00 04/08/2008 16:00

VIII.
28. Codesta donazione, della quale presentate il testo, deve contenere anche l’accettazione di Silvestro: ma non c’è. Potreste dire che si può supporre la ratifica di Silvestro: io invece affermo che ben si può supporre che Silvestro non solo la ratificò, ma la chiese, insisté per averla, la strappò con preghiere. Perché voi supponete credibile ciò che va contro l’opinione umana? Non basta che nel testo del privilegio si parli della donazione per ritenere che essa sia stata accettata; al contrario, bisogna dire che non vi è stata donazione perché non vi è traccia dell’accettazione: è contro di voi il rifiuto di Silvestro piú di quanto non possa essere a vostro vantaggio la donazione di Costantino, perché un beneficio non si può concedere a chi non lo accetta. Né dobbiamo sospettare soltanto che Silvestro abbia rifiutato il dono, ma che tacitamente abbia anche giudicato che Costantino non poteva legalmente donare né egli poteva legalmente ricevere. Ma, o cieca e sempre inconsulta avarizia! Ammettiamo che possiate presentare documenti dell’assenso di Silvestro, veri, non alterati, sinceri; sono forse sempre regolarmente donate cose comprese in veri documenti? Dove è il possesso? Dove il trasferimento a mano? Costantino si limitò a dargli solo la carta di donazione, non volle fargli un dono ma uno scherzo. È verisimile – dite – che chi doni qualche cosa ne effettui anche il trapasso di possesso. Badate a quello che dite: poiché consta con precisione che non è stato dato il possesso e si discute se sia stato dato il diritto. È, allora, verisimile che non abbia voluto dare neppure il diritto chi non diede il possesso.

29. Si mette in dubbio l’inesistenza del trapasso di proprietà? Ma mettere in dubbio ciò è da svergognati. Forse Costantino guidò Silvestro al Campidoglio come un trionfatore tra gli applausi dei quiriti affollati sí, ma non ancora credenti? Lo fece adagiare sulla sedia aurea alla presenza di tutto il senato? Comandò che i magistrati, ciascuno secondo la sua dignità, lo salutassero e adorassero come re? Era usanza che per i nuovi imperatori si facessero tutte queste cose, non che si consegnasse un palazzo qualunque, come, ad esempio, il Lateranense.

Lo accompagnò poi in giro per tutta l’Italia? Andò con lui nelle Gallie? nelle Spagne? in Germania e in tutto il restante Occidente? o, se ad ambedue dispiaceva andare in giro per tante terre, a chi mai delegarono cosí importante ufficio e di fare le veci dell’imperatore nel dare e di Silvestro nell’accogliere il possesso? Dovettero essere uomini grandi e di esimia autorità, eppure ne ignoriamo i nomi. In queste due semplici parole dare e ricevere quanta significazione non si nasconde! A nostro ricordo, per tacere antichissimi esempi, se qualcuno diventa signore di una città, di una regione, di una provincia, allora soltanto si ritiene effettuato il trapasso di proprietà quando gli antichi magistrati sono rimossi e sostituiti da nuovi. Anche se Silvestro non avesse chiesto ciò, era obbligato Costantino dalla sua stessa magnificenza a dichiarare che trasferiva il possesso non solo a parole, ma di fatto, che rimuoveva i suoi presidi e comandava che altri fossero sostituiti da Silvestro. Non c’è passaggio di possesso quando esso resta presso coloro stessi che possedevano prima e il nuovo signore non osa rimuoverli. Ma supponiamo che questo non sia d’ostacolo (ad ammettere la donazione) e che si possa ritenere che Silvestro abbia continuato a possedere, ammettiamo che tutto sia stato amministrato contro ogni tradizione e contro natura: ma una volta che Costantino se ne andò (da Roma) quali capi Silvestro prepose alle province e alle città? quali guerre combatté? quali popoli schiacciò voltisi a combatterlo? Per chi amministrò queste cose? Non sappiamo nulla di ciò, mi risponderete. Lo credo bene: furono fatte codeste cose di notte e perciò nessuno se ne accorse.

30. Silvestro possedé? E chi lo scacciò dal possesso? Infatti non rimase sempre in possesso né lui né alcuno dei successori almeno fino a Gregorio Magno, che anch’egli non ebbe possesso (dell’impero). Chi è privo di possesso e non può dimostrare di essere stato scacciato, questi senza dubbio non è stato mai in possesso; e se dice di aver posseduto, è un pazzo. Comprendi come posso dimostrare che anche tu sei un pazzo? Se no, dimmi: chi cacciò dal possesso Silvestro? Lo stesso Costantino o i suoi figli o Giuliano o qualche altro imperatore? Dà fuori il nome di chi lo scacciò; danne la data; di donde fu espulso la prima volta, la seconda e cosí via. Per mezzo di una rivolta e stragi o senza di esse? congiurarono insieme contro di lui tutte le nazioni e quale fu la prima? e come? nessuno gli venne in aiuto? Neppure qualcuno di quelli che erano stati preposti da Silvestro o da altro papa alle città e alle province? In un sol giorno perdette tutto? o perdette un po’ per volta e parte dopo parte? Resisté il papa e resistettero i suoi magistrati o al primo tumulto abdicarono? E che? i vincitori non si abbandonarono a stragi contro quella feccia umana, che giudicavano indegna dell’impero? non l’avrebbero fatto per vendicare le subite offese, per tutelare la loro conquista del potere, per disprezzo contro la nostra religione (cristiana), per esempio ai posteri? nessuno dei vinti riuscí a fuggire? nessuno si nascose? nessuno ebbe paura? O evento meraviglioso! L’impero romano nato da tante fatiche e da tanto sangue, sarebbe stato conquistato e perduto cosí tranquillamente dai sacerdoti cristiani senza che ci sia stato sangue, guerra, lagnanze. E (cosa non meno straordinaria) non si sa da chi sia stato fatto ciò, in qual momento, in che modo, per quanto tempo. Potresti credere che Silvestro abbia regnato nelle selve e tra gli alberi, non a Roma e tra uomini e sia stato cacciato da freddi piogge invernali, non dagli uomini. Chi, fornito di una qualche cultura, non sa quanti re, quanti consoli, quanti dittatori, quanti tribuni della plebe, quanti edili furono creati a Roma? non ci sfugge il nome di nessuno di essi, pur in sí grande antichità, in sí gran numero di persone. Sappiamo anche quanti capitani ateniesi, tebani, spartani ci sono stati e sappiamo le loro battaglie per mare e per terra. Non ignoriamo quali furono i re persiani, medi, caldei, ebrei e via dicendo e sappiamo come ciascuno di essi o abbia ricevuto il regno o l’abbia perduto o l’abbia ricuperato. Ma invece non si sa come nella stessa città di Roma sia cominciato l’impero romano silvestrano o come sia finito, quando, per opera di chi. Quali testimonianze, quali autorità potete addurre di ciò che affermate? Nessuna, mi dovete rispondere. E non vi vergognate, bestie che siete, non uomini, di dire essere verisimile che Silvestro abbia posseduto?

