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Re: La Religione della vita


Ebrei: omicidio rituale e massacri reali

Allo scontro con gli infedeli si accompagnò nel XII-XIII secolo anche l'inasprimento delle posizioni contro gli eretici e altre minoranze presenti nella società medioevale, a partire dagli ebrei. In questo periodo nasce la leggenda che gli ebrei pratichino l'omicidio rituale, uccidendo e crocifiggendo dei bambini cristiani, di solito nella settimana santa, per ripetere la crocifissione di Cristo. Il primo caso di accusa in questo senso, scrive Mannucci, “avviene nel 1144 a Norwich, in Inghilterra”, dopo che si trova ucciso un giovane apprendista. “Il secondo caso ha luogo in Germania, nel 1147, e provoca il massacro di alcuni ebrei"” (38). Tre anni dopo, a Colonia, un altro ebreo viene accusato di aver profanato un'ostia, altra accusa divenuta poi abituale. Nel 1171 38 ebrei vengono processati e uccisi per omicidio rituale a Blois, nel 1191 un centinaio a Bray-sur-Siene ecc.

Una cronaca di Riccardo di Deviez racconta che nel 1189, il giorno dell'incoronazione di Riccardo Cuor di Leone in Inghilterra , “nell’ora solenne in cui il Figlio fu immolato al Padre, nella città di Londra si cominciò a immolare gli ebrei al loro padre, il diavolo. E ci volle così tanto tempo per celebrare un così grande sacrificio che l’Olocausto fu terminato soltanto il giorno seguente. Altri centri, altre città del paese imitarono l’atto di fede dei londinesi e mandarono all’inferno, con la stessa devozione, tutte quelle sanguisughe e il sangue di cui si erano rimpinzate”(39). E Philippe Bourdrel scrive, nel XIII secolo, che “A Béziers, la domenica delle Palme, era in uso tirare le pietre agli ebrei e aggredirli, per ‘vendicare il signore’ mentre a Tolosa, il giorno di Pasqua, gli ebrei ricevevano da un notabile della città, che aveva la mano ricoperta di un guanto di ferro, uno schiaffo in pieno viso, per ricordare coloro che oltraggiarono Cristo sul Calvario”(40). Ma, naturalmente, si tratta solo di alcuni esempi, perché “la storia degli ebrei in Europa”, scrive E. Saracini, “è tutta costellata di massacri” (41). Persecuzioni, processi ed esecuzioni per omicidio rituale continueranno, fino alle espulsioni degli ebrei da vari paesi europei, fra il XV e il XVII secolo.



Il massacro di Costantinopoli. Un “mistero divino”

Intanto, con Lucio III, nel Concilio di Verona del 1184, prendeva il via l'Inquisizione, che sarà istituzionalizzata da Innocenzo III (1198-1216) e rafforzata da Gregorio IX (1227-41), col quale la pena di morte, già introdotta nel 1226 in Lombardia da Federico II, è adottata ufficialmente dalla Chiesa per gli eretici. A questi due papi si devono, insieme alla continuazione delle crociate contro gli infedeli, l'inizio di quelle contro gli eretici. Con Innocenzo III, osserva Partner, “il concetto della faida di sangue fu adottato dagli stessi pontefici; un secolo dopo la prima crociata, Innocenzo III fece appello ai crociati perché partissero per la nuova missione e vendicassero il male inflitto al padre loro” (42). Si arrivò così nel 1202 alla IV crociata, quella detta dei veneziani poiché fu da loro guidata e dirottata, in funzione dei propri interessi commerciali, su Costantinopoli. Il sacco della città, scrive Runciman, “non ha paralleli nella storia”. Se i veneziani preferirono impadronirsi degli enormi tesori di Costantinopoli, franchi e olandesi, spesso ignari del loro valore, distrussero ciò che non potevano trasportare, “fermandosi soltanto per assassinare e violentare… Molte monache furono violentate nei loro conventi. Palazzi e tuguri furono ugualmente forzati e rovinati. Donne e bambini feriti, giacevano morenti per le strade. Per tre giorni continuarono le orrende scene di saccheggio e spargimento di sangue, finché l'immensa e magnifica città fu ridotta a un macello. Perfino i saraceni sarebbero stati più misericordiosi, esclamò lo storico Niceta, e con ragione” (43).

Si dirà, come sostengono certi apologeti cattolici, che tutto ciò esulava dalle responsabilità dirette di Innocenzo III. Senonché fu proprio lui a scrivere in varie Epistole, a proposito dell'accaduto, celebrato con entusiasmo in tutto l'Occidente, “che egli si rallegrava nel Signore e dava la sua approvazione senza riserve” (44). Innocenzo III, convinto che la presa di Costantinopoli avrebbe messo fine allo scisma del 1054 imponendo alla Chiesa d'Oriente di riunirsi a Roma, arrivò a scrivere che la conquista della città “non è caso fortuito ma un mistero rivelato dall'alto decreto divino nell'opera dei crociati, affinché in futuro possa esistere un solo ovile di Cristo e un solo pastore” (45). Solo anni dopo si rese conto che il sacco dell’antica capitale d’Oriente aveva recato più danni che vantaggi anche alla Chiesa stessa. Ma ciò non fece venir meno in lui la passione per le crociate.



Innocenzo III e Gregorio IX contro la “miscredenza eretica”

Appena finita l’impresa in Palestina, Innocenzo III volse le sue attenzioni alla Francia e, prendendo pretesto dall'assassinio di un legato pontificio, lanciò nel 1208 la crociata contro gli Albigesi.

