00 29/01/2009 19:17

Antonio Amoroso

Nel celebre film di Sergio Leone del 1966, il titolo richiama la caratteristica principale di ciascuno dei tre protagonisti Biondo (il buono), Tuco (il brutto), Sentenza (il cattivo). Riguardo a quest’ultimo, ed in relazione all’annosa vicenda “Eluana Englaro”, agli occhi dei cristiano-cattolici più oltranzisti, quale nome più azzeccato per il cattivo: Sentenza…O meglio, la sentenza…O meglio ancora, le sentenze…Quindi, la Magistratura sovversiva dei valori cristiano-religiosi…


Infatti, nel suddetto western, Sentenza (Lee Van Cleef) è colui che uccide chiunque incontri sulla sua strada. Per un cristiano-cattolico oltranzista niente di più azzeccato! Infatti, il Presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, il giorno dopo il deposito della sentenza del TAR della Lombardia (la sentenza 214/2009), afferma che “…non procederemo all'esecuzione di una sentenza che ci sembra aberrante…”.

Ciò, ovviamente, agli occhi di chi parla pronamente e religiosamente orientato, poiché, in ottica propriamente giuridica ed, in particolare, in ottica strettamente costituzionale (quindi, in ottica laica), le sentenze vanno rispettate. Ed, in particolar modo, vanno rispettate quelle sentenze che attuano i principi fondamentali della Costituzione, come quello espresso ai sensi dell’art. 32, comma 2, Cost. E non solo, ma, chi rappresenta una Nazione a livello politico è tenuto a dare questo esempio erga omnes, sia nei confronti di tutti i propri cittadini, sia nei confronti dell’opinione pubblica internazionale. Ed, infine, chi occupa i vertici della Pubblica Amministrazione deve preoccuparsi di eseguire tutte quelle sentenze che hanno valenza di giudicato, in quanto aventi forza di legge inter partes.

Ed invece cosa succedeva in Lombardia? Succedeva che, di fronte ad un provvedimento giurisdizionale, come il decreto della Corte di Appello di Milano (emesso il 9 luglio 2008, in base ad un principio di diritto statuito nella sentenza della Corte di Cassazione 21748/2007), il massimo dirigente della Direzione generale della Sanità della Giunta regionale lombarda, guidata dal su menzionato Governatore, emanava (in data 3 settembre 2008) un atto amministrativo con il quale si negava che il personale del Servizio Pubblico Sanitario potesse procedere, all’interno delle sue strutture, hospice compresi, all’attuazione del suddetto un provvedimento giurisdizionale reso in nome del Popolo italiano.

Contro questo sovvertimento degli equilibri costituzionali, che sembrava, in un primo momento, limitato ad un ambito locale, ci si aspettava una secca presa di posizione da parte delle istituzioni governative nazionali competenti ed, invece, ecco fare eco il massimo esponente ministeriale della Sanità statale, l’On. Maurizio Sacconi, con la sua circolare del 16 dicembre 2008, che obbligava illegittimamente il sistema sanitario nazionale alla non esecuzione del suddetto provvedimento giurisdizionale.

Da cosa sono accomunati i due, oltre che da una religiosità troppo oltranzista? Sono accomunati dalla capacità di non dire come stanno realmente le cose e da una capacità di scorrettezza istituzionale senza pari. Ma la loro religione non ritiene “peccato” non dire il vero? Certamente, SI! Ma, di fronte all’obbligo morale-religioso di far prevalere i postulati pontifici della vita sempre e comunque o della vita come “bene-valore assolutamente indisponibile”, commettere “peccatuccio” rappresenta cosa buona e giusta, oltretutto, quando il “bianco super-mega direttore galattico” è dalla propria parte…Però, com’è noto, “le bugie hanno le gambe corte”. E sono tali soprattutto quelle in tema di Diritto, poiché se ne son dette varie che, successivamente, sono state sconfessate dalle sentenze di vari organi giurisdizionali nazionali: Corte di Cassazione, Corte di Appello, Corte Costituzionale ed, in ultimo, Tribunale Amministrativo Regionale lombardo.