IX.
31. Poiché voi non potete dimostrare ciò che affermate, io, al contrario, vi dimostrerò che Costantino continuò a possedere sino all’ultimo giorno di sua vita e cosí i suoi successori tutti: vi tapperò cosí la bocca. Ma sarà impresa assai difficile e di grande impegno mostrarvi ciò. Si leggano tutte le storie latine e greche; si chiamino pure tutti gli autori che hanno scritto di quei tempi: non troverai alcuna contraddizione tra le fonti. Basti uno tra mille: Eutropio. Egli vide Costantino e tre figli da lui lasciati signori del mondo, e di Giuliano, figlio del fratello di Costantino, cosí scrive: «Questo Giuliano che fu suddiacono nella Chiesa romana e, fatto imperatore, apostatò ritornando al culto degli idoli, salí al potere e con grande apparato portò guerra ai Parti; a tale spedizione presi parte anche io». Non avrebbe taciuto della donazione dell’impero di Occidente e non avrebbe detto di Gioviano, che successe a Giuliano: «Concluse una pace necessaria, purtroppo, ma vergognosa con Sapore, ritirando i confini e cedendo una parte dell’impero romano, cosa che prima non era mai accaduta dalla fondazione dell’impero romano. Che anzi le nostre legioni furono fatte passare sotto il giogo presso Caudio da Ponzio Telesio e nella Spagna a Numanzia e in Numidia (pure passarono sotto il giogo) senza però che vi fosse stata mai cessione di territorio».

32. A questo punto mi piace chiamare in causa voi testé morti, pontefici romani, e te, Eugenio, che vivi, col permesso di Felice: perché cianciate tanto della donazione di Costantino e minacciate i sovrani che vendicherete l’usurpazione commessa a vostro danno dall’impero? perché pretendete dall’imperatore e da altri principi una confessione di vassallaggio a voi, quando si è all’incoronazione, ad esempio, dal re di Napoli e di Sicilia? Ciò non fece mai alcuno degli antichi pontefici, non Damaso di fronte a Teodosio, non Siricio con Arcadio, non Anastasio con Onorio, non Giovanni con Giustiniano, non altri santissimi papi con altri ottimi imperatori, ma sempre riconobbero che Roma, l’Italia e le province che ho ricordate appartenevano agli imperatori. Taccio di molti monumenti storici e dei templi di Roma; si trovano ancora (e molte ne posseggo io) monete di oro di Costantino già cristiano e poi di quasi tutti i successori con questa iscrizione, in lettere latine non greche, sotto l’immagine della croce: Concordia orbis. Se ne troverebbero numerose anche dei sommi pontefici, se mai avessero imperato su Roma: non si trovano invece né di oro né di argento né alcuno ricorda di averle viste, mentre non poteva non battere proprie monete chiunque avesse comandato a Roma, fosse pure con l’effigie del Redentore o di Pietro.

33. O ignoranti, non capite che, se fosse vera la donazione di Costantino, non sarebbe rimasto piú nulla all’imperatore dell’Occidente? Che razza d’imperatore, di re romano sarà mai uno se il suo regno è in potere di un altro ed egli non ha nulla piú. Se è chiaro che Silvestro non ebbe il possesso, cioè che Costantino non effettuò il trapasso di proprietà, non c’è dubbio che non gli diede neppure il diritto di possesso, come ho già detto, a meno che non diciate che fu dato il diritto, ma che per una qualche causa non fu dato il possesso. Gli dava ciò che sapeva che non sarebbe stato mai del papa; gli dava ciò che non poteva trasmettere; gli dava ciò che non poteva venire in suo possesso se non quando fosse stato estinto. Gli dava un dono che non avrebbe avuto valore prima di cinquecento anni o addirittura mai. Dir ciò o pensarlo è da pazzi.

34. Ma è tempo ormai, per non essere prolisso, dare il colpo di grazia alla causa degli avversari già malridotta e quasi straziata. Tutte le storie, quelle almeno che meritano tal nome, dicono che Costantino fosse cristiano fin dalla fanciullezza insieme al padre Costanzo, molto prima – dunque – del pontificato di Silvestro, come – ad esempio – Eusebio, scrittore di una Storia Ecclesiastica, che Rufino, non ultimo fra i dotti, volse in latino aggiungendo due volumi intorno ai suoi tempi; tanto Eusebio che Rufino vissero ai tempi di Costantino. Aggiungi la testimonianza anche del romano pontefice, che non fu presente, ma fu il promotore del battesimo, ne fu non testimone ma autore; e narrò non fatti di altri ma suoi. Parlo di papa Melchiade, cui seguí immediatamente, come papa, Silvestro; egli cosí disse: «A tanto è giunta la Chiesa che accorrono alla fede di Cristo e ai suoi sacramenti non solo i popoli, ma anche gli imperatori romani, che tenevano il governo di tutto il mondo. Tra essi per primo il religiosissimo Costantino, seguendo la vera fede, diede il permesso a tutti i suoi sudditi non solo di diventare cristiani, ma anche di fabbricare chiese e di donare beni alle chiese. Infine lo stesso ricordato imperatore diede immensi doni agli ecclesiastici e iniziò la costruzione della prima chiesa dedicata a san Pietro; lasciò il palazzo imperiale e lo diede in godimento a san Pietro e ai suoi successori ». Melchiade non dice che da Costantino sia stato donato altro che il palazzo lateranense e dei beni, dei quali Gregorio I fa menzione spesso nel suo Epistolario. Dove stanno coloro che non vorrebbero che noi revocassimo in dubbio se sia valida o no la donazione di Costantino, quando essa avvenne prima di Silvestro e concerne solo beni privati? Tutto ciò sarebbe chiaro ed evidente, ma tuttavia è meglio che discutiamo un po’ il testo del privilegio, che codesti stolti sogliono addurre a prova.

