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Ateismo è libertà

Ultimo Aggiornamento: 17/01/2008 22:50
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Tesina pluridisciplinare a cura di
Leandro Alfieri
I.I.S.S. Q. Cataudella - 5^ B Sezione Scientifica - A.S. 2006/07

Ateismo è Libertà

In me l'ateismo non è né una conseguenza, né tanto meno un fatto nuovo: esiste in me per istinto. Sono troppo curioso, troppo incredulo, troppo insolente per accontentarmi di una risposta così grossolana. Dio è una risposta grossolana, un'indelicatezza verso noi pensatori; anzi, addirittura, non è altro che un grossolano divieto contro di noi: non dovete pensare.
Friedrich Nietzsche

Indice

1. Prefazione: “L’ateismo secondo me: riflessioni personali” – Pag. 3
2. Letteratura Italiana: “Giacomo Leopardi tra pessimismo e ateismo” – Pag. 10
3. Filosofia: “L’ateismo per Schopenhauer, Feuerbach e Marx” – Pagg. 14, 16, 19
4. Storia: “La scristianizzazione durante la Rivoluzione Russa” – Pag. 21
5. English Literature: Percy Shelley – Pag. 23
6. Fonti e Bibliografia – Pag. 27

L’ateismo secondo me: riflessioni personali

Prefazione

Prima di iniziare volevo, se mi è concesso, fare una piccola premessa, esponendo i motivi che mi hanno spinto a scegliere l’argomento che tratterò nella mia tesina. L’argomento è l’ateismo. Ormai da qualche anno sono approdato a delle convinzioni riguardo la religione che spesso mi hanno messo in difficoltà nel rapportarmi con gli altri. Molte volte le discussioni affrontate sia con i miei coetanei, sia con i professori, hanno trasceso la conversazione amichevole, trasformandosi in dibattiti accesissimi in cui ognuno cerca di difendere ad ogni costo le proprie convinzioni. E in fin dei conti questo mi è servito per sviluppare sensibilmente le mie capacità critiche e il mio modo di esprimermi, per imparare a rispettare le idee degli altri, per imparare a capire, io per primo, quello che voglio e che voglio dire, per poi saperlo esporre.

L’argomento che tratterò è abbastanza delicato. La religione è un ambito in cui l’oggettività è minima, se non inesistente. Si basa tutto su pensieri, soggezioni, emozioni, convinzioni personali di difficile esternazione da parte del soggetto e comprensione da parte del destinatario. Ho scelto questa tematica perché attualmente è quella che, anche nell’ambito privato, mi coinvolge maggiormente. E il merito è sicuramente della società in cui viviamo. Come per un'altra persona può essere la politica, per un’altra la musica, per me è un dovere morale dimostrare il lato deleterio di tutte le religioni. Dimostrare che la Chiesa è un’istituzione come tante altre, che non ha nulla di sacro, che, anzi, sfrutta il ruolo primario attualmente ricoperto per ingrassare i suoi conti in banca, per rinnovare gli imponenti edifici religiosi (altro che S. Francesco e preti mendicanti) e per coprire evidenti accuse mosse nei propri confronti considerando quest’ultime come denigranti calunnie prive di fondamento, nonostante siano forti di prove e testimonianze dirette (si veda il recente caso dei preti pedofili). Dimostrare che il fanatismo è un male per la società; simbolo per eccellenza del fanatismo è l’Islam, che prevede la condanna a morte per chi nega l’esistenza di un qualunque dio, a maggior ragione di Allah. Dimostrare che è disonesto inculcare una religione ad un bambino che in quanto tale non può difendersi, crescendo esattamente come vogliono i genitori e non come egli stesso sceglie di vivere. Il battesimo è l’esempio perfetto. A pochi mesi dalla nascita vieni consacrato ad una religione, senza neanche capire cosa stia succedendo. A mio parere è una scelta personalissima, e nessuno può arrogarsi il diritto di fare questa scelta per un’altra persona, neanche i genitori stessi. Dimostrare la libertà che vi è nell’ateismo. In questa battaglia sono pressoché solo. I pochi che vorrebbero veramente appoggiarmi temono le conseguenze di questa scelta (ecco l’influenza e lo strapotere della Chiesa sulla società). Alcuni mi prendono per pazzo (se mi va bene), altri mi deridono (compreso un mio professore, pronto a scommettere che alla fine il Signore mi illuminerà). In pochi vogliono sentire veramente ciò che ho da dire. Proprio per questo motivo ho scelto di parlare di ateismo agli Esami di Stato. Quantomeno so che c’è qualcuno pagato per ascoltarmi.

