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La donna nel Cristianesimo


Nella sua Lettera alle donne del 29 giugno 1995, Giovanni Paolo II affermò di dispiacersi perché fra i condizionamenti millenari che hanno “reso difficile il cammino della donna” e ostacolato la sua liberazione, “non sono mancate, specie in determinati contesti storici, responsabilità oggettive anche in non pochi figli della Chiesa”; ciò in contrasto con il “messaggio di perenne attualità” a favore della liberazione della donna, “sgorgante dall’atteggiamento stesso di Cristo” (31).



Come al solito, Wojtyla contrappone le colpe dei “figli” della Chiesa agli insegnamenti di Cristo, fingendo di credere che tali insegnamenti facciano tutt’uno con la dottrina cattolica, cioè con gli insegnamenti della Chiesa, dei teologi e dei papi.

È invece facile notare che anche per quanto riguarda la donna, come per la schiavitù, la giustizia sociale, il diritto alla vita, la pace ecc., insegnamenti di Cristo (o a lui attribuiti dalla tradizione popolare) e cattolicesimo, ossia insegnamenti della Chiesa, sono cose affatto diverse.

Limitandoci a questi ultimi, i soli che ci interessino nell’economia del nostro discorso, è facile notare come essi spieghino ad abundantiam le colpe dei figli della Chiesa verso le donne, in quanto colpe della Chiesa tout court, cioè “sgorganti” dalle sue dottrine.

Così la cattolica svizzera Gertrud Heinzelmann descrive come fu colpita quando scoprì le dottrine della Chiesa sulla donna: “Le citazioni antifemministe patristiche e scolastiche mi sconvolsero”, scrive (in sostanziale sintonia con l’Heinemann prima citata) “mi resero insonne. Parlavano di una donna che è solo un valore inferiore, materia non spirituale e quindi tentazione…

Della donna dotata del proprio valore e della propria coscienza… non si parlava in questa letteratura in nessun luogo. Invece dell’elevazione spirituale, che ingenuamente mi ero aspettata dal pensiero teologico, trovai disconoscimento, umiliazione, repressione. […] Padri e Scolastici con il loro antifemminismo avevano creato il clima della Chiesa che perdura ancora oggi” (32).







Indegnità e inferiorità della donna

In realtà, se il corpo è per il cristianesimo sinonimo di peccato, la donna né è, fin da Eva, il simbolo. L’idea della sua indegnità e inferiorità è teorizzata da Agostino per cui la donna è “un essere inferiore creato da Dio non a sua immagine e somiglianza (mulier non est facta ad imaginem dei) e “il giusto ordine si trova solo là dove l’uomo comanda e la donna ubbidisce” (33).

Ma dipendenza e inferiorità erano già presenti in testi di Paolo, le cui Lettere sono ritenute dalla Chiesa ispirate da Dio: “L’uomo no, non deve coprir di velo la testa, essendo immagine e gloria di Dio; e la donna è gloria dell’uomo. Poiché non viene l’uomo dalla donna, ma la donna dall’uomo, né fu fatto l’uomo per la donna, ma la donna per l’uomo. Per questo deve la donna aver sulla testa il segno della sua dipendenza” (34).

E altra volta Paolo scriverà: “Le donne siano soggette ai loro mariti, come al Signore, perché l’uomo è capo della donna, come anche Cristo è capo della Chiesa” (35).

“Verso il tuo uomo dovrà andare il tuo anelito, ed egli sarà il tuo signore”, affermava Giovanni Crisostomo (36). Quanto all’indegnità della donna essa è tema ricorrente: “Se gli uomini potessero vedere quel che si nasconde sotto la pelle… la vista delle donne causerebbe solo il vomito”, secondo Sant’Odo, abate di Cluny del X secolo, e il papa umanista Pio II, noto per la sua dissolutezza in gioventù, avvertiva: “Quando vedi una donna, pensa che sia un demonio, che sia una sorta di inferno” mentre il Sinodo di Tyrnau del 1611 stabiliva che “ogni malvagità è piccola in confronto con la malvagità della donna” (37).