“Dovete cercare di annientare la miscredenza eretica in ogni modo e con tutti i mezzi che Dio vi rivelerà”, affermava il papa predicando l’omicidio come dovere di coscienza. “E dovete combattere i suoi seguaci con mano potente e braccio vigoroso e con severità ancora maggiore che se combatteste i Saraceni, perché essi sono peggio dei Saraceni”. E ancora: “Forse fino ad oggi avete combattuto per una gloria passeggera; combattete ora per la gloria eterna!” (46). Da parte loro i vescovi francesi invocavano dal papa una ancora maggiore determinazione: “Se la perfida città di Tolosa non viene sottratta all'eresia la fatica sarà stata inutile… e per questo vi preghiamo di impugnare la spada affinché la città muoia con tutti i suoi abitanti” (47). Fra i risultati più notevoli dell'impresa fu la strage di Béziers del 1209 dove secondo alcuni i morti furono settantamila, secondo altri oltre centomila, comprese molte donne e bambini. Ventimila li stima il legato papale Arnaud-Amaury che nella Relazione a Innocenzo III attribuisce a Dio l’impresa: “poiché non vi è forza e non vi è saggezza contro a Dio, mentre con i baroni si stava trattando…dei gaglioffi ed altra gente plebea e disarmata, senza aspettare l'ordine dei principi, fecero un attacco alla città e con stupore dei nostri... in due o tre ore…fu presa… I nostri, non badando a condizione sociale, a sesso o ad età, passarono a fil di spada circa ventimila persone. E fatta grandissima strage di nemici, fu tutta saccheggiata la città e poi fu bruciata, infierendo contro di lei in modo straordinario l'ira divina” (48).

Nel 1215, il Concilio Lateranense IV, presieduto da Innocenzo III, stabilì nella sua LXXI Costituzione che gli eretici dovessero essere “abbandonati alle potestà secolari o ai loro balivi per essere puniti con pene adeguate"”, anche se “fossero solo sospetti”, toccando a loro provare “la propria innocenza con prove che valgano a giustificarli”. Il Concilio obbligò anche i principi a "sterminare dalle loro terre gli eretici” per evitare che il pontefice “sciolga i suoi vassalli dall'obbligo di fedeltà e lasci che la sua terra sia occupata dai cattolici, i quali, sterminati gli eretici, possano averne il possesso senza alcuna opposizione e conservarla nella purezza della fede” (49).

Circa vent’anni dopo Gregorio IX lanciava una crociata in Germania contro il popolo contadino degli Stedingi. “Armatevi e siate forti, figli, siate pronti alla guerra contro i pagani… Non esitate, non cedete e non temeteli.. Perché non è solo la vostra guerra, ma la guerra di Dio” (50). Quanto al fine omicida di tale guerra lo stesso Gregorio IX lo precisava nella terza bolla del 1233 Contro il popolo degli Stedingi: “[Ho] intimato…di impiegare con energia e con zelo i credenti di Cristo…per sterminare questo popolo senza Dio…. E quei cattolici che si cuciranno addosso il simbolo della croce e partiranno per andare a sterminare gli eretici, godranno della stessa indulgenza e riceveranno le stesse dimostrazioni di favore che vengono date ai crociati che partono per la Terra Santa” (51). Le vittime della crociata furono da 5.000 a 11.000, comprese donne e bambini. A Gregorio IX si deve anche, sempre nel 1233, la prima bolla (Vox in rama) in cui racconta di osceni convegni fra il diavolo e i suoi neofiti che gli baciano l’ano: alimentava così la credulità popolare circa l'esistenza delle streghe, ponendo le basi per la loro persecuzione.



Evangelizzare con la guerra

Nel corso del XIII secolo, poi, mentre si andavano esaurendo le crociate in terra santa, continuarono a operare, conducendo campagne soprattutto nell'Europa orientale, gli ordini cavallereschi nati con l'autorizzazione papale per “difendere” il Santo Sepolcro. Per quanto riguarda i Cavalieri teutonici, una bolla di Alessandro IV (1254-61) “basandosi sull'inferiorità dei popoli non cristiani, li autorizzava a conquistare e 'convertire' i popoli dell'Oriente europeo” (52), riprendendo quanto già affermato dal suo predecessore Innocenzo IV, secondo cui “l'adorazione degli idoli…va contro la legge naturale ed è perciò soggetta all'intervento papale” e “il papa può ricorrere alla forza per costringere un infedele ad accogliere i cristiani da lui inviati a predicare il Vangelo” (53). Sono così poste le premesse per far rientrare nella guerra giusta e santa le guerre coloniali tese a “evangelizzare” i popoli extraeuropei e per giustificare i genocidi di cui fra poco diremo. Si noti anche come già allora, come fa oggi Benedetto XVI, si usasse il diritto naturale come cavallo di troia per giustificare l'intervento del papa in qualche campo. Alessandro IV condannò anche le pratiche magiche, dando argomenti ai primi processi contro le streghe e ai primi roghi, anche se ancora sporadici: nel 1275 in Francia, nel 1296 in Val d'Adige. Mezzo secolo dopo, finite del tutto le crociate in Palestina, lo stato della chiesa bandì inoltre come “crociate” le guerricciole contro i vari signori italiani che si ribellavano al governo papale, incaricando i predicatori di “pubblicizzare l'indulgenza che avrebbe premiato i fedeli qualora avessero partecipato alla campagna” (54).

Impossibile calcolare il numero delle vittime di tutte queste imprese guerresche, dalla Polonia alla Lituania all'Italia.



