00 04/08/2008 16:08

XXV.
81. Ma – obiettate – perché gli imperatori, a cui danno risultava la Donazione, non negano, ma confessano, affermano, conservano la Donazione di Costantino? Grande argomento, stupenda difesa! Ma di quale imperatore tu parli? Se parli del greco, che rimase il vero imperatore, nego che ammetta la Donazione; se parli del latino, lo ammetterò ben volentieri. Chi ignora, infatti, che l’imperatore latino è gratuita creazione del papa (credo) Stefano III, che privò dell’impero l’imperatore greco perché non aiutava l’Italia e creò il primo imperatore di Occidente, cosí che piú vantaggio trasse l’imperatore dal papa che il papa dall’imperatore? Achille e Patroclo si divisero tra loro, con un patto, le ricchezze di Troia. A questo penso quando leggo le parole dell’imperatore Ludovico: «Io, Ludovico, imperatore augusto romano, stabilisco e concedo con questa carta di conferma, a te san Pietro capo degli apostoli e, per te, al tuo vicario Pasquale, sommo pontefice e ai suoi successori in perpetuo con lo stesso pieno dominio col quale l’avete tenuta sinora, la città di Roma coi suo ducato, suburbio, tutti i villaggi e territori suoi sui monti e presso il mare, con i porti e tutte le città, castelli, fortezze e ville in Tuscia ecc.».

82. Tu, o Ludovico, stringi i patti con il papa? Se codesti beni sono tuoi, cioè l’impero romano, perché li cedi a un altro? Se sono suoi e sono posseduti da lui, che ti interessa confermarli? Che ti resta dell’impero romano, se ne hai perduta la capitale? Da Roma prende nome l’imperatore romano. Le altre terre che ancora ti restano sono tue o di Pasquale? Credo che dirai che sono tue. Non ha piú valore dunque la Donazione di Costantino se tu possiedi i beni da lui dati al pontefice? Se ha ancora valore, con quale diritto Pasquale ti ha lasciato il resto, conservando per sé solo quello che possiede? A che mira questa tua larghezza verso di lui o la sua larghezza verso di te? Giustamente la chiami patto come se fosse un accordo segreto poco pulito. «Ma che farò? mi dici. Cercherò ripigliare con le armi ciò che il papa detiene? Ma lui è già piú forte di me. Cercherò riaverle legalmente? Ma il mio diritto è ormai quello che egli vuole. Non sono giunto all’impero per diritto di successione, ma col patto che se voglio essere imperatore, debba promettere al papa questo e quello. Dirò che Costantino non donò nulla dell’impero? Ma in tal modo farei le parti dell’imperatore greco e mi priverei del tutto dell’impero. Il papa acconsente a farmi imperatore a patto che io sia quasi un suo vicario e se non prometterò, non mi farà imperatore; se non ubbidirò me ne priverà. Purché mi dia l’impero, confesserò tutte le dipendenze che vorrà, accetterò qualunque patto. Credimi: se io possedessi Roma e la Tuscia, mi guarderei tanto dal fare quello che faccio, e Pasquale non si permetterebbe di cantarmi la cantilena della falsa donazione. Ora sono costretto a riconoscergli la donazione di quello che non tengo e che non credo terrò mai. Non è affar mio indagare sui diritti del papa, ma tocca all’imperatore di Costantinopoli». Con queste parole già sei scusato di fronte a me, o Ludovico, o altro principe che si trovi nelle condizioni di Ludovico.

83. Che dobbiamo pensare dei patti degli altri imperatori con i sommi pontefici quando sappiamo come si regolò Sigismondo, imperatore come altri mai ottimo e fortissimo, ma già meno forte per l’avanzata età? Lo abbiamo visto circondato di poche guardie del corpo vivere alla giornata in Italia e quasi presso a morire di fame a Roma, se non l’avesse alimentato papa Eugenio? Non gratis, però, perché gli estorse una donazione (1433). Venuto a Roma per essere coronato imperatore non poté ottenere dal papa l’incoronazione se non ratificando la Donazione di Costantino e ridonando di nuovo ciò che vi si conteneva. Che vi può essere di piú contraddittorio che l’essere incoronato imperatore romano proprio quando rinunziava a Roma? e l’essere coronato da quello che lui stesso confessa e, per quanto è in lui, fa signore dell’impero romano? E ratificare una donazione che, se fosse vera, non lascerebbe parte dell’impero all’imperatore? Credo che neanche i fanciulli avrebbero fatto ciò.