A dir la verità l’idea che ho io di ateismo, di Dio e di religione non è chiarissima nemmeno a me stesso. E se magari qualcuno si aspetta da me la dimostrazione dell’inesistenza di Dio, allora si sbaglia di grosso. Devono essere i religiosi a dimostrarmi il contrario, che c’è il loro Dio. Nessuno finora è riuscito a dimostrare l’inesistenza di Dio, come d’altronde, nessuno ne ha dimostrato l’esistenza (non consideriamo le argomentazioni ontologiche perché, a mio parere, prive di senso: è inconcepibile asserire che Dio esiste solo perché si riesce a pensarlo; Io penso Dio perché la società in cui vivo mi ha imposto la sua immagine: Un anziano signore seduto su una nuvoletta che mi guarda dall’alto e aspetta che muoia per potermi giudicare. E, sempre contro le argomentazioni di Anselmo, si potrebbe anche eccepire: esistono forse tanti dei quanti sono coloro che ne pensano uno?).

Dimostrare che Dio esiste o non esiste è, a mio parere, qualcosa al di fuori della portata del’uomo. L’esistenza o l’inesistenza di Dio sta dentro ognuno di noi. In ogni caso io rifiuto di essere definito secondo la contrapposizione «Dio esiste / Dio non esiste». Affermo semplicemente di possedere una visione naturalistica del mondo, che rifiuta tutti gli approcci mistici o sovrannaturali, relegandoli all'ambito della superstizione e delle credenze. In parole povere non credo in Dio per lo stesso motivo per cui non credo a Babbo Natale o alla Befana. Io non mi domando se Dio c’è. Per quello che mi riguarda sono già sicuro della risposta. Ciò che io mi chiedo è invece: Cosa ha spinto l’uomo a creare Dio? A questo quesito molti filosofi hanno dato la loro risposta. Per esempio, Schopenhauer crede che Dio sia stato creato dagli uomini per “mascherare” la crudele verità sul mondo («la vita è come un pendolo che oscilla incessantemente tra la noia e il dolore attraversando l’intervallo fugace, e per di più illusorio, del piacere e della gioia»).

Anche Nietzsche......

(1 - Friedrich Wilhem Nietzsche (1844- 1 9 0 0 ) : importante filosofo della fine del XIX secolo, il suo pensiero ha un impianto nichilistico teso a demistificare e annientare ogni certezza su cui poggia la cultura e la società del suo tempo. La visione atea e pessimistica del filosofare nietzschiano viene ricondotta a Schopenhauer, in un certo senso ne costituisce l’esagerazione. Dal pensatore della Volontà, apprende fra l’altro, con sorprendente efficacia, l’arte dell’aforisma brillante e incisivo).

.....crede che di fronte ad un mondo contraddittorio, disarmonico, crudele e non-provvidenziale, gli uomini, per poter sopravvivere, hanno dovuto convincere se stessi e i loro figli che il mondo è qualcosa di logico, benefico e provvidenziale. Feuerbach, per spiegare la genesi dell’idea di Dio, individua tre cause (l’uomo che ha coscienza di se non solo come individuo, ma anche come specie, e come tale si crede immortale e onnipotente; l’opposizione tra volere e potere, tra ciò che l’uomo vuole e ciò che realmente può; la dipendenza dell’uomo dalla natura). Marx, invece, condivide l’opinione di Feuerbach secondo cui non è stato Dio a creare l’uomo ma l’uomo a proiettare Dio sulla base dei propri bisogni, ma accusa il filosofo di non aver individuato le cause reali del fenomeno religioso. Secondo Marx le radici sono da ricercare non nell’uomo in quanto tale, ma in un tipo storico di società. Egli perviene così alla formulazione della sua celebre teoria della religione come «Opium des Volks» (oppio dei popoli), il «sospiro della creatura oppressa» dal capitalismo e dalle ingiustizie sociali.

A mio parere la religione, insieme al concetto di Dio (o dei che fossero), è nata con l’uomo. Fino al Medioevo circa, questo concetto serviva in qualche modo a due scopi: giustificare tutti i fenomeni naturali ai quali non si era riuscito a dare una spiegazione (per mancanza delle più basilari conoscenze scientifiche); dare una risposta alle prime forme di domande esistenziali (Chi sono? Da chi sono stato creato? E perché? Cosa c’è dopo la morte? Perché esiste il male? etc.). Nella civiltà moderna il primo problema è soddisfatto quasi pienamente dalla scienza. Il secondo, non si può negare, esiste tuttora. La maggior parte degli atei e dei razionalisti risponde a tali quesiti esistenziali adducendo una linea di pensiero prettamente materialistica ed empiristica, che sostiene l’ipotesi di un mondo dominato dal caos e dall’irrazionalità, non riconoscendo quindi la possibilità di un‘ entità superiore che lo governi, di una vita ultraterrena e di una causalità e razionalità del mondo. La risposta cristiana la conosciamo benissimo. Ora spostiamo l’attenzione dal piano filosofico a quello sociale.