X.
35. Prima di tutto debbo accusare di disonestà quel pseudo Graziano, che fece delle interpolazioni a Graziano, e di ignoranza quelli che credono trovarsi in Graziano il testo del privilegio, cosa che i dotti non hanno creduto. Il testo non si trova nei piú antichi manoscritti del Decretum. Se Graziano avesse ricordato la Donazione, non l’avrebbe collocata dove la mettono costoro, rompendo l’ordine della distribuzione della materia, ma l’avrebbe collocata dove tratta del patto di Ludovico il Pio. Vi sono innumerevoli passi nel Decretum in contraddizione con questa Donazione; e uno è quello dove si trovano le parole di Melchiade sopra riferite. Alcuni ritengono che l’autore dell’interpolazione sia Palea, detto cosí o perché tale fosse veramente il suo nome o perché le sue aggiunte si possono ritenere paglia al confronto del frumento di Graziano. Sia come si vuole, resta sempre che sarebbe sconveniente alla grandezza di Graziano il supporre che egli o ignorasse la Donazione o (se l’avesse veramente inserita lui) ne avesse fatto gran conto e l’avesse giudicata vera. Bene; basta: ho vinto. Prima di tutto, Graziano non la riporta come affermavano bugiardamente costoro; anzi in molti passi la nega e la confuta. Poi sono costretti a tirare in campo un solo autore e ignoto e di nessuna autorità, e per giunta cosí sciocco da attribuire a Graziano cose che stanno in contrasto con altri suoi detti. Dunque voi mettete avanti tale autorità? Vi fate forti della sola testimonianza di costui? Riferite il solo testo dato da costui a riprova di un fatto tanto importante mentre di contro ci sono tante innumerevoli prove? E dire che io mi sarei aspettato che mi mostraste sigilli di oro, iscrizioni lapidarie, molti storici.

36. Ma – obiettano – Palea porta avanti autorità degne di fede, fonti storiche e cita come testimone papa Gelasio con molti vescovi. Parla difatti «della Vita di Silvestro che in un Concilio di settanta vescovi Gelasio ricorda ai cattolici di leggere» e aggiunge che per lunga consuetudine molti imitano questa abitudine. Incomincia: In quibus legitur Constantinus. Altrove, trattando del canone dei libri sacri, aveva detto: gli Atti di san Silvestro, vescovo, sebbene ne ignoriamo l’autore, sappiamo tuttavia che sono letti in Roma dai cattolici e che tale antico uso imitano altre adunanze di fedeli. Straordinaria autorità, straordinaria testimonianza, inoppugnabile documentazione! Ammetto che Gelasio nel concilio abbia detto tutto ciò; ma disse forse che nella Vita di san Silvestro si leggesse il testo della donazione? Dice solo che a Roma, la cui autorità molte altre chiese seguono, si leggevano i Gesta Silvestri. E chi lo nega? Lo ammetto senz’altro. E sono pronto a testimoniarlo io stesso sulla fede di Gelasio. Ma a che vi giova se non a mostrare che avete scientemente mentito nello addurre le testimonianze? Si ignora il nome di chi ha messo questo passo tra le decretali ed è l’unico a parlarne; si ignora il nome di chi scrisse la storia, eppure è citato egli solo come testimone, falsamente. E voi, persone dabbene e sagge, stimate che questo basti e sovrabbondi a testimoniare una cosa di tanta importanza? Ma considerate quale abisso ci sia tra la mia e la vostra capacità critica. Io, anche se questo privilegio si fosse trovato nei Gesta di Silvestro non lo avrei ritenuto vero, perché tutta la storia che vi si contiene non è storia ma una invenzione poetica e sfacciatissima, come in seguito dimostrerò, e nessun altro di una qualche autorità fa menzione di questo privilegio. E Jacopo da Varagine, propenso al clero come arcivescovo, tuttavia nelle sue vite di santi tace della donazione di Costantino come favolosa e indegna di un posto nella narrazione delle opere di Silvestro, quasi come se avesse pronunziata una sentenza contro coloro che l’avessero riportata nei loro scritti.

37. Ma io voglio portare davanti ai giudici, anche se non gli piace, codesto falsario, veramente paglia non frumento. Che puoi dire, o falsario? Come mai non leggiamo codesto privilegio nei Gesta di Silvestro? Debbo ritenere che questo libro sia raro, difficile a trovarsi e non si diffonda per le mani di tutti, ma sia segreto come i Fasti tenuti una volta dai pontefici e i Libri Sibillini tenuti dai decemviri. Forse è scritto in lingua greca, siriaca o caldaica. Ma Gelasio afferma che era letto da molti cattolici e Jacopo da Varagine ne parla. Io stesso ne ho viste copie anche antiche, e in ogni chiesa cattedrale si leggono i Gesta nel giorno festivo di san Silvestro: nessuno tuttavia può dire di avervi letto o di aver udito quello che tu vi immagini scritto. Ma forse vi è qualche altra storia? Quale sarà? Non ne conosco altre e non credo che tu voglia parlare di altra. Certo tu intendi proprio di quella che Gelasio riferisce solersi leggere in molte chiese. Ma in questa non troviamo il tuo privilegio e se non vi si trova, che cosa hai mai letto tu? Come ti permetti di prenderci in giro in cose tanto serie e favorire le stolte bramosie di gente sciocca? Ma sono stolto io che attacco l’audacia di costoro e non piuttosto la pazzia di chi loro credette. Se si dicesse che di questa donazione si conserva il ricordo presso i greci, gli ebrei e i barbari stessi, non si chiederebbe subito di dire l’autorità di chi l’ha narrata, di mostrare il codice che contiene il racconto? Ora si parla di un atto scritto nella lingua vostra, di un codice diffusissimo e voi non sottoponete a critica un fatto cosí incredibile e, per giunta, arrivate alla supina credulità che, non rinvenendone il testo scritto, accettiate quello che vi dicono come se fosse scritto e vero. Contenti di tal titolo di possesso mettete in soqquadro terre e mari e, come se non vi fossero dubbi sui vostri diritti, perseguitate col terrore di guerre e con altre minacce quelli che non credono alle vostre parole. O buon Gesú, quale è la forza della verità e quale la sua divinità! essa si difende di per sé senza grandi sforzi da ogni inganno e bugia, cosí che non a torto, discutendosi davanti a Dario quale fosse la cosa piú forte e dicendo uno questo, un altro quello, fu data la palma alla verità. Ma, poiché io ora discuto con sacerdoti, non con laici, è meglio che trovi gli esempi nella storia ecclesiastica piú che nella civile.