84. Perciò non dobbiamo maravigliarci se il papa si arroga il diritto di coronare l’imperatore, diritto che dovrebbe essere del popolo romano. Se tu, papa, puoi privare l’imperatore greco dell’Italia e delle province occidentali e creare un imperatore latino, perché scendi a patti? Perché dividi i beni dell’imperatore? Perché trasferisci in te l’impero? Sappia che è un mentitore, a mio giudizio, chiunque dice di essere imperatore romano senza avere il possesso di Roma e se non cerca di ripigliare la città di Roma. Quegli antichi imperatori, a cominciare da Costantino, non erano obbligati al giuramento, cui sono ora obbligati gli imperatori, ma solo giuravano di non diminuire, per quanto è umanamente possibile, nulla della potenza dell’impero romano e anzi promettevano di accrescerlo con molto impegno. Non erano detti infatti Augusti perché dovevano augere, accrescere l’impero, come credono alcuni che non sanno bene il latino. Augustus significa qualcosa come «sacro» e deriva da avium gustu («assaggio degli uccelli») che solevano sacrificarsi per trarne gli auspici: c’è anche la testimonianza della lingua greca, che traduce Augustus con Sebastòs, donde viene Sebastia. Meglio dovrebbe il pontefice chiamarsi Augusto se la parola derivasse da augere; però mentre cerca di accrescere il temporale, diminuisce lo spirituale. Considera che i peggiori pontefici si son dati sempre piú da fare a difendere la donazione, come ad esempio Bonifacio VIII, che ingannò Celestino con tubi nascosti nella parete. Questi scrive intorno alla Donazione di Costantino, questi che privò ii re di Francia e giudicò ii regno francese della Chiesa romana e a lei soggetto, come se volesse far valere la Donazione di Costantino. I suoi successori, Benedetto XI e Clemente VII, revocarono questo decreto come improbo e ingiusto. Ma che vuol dire codesta vostra preoccupazione, o pontefici, per cui pretendete che sia confermata da ogni imperatore la Donazione di Costantino, se non che vi sentite poco sicuri dei vostri diritti? Ma voi pestate l’acqua nel mortaio, come si suol dire, perché essa non è mai esistita e non può perciò essere confermata; qualunque cosa donino gli imperatori, lo fanno ingannati dall’esempio di Costantino e non possono, comunque, donare l’impero.

XXVI.
85. Ammettiamo pure che Costantino abbia fatto la donazione e che Silvestro abbia una volta posseduto, ma che poi o lui o altri dei successori sia stato rimosso dal possesso. Per ora mi limito a parlare di ciò che il papa non possiede; poi parlerò di ciò che ancora possiede. Che cosa potrei supporre di piú vantaggioso per voi che l’ammettere come reale ciò che non fu mai, né del resto, poteva essere possibile? Vi dico soltanto che neppure in tal caso (di deiezione dal possesso) vi è permessa alcuna azione per rientrare nel possesso. Il Vecchio Testamento vietava che un ebreo fosse schiavo di un altro ebreo piú di sei anni; ordinava inoltre che ogni cinquant’anni l’antico padrone rientrasse nel possesso dei suoi beni. E invece nell’era della Grazia, un cristiano sarà tenuto oppresso da eterna schiavitú proprio sotto il vicario di Cristo, che ci liberò dalla schiavitú? Sarà revocato in schiavitú, una volta che fu liberato e godé a lungo della libertà?

86. Non mi soffermo a dire qual crudele, violenta, barbara tirannide sia spesso quella dei sacerdoti. Anche se ciò non si fosse saputo, ecco che si è imparato testé da quella belva, da quel mostro di malvagità che è stato il cardinale e patriarca Giovanni dei Vitelleschi: si può dire che stancasse la spada con la quale Pietro aveva staccato l’orecchio di Malco a versare sangue cristiano; ma di spada finí col perire anche lui. Al popolo di Israele fu lecito ribellarsi ai re della casa di Davide e di Salomone, unti tali da profeti inviati dal Signore, per i gravi pesi di ogni genere loro imposti, ribellione che Dio approvò; a noi non sarà lecito ribellarci a tanta tirannide? Tanto piú che costoro non sono re, né possono esserlo, e da pastori delle pecore, cioè delle anime, son divenuti ladri da strada maestra?