La materia e la forma


La Heinzelmann insiste particolarmente sulla dottrina di Tommaso d’Aquino, che ancora oggi la Chiesa indica come verità “perenne” chiedendo nelle preghiere a Dio “di comprendere ciò che ha insegnato e di imitare ciò che ha fatto” (38).

Ora, secondo Tommaso, “il padre deve essere amato più della madre” poiché “la madre dà nella procreazione la materia informe, che riceve la sua forma dalla forza formatrice nel seme dell’uomo” (39), “la donna si rapporta all’uomo come l’imperfetto e il manchevole al perfetto” (40).

Per Tommaso, osserva la studiosa svizzera, “la donna ha la sua funzione nell’opera del procreare - è in primo luogo un essere sessuale - e rappresenta il principio della ‘materia’ del passivo ricevere” come il dottore Angelico afferma là dove scrive: “era necessario che la donna diventasse ‘aiuto all’uomo’. E precisamente non come aiuto per qualche altra opera, in cui in ogni caso l’uomo sarebbe stato aiutato meglio da un altro uomo, ma per l’opera della procreazione” (41).

In conclusione l’apporto “originale” del cattolicesimo è consistito nel ribadire la concezione della donna tipica della società patriarcale, cioè come “oggetto sessuale” e “angelo della casa”, sottomessa al marito. Del resto “L’Osservatore Romano”, nota Deschner, “proclama senza confutazioni ancora nel 1965, la ‘posizione prioritaria’ dell’uomo voluta da Dio” (42).







O Eva o Maria


L’unica possibilità di riscatto che la Chiesa offre alla donna è di spogliarsi della sua femminilità, di desessualizzarsi e negarsi come “Eva” per assumere a modello Maria, divenuta madre senza perdere la verginità, ossia senza passare attraverso il piacere sessuale.

Si tratta di una rappresentazione che secondo la Heinemann contraddice la Bibbia, da cui risulta che “Maria era una donna sposata e partorì un figlio […] ella ebbe persino molti figli e figlie. Ma accettare le cose semplicemente, come stanno, significherebbe senz’altro per Maria un tipo di vita piuttosto estraneo al celibato, anzi persino anticelibatario; pertanto si dovette modificare la sua immagine” (43). Si arrivò prima a trasformare i fratelli e le sorelle di Gesù in cugini e cugine, infine a privare Maria anche del parto dell’unico figlio: un’operazione, “la dottrina della Chiesa su Maria”, non “elaborata da donne, ma da uomini, per giunta celibi” i quali “affermavano che il loro stato […] avesse un valore più alto del matrimonio” (44).

Secondo Deschner tale visione di Maria, poi la sua assunzione in cielo e la immacolata concezione, proclamate molto tardi, si sono imposte solo lentamente nella Chiesa.

“E quanto più s’innalzava la celebrazione della Vergine”, aggiunge lo storico tedesco, “tanto più profondamente veniva degradata ogni donna (che vivesse naturalmente); là iperdulia senza pari, qui sconfinata diffamazione” (45).

“Il movimento mariano e la condanna della donna, della carne peccaminosa”, scrive Friedrich Heer, “sono strettamente connessi” (46).







La Chiesa scopre la parità dei sessi…

Negli ultimi decenni, l’irrompere nella Chiesa delle riflessioni e delle critiche espresse dalle femministe, ha spinto i papi a rivedere le loro opinioni sulla donna, come già è avvenuto per la schiavitù o per la pena di morte.

Le speranze suscitate nelle donne cattoliche dai fermenti di rinnovamento che si manifestarono durante il Vaticano II, ma anche le successive delusioni, sono ben ricostruite dalla Heinzelmann nel libro Donna nella Chiesa, già citato.