Quando uccidere era un "malicidio"

Che fosse doveroso uccidere, quanto oggi è doveroso "difendere la vita dal concepimento alla sua fine naturale", lo confermavano i massimi dottori della Chiesa. Nel 1128 Bernardo da Chiaravalle scrisse nel De laude novae militiae che “eliminare questi operatori di iniquità [i turchi]che vagheggiano di strappare al popolo cristiano le ricchezze racchiuse in Gerusalemme… ecco la più nobile delle missioni per coloro che hanno abbracciato la professione delle armi… Il Cavaliere del Cristo… quando uccide un malfattore, non è un omicida ma un malicida” (55). Tommaso d'Aquino, “lumen ecclesiae”, scrisse nella Somma teologica (1267-73) che gli eretici “hanno meritato…di essere tolti dal mondo con la morte. Infatti è un delitto molto più grave falsificare la fede, che è la vita dell’anima, che falsificare il denaro, che serve alla vita mondana. Se quindi i falsari o altri malfattori, sono giustamente condannati a morte dai principi, a maggior ragione e con giustizia potrebbero essere non solo scomunicati ma uccisi gli eretici, non appena riconosciuti colpevoli di eresia” (56).

Il dovere di uccidere lo aveva ribadito del resto nel 1233 anche la massima autorità cattolica, Gregorio IX, affermando: “Non è decoroso per la Sede Apostolica astenersi dallo spargimento di sangue mentre l'Ebreo e il Medianita lottano sotto i suoi occhi, potrebbe sembrare, se non intervenisse, che non ha a cuore il popolo d'Israele” (57). E lo stesso Gregorio aveva incitato l’imperatore, che gli pareva troppo tiepido, a uccidere sull'esempio del Dio del Vecchio Testamento: “Dov’è lo zelo di un Mosè, che in un giorno solo annientò ventitremila idolatri? Dov'è lo zelo di un Finees, che con un solo colpo trafisse l'israelita e la madianita? Dov'è lo zelo di un Elia, che uccise con la spada i quattrocentocinquanta profeti di Baal?” (58).



La "mite" inquisizione

Queste dichiarazioni di papi, teologi e concili rendono risibili i tentativi della moderna apologetica cattolica di disquisire sul “numero” delle vittime, col fine di dimostrare che l'inquisizione fu “mite” o che erano le autorità civili a premere per mandare al rogo gli eretici.

Al contrario era proprio la Chiesa a contrastare con decisione le autorità civili, se manifestavano resistenze e riluttanze a eseguire i suoi ordini. Nel 1237 a Tolosa, ad esempio, i magistrati furono scomunicati per essersi rifiutati di “ricevere” sei condannati, cioè di “arderli” e di confiscare i loro beni. Nel 1288 “Nicolò IV deplorava la negligenza e il malvolere di cui davano segno indubbio, in molte città, le autorità civili, che procuravano di sbarazzarsi dell’esecuzione dei condannati dall’Inquisizione, e stabilì che i colpevoli fossero scomunicati e destituiti dalle cariche...e che venisse lanciato l’interdetto sulle città in cui comandavano” (59).

Nel frattempo, dal 1254, Innocenzo IV, con la bolla Ad extirpanda, reiterata dai suoi successori, aveva introdotto anche l'uso della tortura per indurre a confessare gli eretici, con l'avvertenza ipocrita di evitare “loro danni fisici permanenti e il pericolo di morte” (60). Era la stessa ipocrisia di cui la Chiesa dava prova consegnando al braccio secolare gli eretici perché fossero mandati al rogo, con queste parole: “preghiamo questa curia secolare di non giungere nella sua sentenza fino all'effusione del tuo sangue e alla pena di morte” (61). E' appena il caso di dire che se qualche ingenuo, acconsentendo alla richiesta, non avesse eseguito la sentenza di morte, sarebbe stato lui stesso processato come sospetto di eresia, come si è visto sopra…

La “santa” Inquisizione durò circa sei secoli, dal XIII all'inizio del XIX secolo (quando Napoleone chiuse i “forni” dell'inquisizione di Siviglia), durante i quali la Chiesa mandò a morte centinaia di migliaia di uomini e di donne, benché sia difficile stabilire il numero esatto delle vittime. Ed è anche fuorviante fare di questo il primo problema, come se il giudizio sull'inquisizione dipenda dal numero dei roghi e non, almeno in primo luogo, dal fatto che venivano condannati con la morte, o comunque ritenuti “reati”, alla stregua di un furto o di un omicidio, le opinioni non ortodosse in materia di fede.

Al di là dei nudi numeri, difficili da determinare oltretutto perché molti registri di processi andarono distrutti per i più diversi motivi, non ultimo le rivolte popolari, importa qui soprattutto osservare come i papi siano ricorsi in modo sistematico a esecuzioni capitali e guerre per tutto il medioevo. Otto papi su tredici, ad esempio, fra quelli che si succedettero dal 1254 al 1294 (i già citati Innocenzo IV e Alessandro IV, poi Urbano IV, Clemente IV, Gregorio X, Martino V, Onorio IV, Niccolò IV) inasprirono le misure contro gli eretici e organizzarono o tentarono di organizzare spedizioni militari in terra santa o contro i mongoli, o contro gli ebrei o in Europa orientale o in Sicilia. Né è senza significato che degli altri cinque, quattro non ebbero forse il tempo di farlo, poiché regnarono solo pochi mesi.



Tornano ad andarci di mezzo ebrei e gay

Clemente IV, in particolare, con la bolla Turbato corde del 1267 ordinò di punire i cristiani che si fossero “rivolti al rito ebraico” e gli ebrei colpevoli di aver cercato di convertire dei cristiani alla loro religione, definita “rito esecrabile”, ricorrendo “se necessario” al braccio secolare.

