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XVII
56. Ma che dovrò io fare: star dietro alla stupidità dei pensieri o a quella delle parole? Avete sentito la stupidità dei pensieri; sentite ora quella delle parole: dice «senatum videri adornari» come se in realtà il senato non avesse già prestigio; aggiunge «adornari gloria» e dà per avvenuto ciò che invece è ancora in effettuazione quando dice «promulgavimus» per dire «promulgamus». A lui sembra che suoni piú dolce il periodo se enuncia la stessa cosa ora col presente ora col perfetto: decernimus e decrevimus. In tutta la Donazione si trovano a bizzeffe locuzioni come decernimus, decoramus, imperialis, imperatoria, potentia, gloria e si trova usato exstat invece di est, quando exstare significa eccellere o superare; adopera nempe invece di scilicet e concubitores invece di contubernales. Concubitores sono quelli che dormono insieme e si congiungono: sarebbe come dire meretrici. Costantino gli dà quindi anche con chi dormire, perché non si spaventi – ritengo io – dei fantasmi notturni; aggiunge camerieri, aggiunge portieri. Non è per perditempo che tutte queste cose sono da lui minuziosamente elencate: egli erudisce il pupo o l’adolescente, non un vecchio e gli prepara (padre affettuosissimo) tutto quello di cui può aver bisogno l’età sua ancora tenera, come Davide fece con Salomone.

57. Perché la favola sia completa in tutte le parti, si danno agli ecclesiastici dei cavalli, perché non seggano sugli asini al modo asinario di Gesú e gli si danno non coperti o sellati di finimenti bianchi, ma decorati di bianco. Ma di quali finimenti? non di tappeti, non di coperte persiane o altro simile, ma di mappula e linteamina. Le mappae servono alle tavole da pranzo; i linteamina ai letti; e come se fosse dubbio di qual colore esse siano, aggiunge «cioè di candidissimo colore». Periodare veramente di Costantino, facondia degna di Lattanzio, in tutto ma specialmente per quell’«equitent equos». E mentre tace delle vesti senatoriali, del laticlavio, della porpora, di altre cose, gli è parso importante parlare di scarpe; né le ha chiamate lunulae ma udones, che spiega, da quello sciocco che è, «cioè di stoffa bianca», come se gli udones fossero stoffa. Non ricordo ora se si trovi la parola udones altrove che presso Marziale, il cui distico intitolato Udones cilicei dice cosí: «non sono stati ricavati dalla lana ma dalla barba di un caprone; la pianta (del piede) potrà affondare nel golfo ove sbocca il Cinifio» (famoso per le capre), perciò non sono di lino, né bianchi gli udones, dei quali codesto asino a due zampe non dice che si calzano i piedi dei senatori, ma che ne sono illustrati. E aggiunge: «sicut coelestia, ita terrena ad laudem Dei decorentur». Che cosa chiami tu coelestia? quali terreni? Come le cose celesti possono essere fregiate di onori? Puoi comprendere da te stesso che bel modo di onorare Dio sia codesto. Io credo per quel po’ di fede che ho, che a Dio e agli uomini nulla sia piú inviso della libertà che gli ecclesiastici si prendono a danno dei laici. Ma che mi metto a discutere punto per punto? Mi verrebbe a mancare il tempo se volessi non dico discutere ampiamente ma solo toccare tutti i punti di discussione al riguardo.

XVIII
58. «A preferenza di tutti gli altri attribuiamo il pieno arbitrio a san Silvestro e ai suoi successori, con nostro editto, che chiunque egli voglia far chierico placatus proprio consilio e numerarlo nel religioso novero degli ecclesiastici religiosi, nessuno abbia l’ardire di opporsi a lui». Chi è codesto Melchisedech che benedice il patriarca Abraham? Costantino da poco cristiano dà il potere di consacrare sacerdoti a colui, dal quale è stato battezzato e che chiama santo, come se Silvestro non avesse fatto prima ciò o non l’avesse potuto fare? E con quale minaccia vietò di ostacolarlo nell’esercizio di tale diritto? «Nullus ex omnibus praesumat superbe agere». Con quale eleganza? «Connumerare in numero religioso religiosorum», «clericare clericorum»; indictu e placatus? Ma, ritorna al diadema.