Giuda Maccabeo, quando ottenne con l’invio di una ambasceria a Roma di stringere alleanza col senato, fece incidere il testo del patto sul bronzo e lo fece portare a Gerusalemme. Taccio delle tavole del Decalogo date su pietra da Dio a Mosè. Ma codesta magnifica e inaudita donazione di Costantino non esiste né scolpita in oro, argento o bronzo e neppure riprodotta in libri, ma si trova soltanto su un pezzo di carta o di pergamena. Iobal, inventore della musica, come dice Giuseppe Flavio, scolpí il testo della sua dottrina su due colonne, una di laterizio contro i danni del fuoco, l’altra di pietra contro le acque, perché gli era giunta la tradizione antica che il mondo sarebbe stato distrutto una prima volta dall’acqua e una seconda volta dal fuoco. La colonna di pietra rimase sino all’epoca di Giuseppe, come questi scrive. Le leggi delle dodici tavole furono incise nel bronzo perché il loro beneficio si conservasse sui popoli, sebbene allora i romani fossero ancora rozzi e gente solo di campi, e gli studi letterari poco coltivati; quando Roma fu presa e incendiata dai Galli, le Tavole furono ritrovate intatte. La previdenza con la sua circospezione vince due forze ostili agli uomini, la lunghezza del tempo e la violenza della fortuna. Ma Costantino avrebbe scritto soltanto su di un pezzo di papiro e con l’inchiostro la donazione di tutto il mondo, specie quando l’inventore della leggenda, chiunque egli fosse, immagina che Costantino dica di credere che non mancheranno quelli che per empia avarizia vorranno rescindere la donazione. Tu temi ciò, o Costantino, e non ti cauteli a che quelli che potranno strappare Roma a Silvestro non gli strappino anche la carta? E Silvestro? non fa proprio nulla? lascia tutto nelle mani di Costantino? È cosí sicuro e pigro? In una faccenda di sí grande importanza non pensa per nulla a se stesso, alla Chiesa, ai pontefici? Ecco a chi affidi l’amministrazione dell’impero romano: a un uomo che non vigila su una cosa di tale importanza, non vigila sul suo stesso lucro e sui suoi pericoli. Se gli rubano il pezzo di carta, non potrà piú dimostrare, col passare degli anni, la donazione.

XI.
38. Lo stolto chiama privilegio la carta della donazione.

Chiami privilegio – voglio dirgliene quattro come se mi fosse davanti – la donazione della terra e pretendi che essa sia scritta su un foglio di carta e che Costantino abbia scritto in codesta lingua? Se è assurdo il solo titolo quale non sarà il resto?

«L’imperatore Costantino tre giorni dopo il battesimo diede un privilegio al pontefice della Chiesa di Roma, per cui in tutto il mondo romano i sacerdoti abbiano lui come unico capo cosí come i giudici hanno a capo il re».

Ciò si legge nella storia di Silvestro. Già da ciò fa capire il privilegio dove sia stato redatto. Ma come sogliono fare i falsificatori incomincia col dire cose vere per conciliare credito al falso che segue. Come Sinone in Virgilio: «Tutto sarà vero, o re, ciò che ti dirò e non negherò di essere greco»; cosí incominciò, poi fece seguire tutte bugie. Cosí ora il nostro Sinone comincia dal vero e continua col falso. Nel suo privilegio si legge tra l’altro: «Giudicammo utile con tutti i nostri satrapi e tutto il senato, gli ottimati e tutto il popolo romano sottoposto alla Chiesa romana che, come san Pietro appare stabilito vicario di Dio sulla terra, cosí i pontefici ottengano, concessa da noi e dal nostro impero, il vicariato del principe degli apostoli e un potere sovrano molto piú ampio di quello che è concesso alla mansuetudine della nostra imperiale terrena serenità».

39. O scellerato e malvagio, la stessa storia che tu citi a testimonianza, narra che per molto tempo nessun senatore volle accogliere la religione cristiana e che Costantino sollecitasse i poveri al battesimo con dei premi. Ed ora tu osi dire che nei primi giorni consecutivi al battesimo il senato, gli ottimati, i satrapi, divenuti quasi tutti cristiani abbiano preso con l’imperatore la decisione di onorare la Chiesa di Roma. Che c’entrano i satrapi? o (gente) dura come pietre e come legno! Cosí parlano i Cesari? Cosí si concepiscono i decreti romani? Chi ha sentito mai parlare di satrapi nelle assemblee dei romani? Non ricordo di aver letto mai di satrapi non solo a Roma, ma neppure nelle province romane. Ma costui li chiama satrapi dell’imperatore e li antepone al senato, mentre tutti gli onori, anche quelli che si danno all’imperatore, vengono stabiliti dal senato o dal popolo romano insieme al senato. Perciò nelle piú antiche epigrafi o su marmo o su bronzo o sulle monete vediamo impresse due lettere S. C., cioè senatusconsulto o quattro S. P. Q. R. cioè senato e popolo romano. E, come ricorda Tertulliano, avendo Ponzio Pilato scritto dei miracoli di Cristo a Tiberio non al senato, mentre solevano i magistrati scrivere direttamente al senato, intorno ad argomenti straordinari, il senato non sopportò ciò e si oppose a Tiberio che presentava la proposta di legge di venerare Cristo come Dio, solo per l’indignazione, quantunque non espressa apertamente, che fosse stata offesa la dignità del senato. Ottenne cosí l’autorità del senato che Gesú non fosse onorato come Dio. Sappilo bene!

40. Perché parli degli ottimati? o intendi dire i principali uomini dello Stato: e allora perché si parla di loro e si tace degli altri magistrati? o intendi quelli che non sono demagoghi ansiosi di procacciarsi il favore del popolo, ma sono i migliori cittadini, seguaci del partito dell’ordine e suoi difensori, come Cicerone spiega in un’orazione. Perciò diciamo che Cesare prima che distruggesse la repubblica fu popolare (democratico), Catone fu invece degli ottimati: Sallustio spiegò la loro differenza. Ma non sono scelti a deliberare codesti ottimati piú di quanto non lo siano i democratici o altri uomini in vista.

Ma a che meravigliarci che siano stati interrogati gli ottimati, quando, a stare a sentire il falsificatore, tutto il popolo deliberò con l’imperatore? Il popolo soggetto alla Chiesa romana: quale popolo mai? il romano? Perché non lo si chiama semplicemente popolo romano anziché popolo soggetto? Che nuova specie di oltraggio è questo contro i quiriti dei quali il piú grande dei poeti espresse questo elogio: «Ricordati di governare le genti, o popolo romano»? Questo popolo che governa gli altri è detto popolo soggetto: cosa inaudita. Come in molte lettere attesta Gregorio, gli imperatori romani differiscono dagli altri re perché essi soli sono a capo di un popolo libero. Ma sia pure come tu vuoi.