L’autrice mette soprattutto l’accento sugli elementi di continuità con una visione disincarnata e asessuata della donna, che trapelano ancora dall’enciclica Redemptoris mater con cui pure Giovanni Paolo II intendeva affermare i valori della femminilità. In essa, osserva la Heinzelmann, attraverso un’immagine di Maria che riflette secondo Wojtyla, “i più alti sentimenti di cui è capace il cuore umano”, “viene offerta l’antica immagine della donna come dedizione assoluta, che però ha perduto ogni significato presso le donne che vivono nella vita moderna” (47).



La successiva lettera apostolica Mulieris dignitatem è uno degli esempi più chiari dei funambolismi cui Giovanni Paolo II deve ricorrere per cercare di adeguarsi ai tempi in parte virando di rotta senza ammetterlo, cioè rivendicando come propria della Chiesa “da sempre” una posizione molto recente, in parte non assumendola fino alle conseguenze ultime, ossia continuando a negare la parità uomo-donna per quanto riguarda l’accesso al sacerdozio.

Larga parte della Mulieris dignitatem è dedicata ad affermare la sostanziale uguaglianza fra i due sessi. In questo senso Wojtyla rilegge e reinterpreta il Genesi, e in particolare le parti del testo biblico che affermano la predominanza dell’uomo sulla donna come conseguenza del peccato.

Il papa si spinge addirittura a riconoscere “la giusta opposizione della donna di fronte a ciò che esprimono le parole bibliche: ‘Egli ti dominerà’, Genesi 3, 16” (48). Come in casi analoghi, però, il papa non critica la precedente lettura, in base a cui per secoli la Chiesa ha sostenuto l’inferiorità della donna, ma semplicemente la ignora. Siamo alle solite: si cerca di contrabbandare come dottrina permanente della Chiesa una dottrina che, quando sia sincera, è molto recente, onde non dover ammettere che la Chiesa ha insegnato il falso per secoli, ossia è una istituzione “fallibile”, come tutte le istituzioni umane.







… E il “femminismo” di San Paolo


Wojtyla inoltre, costretto a non discostarsi dalle Lettere di Paolo in quanto le ritiene, come si sa, ispirate da Dio, deve riproporne una lettura compatibile con le nuove idee di parità. Ci spiega così che la sottomissione delle mogli ai loro mariti, sostenuta da Paolo, era da lui “intesa e attuata in un modo nuovo: come una ‘sottomissione reciproca nel timore di Cristo’(cf. Ef 5, 21)” (49), sottacendo gli altri passaggi in cui Paolo affermava la “dipendenza” della donna.



Poi, onde spiegare come per secoli sia a tutti sfuggito che Paolo da Tarso era un campione della parità dei sessi, Giovanni Paolo II mette tale incomprensione in conto alle dure cervici degli uomini: “L’apostolo scrisse non solo: ‘In Cristo non c'è più uomo né donna’ ma anche: ‘Non c’è né schiavo né libero’. E tuttavia, quante generazioni ci sono volute perché un tale principio si realizzasse nella storia dell'umanità con l'abolizione dell'istituto della schiavitù!” (50).

Wojtyla, naturalmente, evita di dire che fin quasi ai nostri giorni furono proprio la Chiesa e i papi, rappresentanti di Dio in terra, depositari e interpreti autorizzati del messaggio paolino, a leggerlo in senso contrastante con quello che ci viene oggi proposto e a battersi contro la parità uomo-donna o contro l’abolizione della schiavitù (Pio IX ancora nel 1866!) …







Ma donne sacerdote, no

Postosi per questa strada, comunque, il papa deve spiegare perché nonostante la parità fra i due sessi la Chiesa intenda ancora riservare il sacerdozio ai maschi celibi.