Infatti, ad avviso del giudice amministrativo, (cfr. il punto 5.3. della sentenza) “…L’obiezione della Regione, per la quale la sentenza della Cassazione non farebbe "stato" nei suoi confronti, trattandosi di provvedimento di volontaria giurisdizione, non coglie nel segno. I provvedimenti assunti in sede di giurisdizione volontaria non contenziosa, essendo preordinati all’esigenza prioritaria della tutela degli interessi e revocabili e modificabili in ogni momento dall’autorità giudiziaria, sono normalmente inidonei ad assumere carattere di definitività ed efficacia di giudicato. Al contrario, le procedure camerali, che si concludano con un provvedimento di natura decisoria su contrapposte posizioni di diritto soggettivo, sono anch’esse suscettibili di acquistare autorità di giudicato…”.

Lo stesso, in seguito, precisa che (cfr. il punto 5.4.) “…Le affermazioni dell’Amministrazione secondo cui il Servizio sanitario nazionale non sarebbe obbligato a prendere in carico un paziente che a priori rifiuti le cure necessarie a tenerlo in vita e secondo cui il personale medico non potrebbe dare corso alla volontà di rifiutare le cure, pena la violazione dei propri obblighi di servizio, non appaiono conformi ai principi che regolano la materia di cui si è sopra dato conto. Il diritto costituzionale di rifiutare le cure, come descritto dalla Suprema Corte, è un diritto di libertà assoluto, il cui dovere di rispetto si impone erga omnes, nei confronti di chiunque intrattenga con l’ammalato il rapporto di cura, non importa se operante all’interno di una struttura sanitaria pubblica o privata… Come ha precisato la Suprema Corte, tale obbligo giuridico sussiste anche ovi si tratti di trattamento di sostegno vitale il cui rifiuto conduca alla morte, giacchè tale ipotesi non costituisce, secondo il nostro ordinamento, una forma di eutanasia (per tale dovendo intendersi soltanto il comportamento eziologicamente inteso ad abbreviare la vita e che causa esso positivamente la morte) bensì la scelta insindacabile del malato a che la malattia segua il suo corso naturale fino all’inesorabile “exitus”…”.

Infine, (cfr. sempre il punto 5.4. nella sua ultima parte): Qualora l’ammalato decida di rifiutare le cure (ove incapace, tramite rappresentante legale debitamente autorizzato dal Giudice Tutelare), tale ultima manifestazione di rifiuta farebbe immediatamente venire meno il titolo giuridico di legittimazione del trattamento sanitario (ovvero il consenso informato), costituente imprescindibile presupposto di liceità del trattamento sanitario medesimo, venendo a sorgere l’obbligo giuridico (prima ancora che professionale o deontologico) del medico di interrompere la somministrazione di messi terapeutici indesiderati. Sotto altro profilo, rifiutare il ricovero ospedaliero, dovuto in linea di principio da parte del SSN a chiunque sia affetto da patologie mediche, solo per il fatto che il malato abbia preannunciato la propria intenzione di avvalersi del suo diritto alla interruzione del trattamento, significa di fatto limitare indebitamente tale diritto. L’accettazione presso la struttura sanitaria pubblica non può infatti essere condizionata alla rinuncia del malato ad esercitare un suo diritto fondamentale. Né il rifiuto opposto dall’Amministrazione alla richiesta del sig. Englaro può giustificare in base a ragioni attinenti l’obiezione di coscienza…”.

Suddetti punti della sentenza tendono a sconfessare, in maniera limpida, ciò che il Presidente Formigoni ed, in generale, gli ambienti filo-clericali vanno affermando da tempo…

Innanzitutto, all’emanazione della sentenza della Corte di Cassazione 21748/2007, essi si sono opposti adducendo il fatto secondo il quale la sentenza era in palese contrasto con l’ordinamento costituzionale: invece, essa è costituzionalmente legittima, tanto che l’orientamento della Suprema Corte, in relazione all’art. 32 (comma 2) Cost., viene anche confermato da una giurisdizione amministrativa. Cosa su cui quest’ultima non era tenuta a pronunciarsi, dato che il quesito principale, su cui essa doveva pronunciarsi, consisteva nell’accoglimento o meno della domanda di annullamento del provvedimento amministrativo emesso dal Direttore sanitario regionale in data 3 settembre 2008, domanda che, come è noto, è stata accolta in favore del Sig. Englaro e di Eluana.

