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Il sostentamento del clero

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    Madre Badessa
    00 22/12/2008 23:13

    Chi attende all'altare deve vivere dell'altare.

    E' questo un principio di antichissima origine in virtù del quale furono istituzionalizzati tributi speciali.

    La distinzione esistente nell'ordinamento statale tra le imposte e le tasse si riflette in campo ecclesiastico nella classificazione tra tributi generici (decime sacramentali, abolite nel 1887) e tributi specifici.

    La categoria delle entrate di origine ecclesiastica comprende, oltre ai tributi predetti, anche i cosiddetti "stipendi di messe", le rendite patrimoniali e le liberalità fatte da privati, denominate genericamente "legati pii".

    Si tratta di una ingente massa di denaro la cui esatta consistenza è sempre stato difficoltoso accertare.

    In occasione della stipulazione del Concordato del '29, la Santa Sede riuscì ad ottenere dallo stato il pagamento di contributi economici ("assegni supplementari di congrua").

    Tali assegni, che venivano erogati da un apposito "Fondo per il culto", servivano ad integrare i redditi beneficiari dei Vescovi, dei parroci e di altri ecclesiastici, per garantire a questi ultimi un determinato reddito annuo.

    Senonchè, l'entrata in vigore del nuovo Codice di Diritto Canonico nel 1983 (che raccomanda la soppressione dell'antico sistema beneficiario e la sua sostituzione con altri sistemi) ha determinato la necessità della revisione delle norme concordatarie in materia di sostentamento del clero.

    Questa riforma, entrata in vigore nel 1985, ha ingenerato aspre polemiche circa l'opportunità o meno di aggravare il già pesante deficit esistente nel bilancio dello Stato.

    Il 30 settembre '86 sono stati soppressi i benefici ecclesiastici e sono stati creati, in ogni diocesi o gruppo di diocesi, gli Istituti per il sostentamento del clero.

    Con sede unica in Roma è stato creato anche l'Istituto Centrale per il sostentamento del clero.

    Tutte le diocesi e le parrocchie (che erano collegate ai soppressi benefici) devono acquistare la personalità giuridica.

    I patrimoni dei benefici soppressi sono stati trasferiti agli Istituti diocesani o interdiocesani, i quali dal 1° gennaio 1987 dovrebbero garantire un "congruo e dignitoso sostentamento" a tutti i sacerdoti che prestano servizio per la loro diocesi.

    E' la Conferenza Episcopale Italiana che dovrebbe stabilire l'esatta quantità della somma di denaro da corrispondere periodicamente a ciascun sacerdote, prendendo in opportuna considerazione il fatto che alcuni di essi godono eventualmente di altre entrate di natura ecclesiastica.

    La legge n. 222 del 1985 ha dettato soluzioni provvisorie per il triennio 1987/89 ed ha stabilito che, a decorrere dal periodo d'imposta 1989, le entrate dell'Istituto centrale per il sostentamento del clero siano costituite da:

    a) libere offerte dei fedeli, ai quali è concessa ai fini del pagamento dell'IRPEF la possibilità di dedurre dal reddito lordo le somme di denaro elargite a favore dell'Istituto centrale predetto, fino ad un massimo di due milioni di lire;

    b) una parte dell'IRPEF (fino ad un massimo dell'otto per mille) versata dal contribuente, dietro sua esplicita indicazione. In caso di mancata opzione, le somme corrispondenti all'otto per mille verranno suddivise proporzionalmente rispetto alle opzioni formulate.

    In virtù di questo nuovo sistema una maggiore massa di denaro pubblico verrà sottratta alla Tesoreria dello Stato per essere convogliata ogni anno nelle casse della Conferenza Episcopale Italiana.

    Negli ultimi anni sono stati versati dallo Stato alla Chiesa, a titolo di assegni supplementari di congrua, circa 300 miliardi l'anno.

    Quale sarà, d'ora in avanti, l'ammontare complessivo del pubblico denaro che verrà sottratto all'Erario e che verrà dirottato verso l'Episcopato Italiano? E' difficile prevederlo con esattezza. Secondo stime attendibili si tratta di una cifra teorica di duemila miliardi all'anno (per quanto riguarda l'otto per mille delle entrate IRPEF) e di venti mila miliardi all'anno per quanto riguarda le offerte di denaro deducibili dal reddito lordo.

    Ai sensi dell'art. 47 della citata legge n. 222/85 le somme di denaro in questione dovrebbero essere suddivise in base ad un sistema alquanto singolare: in parte a scopi di interesse sociale o di carattere umanitario a diretta gestione statale, e in parte a scopi di carattere religioso a diretta gestione della chiesa cattolica, in proporzione delle scelte effettuate dai contribuenti.

