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Childfree: senza figli per libera scelta

Ultimo Aggiornamento: 13/07/2012 14:36
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Le ragioni di coloro che hanno deciso di non mettere al mondo altri esseri viventi, resistendo alle critiche e alle pressioni

Ragione e Pregiudizio

Le ragioni di coloro che hanno deciso di non mettere al mondo altri esseri viventi, resistendo alle critiche e alle pressioni di quanti li giudicano "anormali".


giovedì 12 luglio 2012 03:01


Childfree: senza figli per libera scelta

Non vogliono figli e non si vergognano di dirlo. Donne e coppie che rifiutano la genitorialità. Sono i childfree, senza figli per scelta, e ci tengono a ribadire la loro differenza rispetto ai childless, che invece sarebbero voluti diventare genitori e non hanno potuto. In Usa e in Gran Bretagna sono già da tempo ben organizzati in gruppi e associazioni e ora iniziano a farsi sentire anche in Italia, pur con tutto il ritardo dovuto alla mentalità particolarmente tradizionalista del nostro Paese. È nato un gruppo su Facebook e l'argomento è affrontato sempre più spesso sia dai media che sui social network.
Perché non vogliono figli? Semplicemente, preferiscono altro: lavoro, carriera, viaggi, interessi culturali, rapporto esclusivo con il partner, libertà. E gli altri, i parenti, i genitori, gli amici con figli, cosa dicono di loro? Che sono egoisti, immaturi, vigliacchi, malati. E soprattutto, la frase ripetuta mille volte, che non sanno cosa si perdono. Sarà davvero così, o forse c'è qualcosa di più profondo? E che cosa rivendicano i childfree da parte della società? Proviamo ad ascoltare le testimonianze di alcuni di loro.

Radici lontane, radicate nell'infanzia, ha il pensiero di Sara, 30 anni, traduttrice: «Non penso ci sia mai stato un periodo della mia vita, neppure da ragazzina, in cui abbia fantasticato concretamente su una futura maternità. Le mie amichette si confidavano, dicendo "da grande avrò quattro figli, due maschi e due femmine", ma personalmente non ricordo di aver mai partecipato attivamente e con particolare entusiasmo a quel tipo di previsioni. Non ho niente contro i bambini, sempre che non siano (mal)educati da genitori irrispettosi e incivili, caso in cui non nascondo il mio disappunto in nome di quella presunta intoccabilità dei bambini che vige nella nostra cultura. Semplicemente non ne desidero. Non ho intenzione di investire le mie risorse mentali, emotive, fisiche ed economiche nella riproduzione e nell'educazione della prole».
«Ho sempre chiarito al mio partner - continua Sara - che la possibilità fisiologica di essere fecondata non costituisce per me alcun obbligo morale. Non credo affatto che sia necessario completare la famiglia con la scelta di procreare: chi si ama ed è felice costituisce, ai miei occhi, la famiglia perfetta. Voglio potermi dedicare non solo a coltivare il mio equilibrio personale, senza la responsabilità irreversibile di una persona che dipende interamente da me, ma anche al mio lavoro, alle mie letture, alla frequentazione dei miei amici, all'esplorazione delle meraviglie che il nostro pianeta ha da offrire, alla relazione con gli amici animali che a breve accoglieremo nella nostra famiglia. A fianco del mio compagno, mi attendo quieti decenni di intimità a due, ma cadenzati anche da silenzi ristoratori e da rigenerante solitudine. Anche di ciò non potrei né vorrei mai fare a meno».

Altrettanto decisa è Gina, 46 anni, impiegata: «Non sono mai stata attratta dai bambini piccoli, neppure quando ero bambina io stessa. I neonati non mi hanno mai suscitato tenerezza. Non mi è mai piaciuto giocare alla piccola casalinga, non ho mai provato altro che fastidio quando qualche amichetta giocava a fare la mamma col fratellino neonato. Crescendo, mi sono resa conto che sognavo, sì, il grande amore, ma nel mio quadro di fantasia non appariva mai una culla. Diventata donna, la consapevolezza di essere "diversa" è aumentata, al punto di dover lasciare un ragazzo che amavo perché incompatibili sull'argomento figli: lui ne voleva, io no. Mi sono sentita dire che sono egoista, che non ero innamorata, altrimenti non avrei desiderato altro che formare una famiglia, mi sono sentita in colpa per anni per questa mia "diversità"».
«Col passare del tempo - prosegue Gina - la mia insofferenza nei confronti dei bambini molto piccoli è aumentata, fino ad arrivare, adesso che ho 46 anni, a provare un senso fisico di rifiuto alla sola idea di una gravidanza, di un essere che mi cresce dentro, che si appropria di me e del mio corpo. E ho di nuovo dovuto chiudere una relazione, con un uomo che amavo tantissimo, per lo stesso motivo. Ma almeno ho smesso di sentirmi in colpa. Se fossi lesbica avreste un bel da dirmi che Brad Pitt è bellissimo, ma io non avrei occhi che per Angelina Jolie. Vedo il mio rifiuto della maternità allo stesso modo: sono nata così e non posso adeguarmi a una vita che sento non appartenermi, mi è estranea al punto che pago in prima persona questo mio rifiuto, che non è dato dalla paura delle smagliature: è differente, è qualcosa di più intimo, una negazione che viene da mente, emozione e corpo».