Eppure, il 12 dicembre 2008, lo stesso Formigoni scriveva, sul suo blog personale, un post intitolato “La Costituzione ed i suoi primi 60 anni” che diceva: “…Dopo 60 anni la Carta fondamentale rappresenta un patrimonio vivo delle comunità e del popolo italiano, intrecciatasi con la storia del nostro Paese. Anche oggi va richiamata la sua natura dinamica, perché sia in grado di leggere una realtà complessa e mutata. Non può perciò essere concepita come un testo intoccabile da riporre nelle teche polverose dei principi che sempre si richiamano e mai si attuano. La Costituzione ha assicurato la stabilità e la saldezza dei principi e delle regole fondamentali: salde radici che hanno saputo reggere le sfide difficilissime del terrorismo e della violenza mafiosa fino ad attraversare la crisi delle istituzioni degli anni Novanta. C’è una forza dello spirito costituente che consiste nell’aver saputo dare una lettura rispettosa della società civile, registrando un ordine identificato con l’esperienza e i valori vissuti di un popolo. Per questo la nostra Carta non rappresenta un astratto catalogo di principi e di diritti, non parla di soggetti astratti in situazioni astratte, ma afferma il primato della persona e il rapporto inscindibile persona-comunità…”. Osservato ciò, Presidente, un po’ di coerenza non guasterebbe…

In secondo luogo, lo stesso Formigoni, in data 8 gennaio 2009, affermava che la suddetta sentenza ed il decreto della Corte di Appello non gli bastavano, poiché non creavano obblighi espressi e diretti nei confronti del sistema sanitario ed, in particolare, nei confronti di quello lombardo. Non a caso, egli diceva testualmente: “…Ci dicano intanto che abbiamo un obbligo, sinora non l'hanno fatto…”. Osservato ciò, siffatta affermazione risulta essere palesemente falsa non solo perché respinta, in ultimo, dal giudice amministrativo regionale, ma, già nel decreto della Corte di Appello del 9 luglio 2008 (nel suo punto 5 intitolato “Disposizioni accessorie cui attenersi in fase attuativa”), la Corte di merito milanese individuava un collegamento tra la posizione dell’avente diritto (e del suo tutore) ed il sistema sanitario nazionale (compreso quello lombardo).

In terzo luogo, sia Formigoni che gli ambienti filo-clericali hanno sempre ritenuto il decreto della Corte di Appello come un provvedimento di “volontaria giurisdizione”, quindi, “senza alcuna valenza di giudicato e di definitività”. Al contrario, il giudice amministrativo, sgomberando qualsiasi dubbio, ritiene (giustamente) che, in questo caso, ci si trova di fronte ad un decreto motivato frutto di un procedimento camerale e, quindi, idoneo ad acquistare valenza di giudicato, divenendo così “provvedimento giurisdizionale definitivo ed esecutivo”, in quanto non più sottoponibile agli ordinari mezzi di impugnazione.

Ciò detto, è evidente come una certa politica nostrana si stia coprendo di ridicolo in relazione a questa vicenda: questa politica, pur di aggradare certi ambienti religiosi, non si fa remore nel violare la Costituzione ed i principi cardini dello Stato di diritto. E, nonostante le sentenze (sia di, praticamente, tutte le giurisdizioni nazionali che anche di una extra-nazionale) ed i sondaggi, che remano contro la posizione che essa sta assumendo in riferimento a questa vicenda (e, più in generale, in riferimento alla questione del testamento biologico), la stessa continua a preferire postulati che, ormai, si stanno allontanando dal sentimento comune nazionale…

Infatti, non pago dell’ultimo “schiaffo giurisdizionale”, sin da subito, il Presidente della Regione Lombardia, rasentando il masochismo, ha affermato di voler prendere in considerazione un eventuale appello di fronte la giurisdizione amministrativa di secondo grado, il Consiglio di Stato, contro la suddetta sentenza appena emessa dal TAR…

Ebbene, come riportato in apertura, agli occhi del filo-clericale oltranzista, la “cattiva sentenza” non può essere il buono Biondo: ciò che, invece, il mondo laico desidera è un’ulteriore, ed eventuale, “buona sentenza” che confermi definitivamente l’orientamento finora espresso. Questo per rispetto ad Eluana ed alla sua famiglia, per preservare la dignità della nostra Costituzione, troppe volte lesa in relazione a questa vicenda, e per riportare il nostro Paese alla vera dimensione del Diritto che trova la sua espressa e concreta consacrazione nell’attività di iuris dictio, sperando sempre che Form…ehm, la pol…ehm, Tuco abbia, anche questa volta, la pistola scarica…

www.resistenzalaica.it/index.php?option=com_content&task=view&id=1510&...



La cattiva notizia è che Dio non esiste. Quella buona è che non ne hai bisogno.
Apocalisse Laica
Le religioni dividono. L'ateismo unisce


Il sonno della ragione genera mostri (Goya)