Forse gli altri popoli non sono sottoposti alla Chiesa? o parli anche degli altri? Come poté avvenire in tre giorni che tutti i popoli sottomessi all’impero della Chiesa romana si trovassero presenti alla promulgazione di quel decreto? Pertanto era chiamata a giudicare anche la feccia del popolo? Costantino, prima che sottomettesse il popolo al pontefice romano, come poteva chiamarlo soggetto? E come è possibile che quelli che son detti sudditi siano partecipi alla compilazione della legge? Come è possibile dire che essi abbiano deliberato di diventar sudditi del papa e che già quel papa, al quale ora in forza del loro decreto soggiacciono, li abbia già come suoi sudditi? Tutto ciò dimostra che tu, miserabile, avresti la volontà di ingannare ma non ne hai la capacità.

XII.
41. «Scegliamo che il principe degli Apostoli e i suoi vicari siano nostri sicuri patroni presso Dio. E per quanto è nella nostra terrena imperiale potenza, abbiamo deciso di onorare con debita venerazione la sacrosanta chiesa di Roma ed esaltare gloriosamente la sede sacra di san Pietro piú del nostro impero e del trono terreno; perciò al papa assegnamo ogni potere, gloria e dignità, forza e onori imperiali».

Rivivi per un po’, o Firmiano Lattanzio, ed opponiti a quest’asino che raglia cosí sonoramente. Gli piace tanto il rumore di parole gonfie da ripeterle e compiacersi di ridire quello che or ora ha detto. In questo modo parlavano ai tuoi tempi gli scribi imperiali, per non dire i mozzi di stalla? Scelse Costantino i papi non come patroni, ma «che fossero patroni»: il compilatore ha interposto quel che fossero solo per rendere piú artificiosa la cadenza. Bel criterio quello di scrivere male solo perché il periodo corra piú armonioso, se pure in tanta scabrezza di stile vi può essere qualcosa di armonioso. «Eligentes principem apostolorum vel eius vicarios»: non scegli Pietro e poi i suoi vicari, ma o l’uno, escludendo gli altri, o gli altri, escludendo lui. Chiama i papi vicari di Pietro come se Pietro viva e gli altri papi siano di dignità inferiore a quella di Pietro.

42. Non è barbara anche l’espressione: «a nobis nostroque imperio» come se l’impero abbia l’animo e il potere di concedere qualcosa? Né gli bastò dire obtineant, ma aggiunge anche «concessum» come se fosse altra cosa. Quanto è elegante «firmos patronos». Li vuole firmos per paura che non si lascino corrompere dal danaro e cedano per paura. E quel «imperialis terrena potentia » due aggettivi senza copula e quel «veneranter honorare » e quel «nostrae imperialis serenitatis mansuetudo». Puzza troppo di eloquenza lattanziana il dire, quando si tratta della potenza dell’impero, «serenitas» e «mansuetudo », non «amplitudo» e «maiestas». è gonfio e superbioso anche quando dice: «gloriose exaltare per gloriam et dignitatem et vigorem et honorificentiam imperialem» passo che sembra tolto dall’Apocalisse ove è detto: «L’agnello che fu ucciso è degno di ricevere virtutem et dignitatem et sapientiam et fortitudinem et honorem et benedictionem ». Frequentemente, come piú avanti sarà chiaro, si immagina che Costantino si attribuisca titoli che sono di Dio e voglia imitare il linguaggio della Sacra Scrittura che non aveva mai letta.

XIII.
43. «E decretiamo e stabiliamo che tenga il primato tanto sulle quattro sedi di Alessandria, Antiochia, Gerusalemme, Costantinopoli, quanto su tutte le chiese dell’universa terra. Anche il pontefice, che nei secoli futuri sarà a capo della sacrosanta Chiesa romana, sia il piú in alto e capo di tutti i sacerdoti e di tutto il mondo, e tutte le cose che toccano il culto di Dio e servano a rafforzare la fede dei cristiani, siano disposte dal papa». Non voglio far notare la barbarie della lingua, quando dice «principes sacerdotibus» invece che «principes sacerdotum », che a poca distanza usi «extiterit» e «exsistat»; e che avendo detto «in universo orbe terrarum» aggiunga poi «totius mundi», come se volesse dire due concetti diversi o volesse abbracciare anche il cielo che è una parte del mondo, quando buona parte dell’orbe terracqueo non era sotto Roma; che distinse, come se non potessero coesistere insieme, il procurare «fidem vel stabilitatem»; e che confuse insieme «sancire» e «decernere»; e come se Costantino prima non avesse deciso con gli altri, lo fa decernere e sancire (come se stabilisse sanzioni, pene) e per giunta lo fa sancire insieme col popolo. Quale cristiano potrebbe sopportare ciò e non rimprovererebbe il papa, severamente e direi quasi da censore, per aver pazientemente sopportato e ascoltato volentieri queste cose, cioè che, mentre la sede romana ha ricevuto il suo primato da Cristo come affermò, da testimonianza di Graziano e di molti greci, l’ottavo concilio generale, si dice ora che tal primato lo abbia ricevuto da Costantino appena cristiano, come da Cristo? Avrebbe voluto dire ciò quel moderatissimo imperatore, avrebbe voluto udirlo quel religiosissimo papa? Lontana da ambedue tanta enorme empietà!

44. C’è qualcosa ancora di piú assurdo: è forse secondo natura che si parli di Costantinopoli come di una delle sedi patriarcali, quando essa non era ancora né sede, né patriarcale, né città cristiana, né era cosí chiamata, né era stata fondata, né addirittura si pensava alla sua fondazione? Infatti il privilegio fu concesso tre giorni dopo che Costantino fu battezzato, quando c’era una Bisanzio, non una Costantinopoli. Mentisco? ma se è proprio codesto stolto a dirlo! Scrive infatti in calce al privilegio: «Abbiamo considerato opportuno che il nostro impero e il regio potere si trasferiscano in Oriente e che edificassimo in un sito ottimo della provincia di Bisanzio una città col nostro nome, dove porre l’amministrazione del nostro impero».