Fra il XIII e il XIV secolo, anche i gay subirono gli effetti di un generale inasprirsi dell'intolleranza verso le minoranze. Le loro strade cominciarono a incrociare quelle dell'inquisizione. Se la pena del rogo per rapporti omosessuali, inflitta nel 1120 da un concilio provinciale tenutosi a Nablus in Palestina, era in quell'epoca una assoluta eccezione, tra il 1250 e il 1300 “l'omosessualità passò da una condizione di assoluta legalità nella maggior parte d'Europa a una in cui veniva punita con la pena di morte in quasi tutte le compilazioni di legge…. Spesso era prevista la morte per un solo atto provato” (62). Vari stati influenzati dalla condanna cattolica della sodomia (come mostra il fatto che parlino di “peccato” anziché di “reato”) adottarono misure durissime come quelle che si leggono in un editto del re cattolico Alfonso X il saggio (1252-84), re di Castiglia e Leon: “Anche se siamo riluttanti a parlare di qualcosa che è incauto considerare e avventato fare, ciò nondimeno talvolta vengono commessi terribili peccati e capita che un uomo desideri di peccare contro natura con un altro. Perciò noi comandiamo che se qualcuno commette questo peccato, una volta provato, entrambi vengano castrati davanti a tutto il popolo e tre giorni dopo siano appesi per le gambe fino alla morte e i loro corpi non vengano mai deposti” (63). Nel Codice delle leggi ideali dello stesso Alfonso X si legge anche un passo che configura i reati di violenza, ossia di rapporti coatti o con dei minori consenzienti, ipotesi già presente nella legislazione dell'impero d'Oriente: “Tutti possono accusare un uomo che ha commesso un crimine contro natura presso il giudice del distretto in cui il crimine fu commesso. Se provato, i due implicati devono essere messi a morte. Tuttavia, se uno è stato costretto o ha meno di quattordici anni, non bisogna sottoporlo alla stessa pena, perché quelli che sono costretti non sono colpevoli, e i minorenni non capiscono quanto sia grave il crimine da loro commesso”(64).



I papi avignonesi e il massacro dei Templari

Nel 1294 divenne papa Bonifacio VIII (1294-1303), assassino del suo mite predecessore Celestino V, la cui abdicazione non gli bastava. Gli succedette Clemente V (1305-14), il primo dei papi avignonesi succubi del re di Francia, cui si deve la persecuzione e messa a morte di Fra Dolcino, arso vivo a Vercelli, e dei dolciniani, ma anche la feroce repressione dei Templari, un potentissimo ordine religioso-militare che si era distinto contro gli infedeli e colpito perché il re di Francia intendeva impadronirsi delle loro proprietà, delle rendite, dei loro beni e del loro “tesoro” (poi mai trovato). Nel 1312, dopo lunghi anni di processi, interrogatori, torture l'ordine fu sciolto con la bolla Vox in excelso. I templari furono accusati e costretti a confessare poco credibili peccati sessuali o di idolatria, grazie a torture che provocarono la morte di circa cinquecento di loro (65). Anche “due dei più alti dignitari templari, Jaques de Molay, il Gran Maestro, e Geoffroi de Charnay, suo immediato sottoposto, furono bruciati a fuoco lento su un’isola della Senna” (66). I due papi seguenti, Giovanni XXII (1316-34) e Benedetto XII (1334-42), si distinsero per la persecuzione dei francescani spirituali, detti fraticelli, che accusavano di corruzione la chiesa e predicavano il ritorno alla povertà: decine furono mandati al rogo e arsi vivi dai due papi. Giovanni XXII fu anche autore della Super illius specula del 1326, che riconfermava la credenza nelle streghe e nei patti col diavolo, e associava la stregoneria all'eresia facendone materia di inquisizione, cioè di consegna al braccio secolare e di condanne al rogo, benché ancora episodiche.

A Clemente VI, che in un primo momento si appoggiò a Cola da Rienzo per il governo di Roma, poi lo imprigionò e lo condannò a morte (sentenza mai eseguita per i potenti appoggi di cui il tribuno godeva), succedette Innocenzo VI (1352-62) “particolarmente duro verso gli spirituali francescani; per suo ordine l'inquisizione mandò molti in prigione o al rogo” (67).



Guerre e roghi nel secondo Trecento

Anche quasi tutti i diciassette papi che gli succedettero nel basso medioevo e fino alla Riforma si macchiarono di esecuzioni capitali e di spedizioni militari. Urbano V (1362-70), nel tentativo di riportare il papato a Roma, piegò militarmente la resistenza di Perugia nel 1370, l'anno stesso in cui decise di rientrare in Francia e morì nel viaggio. Gregorio XI (1370-78), per sedare le rivolte, e spianare la strada al definitivo ritorno dei papi a Roma, lanciò l'interdetto a Firenze e assoldò 10.000 mercenari bretoni che attuarono una violenta repressione da Bologna in giù. Nel 1375 fu schiacciata una rivolta popolare a Perugia; nel 1377 il cardinale Robert, alla testa dei mercenari assoldati dal papa, per “dare una lezione” alla città massacrò quattromila cesenati, meritandosi il soprannome di boia di Cesena.

Fra conflitti e congiure trascorse il pontificato Urbano VI (1378-89), che nel 1385 fece imprigionare e trucidare i cardinali ritenuti responsabili di una congiura ai suoi danni. “Questa severità da monarca assoluto”, scrive il Rendina, “ma certo non propria di un vicario di Cristo… gli alienò l'appoggio di molti cardinali” (68).

Gli succedette Bonifacio IX (1389-1404) sotto il cui pontificato, nel 1391, furono bruciati a Siviglia in una sola notte 4.000 ebrei e nel 1393, in un giorno, 150 valdesi (69). Dopo di lui Innocenzo VII (1404-06) diede mano libera al nipote per assassinare 11 membri di una delegazione inviata dalla Chiesa d'Oriente per cercare di comporre lo scisma.