59. «Abbiamo decretato anche questo, che egli e i suoi successori debbano godere del diadema, cioè della corona che ci siamo tolta dal capo per darla a lui, fatta di oro purissimo e di gemme preziose, in onore di san Pietro». Di nuovo interpreta la parola diadema – parlava con barbari e facili a dimenticare – e aggiunge: «di oro purissimo », perché nessuno potesse credere che fossero miste all’oro scorie o anche bronzo. E quando parla delle gemme aggiunge «preziose» per lo stesso timore che non si sospetti che abbia regalato cose di poco valore. Perché non ha detto le gemme preziosissime come dell’oro ha detto purissimo? C’è piú differenza infatti tra gemma e gemma che tra oro e oro. E quando avrebbe dovuto dire: «incastonato di gemme» disse «fatto di gemme». Chi non vede che la frase è presa da quel luogo biblico che il sovrano pagano non aveva potuto leggere: «Hai posto sul suo capo una corona di pietre preziose»? Cosí avrebbe parlato l’imperatore nella vanità di lodare una sua corona, se pure gli imperatori venivano coronati? Avrebbe offeso se stesso quando temeva che gli uomini potessero credere, se non l’avesse esplicitamente detto, portar lui una corona non di oro purissimo con gemme. Perché parla sempre di onorare san Pietro, come se Cristo non sia la piú alta pietra angolare, sulla quale fu costruito il tempio della Chiesa, ma san Pietro (e ciò ripete dopo)? Se voleva riverire tanto san Pietro, perché non dedicò a lui invece che a san Giovanni Battista una basilica in Roma? Ma che dico? quel modo barbaro di esprimersi non attesta che codesta cantilena non è stata fatta nell’età di Costantino, ma in quella consecutiva? «Decrevimus quod uti debeant» invece di dire: «decernimus ut utantur». Cosí ora gli ignoranti del latino dicono comunemente e scrivono «iussi quod deberes venire» invece di «iussi ut venires». E «decrevimus» et «concessimus » come se le cose di cui si tratta non avvengano allora quando se ne parla, ma siano state fatte in un altro tempo.

60. «Lo stesso santo papa non ha voluto porre la corona imperiale sull’altra corona della chierica, che porta a onore del santissimo Pietro». O tua eccezionale stoltezza, Costantino? Or ora dicevi che la corona sul capo del papa era a onore di san Pietro, ora dici che non è piú ad onore, perché Silvestro la rifiuta; mentre approvi il gesto del rifiuto, tuttavia gli ordini di porre la corona d’oro sul capo e vuoi che i suoi successori facciano ciò che ora ritieni bene che lui stesso non faccia. Lascio andare che tu abbia chiamato corona la chierica e pontefice romano il papa, che non ancora si cominciava a chiamare con tale nome peculiare.

61. «Abbiamo messo con le nostre proprie mani sul sacro suo capo il frigio splendido di biancore, simbolo della risurrezione del Signore e tenendo il freno del cavallo in riverenza di san Pietro abbiamo fatto per lui la funzione di cavallaro, stabilendo che dello stesso frigio d’Italia debbono ornarsi uno per uno tutti i suoi successori, cosí come si susseguiranno, ad imitazione del nostro impero ». Non sembra qui che l’autore della favola non per sola faccia tosta ma per deliberato proposito vada fuori strada e offra le anse per farsi riprendere? Nello stesso passo dice che dal frigio è simboleggiata la risurrezione del Signore e che è un’imitazione dell’impero, cose in forte contraddizione fra loro. Chiamo Dio a testimone che non trovo con quali mezzi, con quali atroci parole possa io seppellire codesto buono a nulla del diavolo! Tante sono le sciocchezze che erutta fuori! Immagina Costantino non solo simile a Mosè, che ornò per comando di Dio il sommo sacerdote, ma gli fa esporre il significato recondito dei sacri misteri, cosa difficilissima anche per consumati teologi. Perché non hai fatto Costantino pontefice massimo, dato che molti imperatori furono pontefici massimi affinché con piú comodità le distinzioni di un sommo pontefice si trasferissero ad un altro? Ma tu non conoscevi la storia romana. Ringrazio Iddio anche per non aver fatto concepire il nefandissimo pensiero della falsificazione se non a uno sciocco cosí enorme come si vede anche da ciò che segue. Ripete infatti il racconto di Mosè che fa da stalliere ad Aaron seduto sul cavallo: ciò che avvenne non nella terra di Israele, ma attraverso i cananei e gli egiziani, cioè in un paese pagano che non aveva l’impero (come Roma) su tutto il mondo, ma era sotto demoni e popoli idolatri.