Se egli voleva trasferire altrove l’impero, non ancora l’aveva trasferito. Se voleva costituire colà l’impero, non ancora l’aveva costituito. Cosí, se voleva fondare una città, non ancora l’aveva fondata. Come poteva parlare di patriarcato di una delle quattro sedi, di cristiana, di cosí detta, di fondata, di città da fondare, come piace alla storia addotta in testimonianza di Palea? Non ci pensava neppure! Questa bestia, sia egli Palea o qualche seguace, non si accorge che egli è in contraddizione con la Storia stessa, che racconta come Costantino non di sua iniziativa, ma per un avvertimento di Dio avuto in sogno, non a Roma, ma a Bisanzio, non dopo pochi giorni, ma dopo alcuni anni decise di fondare una città e di darle il nome che gli era stato indicato nel sogno. Si può dubitare ora che chi compose il privilegio visse molti anni dopo Costantino? volle abbellire il suo falso, ma dimenticò che le cose che egli raccontava dovevano essere avvenute a Roma tre giorni dopo il battesimo: i bugiardi debbono avere buona memoria come dice un vecchio, logoro proverbio. Come può parlare di una provincia bizantina, quando vi era solo un borgo fortificato detto Bisanzio, il cui territorio non bastava a edificarvi una cosí grande città? Infatti Costantinopoli abbracciò fra le sue mura la vecchia Bisanzio mentre costui asserisce che la città deve essere fondata nel miglior luogo di quella. Come può dire che la Tracia, dove si trova Bisanzio, sia in Oriente, quando essa volge piuttosto a settentrione? Costantino (bisogna credere) ignorava il posto che aveva scelto per fondare la città, in quale dei punti cardinali, se fosse città o provincia, quanta ne fosse l’estensione.

XIV.
45. «Alle chiese dei santi Pietro e Paolo abbiamo assegnato, perché vi siano continuamente accese delle lampade, dei beni immobili; li abbiamo arricchiti di vari doni; con nostra sacra imperiale disposizione abbiamo concesso che in Oriente, in Occidente, in Settentrione, al Mezzogiorno, cioè in Giudea, Grecia, Asia, Tracia, Africa e Italia e nelle varie isole tutti i beni siano amministrati dal sommo pontefice, padre nostro, Silvestro e dai suoi successori». O pendaglio da forca! Le chiese, i templi di Roma erano già dedicati a Pietro e Paolo? Chi li aveva costruiti? Chi avrebbe osato costruirli, quando i cristiani non avevano altro che luoghi secreti e nascosti, come narra la storia? se anche a Roma vi fossero stati templi dedicati a quegli Apostoli, non erano degni che vi si accendessero tante lampade, chiesette come erano e non templi, oratori non basiliche, nascosti in edifici privati non aperti al pubblico. Non poteva preoccuparsi delle lampade del tempio, prima che del tempio stesso. Come mai immagini che Costantino dica santi Pietro e Paolo e santissimo Silvestro ancora vivo e dica «sacram iussionem » il suo ordine, quando egli pochi giorni prima era ancora pagano? E per alimentare delle lampade c’era bisogno di fare tali donativi che tutta la terra ne dovesse sentire il peso?

46. E che significa praedia possessionum? si suol dire praediorum possessiones, non praedia possessionum. Gli fai donare dei fondi e non glieli fai indicare chiaramente. Lo arricchisti di diversi beni senza mostrare né quando né quali essi fossero. Vuoi che da Silvestro si disponga di terre ma non spieghi qual specie di dominio abbia su di esse. Se questi doni li hai fatti già precedentemente, perché dici che solo oggi hai cominciato a onorare la Chiesa di Roma e per la prima volta le hai concesso un beneficio? Oggi concedi? Oggi arricchisci? e, allora, perché dici al perfetto «concedemmo» e «arricchimmo »? Che dici, che pensi, bestia? Dico al falsario, non all’ottimo imperatore Costantino. Ma come posso cercare in te prudenza o dottrina, in te che non hai traccia di ingegno e sei sfornito di ogni cultura letteraria? Te che dici «luminariorum» invece di «luminarium» e «orientalibus transferri regionibus» invece di «ad orientales transferri regiones».

47. Che sono poi codeste quattro parti del mondo? Quali chiami Oriente? La Tracia forse? ma, come ti ho detto, è terra settentrionale. La Giudea? Ma è meridionale, vicina come è all’Egitto. L’Italia? Ma questo atto si compilava in Italia e uno che agiva in essa non l’avrebbe detta Occidente, dove diciamo che è invece la Spagna: dell’Italia si può dire che per una metà è Mezzogiorno, per un’altra metà Settentrione, piuttosto che Occidente. Quale è poi la terra settentrionale? La Tracia? ma tu ne hai fatto Oriente. L’Asia? Ma questa se è sola a formare l’Oriente, ha in comune con l’Europa il Settentrione. Quale è la terra meridionale? L’Africa, non c’è dubbio. Perché non hai detto qualche provincia col suo proprio nome individuale? Ci avresti forse fatto sentire che gli etiopi erano sudditi di Roma. Non è fatto posto, nominativamente, ad Asia ed Africa, mentre con te abbiamo diviso il mondo in quattro parti e ne abbiamo una per una dette le varie regioni; e neppure se dividiamo il mondo in tre parti, Asia, Africa, Europa, a meno che tu dicendo Asia non abbia voluto alludere alla provincia asiatica e dicendo Africa a quella provincia che si trova presso i getuli. Ma non veggo perché debbano essere nominate esse a preferenza di altre. Cosí avrebbe parlato Costantino nel trattare delle quattro parti del mondo? avrebbe ricordate queste regioni e non avrebbe parlato delle altre? avrebbe cominciato dalla Giudea, che è parte della Siria, Giudea che non abbracciava altre terre (credo) che la sola Gerusalemme, per essere stati cacciati e quasi tutti distrutti i giudei cosí che forse non era rimasto piú nessuno in patria, ma se ne erano andati ad abitare altre terre? Dove era, in fine, la Giudea che del resto non si chiamava neppur piú Giudea, tanto che oggi ne vediamo quasi spento il nome? Come la Cananea cessò di chiamarsi cosí una volta sterminati i cananei (i giudei ne cambiarono il nome andandovi essi ad abitare), cosí la Giudea aveva cessato di chiamarsi in tal guisa per esserne stati sterminati gli ebrei e sostituiti da nuovi abitanti. Parli di Giudea, Tracia, isole; non ritieni di dover parlare delle Spagne, delle Gallie, delle Germanie, e mentre parli di popoli di varie lingue come ebraica, greca, barbara, non parli di alcuna delle province che parlavano latino. Capisco: tu le hai taciute ora per poterne parlare poi nel testo della Donazione. Non erano da tanto tutte le province dell’Occidente da provvedere alle spese per l’alimentazione delle lampade se non fosse venuto in loro aiuto il resto del mondo. Ometto che tu dici che Costantino concesse queste cose per sua sola larghezza, non come si dice invece per la guarigione dalla lebbra. Se no, chi parla di rimunerazione, quando si deve parlare di semplice dono, è un insolente.