Sotto il pontificato di Gregorio XII furono condannate le dottrine di Giovanni Wicleff e del suo discepolo Giovanni Huss, mandato al rogo nel 1415 dal Concilio di Costanza, così come il suo seguace Girolamo da Praga. All'umanista Poggiolini si deve una toccante Lettera a Leonardo Bruni del maggio 1416 in cui, trovandosi a Costanza, descrive le condizioni di carcerazione e la morte sul rogo “da filosofo” di Girolamo da Praga. In modo naturalmente più drastico denunciava il carattere dell'inquisizione Huss stesso, che identifica gli inquisitori e i prelati del suo tempo con gli scribi e farisei che misero a morte Gesù: “I dottori secondo i quali chi è stato punito dalla chiesa e non vuole emendarsi deve essere consegnato al braccio secolare, di certo seguono in ciò i pontefici, gli scribi e i farisei, i quali, poiché Cristo non volle obbedire loro in ogni cosa, lo consegnarono al tribunale secolare, con le parole: Noi non possiamo uccidere alcuno; essi sono più omicidi di Pilato” (70). Ma non per caso la proposizione fu condannata come eretica da papa Martino V, subentrato a Gregorio XII, nello stesso Concilio di Costanza del 1415-18, alla XV sessione. Promotore di un crociata contro i turchi fu Eugenio IV, che gestì il tribolato concilio trasferito via via da Basilea a Roma a Firenze.



“Nicolò papa e assassino”

Gli succedette Niccolò V, che cominciò a accreditare l'idea, ribadita mezzo secolo dopo da Alessandro VI, dei papi come “proprietari” dell'orbe terraqueo, che “donano” ai principi cattolici. In particolare ai portoghesi, con la bolla Romanus pontifex del 1454, il papa donò l'Africa e il diritto di muovere guerra agli infedeli, distruggere i loro regni, deportarli schiavi in Europa.: “ricompenseremo con particolari favori e speciali privilegi”, scrive, “quei re e principi cattolici, di cui noi sappiamo per certo che come atleti e intemerati difensori della fede cristiana non solo rintuzzano la ferocia dei Saraceni…ma conquistano regni e territori… e li assoggettano al loro dominio temporale per la difesa e la grandezza della medesima fede”. E ancora: “abbiamo concesso con altre lettere nostre tra le altre cose, piena e completa facoltà al re Alfonso di invadere, ricercare, catturare, conquistare e soggiogare tutti i saraceni e qualsiasi pagano e gli altri nemici di Cristo, ovunque essi vivano, insieme ai loro regni, ducati, principati, signorie, possedimenti e qualsiasi bene, mobile ed immobile, che sia di loro proprietà, e di gettarli in schiavitù perpetua” (71).

L'anno prima di questa bolla, nel 1453, scoperta una congiura per farlo prigioniero e forse ucciderlo, Niccolò V aveva fatto arrestare tutti i congiurati: il capo, Porcari, fu processato per direttissima e condannato a morte insieme ai suoi complici Battista Sciarra e Angiolo Ronconi. “Il papa fu accusato di crudeltà e di essere un fedrifago”, scrive Rendina, “perché corse voce tra il popolo che, in un primo tempo, aveva promesso salva la vita allo Sciarra e al Ronconi, ma poi, ubriaco fradicio al momento dell'esecuzione, non fu in grado di firmare l'atto di grazia” (72). Iniziarono allora le pasquinate, che recitavano: “Da quando è Niccolò papa e assassino/abbonda a Roma il sangue e scarso è il vino” (73).

Dopo di lui, Calisto III alternò al più sfrontato nepotismo l'impegno di indurre i principi cristiani a organizzare una campagna militare contro i turchi, e lo stesso progetto coltivò l'umanista Enea Silvio Piccolomini (Pio II, 1458-64), divenuto papa dopo una giovinezza dissoluta. Promotore di una crociata contro i turchi fu il suo successore Paolo II (1464-71), che si impegnò anche per eliminare una famiglia a lui ostile.



Sisto IV e l'inquisizione spagnola

Papa di guerra fu Sisto IV (1471-84), la cui politica, mirante a creare uno stato per il nipote Girolamo Riario, fu connotata da guerre, consueti propositi di crociata contro i turchi, sanguinose congiure come quella dei Pazzi in cui morì Giuliano de' Medici e intrighi d'ogni genere.

Nel corso di una sua guerra contro Ferrara, essendo venuto ai ferri corti con i veneziani, il papa ordinò di farli schiavi, sotto pena di scomunica (74).

Sotto il suo pontificato, anche per effetto della predicazione violentemente antisemita di Bernardino da Feltre (santo), si scatenò nella provincia di Trento l'odio popolare contro la comunità ebraica, che fu accusata dell'omicidio rituale di Simone, un bambino trovato morto. 15 ebrei furono torturati per costringerli a confessare e giustiziati. Il papa stesso, che per verità in un primo momento aveva affidato una inchiesta a un suo sovrintendente, essendo poco convinto di quanto raccontavano le autorità ecclesiastiche locali, alla fine si arrese e lasciò perdere la sua inchiesta. Un secolo più tardi un altro papa Sisto, il quinto, dichiarerà Simone santo e martire.