XXVII.
87. Per venire al diritto positivo, chi ignora che non crea legge il diritto della guerra? Se c’è un diritto di guerra, esso vale solo in quanto e per quanto tu possiedi ciò che hai acquistato con la forza; quando cadi dal possesso, cadi anche dal diritto. Ad esempio: se dei prigionieri fuggono, nessuno va a richiederli al magistrato; e ugualmente per le prede di guerra, se i legittimi padroni ne ritornano in possesso. Le api e altre specie di uccelli (sic), se volano via dal mio podere e si fermano in quello di un altro, non possono essere richieste. E tu oseresti ripetere non con il diritto della forza, ma con quello vero delle leggi l’uomo, non solo animale libero, ma signore di tutte le creature, come se tu fossi uomo e gli altri bestie Non dirmi i romani con giuste guerre spogliarono della libertà le altre nazioni e ciò fu giustizia Non mettere sul tappeto codesto problema per evitare che io debba parlare contro i miei romani. Non ci fu mai colpa cosí grave che potesse far punire un popolo con l’eterna schiavitú, tanto piú che spesso i popoli combattono solo per colpa dei loro dirigenti e, vinti, scontano con la schiavitú quelle pene che non si meritavano. Ne abbiamo esempi a non finire. Non è certo secondo il diritto naturale che un popolo sottometta a sé un altro popolo. Noi possiamo essere guida agli altri, ammonirli; ma non possiamo comandare né far violenza, a meno che, lasciato ogni senso di umanità, piú bestie delle bestie, non vogliamo spiegare la sanguinaria ferocia di una tirannide sui piú deboli come fa il leone sui quadrupedi, l’aquila sugli uccelli, il delfino sui pesci. Eppure, queste belve non fanno prepotenze sugli animali della stessa loro specie ma su quelli di specie inferiore. Non dovremmo noi essere da piú delle belve e non dovrebbe l’uomo sentire come una cosa sacra l’umanità degli altri uomini, se come dice Marco Fabio non c’è al mondo belva cosí feroce che non senta come un reverenziale rispetto per gli esseri fatti a sua immagine?

88. Per quattro motivi gli uomini combattono: o per vendicare offese ricevute in se stessi o ricevute dagli amici o per timore di future sventure se si lasciano troppo ingrandire gli altri o per speranza di preda o per vanità di gloria. Il primo motivo è piuttosto onesto, il secondo lo è poco, i due ultimi non lo sono mai. Anche i romani furono provocati a guerra; ma dopo le guerre difensive, cominciarono anch’essi a portar guerre agli altri popoli né vi è alcun popolo che sia venuto in loro dizione se non dopo essere stato vinto e piegato in guerra: se poi con giustizia e per buone cause abbiano fatto ciò, lasciamo andare; se la veggano essi. Io non oso pronunziarmi per una condanna come se avessero combattuto ingiustamente, né per un’assoluzione come se avessero combattuto giustamente. Dirò soltanto che i romani portarono la guerra contro gli altri con lo stesso diritto col quale anche essi erano stati combattuti da popoli e re; dico anche che, come si erano ribellati agli altri padroni, cosí era lecito ribellarsi contro i romani anche a quelli che erano stati vinti e battuti (da Roma). A meno che non si creda (ma ritengo che nessuno pensi ciò) che tutti i domini debbano ritornare ai piú antichi loro padroni, cioè a quelli che furono i primi ad usurpare l’altrui. Se mai, però, spetterebbe un piú giusto diritto sulle genti vinte in guerra al popolo romano anziché agli imperatori, che opprimono lo Stato romano. Se era lecito ai popoli vinti ribellarsi a Costantino e (ciò che è piú) al popolo romano, certo vi sarà anche il diritto di staccarsi da colui che Costantino avrà chiamato a succedergli nei suoi diritti. Dirò qualcosa di piú audace: se ai romani era lecito cacciare Costantino, come fecero con Tarquinio, o ucciderlo come fecero con Giulio Cesare, molto piú sarà lecito ai romani o ai provinciali uccidere chi è successo a Costantino, comunque sia avvenuta la successione. Ciò è vero, ma siccome si va oltre la causa presa a difendere, voglio frenarmi e non concludere altro da tutto ciò che ho detto se non che è puerile mettere avanti un qualunque diritto la cui forza venga dalle parole, quando vi è la forza che viene dalle armi. Ciò che si acquista con le armi, si perde solo con le armi. C’è anche da considerare che molti popoli nuovi (all’impero romano), come i goti, che non stettero mai sotto il dominio di Roma, occuparono l’Italia e molte altre province dopo averne scacciati gli antichi abitanti: è giusto che questi popoli che non furono mai schiavi dei romani vengano revocati a schiavitú? e da chi poi? dai vinti, forse; essi che sono i vincitori?

