell’epoca è di 100.000 in totale e circa la metà, 50.000 persone, finirono al rogo.

Delle 1.300 vittime in Portogallo, Spagna e Italia, meno di 100 roghi possono essere attribuiti all’Inquisizione dei suddetti paesi. Il resto si deve ai tribunali civili e vescovili degli stessi paesi” (13). “Come se quei tribunali civili e vescovili”, commenta giustamente sdegnato Petta, “non fossero emanazione diretta del potere della Chiesa… Con questa operazione del Simposio, papa e cardinali hanno provato a mischiare le carte” (14).

Quello della caccia alle streghe è d’altra parte solo un capitolo cui vanno aggiunte le persecuzioni degli ebrei, che a lungo i papi additarono come colpevoli di “deicidio”, dei musulmani e perfino dei musulmani forzosamente convertiti (specie in Spagna), degli atei, degli aderenti a movimenti ritenuti eretici, degli oppositori politici.



Le vittime dell’Inquisizione, scrive Petta, furono “almeno cinquecentomila, senza contare i 100-150.000 presunti catari, uomini, donne e bambini, scannati vivi in poche ore a Béziers il 22 luglio 1209, nel corso della crociata contro gli albigesi bandita da Innocenzo III” (15).

Ma una stima precisa è difficile, anche perché rivoluzioni e rivolte portarono in varie occasioni a distruggere documenti dell’Inquisizione, che operò dal XIII al XVIII secolo.



I processi celebri, come quelli a Giovanna d’Arco o a Galilei, di cui la Chiesa si è autocriticata trecento anni dopo, o a Giordano Bruno, per cui si attende ancora l’autocritica, non sono che una parte infinitesimale dei processi conclusi con ritrattazioni, torture e roghi in Europa e nelle Americhe.

Qui, allo sterminio degli indios per effetto della conquista, si aggiunsero le condanne al rogo dei nativi che non volevano abbracciare la fede cristiana. Per avere un’idea di come la Chiesa procedeva nell’evangelizzazione si veda il rapporto di un funzionario reale a Filippo II dove si legge che i frati raparono a zero e vestirono i maya coi sanbeniti, dopo averli torturati “collocandoli in alto alla maniera del tormento della carrucola con pietre di due e tre arrobas e così appesi dandogli molte frustate fino a che scorreva a molti di loro sangue per la schiena e per la gambe fino al suolo; e su queste [ferite] li tormentavano con olio bollente” (16).

Si aggiungano le vittime delle inquisizioni promosse dalle varie Chiese cristiane riformate, quella calvinista e anglicana in primo luogo.







Le “circostanze attenuanti”

Dando inizio ai lavori del citato Simposio internazionale sull’Inquisizione, il domenicano Georges Cottier affermò che “la considerazione delle circostanze attenuanti [quelle storiche riguardanti i costumi dell’epoca, N. d. R.] non esonera la Chiesa dal dovere di rammaricarsi profondamente per le debolezze di tanti suoi figli, che ne hanno deturpato il volto” (17).

Venivano posti così due limiti, entrambi profondamente ipocriti e inaccettabili, all’autocritica.

Il primo riguarda le cosiddette circostanze attenuanti, cioè i costumi dei tempi, spesso invocate dalla Chiesa per giustificare non solo l’Inquisizione ma le crociate e la pratica diffusa dell’omicidio: è una richiesta autolesionistica e ridicola perché nei tempi di cui si parla non imperversavano, per dirla con Wojtyla, “l’ateismo e il disprezzo della persona” (18) ma, come affermò Leone XIII, “la filosofia del Vangelo governava gli Stati… la forza e la sovrana influenza dello spirito cristiano era entrata bene addentro nelle leggi, nelle istituzioni, nei costumi dei popoli” (19).

Furono dunque le scellerate dottrine propagate dalla Chiesa, che aveva allora un assoluto predominio, a rendere duri e spietati i costumi, legittimando torture ed eccidi, non viceversa.




La cattiva notizia è che Dio non esiste. Quella buona è che non ne hai bisogno.
Apocalisse Laica
Le religioni dividono. L'ateismo unisce


Il sonno della ragione genera mostri (Goya)