XIX.
62. «Affinché la sommità del pontificato non sia avvilita ma sia onorata piú che la dignità, gloria e potenza dell’impero terreno, ecco che trasferiamo e lasciamo in possesso al beatissimo pontefice e universale papa Silvestro tanto il Palazzo nostro che la città di Roma e tutte le province, luoghi, città d’Italia e dell’Occidente e con prammatica costituzione stabiliamo che egli e i suoi successori possano disporne e che restino soggetti all’autorità della Santa Sede».

Su questo punto centrale ho parlato esaurientemente nei discorsi dei romani e di Silvestro. Qui dirò soltanto che nessuno avrebbe raccolto in una sola frase tutti i popoli del mondo e farò notare come lo stesso scrittore che poco prima ha minuziosamente parlato di redini, calzature, gualdrappe di cavalli, non dica ora uno per uno i nomi delle diverse province, ognuna delle quali ha i suoi re o principi pari a re. Ma è evidente che codesto falsario ignorava quali province fossero sotto Costantino e quali no. Tutti i popoli certo non erano sotto di lui. Sappiamo che alla morte di Alessandro le province spartite tra i diadochi vennero enumerate una per una; Senofonte nomina partitamente le terre e i principi che furono sotto Ciro o per spontanea dedizione o perché soggiogati dalle armi; Omero ricorda nel Catalogo nomi, famiglie, patria, costumi, forze, bellezza e il numero delle navi e quasi il numero dei soldati: ne imitarono l’esempio non solo molti greci, ma anche i nostri latini come Ennio, Virgilio, Lucano, Stazio e parecchi altri; Giosuè e Mosè nella divisione della Terra promessa descrissero perfino ogni villaggio. E tu ti stanchi ad elencare anche le sole province? Dici solo le province occidentali. Quali sono i confini dell’Occidente? dove cominciano? dove cessano? Forse Occidente e Oriente, Settentrione e Mezzogiorno, hanno limiti cosí precisi e immutabili come l’Asia, l’Africa, l’Europa? Risparmi le parole quando sono necessarie e abbondi poi di superfluità: Dici: provincias, loca, civitates. Forse le province e le città non sono anch’esse loca? e dicendo provincias senti il bisogno di aggiungere civitates, come se queste non si comprendano sotto quelle. Non è da stupire che colui il quale aliena da sé tanta parte del mondo, trascuri di ricordare i nomi di città e province e ignori, come oppresso da letargo, ciò che dice. «Italie sive occidentalium regionum». Usa il sive come se l’Italia escluda l’Occidente mentre egli vuol donare l’una e le altre; gli fai dire «provincias regionum», mentre sono piuttosto «regiones provinciarum» e usi la forma permanendam invece di permansuram.

63. «Perciò abbiamo giudicato opportuno trasferire il nostro impero e la regia podestà nelle regioni orientali e di costruire in un ottimo luogo della provincia di Bisanzio una città col nome nostro e di stabilirvi il nostro impero ». Lascio andare che abbia detto di voler costruire una civitas quando si edificano urbes e non civitates e lascio andare la provincia di Bisanzio. Se tu sei veramente Costantino, spiega perché hai preferito quel posto ad altri nel costruire la città. Che tu ti trasferisca altrove dopo aver ceduto Roma non è tanto opportuno (come tu dici) ma necessario; ma non osare piú chiamarti imperatore ora che hai perduto Roma; e hai pessimamente meritato del nome romano di cui fai scempio; non chiamarti neppure re perché nessuno ha fatto mai ciò prima di te a meno che tu non ti chiami re una volta che hai cessato di essere romano.

64. Ecco che tu ci esponi la causa molto onorevole della traslazione: «dove dall’imperatore celeste è stato collocato il principe dei sacerdoti e il capo della religione cristiana, ivi non è giusto che abbia il potere l’imperatore terreno». O stolti che foste voi Davide, Salomone, Ezechia, Iosia, e tutti gli altri re! Stolti e poco religiosi voi che sopportaste di convivere in Gerusalemme con i sommi sacerdoti e non abbandonaste ad essi la città tutta! Costantino in tre giorni è diventato piú saggio che essi non abbiano saputo diventare in tutta la loro vita. Tu parli ambiguamente: sembra che chiami Costantino imperatore celeste, perché ebbe (da Dio) l’impero terrestre, ma sorge il dubbio che tu abbia voluto riferirti a Dio stesso, dal Quale affermeresti con evidente bugia che derivi il dominio temporale dei papi su Roma e altre città.