A Sisto IV si deve l'istituzione nel 1478, nel regno di Castiglia, del primo tribunale della tristemente famosa inquisizione spagnola. Essa fu da principio diretta soprattutto contro i conversos, cioè gli ebrei convertiti al cristianesimo che, spesso a torto, solo perché attaccati alla loro cultura ebraica, erano accusati di essere ancora segretamente ebrei o “giudaizzanti”. La loro repressione fu feroce e colpì migliaia di persone dal 1480 al 1525, ossia anche dopo il decreto di espulsione degli ebrei dalla Spagna nel 1492. Molte furono le condanne a morte, in qualche caso motivate con le accuse di omicidi rituali di bambini cristiani, che saranno rivolte per tutta l'età moderna agli ebrei. L'asprezza della repressione è confermata anche dalle cerimonie di riconciliazione imposte ai giudaizzanti pentiti, come quella della domenica 12 febbraio 1486 in cui, come racconta il Bennassar, si riconciliarono 750 fra uomini e donne. “Gli uomini tutti insieme, scalzi e senza brache, e per il gran freddo che faceva si permise loro di mettere una suola sotto i piedi purché la parte superiore restasse nuda, tutti con un cero spento in mano...Le donne anch’esse in gruppo, senza sopraveste, con il viso scoperto, scalze come gli uomini, anch’esse con il loro cero” (75).

Nel XV secolo l'inquisitore Tomas de Torquemada condannò a morte oltre 10.000 eretici, o ritenuti tali.

In seguito l'inquisizione, che si protrasse fino all'inizio del XIX secolo, si diresse contro eretici cristiani e poi contro i moriscos, cioè gli arabi musulmani convertiti, rimasti in Spagna dopo la loro espulsione all'inizio del Seicento. Molte migliaia furono le vittime, anche se la distruzione di gran parte degli archivi impedisce un conto preciso. Fra i peggiori crimini dell’inquisizione sono da ricordare “"i quemaderos di Siviglia (quattro enormi forni circolari, ognuno dei quali ‘ospitava’ fino a 40 condannati, introdotti vivi e che richiedevano per essere ‘giustiziati’ 20-30 ore di supplizio: i forni funzionarono ininterrottamente per oltre tre secoli e vennero chiusi da Napoleone nel 1808” (76).

L'inquisizione estese inoltre la sua attenzione anche a reati comuni o alla sodomia ma, dopo i primi decenni, non fu più riconducibile in senso stretto al papato, poiché vi fu “una subordinazione piena del tribunale dell’inquisizione al potere monarchico, che trova in esso un’eccezionale e insostituibile strumento di controllo ‘poliziesco’ dei sudditi” (77). Nel 1568, ad esempio, l'inquisizione spagnola pronunciò la sentenza di morte per tre milioni di Olandesi che si erano ribellati alla Spagna e che ottennero poi l'indipendenza, e mise a morte 5-6.000 protestanti, annegati dalle truppe spagnole.



Tre secoli di caccia alle streghe

Nel 1484 salì al soglio pontificio Innocenzo VIII che dal 1487 al 1489 indisse una crociata contro i valdesi, già attaccati qualche anno prima da Carlo I di Savoia. Alla testa dell'impresa fu posto, con bolla pontificia e col titolo di commissario per la conversione dei valdesi, Alberto Cattaneo, che condusse una feroce repressione nelle vallate dell'Argentière e della Vallouise dove per la stessa configurazione della zona “con le valli chiuse e senza comunicazione”, racconta lo storico valdese Tourn, non c’era alcuna via di scampo. “Incendiati e distrutti i villaggi di fondo valle, si rifugiano nelle località più sperdute, nelle grotte ma vengono stanati e massacrati”. In una caverna, la “barme Chapelue”, “decine di donne e bambini vennero bruciati vivi. I pochi scampati si rifugiarono nelle vallate piemontesi o presso i fratelli dell'Italia centro meridionale” (78).

Poco prima, l'anno stesso dell'ascesa al pontificato, Innocenzo VIII aveva anche dato inizio con la bolla Summi desiderantes affectibus alla caccia alle streghe che durò per quasi tre secoli e provocò decine, forse centinaia, di migliaia di vittime. Processi e roghi si erano avuti già prima, come si è detto, verso la fine del XIII secolo, poi nel XIV (fra cui un processo in Piemonte a metà secolo, due donne messe a morte a Milano e una a Parigi nel 1390); e soprattutto nel XV (fra gli altri un processo con 100 torturati e poi arsi vivi a Sion nel 1420; la condanna di Giovanna d’Arco, bruciata come eretica e strega, oggi santa, nel 1431; tre condannati a morte e altri correi da loro denunciati all’inquisizione nel 1459 a Arras, ripetuti roghi di streghe a Como: 300 nel 1416, 60 nel 1484, ecc.). Ma la caccia crebbe in modo esponenziale con la bolla di Innocenzo VIII, secondo cui “in alcune regioni della Germania superiore come pure nelle province, città, terre, borgate e vescovadi di Magonza, Colonia, Treviri, Salisburgo e Brema, parecchie persone di ambo i sessi, immemori della propria salvezza e allontanandosi dalla fede cattolica, non temono di darsi carnalmente ai diavoli… di far deperire e morire la progenie delle donne e degli animali, le messi della terra, le uve delle vigne e i frutti degli alberi, inoltre uomini, donne, bestiame grande e piccolo e d'ogni sorta; e ancora vigneti, giardini, prati, pascoli, biade, cereali, legumi per mezzo di incantesimi, fatture, scongiuri ed altre esecrabili pratiche magiche, eccessi, crimini e delitti; di affliggere e tormentare gli stessi uomini, donne, bestie da soma, bestiame grande e piccolo e animali con crudeli dolori e tormenti interni ed esterni; di impedire agli uomini di generare, alle donne di concepire, e di rendere impossibile al marito e moglie di compiere il loro coniugale dovere”(79). Il papa dava quindi mandato a due domenicani, Enrico Insistoris e Giacomo Sprenger, di esercitare l'ufficio di inquisitori in quelle terre con pieni poteri di “procedere alla correzione, incarcerazione e punizione di quelle persone per gli eccessi e i crimini predetti, in tutto e per tutto… [invocando] ove fosse necessario, l'aiuto del braccio secolare” (80).