E a questo proposito Giovanni Paolo II ricorre a un ben debole argomento “storico” e cioè al fatto che “Cristo - con libera e sovrana scelta, ben testimoniata nel Vangelo e nella costante tradizione ecclesiale - ha affidato soltanto agli uomini il compito di essere ‘icona’ del suo volto di ‘pastore’ e di ‘sposo’ della Chiesa attraverso l’esercizio del sacerdozio ministeriale” (51).

Una risposta visibilmente debole, se si pensa che, quando alla Chiesa pare conveniente, essa è sempre pronta a dichiarare variabile e reinterpretabile una posizione in base al particolare contesto storico rifiutando, ad esempio, il “fermati sole” o coniugando creazionismo e darwinismo.

L’imbarazzo di Wojtyla è visibile anche dal passo successivo in cui, quasi a consolare le donne dell’esclusione, aggiunge: “D’altra parte… il sacerdozio ministeriale, nel disegno di Cristo, ‘non è espressione di dominio, ma di servizio’” (52), come se non sapesse, beata ignoranza o beata ipocrisia, che questo “servizio” si traduce in “potere” di decidere e guidare i fedeli per quanto concerne la dottrina e la morale.

Un’analoga risposta, con un di più di arroganza, aveva dato qualche anno prima, in una intervista a Vittorio Messori, l’allora capo del Santo Uffizio Ratzinger: “Il cristianesimo… apre alle donne una situazione nuova, dà loro un posto che rappresenta uno degli elementi di novità rispetto all'ebraismo. Ma di questo conserva il sacerdozio solo maschile. Evidentemente, l'intuizione cristiana ha compreso che la questione non era secondaria, che difendere la Scrittura (la quale né nell'Antico né nel Nuovo Testamento conosce donne-sacerdote) significava ancora una volta difendere la persona umana. A cominciare, si intende, da quella di sesso femminile" (53).

Perché impedire l’accesso delle donne al sacerdozio sia “difendere la persona umana”, Ratzinger non spiega. Con la consueta ipocrisia si limita a presentare misure di esclusione prese nell’interesse dalla gerontocrazia vaticana o dei potenti ad essa legati (poco prima, nella stessa intervista, aveva rigettato le istanze dei poveri sostenute dalla teologia della liberazione) come misure prese a vantaggio… degli esclusi.

La sordità di Ratzinger “a tutti i valori positivi dell’emancipazione” e il suo proposito di rinviare apoditticamente la donna “ai tradizionali valori della maternità e della verginità” (54) vengono denunciati del resto anche dalla Heinzelmann nel testo citato.







Un “faro” spento


Alla fine di questo saggio pare di dover affermare che quanto il cristianesimo ha da dirci oggi in ogni campo è poco plausibile o palesemente assurdo per quanto ha di originale, mentre è banale per quelle parti che sono un semplice adeguamento a idee cui il pensiero laico è arrivato ben prima della Chiesa e quasi sempre in contrasto con essa.

Non si capisce quindi a quale titolo i suoi rappresentanti continuino a pretendersi dispensatori di chissà mai quali profonde verità e salvifici ammaestramenti.

E a che titolo, se non per opportunismo elettorale, i cosiddetti laici ne riconoscano o elogino il “ruolo morale”. Né si capisce perché il crocifisso, che è diventato storicamente il simbolo della Chiesa cattolica, delle sue false dottrine e dei suoi delitti, debba restare nelle aule scolastiche a rappresentare i “nostri” valori, come ha detto in TV perfino un cattolico cosiddetto “aperto” come don Vinicio Albanesi, che forse intendeva dire i “suoi” valori: le Crociate, i roghi, la benedizione dei gagliardetti, le evangelizzazioni a fil di spada, i traffici d’indulgenze, le prevaricazioni odiose al capezzale dei moribondi, le donne uccise per poter battezzare il neonato.

