È lui stesso, il leader storico dei Radicali, a tirarsi fuori. «Se si segue il criterio dell’opportunità - dice Marco Pannella - è in nome di questo che occorre valutare anche una mia eventuale candidatura nelle liste Pd, in quota radicale. Per mio conto, la ritengo assolutamente non necessaria e sinceramente e gioiosamente non opportuna».
C’è dell’ironia, nel «passo indietro» pannelliano, e una certa distaccata irrisione di quelle «regole» che il Pd sventola per arginare una presenza politicamente ingombrante come la sua. Regole che ieri pure Piero Fassino (che naturalmente sarà ricandidato, anche se di legislature sulle spalle ne ha quattro) ricordava severamente: «La regola dei tre mandati vale anche per Pannella». Il quale si è fatto due conti, tanto per ricordare che difficilmente qualcuno potrebbe contestargli attaccamenti alle poltrone e ai ruoli istituzionali, e che, alla luce dei fatti, il diktat delle tre legislature applicato al suo caso ha poco senso: dal ‘76 ad oggi, il leader radicale è stato in Parlamento per soli 114 mesi, «equivalenti a due sole legislature». La regola radicale, infatti, prevedeva la rotazione dei parlamentari, e Pannella la ha sempre applicata a se stesso, dimettendosi a metà mandato. E dal Parlamento italiano manca da dieci anni.
Dunque, il Pd dovrà dire chiaro e tondo perché, fatto l’accordo con i radicali, ora non vuole il loro leader in lista. «Non possiamo accettare veti», ha ricordato ieri la Bonino a Veltroni, nel faccia a faccia che ha sancito l’intesa, che nel fine settimana dovrà passare, in un’assemblea a porte aperte, al vaglio del Comitato dei radicali italiani.
Durante l’incontro, il leader del Pd si è lamentato per l’atteggiamento negativo di una parte dei radicali. «Servono convinzione ed entusiasmo. Se invece dite di “subire” questo accordo, lasciamo perdere». A Veltroni non sono piaciute né le ironie sul Pd di Pannella, l’altra sera al Tg3, né il comunicato di Bernardini e Cappato, fautori della linea anti-accordo, secondo i quali i radicali stanno «subendo» l’impostazione data dal Pd all’intesa elettorale.
«Immagino - ironizza un parlamentare della Rosa nel pugno - che chi è così contrario all’ingresso dei radicali nelle liste Pd non si candiderà…». Lo si capirà nei prossimi giorni, quando si deciderà sui nomi. Per ora l’unica certezza è sulla Bonino, che sarà capolista al Nord e che Veltroni vuole impegnare in prima linea nella campagna elettorale. Non ci sarà invece, con ogni probabilità, Sergio D’Elia, il leader della campagna per la moratoria sulla pena di morte ha alle spalle una condanna scontata per banda armata: lui stesso si è detto «pronto a lasciare» per evitare un caso sul suo nome.
Intanto sulla testa degli estremisti cattolici alla Binetti, dopo l’accordo con i radicali, è piombata ieri la tegola della candidatura di Umberto Veronesi, luminare della medicina, che sarà capolista in Lombardia e che, per le sue posizioni laiche sui temi etici, è visto come un altro segnale di quella che le associazioni cattoliche vicine al centrosinistra denunciano come «deriva libertaria». «Temo che non ci sia più spazio nel Pd per le nostre posizioni», lamenta Costalli, del Movimento cristiano lavoratori.
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L’articolo di Laura Cesaretti è tratto dal sito del Giornale
www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=243227
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