I due domenicani a loro volta, investiti dal papa di autorità e incoraggiati ad esercitarla “in tutto e per tutto”, tradussero nel Malleus maleficarum (81) le linee-guida della lotta contro la stregoneria ritenuta principalmente femminile. Il loro libro poté contare anche sull’esplicito riconoscimento dell’università di Colonia, che nel 1487 ne certificò la “conformità dottrinaria alla verità cattolica” e divenne il primo e il più influente del manuali consimili..La sua diffusione superò quella della Bibbia, la prima opera a stampa, apparsa appena trent’anni prima. “Ebbe tredici edizioni entro il 1520 il Malleus, e altre sedici fra il 1574 e il 1669. Venne tradotto, da latino che era, in tedesco, francese e italiano”, scrive Vanna De Angelis nel suo Il libro nero della caccia alle streghe e aggiunge che alla sua procedura si attennero tutti i giudici “sia nella caccia sia nella persecuzione della strega” (82). Col Malleus e altri manuali consimili come il Compendium maleficarum si diffusero anche credulità, superstizioni e l’odio, al limite del disturbo mentale, per la donna e per il sesso.

Dalla fine del XV secolo alla metà del Settecento si consumò una strage di cui è impossibile dire le dimensioni precise e che sporadicamente continuò anche dopo se si pensa che ancora nel 1828 fu trucidata a Cervarolo, paesino della Val Sesia, perché ritenuta una strega, Margherita Guglielmina, detta la “stria Gatina” (83).

Nonostante i tentativi degli apologeti cattolici di minimizzare i dati della persecuzione, le cifre parziali e certe bastano a dare le dimensioni impressionanti del fenomeno. Lo stesso testo L'Inquisizione, che raccoglie gli atti del convegno organizzato dal Vaticano nel 2004, parla di 3.000 streghe arse vive in soli dieci anni a inizio Cinquecento e di 100.000 processi di stregoneria nel Seicento, conclusi con 50.000 condanne al rogo. Un elenco esemplificativo e incompleto che si trova ne Il libro nero del cristianesimo già citato, registra centinaia di cittadini giustiziati a Mirandola nel 1522-23, 300 streghe bruciate a Como nel 1514 e una media di circa 100 all’anno negli anni successivi, di 400 bruciate in Linguadoca nel 1557, 100 condanne a morte nel 1565-1640 a Parigi; 21 nel 1571 a Genf, 400 nel 1577 a Bordeaux; 368 streghe nel 1587-93 a Treviri; 311 nella regione del Vaud in quegli stessi anni; 13 donne muoiono per le torture in Liguria a Triora nel 1585; una decina di streghe vengono giustiziate per diretto interessamento del cardinale Borromeo (santo) nel 1593 in Val Melsocina ecc. (84). Altri dati si trovano nel libro del Dechner Il gallo cantò ancora e sono relativi a alcune migliaia di vittime, specie nel Seicento in Germania (85). Spesso, come si documenta nel già citato Il libro nero della caccia alla streghe con verbali di interrogatorio reperiti negli archivi, le streghe erano torturate prima di essere uccise o arse vive. I dati come al solito sono forzatamente approssimativi: c’è chi parla di settantamila chi di trecentomila vittime, sempre senza contare quelle dei paesi protestanti.

Le persecuzioni furono costantemente accompagnate da bolle papali, che affermavano l'esistenza delle streghe e giustificavano la necessità di metterle a morte, a partire dalla Cum acceperimus di Alessandro VI del 1501, in cui si denunciavano i “sortilegi” e le “malie” che “distruggono uomini, bestie e campi”, ordinando di procedere più severamente contro i colpevoli, fino alla bolla di Leone X, la Honesti petentium votis del 1521 in cui il papa, nel rinnovare le consuete grottesche accuse contro le streghe che cercano “di uccidere i bambini”, affiancava ai vescovi locali, ritenuti troppo poco severi, “il venerabile fratello vescovo di Pola” per reprimere con maggiore severità gli “incorreggibili affidandoli al braccio secolare” o alla bolla Dudum di Adriano VI del 1523, in cui si spiega che streghe e stregoni “calpestano la santa croce” e “eletto il diavolo a loro signore” danneggiano “le bestie e i frutti della terra”, concludendo che vanno punite dall'inquisizione (86).

Nel 1585 Sisto V, con la bolla Coeli et terrae, reiterata nel 1631 da Urbano VIII con la bolla Inscrutabilis, estese la condanna agli astrologi (87), mentre Gregorio XV, con la Omnipotentis dei del 20 marzo 1623 “fissava la pena capitale per i responsabili di malefici mortali” (88).

Sono papi su cui avremo occasione di tornare in questa rapida storia dell'omicidio nella Chiesa, a cominciare da Alessandro VI (1492-1503), il dissoluto padre di Lucrezia Borgia e del Valentino, coinvolto in guerre, intrighi e omicidi anche privati.



Il papa autorizza la "conquista"


Proprio Alessandro VI, nella bolla Inter caetera del 1493, all’indomani della scoperta dell'America, assegnò a Spagna e Portogallo tutte le terre “trovate e ancora da trovare”, affermando ipocritamente, come già Niccolò V, che voleva così rispondere al desiderio dei principi cattolici di “guadagnare al culto del nostro Redentore e alla professione della fede cattolica i loro residenti”. Ma è soprattutto interessante che Alessandro VI giudichi questa assegnazione un “dono”. Così, in un modo che a dei cristiani dovrebbe sembrare blasfemo, l'immagine del “figlio dell'Uomo” che non ha un giaciglio dove posare il capo si rovescia in quella del papa che si proclama padrone di tutte le terre del mondo “scoperte e da scoprire”, “grazie all'autorità di Dio onnipotente conferitaci in san Pietro e della vicaria di Gesù Cristo” (89), al punto di poterne fare dono a questo o a quel re cattolico, infischiandosene dei legittimi proprietari, ossia dei loro abitanti.