89. E intanto se ci furono città e popoli (e sappiamo che cosí avvenne) i quali, abbandonati dall’imperatore durante le invasioni barbariche, dovettero di necessità darsi dei re sotto i quali vinsero i barbari, avrebbero dovuto poi deporre dal trono costoro? O avrebbero dovuto ridurre a privati cittadini i loro figli anche se raccomandabili come re sia per la tradizione paterna sia per la loro personale bravura? Se ne sarebbero dovuti ritornare sotto l’impero romano, mentre continuavano ad aver bisogno dell’aiuto dei principi spodestati e non potevano sperarne da altri? Se l’attuale imperatore stesso, se Costantino, ritornato in vita, se il senato e il popolo romano chiamassero questi popoli a un comune tribunale, quale era in Grecia l’Anfizionio, sarebbero perdenti fin dalla prima istanza con la motivazione che richiedono soltanto ora popoli che una volta avevano abbandonati, che vivono da lungo tempo sotto altri re, e vogliono rifare schiavi uomini nati ad essere liberi, e che liberi si sono affermati per vigore di anima e di corpo. Se dunque l’imperatore, se il popolo romano sono esclusi dal diritto di ripetere questi popoli, molto piú a ragione ne è escluso il papa; e, se è permesso agli altri popoli, che furono sotto Roma, crearsi un re o mantenersi a repubblica, tanto piú ciò sarà lecito al popolo romano, specie contro la tirannide del papa che è anche recente.

XXVIII.
90. Gli avversari, non potendo difendere piú la donazione come quella che non è mai esistita e che, se fosse esistita, sarebbe ormai caduta per le mutate condizioni storiche, si ritirano in un altro tipo di difesa, come chi lascia la città e si ritira nella rocca, che poi è costretto ad abbandonare per deficienza di vettovaglie. Dicono: la Chiesa romana beneficia della prescrizione per i suoi possessi. Perché allora pretende la maggior parte dei beni sui quali essa non può vantare il beneficio della prescrizione, ma possono ben vantarlo gli altri? Ciò che è permesso a lei contro gli altri, non è permesso agli altri contro di lei. La Chiesa romana ha il beneficio della prescrizione, tu dici. E allora, perché è cosí premurosa a farsi confermare il suo diritto dagli imperatori? Perché ciancia tanto della donazione e della conferma degli imperatori? Se basta il diritto della conferma, commetti un torto verso l’imperatore quando non taci anche della prescrizione. Ma vuoi sapere perché tu non taci della prescrizione? Perché sai che l’altro diritto è insufficiente. Beneficia della prescrizione la Chiesa romana; come può beneficiare della prescrizione se il suo possesso non poggia su nessun legittimo titolo ed è solo di mala fede? Anche se tu neghi la mala fede, non potrai negare la stolta fede. O in una causa cosí importante e cosí chiara deve essere scusata l’ignoranza in diritto e in fatto? In fatto, perché Costantino non diede Roma e le province (può ignorare ciò un povero uomo qualunque, non il sommo pontefice); in diritto, perché quei beni non potevano né essere donati né essere ricevuti in dono, cosa questa che nessun cristiano può ignorare. La tua buona fede, buona ma sciocca, ti darà il diritto a possedere quelle cose, che se fossi stato meno ignorante non sarebbero state mai tue? Ora che io son riuscito a dimostrarti che tu hai posseduto per ignoranza e scioccheria, non perderai i tuoi diritti, ammesso che tu ne abbia mai avuti? La conoscenza dei fatti non ti toglierà giustamente quello che l’ignoranza ti aveva ingiustamente attribuito? E i tuoi acquisti ritorneranno al legittimo padrone, forse con gli interessi. Se dopo le mie parole pensi ancora di continuare a possedere a giusto titolo vuol dire che la tua ignoranza si è mutata in dolo e inganno e ne sei divenuto chiaramente possessore in mala fede.

