Alla vigilia dei suoi 80 anni, il cardinale Carlo Maria Martini, tra le voci più autorevoli del mondo cattolico, riflettendo sulla vita e la malattia riapre il dibattito politico aperto dal caso Welby. E, col suo intervento pubblicato sul Sole 24 Ore, da malato parkinsoniano che abbisogna di continue cure e terapie per «reggere alla fatica quotidiana e per prevenire malanni debilitanti», affronta compiutamente gli interrogativi sul terreno chiarendo che l’eutanasia non va confusa col rifiuto dell’accanimento terapeutico ma che, tuttavia, c’è l’esigenza di elaborare norme che consentano di respingere le cure, anche se per stabilire se un intervento medico è appropriato «non ci sono regole generali e non può essere trascurata la volontà del malato». Di casi come quello di Piergiorgio Welby che «con lucidità ha chiesto la sospensione delle terapie di sostegno respiratorio» per porre fine alla sua vita saranno «sempre più frequenti» e, di conseguenza, «la Chiesa stessa dovrà darvi più attenta considerazione pastorale», sottolinea il cardinale che invita implicitamente il mondo politico a «elaborare» una norma ma senza «che questo implichi in alcun modo la legalizzazione dell’eutanasia». Ma evitando l’accanimento terapeutico «non si vuole procurare la morte: si accetta di non poterla impedire», dice Martini. […] Una legge in materia, riconosce Martini, è un’«impresa difficile, ma non impossibile». Il gesuita indica come possibile soluzione il modello francese. Oltralpe si è trovato un equilibrio se non perfetto, almeno capace di realizzare un sufficiente consenso in una società pluralista. La legge a cui fa riferimento Martini è stata approvata due anni fa, non legalizza l’eutanasia ma prevede che le cure mediche non debbano essere protratte «con ostinazione irragionevole». […]
www.uaar.it/news/2007/01/22/martini-bisogna-accettare-non-poter-impedire-morte/#...
“Non esiste delitto, inganno, trucco, imbroglio e vizio che non vivano della loro segretezza. Portate alla luce del giorno questi segreti, descriveteli, rendeteli ridicoli agli occhi di tutti e prima o poi la pubblica opinione li getterà via. La sola divulgazione di per sè non è forse sufficiente, ma è l'unico mezzo senza il quale falliscono tutti gli altri”.
Joseph Pulitzer (1847-1911), Fondatore Premio Pulitzer