È soltanto un Pokémon con le armi o è un qualcosa di più? Vieni a parlarne su Award & Oscar!
Nuova Discussione
Rispondi
 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Stampa | Notifica email    
Autore

Una straordinaria esperienza medica

Ultimo Aggiornamento: 05/09/2007 17:33
05/09/2007 17:33
 
Quota

E' un po' lungo ma vale la pena di leggere,perche' e' entusiasmante!

da espresso.repubblica.it/dettaglio/Ritorno-dallaldila/17...

Bill Bondar era clinicamente morto. Restava solo l'attività cerebrale. Lo hanno raffreddato. Ed è risorto. Ecco come

Bill Bondar sa esattamente dove è morto: sul marciapiede antistante la sua casa in una comunità di pensionati nella regione meridionale del New Jersey. Erano le 22,30 di sera del 23 maggio, un mercoledì, e Bondar aveva 61 anni. Era un programmatore informatico in pensione che amava suonare il basso. Era alto 1,83, pesava 104 chili e nel corso degli ultimi anni era calato di 25. Quella sera era appena tornato a casa da una jam session con due suoi amici e all'improvviso, mentre scaricava la macchina, il suo cuore si è fermato. Non era ancora in morte cerebrale, che implica l'interruzione permanente delle funzioni cerebrali, né nella morte legale, quella dopo la quale si è pronti per il cimitero. Era tuttavia morto abbastanza da spaventare sua moglie Monica, che qualche istante dopo lo ha trovato a terra privo di conoscenza, senza respiro, senza polso. I suoi occhi erano aperti, ma "vitrei come due biglie", dice Monica: "Senza più vita. Erano gli occhi di un morto".

Sappiamo che cosa è accaduto a Bondar. Il suo medico, Edward Gerstenfeld dell'ospedale dell'Università della Pennsylvania, in seguito ha accertato che la sua arteria sinistra anteriore discendente era occlusa al 99 per cento da una placca che lasciava libero un passaggio non più grande di un capello. Un'occlusione di tal fatta in quell'arteria, la più grande tra quelle che alimentano il cuore, è soprannominata dai cardiologi la crea-vedove. Un minuscolo coagulo incastratosi in quel punto ha generato una breve alterazione del ritmo cardiaco, nota come fibrillazione, prima di fermarlo del tutto. Nel giro di una ventina di secondi, i 100 miliardi di neuroni del cervello di Bondar hanno esaurito tutto l'ossigeno residuo disponibile, interrompendo gli incessanti scambi di cariche elettriche che noi sperimentiamo come stato di coscienza. Il suo respiro si è arrestato non appena egli è entrato in uno stato di quiescenza più profondo del sonno.


Ogni giorno, migliaia di volte in una stessa giornata, il cuore di qualcuno smette di battere. Per un infarto, un coagulo che occlude un'arteria coronaria, o una moltitudine di altre situazioni, difetti congeniti, un'anomala composizione chimica del sangue, uno stress emotivo, uno sforzo fisico. Senza un'opportuna rianimazione cardiovascolare, la finestra per la sopravvivenza si chiude in cinque minuti circa.
Da quanto tempo non leggete un articolo sull'infarto nel quale non si parli di grassi saturi? La nostra epoca è ossessionata dalla salute, ma quando questa viene meno, l'ultimo baluardo di difesa si trova soltanto nelle sale del pronto soccorso, dove i medici pattugliano il confine tra la vita e la morte, un confine che ormai considerano labile, sempre meno precisamente delineato, sempre più elastico.

Questa è invece la storia di ciò che accade quando il cuore si arresta. È la storia delle nuove ricerche sulle cellule cerebrali, su come muoiono, su come qualcosa di così semplice, come abbassare la temperatura corporea, può servire a mantenerle in vita. Questa ricerca potrà alla fine salvare fino a 100 mila vite ogni anno. Ma inizia con la sfida a qualcosa che i dottori hanno imparato quando ancora frequentavano la facoltà di medicina: dopo cinque minuti senza battito, il cervello inizia a morire, seguito subito dopo dal muscolo cardiaco, i due organi più voraci e consumatori di ossigeno del nostro corpo, vittime del loro stesso appetito. Ma la mancanza di ossigeno è soltanto l'inizio di una reazione a cascata, dentro e fuori le cellule, che può aver luogo nelle ore, e perfino nei giorni, immediatamente seguenti. Morire diventa pertanto un processo complicato. Chissà come Bondar ha trovato una via di uscita.