    Ancora una volta, pertanto, nei rapporti patrimoniali tra Stato e Chiesa sono stati inseriti artificiosi fattori di conflittualità fra contrapposti interessi.

    Gli oneri finanziari a carico del bilancio statale, inoltre, resteranno talmente indeterminati da sfuggire a qualsiasi seria analisi e conseguente valutazione.

    Quello delle entrate ecclesiastiche è sempre stato un tema scabroso, fonte di acri polemiche, focolaio di eresie e perfino di scismi.

    Innumerevoli sono gli episodi traumatici che la storia ci presenta. Nel trecento i francescani intransigenti (gli "spirituali") avversarono pontefici e vescovi per l'iniquo legame con le ricchezze di questo mondo , giungendo ad identificare Bonifacio VIII con l'Anticristo che avrebbe condotto la Chiesa alla rovina.

    Alcuni di questi frati spirituali non esitarono a condannare la chiesa romana perché "opulenta e corrotta".

    Francesco d'Assisi aveva inchiodato la Gerarchia cattolica sullo spinoso contrasto tra ricchezza e povertà testimoniando nei fatti che solo quest'ultima può rendere autentica la fede e credibile il messaggio evangelico.

    Nel Cinquecento lo scisma operato da Lutero faceva perno soprattutto sullo scandalo della "vendita delle indulgenze".

    Ancora oggi resiste la pessima consuetudine di effettuare la questua presso i fedeli durante la celebrazione della Messa.

    Nel corso dei secoli certi sistemi di incetta di denaro sono stati, più di una volta, causa di scandalo.

    Già nel quarto secolo la chiesa, dopo aver ottenuto il riconoscimento da parte dell'Impero Romano, vide radicalmente mutata la propria posizione economica in un rapido susseguirsi di eventi che culminarono con l'Editto di Teodosio nel 380 (creazione della Chiesa di Stato).

    Le fu assicurato il diritto di possedere e la capacità di ereditare. Ricevette preziosissimi doni dagli imperatori e dai notabili, confiscò i beni degli eretici, venne esentata dall'obbligo di pagare le imposte.

    Fu in quel periodo che ebbe inizio il possesso graduale di travisamento della sua originaria missione spirituale e venne instaurato quel potere temporale che solo apparentemente fu abbattuto il 20 settembre 1870 a Porta Pia.

    Quel potere temporale è stato riattivato grazie ai privilegi stabiliti dai Patti Lateranensi del 1929.

    Sembra opportuno citare due testimonianze, una antica e una recente, ma entrambe fatte da uomini di Chiesa.

    L'inizio della "metamorfosi in peggio" della Chiesa fu efficacemente testimoniato da un vescovo del quarto secolo, S.Giovanni Crisostomo, in un'omelia rivolta ai fedeli:

    <> (1). Da questa testimonianza possiamo desumere alcune considerazioni: in linea di principio Crisostomo sottintendeva pesanti critiche alle ricchezze della Chiesa, ma giustificava storicamente queste ricchezze con la necessità di porre un qualche rimedio all'egoismo disumano dei cristiani e alla sostanziale incuria dei poteri pubblici di fronte al problema dell'indigenza.

    In effetti all'origine dell'impegno temporale della Chiesa ci fu la paura che molti poveri sarebbero morti di fame; essa quindi venne ad assumere una funzione di supplenza alle carenze dei fedeli.

    Tutto ciò, comunque, determinava un gravissimo pericolo: la perdita di credibilità.

    L'interesse per gli affari temporali , col passare del tempo, degenerava in forme di lusso che più volte il Crisostomo dovette denunciare.

    E' noto che, dopo la sua elezione all'episcopato di Costantinopoli, il suo primo atto fu quello di vendere gli oggetti preziosi che riempivano la sede vescovile e dissipare l'atmosfera di mondanità che aveva caratterizzato l'episcopato del predecessore Nettario.

    Bisogna ribadire, "apertis verbis", che la cura dei beni materiali è estranea alla missione della Chiesa, la cui ricchezza dovrebbe essere unicamente costituita dallo spirito di carità dei fedeli.

    Gli apostoli avevano ben intravisto i pericoli di questo impegno materiale quando proposero l'istituzione dei diaconi per il servizio delle mense.

    Balzando dal quarto al ventesimo secolo possiamo raccogliere una serie impressionante di denunce contro certi sistemi (poco edificanti) di sostentamento del clero.