91. La Chiesa romana beneficia della prescrizione. O ignoranti di tutto, ed anche del diritto divino! Nessuno periodo di anni, quanto si voglia grande, può distruggere un titolo legittimo. Forse, io, catturato dai barbari o creduto morto, se ritorno in patria dopo cento anni di schiavitú, sarò escluso dal diritto di chiedere l’eredità paterna? Che ci sarebbe piú inumano di ciò? Per portare qualche esempio storico, forse, Iefte, capo degli israeliti, quando i figli di Ammon richiedevano la terra compresa tra il territorio di Arnon e Iaboc e il Giordano, rispose: ha beneficiato Israele della prescrizione di trecento anni? Rispose invece che non era loro la terra che chiedevano ma degli amorei e che la prova migliore che quella terra non spettava agli ammoniti era il fatto che essi non la avevano mai richiesta in tanti anni. Beneficia della prescrizione la Chiesa romana: taci, lingua sacrilega. Tu osi trasferire agli uomini la prescrizione che è delle cose mute e irrazionali, agli uomini il cui possesso in ischiavitú quanto piú dura tanto piú è esecrando? Gli uccelli e le belve non patiscono prescrizione, ma quando piace loro e se ne offre l’occasione fuggono via, le abbia tu possedute quanto si voglia. All’uomo posseduto da un altro uomo non sarà concesso liberarsi?

92. Sentite ora un fatto, dal quale appare la frode e il dolo, piú che l’ignoranza, dei romani pontefici che chiamano a giudice la guerra non il diritto, e che ci può dare un’idea di quello che credo abbiano fatto i primi pontefici nell’impadronirsi di Roma e di altre città. Ecco: poco prima della mia nascita – mi appello al ricordo di quelli che furono presenti ai fatti – Roma subí con un inaudito inganno, il dominio o meglio la tirannide dei papi, mentre prima era stata libera per molto tempo. L’autore dell’inganno fu Bonifacio IX, simile all’ottavo per frodi e per il nome, se pure si possono chiamare Bonifaci quelli che fanno il male. Quando i romani, accortisi dell’inganno, cominciarono tra loro a sdegnarsene, il buon papa, a mo’ di Tarquinio, abbatté con la verga i piú alti papaveri. Innocenzo VII, suo successore, volle imitarlo, ma fu cacciato dalla città. È meglio non parlare degli altri papi, che tennero sempre oppressa Roma con la forza delle armi, sebbene essa si ribellasse ogni volta che lo potesse; cosí sei anni fa non potendo ottenere la pace da Eugenio né potendo d’altra parte resistere piú ai nemici che l’assediavano, i romani assediarono il papa nel suo palazzo, e non permisero che ne uscisse se non avesse fatta prima la pace con i nemici o avesse trasferito l’amministrazione della città ai cittadini. Ma il papa preferí abbandonare la città sotto mentite spoglie, con un sol compagno nella fuga anziché accondiscendere ai desideri dei cittadini che non chiedevano se non cose giuste ed eque. Se si lasciano i romani liberi di scegliere, nessuno ignora che essi sceglieranno la libertà piú che la schiavitú. Come per Roma, si può pensare che avverrebbe per le altre città che son mantenute in schiavitú dal papa, ad opera del quale invece dovrebbero essere liberate dalla schiavitú.

93. Sarebbe lungo enumerare quante città prese ai nemici siano state liberate dal popolo romano tanto che Tito Flaminino arrivò a liberare tutta la Grecia che serviva ad Antioco e volle che fosse libera e indipendente.

Sembra invece che il papa trami con cura insidie contro le libertà dei popoli, e perciò i popoli, a loro volta, ogni giorno, appena si presenta l’occasione, si ribellano; basta pensare a quello che è avvenuto a Bologna. Può darsi che qualche volta, per qualche pericolo imminente, i popoli si siano per loro spontaneo consenso messi sotto il potere papale; ma non bisogna prendere la cosa come se essi si facessero schiavi, sí da non poter sottrarre piú i loro colli dal giogo, e sí che anche i loro figli non abbiano neppure essi pieno potere di se stessi. Sarebbe troppo ingiusto.