Si stabilisce così quel diritto di evangelizzazione, che darà legittimità alla conquista e al genocidio, sanciti dal documento elaborato nel 1513 dai giuristi di corte spagnoli sulla falsariga della visione di Niccolò V e Alessandro VI, ossia il Requerimiento, scritto per essere letto ai nativi via via raggiunti dai conquistatori, al fine di spiegare loro perché dovevano sottomettersi al papa e ai re cattolici, pena gravi castighi: “Vi notifico e faccio sapere come meglio posso che Dio nostro Signore, uno ed eterno, creò il cielo e la terra e un uomo e una donna dei quali noi e voi e e tutti gli uomini del mondo furono e sono discendenti …. Ma per la moltitudine delle generazioni … fu necessario che alcuni uomni stessero da una parte e altri dall’altra e si dividessero tra molti regni e provincie…

“Dio nostro signore incaricò di tutte queste genti un solo uomo che fu chiamato San Pietro, perché fosse signore e superiore a tutti gli uomini del mondo, a cui tutti obbedissero e perché fosse capo di tutto il lignaggio umano ovunque gli uomini vivessero e si trovassero, e secondo qualunque legge, setta o credenza, e donò a lui tutto il mondo come suo regno, signoria e giurisdizione. E secondo il suo volere gli comandò di porre il suo trono a Roma, il luogo più adatto per reggere il mondo, ma permise di risiedere e regnare in qualunque altra parte del mondo e giudicare e governare tutte le genti, cristiani, mori, ebrei, pagani e di qualunque altra setta o credo. Ed egli fu chiamato Papa, che significa ammirabile, superiore, padre e protettore, poiché è padre e governatore di tutti gli uomini… e allo stesso modo tutti gli altri che dopo di lui furono eletti al pontificato; ed è così continuato fino ad oggi e continuerà fino alla fine del mondo….

“Per concludere vi prego e chiedo come meglio posso di comprendere bene quanto vi ho detto, di prendere tutto il tempo necessario per comprenderlo e deliberare al riguardo, e di riconoscere come signora suprema nell’universo mondo la Chiesa e il Sommo Pontefice, chiamato Papa, in suo nome, e il Re e la Regina come nostri signori in sua vece, sommi signori e reggenti di queste isole e terre, in virtù della suddetta donazione, e che consentiate e permettiate a questi padri religiosi di comunicarvi e predicarvi i suoi precetti….

“Se invece non accetterete o vi perderete in maliziose dilazioni, vi certifico che con l’aiuto di Dio scaricherò la mia potenza contro di voi e vi farò guerra in ogni luogo e maniera che mi sia possibile, e vi sottometterò al giogo e all’obbedienza della Chiesa e di Loro Altezze, e catturerò voi stessi e le vostre donne e figli e vi farò schiavi e come tali vi venderò; e disporrò di voi come Sua Altezza comandi, e prenderò i vostri beni, e vi causerò tutti i mali e i danni che potrò” (90).

Fra i primi a ridurre in servitù i nativi in nome dei re cattolici e della fede cristiana vi fu lo stesso Colombo, che tracciò la croce su tutte le isole in cui mise piede e attuò una durissima repressione soprattutto sull'isola Hispaniola, dove si parla di 50.000 vittime.

La ferocia del genocidio e le sue dimensioni (molti milioni di vittime) sono troppo note perché qui vi si insista, come sono noti i dissensi che sorsero fra gli stessi cattolici sul modo di procedere nella conquista, che tutti tuttavia in genere rivendicavano come diritto dei cristiani, compreso Bartolomeo de las Casas. Egli infatti si battè in difesa dei nativi americani ma, per alleviare il loro sfruttamento, suggerì di utilizzare mano d'opera importata dall'Africa, favorendo così la tratta degli schiavi… di cui pure furono responsabili molti paesi cattolici anche se non sempre la Chiesa (che in certi casi si oppose a fare schiavi gli indios, ma aveva poi nello Stato della Chiesa schiavi turchi).

Meno noto è forse un altro argomento a favore della conquista e poi del colonialismo, fatto proprio ancora nel Novecento dall'Osservatore Romano e da Pio XI, come vedremo oltre. Tale argomento fu proposto dal cattolico e santo Tommaso Moro ne L'Utopia del 1516: “se i coloni [di Utopia] incontrano una nazione che respinge le loro leggi scacciano i nativi dal loro territorio con la forza delle armi. Secondo i loro principi la guerra è giusta e ragionevole quando è mossa contro un popolo che possiede immensi terreni non coltivati mantenendoli in condizioni di abbandono, soprattutto se questo popolo impedisce a coloro che giungono di lavorare la terra e trovarvi sostentamento secondo il diritto naturale” (91).

Curiosamente il diritto naturale, che di solito viene invocato per difendere la proprietà privata dei ricchi dagli attacchi degli operai, è qui invocato invece per giustificare l'espropriazione con le armi dei nativi, da parte dei "poveri" europei che ne hanno bisogno per sfamarsi.

continua...






“Non esiste delitto, inganno, trucco, imbroglio e vizio che non vivano della loro segretezza. Portate alla luce del giorno questi segreti, descriveteli, rendeteli ridicoli agli occhi di tutti e prima o poi la pubblica opinione li getterà via. La sola divulgazione di per sè non è forse sufficiente, ma è l'unico mezzo senza il quale falliscono tutti gli altri”.
Joseph Pulitzer (1847-1911), Fondatore Premio Pulitzer