    Ma una testimonianza in particolare ci sembra meritevole di essere menzionata per la sincerità e l'ardore che la animano.

    E' riassunta in una pubblicazione del 1970 ed è offerta da un sacerdote di origine siciliana, Antonio Corsello. (2)

    E' un coraggioso documento di accusa contro un certo modo di vita all'interno di un ambiente (clericale), che travaglia quella parte della Chiesa che è "impregnata di clericalismo, di dogmatismo e di giuridismo".

    I brani che qui riproduciamo sono di un'efficacia sferzante e si commentano da soli.

    <>.

    E' evidente che questa appassionata testimonianza di Antonio Corsello non vuol essere un atto di accusa contro la Chiesa in genere ma contro una parte di essa, contro il falso ed ottuso cristianesimo di certa gente, "il clericalismo esasperato di certi confratelli", contro un "curialismo che mortifica e opprime".

    <>.

    Il dibattuto problema del sostentamento del clero chiama inevitabilmente in causa anche quelli relativi al deficit del bilancio statale, all'elevata pressione tributaria, all'incremento delle entrate, al taglio delle spese pubbliche superflue. La cultura laica deve affermare, senza mezzi termini, che l'erogazione da parte dello Stato di tanti miliardi l'anno per sostenere il clero cattolico è un tipico esempio di spesa da tagliare.

    E' in atto una vivace disputa sulle differenti modalità in cui si potrebbe condurre la lotta alle evasioni fiscali.

    Sarebbe opportuno che da tale disputa cominci ad emergere la tesi secondo la quale il deficit del bilancio statale potrebbe essere alleggerito anche mediante l'eliminazione delle esenzioni, oltreché con la lotta alle evasioni fiscali.

    Il tanto conclamato sistema del "redditometro", sul quale si accendono di frequente aspre polemiche tra le forze sociali e politiche, potrebbe bene essere applicato anche alle rendite prodotte dai patrimoni degli Enti ecclesiastici, ponendo mano ad una organica riforma legislativa.

    Sono sessant'anni ormai che lo Stato sostiene economicamente il clero cattolico: un fiume di miliardi annualmente versati dal Fondo per il culto nelle tasche di vescovi, parroci ed altri prelati (3).

    Non sarebbe ora di fermare questa emorragia di pubblico denaro?

    Si pretende forse, da parte dell'Episcopato, che siffatto sistema di "collaborazione" con lo stato perduri in eterno?

    Sarebbe logico e giusto, invece, che il clero venga sostenuto solo dalle oblazioni dei fedeli e dalle rendite ricavate dai patrimoni ecclesiastici.

    E se questi introiti dovessero essere ritenuti insufficienti dal nostro Episcopato si prenda pure in seria considerazione il saggio consiglio di S.Benedetto: "Ora et labora"!

    Guadagnare denaro lavorando non è peccato.

    Nemmeno per i sacerdoti.

    Purché si tratti di attività oneste, estranee a qualsiasi forma di speculazione parassitaria.

    C.G. SALLUSTIO SALVEMINI





    (1) ZINCONE V., Ricchezza e povertà nelle omelie di Giovanni Crisostomo, Ed. Japadre, L'Aquila 1973.

    (2) CORSELLO A., Una Chiesa e un ambiente che opprimono, Roma 1970.

    (3) <<...Come tutti sappiamo, le vicende del Banco Ambrosiano e dello I.O.R. hanno lasciato la Santa Sede con le ossa rotte: a parte la perdita economica (lo IOR ha versato 400 miliardi per riparare, almeno in parte, ai danni provocati) anche l'immagine del Vaticano si è molto offuscata per via delle conseguenti vicende giudiziarie e del mandato di cattura contro il "banchiere del Papa" cardinale Marcinkus. Attualmente l'azienda Chiesa, pur registrando un momento di vitale espansione (+7%) è in serie ristrettezze economiche. E' la prima volta che questo accade. Per giunta, al crac dell'Ambrosiano ha fatto seguito l'applicazione del nuovo Concordato che prevede, fra l'altro, la soppressione del contributo dello Stato italiano (700 miliardi l'anno). Di conseguenza, entro il 1990 il Vaticano dovrà provvedere a se stesso in maniera autonoma>> (Arrigo Petacco "Magazine italiano" 21.9.1988).

    www.abanet.it/papini/peccato/peccato201.html



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    Re: RE
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    Re: Re: RE
    Jon Konneri, 23/12/2008 13.22:




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