94. «Spontaneamente venimmo a te, o sommo pontefice, perché ci governassi; spontaneamente ora ci allontaniamo da te, perché non ci governi piú a lungo; facciamo un conto del dare e dell’avere per vedere se noi ti dobbiamo nulla. Ma tu vuoi continuare a governarci contro la nostra volontà, come fossimo dei pupilli, quando noi forse sapremmo governare te stesso con piú saggezza di te. Aggiungi l’offese che vengono recate da te e dai tuoi magistrati a questa città tanto spesso. Chiamiamo Dio a testimone che le offese vostre ci costringono a ribellarci come una volta fecero ribellare Israele da Roboan. E quale fu la cosí grande offesa che li fece ribellare? Che parte (trascurabile) dei nostri malanni è il pagare tributi piuttosto gravosi! Che dovremmo fare se tu impoverissi il nostro Stato? Eppure, l’hai impoverito. Se tu spogliassi i templi? E li hai spogliati! Se tu violentassi vergini e matrone? E le hai violentate! Se bagnassi la città di sangue nostro? E l’hai bagnata! E noi dovremmo sopportare tali cose? O piuttosto non dimenticheremo anche noi di essere tuoi figli, quando tu hai dimenticato di essere padre? Come padre, o sommo pontefice, o se piú ti piace, come padrone ti chiamò questo popolo non come nemico e boia. Ma tu non vuoi essere padre e signore, ma nemico e boia. Noi, perché siamo cristiani, non imiteremo la tua crudeltà ed empietà, sebbene lo potessimo per essere stati offesi; non stringeremo contro di te la spada della vendetta; ma soltanto, dichiarandoti decaduto, adotteremo un altro padre e signore. È permesso ai figli di fuggire dai genitori cattivi, dai quali, pure, si è nati. A noi non sarà lecito fuggire te non padre nostro vero, ma adottivo e che ci tratti cosí male? Pensa a fare il sacerdote e non porre la tua sede verso settentrione, donde tonando vibri fulmini su questo e sugli altri popoli ». Ma c’è bisogno di insistere su un argomento cosí evidente?

XXIX.
95. Affermo con ogni forza non solo che Costantino non fece sí larga donazione, non solo che il romano pontefice non beneficia della prescrizione, ma anche che, se pure l’uno donò e l’altro beneficia della prescrizione, tuttavia i due diritti sono estinti per i delitti dei possessori, quando vediamo che da un sol fonte sono scaturite la rovina e la distruzione di tutta l’Italia e di molte province. Se è amaro il fonte, lo sarà anche il fiume; se immonda è la radice, anche i rami saranno immondi; se le primizie non sono sante non è santa la massa. Cosí, per antitesi, se il fiume è amaro, bisogna ostruirne il fonte; se i rami sono immondi, nella radice è l’origine del male, se la massa non è santa, anche le sue primizie sono da rigettare. Potremmo noi ammettere come legale l’origine della potenza papale, che vediamo essere causa di tanti delitti e di tanti mali di ogni genere?

96. Io posso ben dire e gridare ad alta voce (non ho paura degli uomini, protetto come sono da Dio) che ai miei giorni non vi è stato sommo pontefice che abbia amministrato con fedeltà e saggezza. Furono tanto lontani dal dare il pane di Dio alla famiglia dei loro sudditi, che anzi li farebbero sbranare come pezzi di pane. Il papa, proprio lui, porta guerre a popoli tranquilli; semina discordie tra le città e i principi; il papa ha sete delle ricchezze altrui, e, al contrario, succhia fino in fondo le sue stesse ricchezze; egli è come Achille dice di Agamennone Demoboros basileus, cioè «re divoratore dei popoli». Il papa fa mercato non solo dello Stato, ciò che non oserebbe né Verre né Catilina, né alcun altro reo di peculato, ma mercanteggia perfino le cose della Chiesa e lo stesso Spirito Santo! Perfino a Simon Mago desterebbe esecrazione! E quando ciò viene avvertito e anche rimproverato da galantuomini, non nega, ma sfacciatamente l’ammette e se ne gloria: afferma che gli è lecito strappare in qualsivoglia modo dalle mani degli occupanti il patrimonio della Chiesa donato da Costantino, come se da quel riacquisto la religione cristiana sia per trarre maggiore felicità e non piuttosto maggior peso di peccati, di mollezza, di passioni, se pure è possibile che la Chiesa sia piú gravata di tali mali di quanto non lo è già e se vi è piú posto per scelleratezze.