Valori da cancellare, con un’opera di scristianizzazione della società, ossia di recupero degli autentici valori umani, rintracciabili anche in taluni insegnamenti di Gesù Cristo o nei sentimenti dei fedeli “di base” che a lui ancora oggi si richiamano, ma non certo nelle dottrine della religione e della Chiesa, cioè della gerontocrazia vaticana, che ne usano il nome.



Note terza parte


(1) “La Repubblica”, 9 giugno 2005.

(2) Sulla dialettica peccato-redenzione e altri aspetti più filosofici del cattolicesimo non ci fermiamo in questa sede, limitandoci a a considerare i “valori” che esso propaganda.

(3) K. Deschner, La croce della Chiesa. Storia del sesso nel Cristianesimo, Massari editore, Bolsena 2000, p. 41.

(4) U. Ranke-Heinemann, Eunuchi per il regno dei cieli. La chiesa cattolica e la sessualità, Rizzoli, Milano 1990.

(5) S. Girolamo. Ep. 22 ad Eustochium e altrove, in Deschner, cit., p. 173.

(6) U. Ranke-Heinemann, cit.

(7) August., serm. Domin. e altrove, in Deschner, cit., p. 173.

(8) Ibid., p. 68

(9) Ibid., p. 65.

(10) Ibid., p. 112.

(11) Venere al Tribunale della Penitenza, Claudio Gallone editore, Milano 1999, p. 57.

(12) Ibid., p. 53.

(13) Ibid., p. 53.

(14) Ibid., p. XXX.

(15) Ibid., p. 135.

(16) In K. Deschner, cit., p. 186.

(17) Ibid., p. 186.

(18) Venere al Tribunale della Penitenza, cit., p. 111.

(19) Ibid., p. 159, 169

(20) U. Ranke-Heinemann, cit., p. 325.

(21) In K. Deschner, cit., p. 212.

(22) Catechismo della Chiesa cattolica. Compendio, Libreria Editrice Vaticana, Roma 2005, p. 130.

(23) U. Ranke-Heinemann, cit., p. 283.

(24) U. Ranke-Heinemann, cit., p. 275.

(25) U. Ranke-Heinemann, cit., p. 275.

(26) U. Ranke-Heinemann, cit., p. 278.

(27) U. Ranke-Heinemann, cit., p. 290.

(28) U. Ranke-Heinemann, cit., p. 291.

(29) U. Ranke-Heinemann, cit., p. 301.

(30) U. Ranke-Heinemann, cit., p. 293.

(31) Lettera del papa Giovanni Paolo II alle donne, 1995, nel sito del Vaticano su internet (http://www.vatican.va).

(32) G. Heinzelmann, La donna nella Chiesa. Problemi del femminismo cattolico, Xenia, Milano 1990, p. 91.

(33) in K. Deschner, cit., p. 146.

(34) Paolo, 1 Cor. 11. 7-10, in La Sacra Bibbia, a cura G. Ricciotti, Salani, Milano 1950, p. 1613

(35) Paolo, Ef. 5. 22-23, in La Sacra Bibbia, cit., p. 1651.

(36) In K. Deschner, cit., p. 149

(37) Ibid., p. 146.

(38) G. Heinzelmann, cit., p. 248.

(39) Ibid., p. 250.

(40) in K. Deschner, cit., p. 146.

(41) G. Heinzelmann, cit., p. 252.

(42) in K. Deschner, cit., p. 153.

(43) U. Ranke-Heinemann, cit., p. 332.

(44) Ibid., p.332.

(45) in K. Deschner, cit., p. 154.

(46) Ibid., p. 153.

(47) G. Heinzelmann, cit., p.159.

(48) Giovanni Paolo II, Mulieris dignitatem, 1988 (http: //www.vatican.va).

(49) Ibid.

(50) Ibid.

(51) Lettera del papa Giovanni Paolo II alle donne, cit.

(52) Ibid.

(53) J. Ratzinger-V. Messori, Rapporto sulla fede, Paoline, Roma 1985.

(54) G. Heinzelmann, cit., p.147.




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