Una posizione più moderata è quella assunta da Sandra, 24 anni, studentessa, che rifiuta la maternità biologica ed è sensibile al problema della sovrappopolazione, ma considera l'eventualità di adottare un bambino: «Ci sono tanti motivi per cui, al momento, non desidero figli. Cerco di sensibilizzare le persone intorno a me, ma mi rendo conto che l'argomento è molto spinoso e finisce che le persone si sentono scosse o offese. Prima di tutto, secondo me, non ci si rende conto che la sovrappopolazione è un problema reale. A questo proposito ho sempre avuto una sorta di avversione per le coppie che optano per la fecondazione assistita, perché così "il figlio è proprio il nostro"».
«Sono dell'idea - sostiene sempre Sandra - che nel momento in cui si decide di prendersi cura di una nuova persona, non potendo biologicamente metterla al mondo, perché non adottare un bambino? È dare un'opportunità a una vita, esattamente come una nascita. Credo che, se un domani dovessi cambiare idea, sarebbe solo per un'adozione. La gravidanza è uno stato che invece proprio non sento mio. Non comprendo le gioie di uno stato fisico che è molto delicato, che dura quasi un anno e che termina con uno dei dolori più famigerati della storia. Mi spaventa molto la depressione post-parto, che purtroppo ho visto in donne a me vicine. Credo che molte madri non si rendano conto che ciò che viene partorito non è "il loro bambino", ma un nuovo individuo!».

Rosaria, 45 anni, imprenditrice, ha una figlia, ma non rinnega il suo passato di childfree. «Fin da bambina ho sempre guardato con sospetto al modo in cui gli adulti si rapportavano all'infanzia, come a un mondo a parte, da ignorare o da blandire ipocritamente con bugie e stupidaggini. Detestavo che gli adulti ci considerassero tutti uguali, tutti buoni, tutti ingenui, tutti idioti, senza una nostra personalità. E soprattutto detestavo l'idea che il mio destino fosse già segnato dalla nascita, che non importava quanto fossi intelligente o responsabile, sarei diventata "una mamma", esattamente come la bambina accanto a me che non sapeva leggere».
Secondo Rosaria, «con gli anni, il disprezzo per la maternità come indispensabile coronamento dell'esistenza di ogni donna e per l'esaltazione della procreazione non ha fatto che crescere in me sempre più. Non mi sono mai sentita inferiore alle donne che avevano figli e, anche quando alla fine ne ho avuta una, che amo e accudisco con cura, non ho sentito niente di unico, di irripetibile, di magico. Non sono orgogliosa della maternità; non mi ha reso migliore, certo non più felice. Non è una benedizione, non è un lavoro, non è una missione: è un evento biologico che comporta conseguenze e che possiamo gestire meglio o peggio, ma che certo non può completarci come persone. Chi ha bisogno di un'altra persona per sentirsi completo, di fatto, non la ama, la usa».

È interessante anche il parere di un uomo, Giovanni, 42 anni, fotografo: «Più passa il tempo, più sono certo di non volere figli e sono felice di aver trovato una compagna che la pensa come me: è davvero raro. Stavo iniziando a odiare le donne. Ho sempre temuto quelle che ti ingannano: ti dicono che prendono la pillola e poi fanno di tutto per incastrarti, perché in nome della maternità tutto è lecito, oppure quelle che si imbarcano nella ricerca di gravidanze tardive, costringendo i compagni a tabelle di marcia del sesso che tolgono ogni piacere e spontaneità.
Giovanni prosegue così: «Vedo le mogli dei miei amici con figli, a parte poche eccezioni, tutte concentrate sui pargoli, mentre il marito quasi non esiste più, se non come bancomat. Mi sembra che anche la coppia ne risenta in negativo. Non mi interessa trasmettere i miei geni, non ci vedo alcuna immortalità: preferisco dedicarmi completamente alla mia compagna; già il lavoro è impegnativo per entrambi e ci appassiona, ma tutto il tempo che rimane deve essere nostro. Chi ha figli rivendica che pagheranno la pensione anche a chi non ne ha. Ma anche noi paghiamo istruzione e sanità ai figli degli altri. Un po' di solidarietà reciproca in questo senso non guasterebbe».

Infine Valeria, 38 anni, giornalista, ritiene che non desiderare la maternità non sia affatto contro natura, come molti vogliono far credere: «Viviamo nel modo meno naturale che si possa immaginare, distruggiamo ogni giorno il nostro ecosistema, eppure, quando si parla di maternità, tutti iniziano a invocare la natura. La natura, come prevede gli omosessuali, per cui ho sempre provato, fin da ragazzina, un'istintiva solidarietà, prevede anche i childfree. È provato che in ogni gruppo sociale, dalle tribù in poi, circa un 15-20% della popolazione rimane senza figli, per varie ragioni: sterilità fisica o mancata predisposizione psicologica. Ciò è spiegabile anche in termini evolutivi: è necessario che un certo numero di persone, libere dai doveri dell'accudimento, si dedichino completamente ad "altro"».
Secondo Valeria, «chi è sterile, ma ha desiderio di maternità, potrà accudire bambini orfani, gli altri si dedicheranno completamente ad attività che esulano dalla riproduzione: lavoro, ricerca scientifica, progresso, arte, pensiero. Ciò che provano i childfree, e che li spinge ad avanzare le loro rivendicazioni, ha un nome: stress da minoranza. La società non capisce e giudica duramente chi fa questa scelta, specie le donne, per cui essere madre è ancora visto come un passaggio obbligato. Trovarsi di fronte il 90% delle persone che ti dice che sei anormale non è facile. Specie quando il 90% delle persone parla per ignoranza e preconcetti. La maternità è una scelta, non un destino».

Viviana Viviani, LucidaMente

Original Article >> http://cronachelaiche.globalist.it/Detail_News_Display?ID=29612&typeb=0




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