97. Per riavere le altre parti donate, sperpera le ricchezze mal tolte ai buoni, paga truppe a cavallo e a piedi, che fanno tanto male dappertutto, mentre Cristo muore affamato e nudo in migliaia e migliaia di poveri. E non si rende conto (o indegnità!) che mentre egli si affanna a strappare ai principi secolari i loro beni, questi a loro volta sono spinti a strappare agli ecclesiastici i loro beni o dal cattivo esempio o dalla necessità (talvolta non c’è neppure vera necessità).

XXX.
98. Non c’è piú religione; nessuna cosa piú è santa; non vi è piú timore di Dio: ho orrore a dirlo, ma tutti i malvagi scusano i loro delitti con l’esempio del papa. In lui e nei suoi satelliti è ogni esempio di delitti: possiamo ben dire con Isaia e Paolo contro il papa e i suoi: «Per causa vostra è bestemmiato il nome di Dio tra i popoli». Voi che ammaestrate gli altri, non ammaestrate voi stessi; voi che predicate non doversi rubare, fate rapine; voi che maledite gli idoli, commettete sacrilegi; voi che ponete la vostra gloria nella legge e nel pontificato, trasgredendo la Legge voi non onorate piú Dio che è l’unico vero pontefice. Se il popolo romano perdette per l’eccesso dei beni la sua vera gloriosa romanità, se Salomone per la stessa causa, abbandonandosi ad amori carnali, cadde nell’idolatria, non dobbiamo credere che avverrà lo stesso nel sommo pontefice e negli altri sacerdoti?

99. Insomma, possiamo noi credere che Dio avrebbe permesso che Silvestro accettasse materia di peccato? Non permetterò che si faccia questo oltraggio alla memoria di un santissimo uomo, non permetterò che si insulti un ottimo papa, dicendo che egli accettasse imperi, regni, province, alle quali sogliono rinunziare quelli che vogliono entrare nella Chiesa. Pochi furono i beni che possedé Silvestro; pochi furono quelli degli altri sommi pontefici, il cui aspetto era sacrosanto anche ai nemici come quel san Leone, che atterrí l’animo truce del re barbaro (Attila) e piegò chi la forza di Roma non aveva potuto né toccare né spezzare. Ma gli ultimi papi, ricchi e affogati nei piaceri, sembrano non mirare ad altro che ad essere empi e stolti tanto quanto santi e saggi furono gli antichi pontefici. Quale cristiano potrebbe sopportare ciò con tranquillità?

100. In questa mia prima orazione non voglio ancora spingere i principi e i popoli ad arrestare il papa precipitante a corsa sfrenata e a costringerlo a star buono nella sua sfera di azione, ma solo vorrei indurli ad ammonire il papa che, forse, già ritrovata da sé la via della verità, attraverso essa se ne torni a casa sua lasciando l’altrui e ripari nel porto, lontano dalle onde di dissennati pensieri e dalle tempeste furiose. Ma se egli ricusa (di seguire la via della verità) mi preparerò ad una seconda orazione molto piú aspra. Possa io una buona volta vedere il papa fare solo il vicario di Cristo e non anche dell’imperatore: nulla mi pesa piú che l’attendere ciò, specialmente perché spero che avvenga per i miei scritti. Che non ci giunga piú l’eco di orribili voci: fazioni ecclesiastiche, fazioni contrarie alla Chiesa; la Chiesa combatte contro i perugini o contro i bolognesi. Non è la Chiesa che combatte contro i cristiani ma il papa; la Chiesa combatte gli spiriti del male nel cielo. Allora il papa sarà chiamato e sarà realmente padre santo, padre di tutti, padre della Chiesa; non susciterà guerre tra i cristiani, ma con apostoliche censure e con la maestà del papato spegnerà le guerre provocate da altri.

www.classicitaliani.it/quattrocento/valla_donazione.htm



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