APOCALISSE Controinformazione su Chiesa e Cattolicesimo

Profondità di Carlo Maria Martini, banale superficialità ratzingeriana

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    00 21/05/2008 15:01


    di Francesco Pullia

    A chi ha avuto modo di leggere ieri nel quotidiano “La Repubblica” il bellissimo articolo dedicato da Marco Politi all’ultimo libro del cardinale Carlo Maria Martini, pubblicato in Germania dalla casa editrice Herder con il titolo Colloqui notturni a Gerusalemme, sicuramente sarà venuta in mente un’affermazione contenuta in Chiesa padrona di Roberto Beretta (Piemme, 2006) e riportata da Curzio Maltese ne La questua (Feltrinelli, 2008): “i soli che in Italia si permettono di parlare schiettamente sono alcuni dei vescovi emeriti, ovvero quelli ormai in pensione, che non hanno più niente da perdere…”

    Parole sante. E’ proprio il caso di dirlo…

    L’articolo di Politi, Il testamento del cardinale, ne è la riprova. Le citazioni tratte dal libro, purtroppo non ancora tradotto in italiano, scaturito da un lungo e intensissimo colloquio tra l’ex arcivescovo di Milano, trasferitosi da qualche anno a Gerusalemme, e il gesuita Georg Sporschill, oltre a rivelare una neppure poi tanto velata polemica nei confronti della spinta conservatrice, tradizionalista, anticonciliare impressa alla Chiesa dal pontificato di Joseph Ratzinger, denotano una raffinatezza e una profondità difficilmente riscontrabili nel desolante attuale scenario ecclesiastico. Indice che, nonostante l’età avanzata, il card. Martini possiede ancora una freschezza e un’intelligenza introvabili in tanti giovani presuli.

    Rammarica constatare che ad esprimersi con tanta lucidità e sincerità sia, appunto, un uomo giunto ormai, ci sia consentito, “al capolinea” e che davvero “non ha più niente da perdere” mentre all’interno della Chiesa è vigente un rassegnato, deleterio, silenzio.

    Si potrà obiettare che Benedetto XVI è un “fine” teologo e che le nostre critiche sono immotivate. Da parte nostra consigliamo di leggere con la dovuta attenzione ciò che è potuto uscire dalla penna di questo papa per darne un giudizio serio, misurato, spassionato.

    Si potrà, allora, riscontrare, di certo, erudizione ma apparirà altresì evidente l’assenza pressoché totale di originalità e, soprattutto, di quell’amore che innerva e rende vibrante qualsiasi afflato religioso.

    La differenza strutturale e radicale tra Ratzinger e Martini sta tutta qui: da un lato l’adagiarsi opportunisticamente e comodamente come “nani sulle spalle dei giganti” , tanto per citare un celebre detto di Bernardo di Chartres, per volgersi, però, indietro, ignorando e tacitando volutamente quella che potremmo chiamare l’ansia del tempo (la Chiesa militare, quindi); dall’altro lo sforzo di spingere lo sguardo più in là, di prefigurare l’avvenire assumendosi l’onere di una parola che sia veramente profetica, e che pertanto dica, detti, e non soltanto semplicemente ripeta (la Chiesa militante).

    Giunto in prossimità della fine dei suoi giorni, Martini sembra animato dall’intenzione di lasciarci in eredità, di comunicare (non tanto e non solo di trasmettere) l’inquietudine del e per il verbo, un fermento che si fa strada e scuote dal di dentro esortandoci ad osare l’intentato. Ratzinger ama, invece, attardarsi nel reiterato, in una luce riflessa e sfocata da innumerevoli filtri. E’ un abile, accorto, ripetitore (si consideri quanto faccia in continuazione ricorso allo stereotipo di Giovanni Paolo II) che utilizza il presente come pretesto per imporre un ritorno al passato.

    Ma torniamo al libro del card. Martini. Le sue parole vibrano perché sono testimonianza (non ombra) di vissuto, a partire dall’ammissione di avere “avuto difficoltà con Dio”, trovando difficile capire perché avesse fatto patire il Figlio sulla croce.

    E ancora. C’è stato un tempo – confessa il religioso – in cui “ho sognato una Chiesa nella povertà e nell’umiltà”, non dipendente dalle potenze di questo mondo, in altri termini, diremmo noi, non simoniaca. Più avanti, parla della capacità di andare incontro al futuro, del celibato come scelta vocazionale e non come imposizione, del sacerdozio femminile e dell’importanza della donna, sempre misconosciuta, travisata, vilipesa dal maschilismo imperante nella teologia cattolica, dell’inadeguatezza e negatività dell’Humanae Vitae, enciclica ostile agli anticoncezionali, dell’omofobia ecclesiastica, dell’esigenza di un reale dialogo interreligioso senza alcuna posizione di assolutismo e presunta superiorità (“Non puoi rendere cattolico Dio” perché Dio è al di là degli steccati eretti dagli uomini), del confronto come opportunità di crescita e maturazione (“Lasciati invitare ad una preghiera con chi ha una fede diversa, portalo una volta ad un tuo rito. Ciò non ti allontanerà dal cristianesimo, approfondirà al contrario il tuo essere cristiano. Non avere paura dell’estraneo”). Gesù, afferma Martini, non dice solo “ama il tuo prossimo come te stesso” ma di più: “Ama il tuo prossimo che è come te”. E aggiunge che è terribile incaponirsi nell’invocare magari Dio nella costituzione europea e, poi, non essere coerenti nella giustizia. Significativa la citazione di un detto coranico: non si è giusti solo perché ci si inchina per pregare a oriente o a occidente. Giusto, sottolinea Martini, è colui che “pieno di amore dona i suoi averi ai parenti, agli orfani, ai poveri e ai pellegrini”, chi riscatta gli incarcerati.

    Già. Peccato che questa voce sia confinata alla lontananza. La sua eco, purtroppo, non oltrepassa le spesse mura vaticane.

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    Padre Guardiano
    00 21/05/2008 20:09
    re

    Leggendo credevo di sognare. Martini sembra un evangelico in quanto i pensieri e i modi espressi sono quelli di Gesù e non di una chiesa.

    I cattolici dicono che durante il conclave c'è l'assistenza dello Spirito Santo. Dalle volte che hanno trombato questo loro "figlio" devo dire che anche lo SS se ne ne è andato da quella chiesa e ha fatto molto bene!!!!
    In escrementum vitae!!!!


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    Querdenker evangelico anticonvenzionale del 1° secolo. "Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam!" g.b.--In nece renascor integer ./Satis sunt mihi pauci,satis est unus,satis est nullus. Seneca-Ep.VII,11


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