Monica ha cercato immediatamente di ricordare quanto aveva appreso in un corso di rianimazione cardiovascolare frequentato qualche decina di anni prima. Si è chinata sul marito e ha iniziato a esercitare pressioni sul suo torace. Poi è corsa in casa a chiamare il numero delle emergenze, il 911, e al centralinista ha gridato con voce affannosa: "Mio marito sta morendo!". La stazione di polizia di West Deptford è situata ad appena tre isolati di distanza e nel giro di due minuti dalla telefonata, tre agenti sono arrivati con un defibrillatore. Hanno sistemato le ventose sul petto di Bondar e gli hanno dato due scosse elettriche, ripristinando il battito cardiaco. Immediatamente dopo sono arrivati i paramedici, lo hanno attaccato a una bombola di ossigeno e lo hanno portato in un ospedale degli immediati dintorni. Da lì a un'ora Bondar era 'in condizioni stabili'. Il battito cardiaco e la pressione del sangue erano tornati vicini alla norma. Ma era ancora in coma. È stato a quel punto che
Monica ha preso la decisione che può avergli salvato la vita: ha chiesto che suo marito fosse trasportato al Penn, il più importante ospedale universitario della regione, situato a 15 miglia di distanza.

Lance Becker, direttore del Centro di scienze della rianimazione del Penn, ha in mente da tempo i mitocondri, le strutture tubolari situate all'interno delle cellule che racchiudono le membrane nelle quali l'ossigeno e il glucosio si combinano per produrre l'energia che il corpo utilizza per muovere qualsiasi cosa, dalle molecole attraverso le membrane cellulari fino ai bilancieri. Becker crede che siano proprio i mitocondri l'elemento chiave che gli consentirà un giorno di triplicare il tempo massimo durante il quale un essere umano può rimanere privo di battito cardiaco ed essere rianimato senza problemi. Che la soglia dei cinque minuti non sia assoluta è noto da tempo, e tutte le eccezioni paiono avere a che fare con le basse temperature. Bambini caduti in acqua gelida, per esempio, sono sopravvissuti per un tempo inaspettatamente lungo, e Becker spera di poter utilizzare proprio questo effetto ipotermico per salvare tante vite. Cinque minuti senza ossigeno sono effettivamente un lasso di tempo fatale per le cellule cerebrali, ma la morte può subentrare ore o perfino giorni dopo. I medici da tempo sanno che le conseguenze di un'ischemia si palesano soltanto col passare del tempo. "Nella metà dei casi di arresto cardiaco, riusciamo a far ripartire il cuore, ad avere una buona pressione sanguigna e ogni cosa che funziona a dovere". dice Terry Vanden Hoek, direttore del Centro di rianimazione d'urgenza dell'Università di Chicago: "E ciò nonostante nel giro di poche ore la situazione precipita e il paziente muore".

Capire perché e come ciò accada, tuttavia, ha richiesto tempo.Robert Neumar, un giovane e brillante neuroscienziato, ha simulato l'arresto cardiaco nei topi, poi li ha rianimati, quindi a intervalli regolari ha esaminato in che condizioni si trovano i neuroni. E ha scoperto che erano del tutto normali fino a 24 ore dopo l'ischemia. Nelle 24 ore ancora successive, invece, subentrava qualcosa di inspiegato e iniziavano a deteriorarsi. Alle stesse conclusioni è giunto James R. Brorson dell'Università di Chicago che ha svolto ricerche sulle cellule neurali cresciute in laboratorio: se le si priva di ossigeno per cinque minuti, o anche più a lungo, non accade nulla.

La morte cellulare non è un evento, bensì un processo, e in linea di principio qualsiasi processo può essere interrotto. Tale processo pare avere inizio nei mitocondri, che controllano il meccanismo di autodistruzione cellulare noto con il termine di apoptosi. L'apoptosi è un'operazione naturale che serve a distruggere ed eliminare le cellule che non sono più necessarie o che sono state danneggiate. Le cellule tumorali, che altrimenti potrebbero essere eliminate dall'apoptosi, sopravvivono disattivando i loro mitocondri e i ricercatori stanno studiando in che modo riattivare questi ultimi. Becker, invece, sta facendo esattamente il contrario: cerca di evitare che le cellule colpite da anossia commettano, per così dire, un vero suicidio.