XX.
65. «Ordiniamo che tutte queste cose fermamente stabilite con questa imperiale sacra scrittura e con altri divalia decreta restino intatte e immutabili sino alla consumazione del mondo». Or ora, Costantino, ti eri detto terreno ed ora invece ti chiami sacro e divino, ricadi nel paganesimo e peggio che nel paganesimo. Ti fai Dio e fai le tue parole sacre e i tuoi decreti immortali: comandi al mondo che conservi intatti e immutabili i tuoi editti. Non pensi che tu sia ancora mal lavato come sei delle sozzure dell’empietà pagana. Perché non aggiungesti: passeranno il cielo e la terra prima che passi un iota o un apice di questo privilegio? Il regno di Saul eletto di Dio non giunse ai figli, il regno di David fu smembrato sotto il nipote e poi finí del tutto. E tu invece ordini tranquillamente con la tua autorità che resti sino alla fine del mondo questo regno che trasferisci senza neanche sapere la volontà di Dio al riguardo. E chi poi ti ha detto, in cosí poco tempo dalla conversione, che il mondo dovrà perire? Non credo infatti che in codest’epoca tu prestassi fede ai poeti che attestano ciò (insieme ai Vangeli). Perciò debbo ritenere che non tu abbia detto queste cose, ma che altri le abbiano attribuite a te. Ma chi ha finora parlato con tanta magnificenza e superbia comincia a temere, a dubitare di se stesso e perciò ricorre a scongiuri: «Perciò davanti al Dio vivo, che ci fa regnare, e davanti al suo terribile giudizio scongiuriamo tutti i nostri successori, gl’imperatori e tutti gli ottimati, satrapi ed anche il potentissimo senato e tutto il popolo in tutto il mondo che né ora né in avvenire sia lecito a nessuno di essi o distruggere o abbattere questo privilegio».

Che scongiuro equo e pio! Come se il lupo scongiurasse per la sua innocenza e buona fede gli altri lupi e i pastori di non tentare o strappargli o richiedergli le pecore che lui ha rubate e che ha divise tra i figli e gli amici. Che cosa temi tanto, Costantino? Se questa tua azione non viene da Dio, si dissolverà; se invece viene da Dio, non potrà dissolversi. Ma capisco bene che hai voluto imitare l’Apocalisse dove dice: «Protesto a chi ascolterà le parole profetiche di questo libro che se qualcuno vi aggiungerà sillaba, Dio aggiungerà su di lui le piaghe descritte in questo libro; se qualcuno toglierà qualche cosa alle parole di questo libro profetico, Dio gli toglierà la sua parte dell’albero della vita e della città santa». Ma tu non avevi letto mai l’Apocalisse; perciò queste parole non sono tue.

66. «Se qualcuno, come non crediamo, oserà tuttavia temerariamente far ciò, soggiaccia condannato a eterne condanne e provi contrari a sé nella presente e nella futura vita i santi apostoli di Dio, Pietro e Paolo. E che finisca bruciato con il diavolo e con tutti gli empi nell’inferno piú profondo». Queste parole di terrore e questa minaccia non sono di un principe secolare, ma di antichi sacerdoti e flamini ed ora degli ecclesiastici. Perciò non è di Costantino questa prosa, ma di qualche stoliduzzo di ecclesiastico che non sapeva che si dicesse o in che modo, di qualche canonico bene ingrassato di corpo e di mente e che eruttava questi pensieri e queste parole nella crapula e nel calore del vino. Son parole che non colpiscono gli altri, ma ricadono solo sul loro autore. Prima dice: «soggiaccia a eterne condanne», di poi come se si possa dire di piú, vuole aggiungere altro e alle pene eterne aggiunge quelle della vita presente. Cosí dopo averci atterrito con la condanna di Dio, ci vuole atterrire, come se possa essere maggiore, con la minaccia dell’odio di Pietro, al quale non so perché aggiunga Paolo. Di nuovo, preso dal solito letargo, ritorna alle pene eterne, come se prima non ne avesse parlato. Se queste minacce e scongiuri fossero di Costantino, a mia volta lo odierei come tiranno e distruttore della mia repubblica e lo minaccerei, da quel romano che sono, di farmi vendicatore della romanità. Ma chi temerà mai le parole minacciose e le maledizioni di un uomo avidissimo che a somiglianza degli istrioni simula la voce e le parole di Costantino e vuole atterrire gli altri fingendosi l’imperatore? Questo significa essere ipocriti, se cerchiamo l’esatto significato della parola greca: il nascondere la propria persona sotto le specie di un’altra.

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La cattiva notizia è che Dio non esiste. Quella buona è che non ne hai bisogno.
Apocalisse Laica
Le religioni dividono. L'ateismo unisce


Il sonno della ragione genera mostri (Goya)