XV.
48. «A san Silvestro trasferiamo immediatamente il palazzo Lateranense del nostro impero; poi il diadema, cioè la corona del nostro capo e insieme il frigio e anche il superhumerale, cioè quella specie di fascia che suole circondare il collo dell’imperatore, ma anche la clamide di porpora e la tunica scarlatta e tutti gli indumenti imperiali o anche la dignità imperialium praesidentium equitum, conferendogli anche gli scettri imperiali e insieme tutte le insegne e bandiere e i diversi ornamenti imperiali e tutto ciò che procede dalla altezza della potenza imperiale e dalla gloria del nostro potere. Sanciamo che gli uomini di diverso ordine, i reverendissimi chierici che servono alla santa Chiesa romana, abbiano quel vertice di singolare potenza e distinzione, della cui gloria si adorna ora il senato, cioè siano fatti consoli e patrizi. E abbiamo stabilito (promulgato) che essi siano adorni di tutte le altre dignità imperiali. Abbiamo decretato che il clero della santa romana Chiesa sia adorno dello stesso decoro che circonda la milizia imperiale. E come la potenza imperiale si fregia di diversi ufficiali, cubicularii, cioè, ostiarii, e di tutti i concubitores, cosí vogliamo che ne sia onorata la santa Chiesa romana. Per far risplendere piú largamente la gloria del pontificato stabiliamo che i santi chierici della stessa santa Chiesa cavalchino cavalli adorni di banderuole e coperti di tela bianca e, come il nostro senato, di calzari con udonibus, cioè bianche uose (?) di tela; di tali ornamenti sia fornita la Chiesa terrena come la celeste a lode di Dio».

49. O Gesú santo, non risponderai tempestandolo a costui che scrive roba simile con frasi scorrette, non tuonerai, non lancerai i tuoi fulmini vendicatori contro tante bestemmie? sopporterai sí grande vergogna nella tua famiglia? Potrai ascoltare ciò, vederlo, lasciarlo passare con occhi direi quasi di connivenza? sei paziente, è vero, e di grande misericordia. Temo però che codesta tua pazienza non sia piuttosto ira e condanna come fu contro coloro, dei quali dicesti: «Li ho abbandonati secondo i (malvagi) desideri dei loro cuori e se ne andranno secondo i loro consigli». E altrove: «Li ho abbandonati ai loro reprobi sentimenti, affinché facciano ciò che non si conviene, perché essi non hanno cercato di conoscere me». Comandami o Signore di gridare contro di essi in modo che forse possano convertirsi. O pontefici romani, esempio di ogni scelleratezza agli altri vescovi, o pessimi scribi e farisei, che sedete sulla cattedra di Mosè e fate opere degne di Datan e Abiron! Si converranno dunque al vicario di Cristo vesti, assetto, pompa, cavalcature e infine tutta la vita di un imperatore? Che c’è di comune tra il sacerdote e l’imperatore? Vestí proprio Silvestro codesti indumenti imperiali? mosse con codeste magnificenze? Visse e regnò con tutta codesta abbondanza di servi? Scellerati che sono, non comprendono che Silvestro doveva indossare piuttosto le vesti di Aaron che fu sommo sacerdote, anziché quelle di un imperatore pagano.

50. Ma di queste cose si dovrà trattare altrove con piú forza. Ora limitiamoci a discutere con codesto imbroglione dei suoi barbarismi: dalle sue chiacchiere appare di per sé il suo ignobile falso. «Trasferiamo – egli dice – il palazzo Lateranense del nostro impero»; come se avesse inopportunamente parlato del palazzo come dono, mentre trattava gli ornamenti, ne riparlò dopo, quando tratta dei doni. «Inoltre il diadema» e, come se non comprendano i presenti, interpreta: «cioè la corona». E qui non aggiunge «di oro», ma dopo, ripetendo le stesse cose, dice «di oro purissimo e di gemme preziose». Non sapeva, uomo incolto, che il diadema è di stoffa o anche di seta, per cui si suole ricordare con lode quel saggio detto di un re che, quando gli fu consegnato il diadema, prima di metterlo in testa, lo tenne fra le mani a lungo, lo guardò e disse: «O stoffa che dà piú fama che felicità, se ti si conoscesse a fondo, se si sapesse di quante preoccupazioni, affanni, pericoli e miserie sei piena, nessuno ti vorrebbe raccogliere neppure trovandoti per terra». Costui forse ritiene che fosse di oro perché ora dai re si suole fermare con un cerchietto di oro gemmato. Ma Costantino non era re e non avrebbe osato dirsi re né adornarsi come un re. Era imperatore romano, non re. Dove è il re, ivi non è repubblica. Ma durante la repubblica vi furono, anche in una sola epoca, molti imperatores. Cicerone difatti scrive spesso: Cicerone imperator saluta questo o quell’imperator. In seguito, il principe romano venne chiamato come con nome peculiare suo imperator al di sopra però di tutti gli altri imperatores.

51. «Insieme il frigio e anche il superhumerale, cioè quella specie di fascia che suole circondare il collo dell’imperatore ». Chi ha sentito mai parlare in latino di frigio? E tu parlando cosí da barbaro vuoi farmi credere che sia codesto il linguaggio di Costantino o di Lattanzio? Plauto nei Menaechmi usò la parola phrygius per dire concinnator vestium. Plinio chiama vesti frigie quelle ricamate perché ne sarebbero stati inventori i frigi. Non spieghi qui che significhi codesta parola oscura ed esponi invece ciò che è piú chiaro. Dici che il superhumerale è una specie di fascia (lorum) ma non sai bene che cosa sia il lorum stesso. Il lorum è una cintura di cuoio e non vorrai pensare che se ne potesse adornare il collo dell’imperatore mettendogliela attorno (al collo). Per esser di cuoio chiamiamo lora le redini e le fruste. E si capisce perché talvolta si parli anche di «lora aurea», cioè di redini, che si sogliono porre con borchie di oro al collo dei cavalli o di altri animali: io credo che questo modo di dire ti abbia ingannato e che quando pretendi che un lorum si metta al collo di Costantino e di Silvestro, di un imperatore e di un papa fai un cavallo o un asino.