Fino a poco tempo fa era opinione comune che l'apoptosi non potesse, una volta iniziata, essere arrestata. Essa comporta una sequenza alquanto complessa di reazioni a catena, tra le quali infiammazione, ossidazione, cedimento della membrana cellulare, nessuna delle quali pare rispondere alle terapie tradizionali. Becker considera la morte cellulare in caso di arresto cardiaco come un processo in due fasi, che inizia con la privazione di ossigeno che predispone le cellule all'apoptosi. Quando poi il cuore riparte e il paziente riceve ossigeno in abbondanza nei polmoni, si innesca quello che è detto danno da riperfusione. In pratica, ciò che è necessario a salvare la vita del paziente finisce col porvi fine, pregiudicandone la sopravvivenza o uccidendolo del tutto.

I ricercatori hanno rovistato in tutto il loro arsenale di farmaci alla ricerca di un modo efficace per interrompere questa reazione a catena. Nel corso degli anni hanno sperimentato varie tecniche su circa 100 mila pazienti in tutto il mondo. Nessuna però ha dimostrato beneficio alcuno, secondo quanto ha dichiarato
Michael Lincoff, direttore della Ricerca cardiovascolare alla Cleveland Clinic. Una cosa sola è parsa funzionare, qualcosa di talmente ovvio e low-tech che i medici stentano ad accettarla: l'ipotermia, l'abbassamento della temperatura corporea provocato di proposito, fino a raggiungere una temperatura di 33 gradi. La ricerca condotta da una équipe europea nel 2002 ha permesso di constatare risultati positivi nel corso di uno studio su svariate centinaia di pazienti in arresto cardiaco: quelli il cui corpo era stato raffreddato hanno avuto un tasso di sopravvivenza maggiore e un danno cerebrale minore rispetto a un gruppo di controllo.

La prima importante conferenza internazionale sul raffreddamento corporeo si è svolta in Colorado nel febbraio scorso. Nonostante gli studi favorevoli e il fatto che tali tecniche abbiano ricevuto l'avallo dell'Associazione americana di cardiologia, "la gente stenta a credere che qualcosa di così semplice come il raffreddamento possa fare davvero una grande differenza", ha detto l'organizzatore della conferenza, Daniel Herr del Washington Hospital Center di Washington. I due più importanti produttori di apparecchiature per l'ipotermia, Medivance Inc. e Gaymar Industries, dicono che soltanto 225 ospedali sugli oltre 5.700 presenti negli Stati Uniti hanno installato i macchinari necessari. Lo scetticismo dei più è dovuto al fatto che nessuno capisce molto bene come funzioni. "In breve: non sappiamo ancora perché funziona", ha detto il neuroscienziato della Penn Robert Neumar.

Il Centro di rianimazione di Becker coordina con il reparto di pronto soccorso un protocollo per raffreddare i pazienti in arresto cardiaco. Dal 2005 a oggi soltanto 14 pazienti hanno soddisfatto i criteri necessari per esservi sottoposti: otto di loro sono sopravvissuti, sei dei quali con un recupero completo. Nessuno però sa quanti altri pazienti siano stati trattati nel resto del paese.
Bondar è arrivato al Penn all'1.30 di notte circa, ancora in coma. Una volta presa la decisione di raffreddarne il corpo, l'équipe di medici gli ha somministrato in endovena una soluzione salina fredda - due litri a circa 4 gradi Celsius - e lo ha avvolto in una ragnatela di tubi pieni di acqua fredda. Becker è dell'idea che raffreddare il corpo dei pazienti ancora prima (l'ideale sarebbe mentre raggiungono l'ospedale in ambulanza) avrebbe un'efficacia anche superiore. Parte del lavoro di ricerca del suo laboratorio consiste nel mettere a punto una miscela a base di soluzione salina e ghiaccio che possa essere iniettata da un paramedico. Bondar è stato mantenuto in ipotermia a circa 33 gradi Celsius per quasi un giorno intero, poi è stato lentamente riportato alla temperatura normale. È rimasto stabile, ma senza reazione, nei tre giorni successivi.

Il primo giugno, nove giorni dopo essere morto, Bill è tornato a casa. Gerstenfeld gli ha impiantato un defibrillatore, gli ha ripulito l'arteria bloccata e gli ha inserito uno stent per mantenerla aperta. "È perfettamente a posto", ha detto: "Era morto, anche se solo per qualche minuto. In realtà, avrebbe potuto andare molto peggio: avrebbe potuto essere morto-morto".

hanno collaborato Matthew Philips, John Raymond e Julie Scelfo
2007, 'Newsweek' - 'L'espresso'
traduzione di Anna Bissanti
(04 settembre 2007)

Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Risposta Veloce
Nick  
Titolo
Messaggio
Smiles
Copia il codice di controllo qui sotto





Nuova Discussione
Rispondi

Feed | Forum | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 21:15. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com