52. «Ma anche la clamide di porpora e la tunica scarlatta ». Poiché Matteo parla di clamide di porpora e Giovanni di tunica scarlatta, ha voluto congiungere costui le due espressioni in una sola frase. Se si tratta dello stesso colore, come è chiaro dagli Evangelisti, perché non ti sei contentato di ricordarne uno solo come fece ciascuno dei due Evangelisti? A meno che tu non creda, come ancora sogliono gli ignoranti, che la porpora sia una qualità di stoffa di seta bianca. La porpora è un pesce, del cui sangue si tinge la lana. Dalla tintura il nome è trasferito al panno, il cui colore si può usare per sinonimo di rosso, sebbene sia piuttosto nereggiante, vicinissimo al colore del sangue rappreso e quasi violaceo. Perciò da Omero e da Virgilio il sangue è detto purpureo e un marmo porphyricum (porfido) perché il colore è assai simile a quello dell’ametista. I greci chiamano infatti porphyra la porpora. Può darsi che non ignori che si dice coccineus per dire rosso, ma giurerei che non sai affatto perché, mentre noi diciamo coccum, egli dica coccineus e che specie di veste sia la clamide. Per non svelarsi bugiardo nello spingersi troppo oltre con l’enumerazione delle vesti a una a una, le abbracciò tutte in una sola parola, dicendo «tutte le vesti imperiali». Anche quelle delle quali si suole coprire in guerra, in caccia, nei banchetti, nei giochi? Ci può essere nulla di piú stolto che il dire convenirsi al papa tutte le vesti dell’imperatore? Ma come facetamente aggiunge: «seu etiam dignitatem imperialium praesidentium equitum». Usa il seu: volle cioè distinguere queste due cose, come se abbiano molta somiglianza tra loro e dagli abiti dell’imperatore passa all’equestre dignità dicendo cose che proprio non capisco. Vuol dire qualche cosa di straordinario, ma teme di essere colto in flagrante menzogna e allora dà fuori parole senza senso a gonfie gote.

53. «Conferendogli anche gli scettri imperiali». Dove è piú un’organica struttura del periodo? Dove la chiarezza? Dove l’ordine? Che sono codesti scettri imperiali? Uno è lo scettro, non molti. Ammesso che l’imperatore portasse lo scettro in mano, anche il pontefice lo porterà in mano? Perché non gli daremo spada, elmo, dardi? «E insieme tutte le insegne e bandiere». Che intendi per signa? Signa sono o le statue – frequentemente leggiamo signa et tabulae invece di statue e pitture (gli antichi non dipingevano sulle pareti ma su tavole), – o i vessilli, onde Lucano dice: «Signa, pares aquilas». Piccole statue e sculture son dette sigilla (piccoli signa) dal primo significato di signum come statua. Costantino dava a Silvestro le sue statue o le sue aquile? Che si può pensare di piú assurdo? Non capisco poi che voglia dire con banna. Dio ti dia il malanno, o pessimo uomo, che attribuisci a una età dottissima un linguaggio da barbari. «E diversi ornamenti imperiali». Mi sembra che egli avesse detto abbastanza dicendo banna e invece concluse con una parola di senso generale. E con che insistenza parla di ornamenti imperiali come se esistessero ornamenti propri dell’imperatore diversi da quelli del console o del dittatore o del Cesare.

54. «Et omnem processionem imperialis culminis et gloriam potestatis nostrae». «Lascia da parte le espressioni sonore e i paroloni lunghi lunghi, parlando, come il re dei re Dario e consanguineo degli dei, solo al plurale». Che significa codesta «processio imperialis» non culminis, ma cucumeris il cui stelo si contorce tra le erbe e cresce solo in ventre? Credi tu che l’imperatore ogni volta che usciva di casa celebrasse un trionfo, come ora suole il papa, facendosi precedere da cavalli bianchi, che dei servi conducono a mano bardati e adorni? nulla vi è piú vano di ciò, per tacere di altre incongruenze, e piú alieno dal papa. Di quale gloria tu parli? Un latino avrebbe chiamato gloria, come è proprio della lingua ebraica, la pompa e l’eleganza di quella messa in scena? Anche l’uso dell’astratto militia per il concreto milites l’abbiamo mutuato dall’ebraico, i cui libri né Costantino né i suoi scribi avevano mai visto.

55. Ma quanto grande è la tua larghezza, o imperatore, che non ti limiti ad ornare solo il papa, ma orni anche tutto il clero. Tu dici essere il sommo «singularis potentiae et praecellentiae» l’esser fatti «patricii consules». Chi ha mai sentito dire che i senatori o altri uomini siano fatti patrizi? Sono eletti consoli, non patrizi, e vengono scelti o da case nobili, che son dette perciò senatorie, o dall’ordine equestre o dai plebei, e, in ogni caso, è sempre piú importante l’essere senatore che patrizio. Senatore è uno scelto consigliere dello Stato; patrizio chi trae origine da una famiglia senatoria. L’essere senatore non portava senz’altro a essere patrizio. Quanto son ridicoli i miei contemporanei che chiamano senatore il loro pretore, quando il senato non può limitarsi a un sol uomo ed è necessario che il senatore abbia dei colleghi mentre il cosiddetto attuale senatore esplica semplici funzioni di pretore. Ma, potresti dire, si trova in molti libri ricordata la dignità del patriziato: sí, ma sempre in libri posteriori a Costantino. Dunque, il privilegio è confezione di età posteriore a Costantino. E, poi, possono gli ecclesiastici diventare consoli? Il clero latino si è inibito il matrimonio e ammetterebbe il consolato? Si recheranno nelle province avute in sorte, con soldati arruolati, con le legioni e gli ausiliari? Saranno i ministri o i servi a caratterizzare i consoli o le insegne militari? e non saranno due, come si soleva, ma venti per volta o mille? I sacerdoti della Chiesa romana saranno anche essi imperatori. Ed io stolto che mi meravigliavo che il papa fosse stato fatto imperatore. I sacerdoti saranno imperatori, gli ecclesiastici minori saranno milites. Diventeranno proprio militari o avranno soltanto gli onori militari? a meno che tu non impartisca la dignità imperiale a tutti gli ecclesiastici. Non so, infatti, che cosa vuoi dire. Chi non comprende che questa favolosa donazione è stata escogitata da chi voleva ogni licenza di vestimenti? Tutto ciò mi fa pensare che se i diavoli che vagano nell’aria si divertono a fare del teatro, si devono divertire moltissimo con il mettere in ridicolo il modo di vivere fastoso e dissoluto degli ecclesiastici.

www.classicitaliani.it/quattrocento/valla_donazione.htm



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