A mio parere la religione è un a piaga per la società per diversi motivi. Tuttavia, prima di esporli volevo precisare che il mio accanimento è rivolto non contro la religione nel senso proprio del termine (ovvero il rapporto tra l’uomo e una o più divinità), ma contro alcuni aspetti di essa. Schematizzando, la religione si può dividere su tre livelli:

Soggettivo: credenze (o dogmi, nella tradizione cristiana) di natura filosofica, etica o metafisica riguardanti l’universo, l'uomo, la/le divinità.
Oggettivo: riti-culti privati o collettivi che devono essere seguiti per garantire un adeguato legame tra l'uomo e la divinità;
Sociale: obblighi e divieti (ad esempio i dieci comandamenti nella tradizione giudaico-cristiana) che regolano i rapporti tra gli individui.

La mia opinione è che, a livello soggettivo, ogni individuo deve essere libero di fare e pensare ciò che vuole, ma senza, tuttavia, condizionare gli altri. Perciò, proprio seguendo questo principio, combatto il livello oggettivo della religione, ma solo per contrastare (indirettamente e limitatamente alle mie possibilità) la Chiesa, in quanto istituzione falsa e corrotta (pensate che devo guardarmi bene dal dire ciò che realmente penso, anche in questo caso, proprio a causa del potere che la Chiesa ha in Italia); ma più che altro quello sociale: le conseguenze di questo ambito della religione si riversano nella politica, che viene intaccata dalle volontà pontificie (contrastare il “Santo Padre” significherebbe perdere una buona base di consensi; in tal modo non esiste un partito che rispecchi le mie idee), e nello stato in cui vivo, dichiaratosi “laico”, ma in realtà schiavo della Chiesa (si vedano i vari casi in cui il papa è spudoratamente intervenuto negli affari dello stato, condizionando le scelte degli uomini politici, i quali dovrebbero garantire la libertà, la giustizia e la serena convivenza tra i cittadini di uno Stato degno di questo nome, non il rispetto della morale cattolica. Vedi aborto, procreazione assistita, dico etc.).

Per rendere meglio l’idea, al di là della schematizzazione dei livelli della religione, vorrei citare A. Verrecchia......

(2 - Anacleto Verrecchia : pensatore e germanista torinese. Ha soggiornato lungamente a Vienna come addetto culturale. Pregevole studioso e traduttore di Schopenhauer e Nietzsche; collabora alle pagine culturali di fogli italiani (La Stampa, Il Giornale) e tedeschi. Nei suoi libri - tutti caratterizzati da rigore filologico e qualità di stile - è costante una felice vena di polemista.)

.......«La religione, nel migliore dei casi, sta alla filosofia come una gamba di legno sta ad una gamba vera; ma siccome la gente è intellettualmente zoppa, per non dire sciancata, la gamba di legno prende spesso il posto di quella vera. E fin qui non ci sarebbe niente di male, dato che ognuno cammina come può. Se però quella gamba di legno pretende di essere essa la gamba vera, e chi la usa minaccia di azzoppare anche quelli che zoppi non sono, allora bisogna reagire energicamente, e senza masticare le parole .»
Penso che se l’uomo avesse goduto dall’inizio delle attuali conoscenze scientifiche, la religione non esisterebbe. Invece qualcuno ha astutamente giocato con le paure dell’uomo e ha così creato un vero e proprio sistema di potere, capace di influenzare la politica, la vita sociale, l’economia di diversi stati. Si pensi al Medioevo e al Rinascimento, quando la Chiesa possedeva, ad occhio e croce, la metà di tutto il territorio italiano, quando vendevano le indulgenze, quando sfruttavano i grandi artisti dell’epoca (Michelangelo, Leonardo, Raffaello etc.) per abbellire le imponenti chiese con opere di inestimabile valore. Se essa è solo un’istituzione voluta da Dio, che serve ad indicare all’uomo la “retta via” per il paradiso, a cosa le servono tutte queste ingenti ricchezze? Perché continua ad essere in possesso di uno Stato autonomo ( Città del Vaticano conta 911 residenti, con un reddito pro-capite di ben 407.095 €, e non ci sono errori di stampa, sono proprio più di 400 mila Euro annui)? Perché, anziché chiedere l’8x1000 ai cittadini italiani per continuare a vivere nell’ozio, non aiutano con le loro incommensurabili ricchezze le popolazioni più disagiate? Sono domande alle quali mai nessuno darà una risposta. Per conto mio so solo che se il loro Dio esistesse davvero si vergognerebbe di loro.

Giacomo Leopardi tra pessimismo e ateismo
Letteratura italiana

«Non è egli un paradosso che la Religione Cristiana in gran parte sia stata la fonte dell’ateismo, o, generalmente parlando, dell’incredulità religiosa? Eppure io così la penso»
Giacomo Leopardi, Zibaldone, 1832

La religione non trova certamente posto nel pensiero Leopardiano. Infatti la sua filosofia è caratterizzata dal. radicale pessimismo, scaturito non dai suoi mali fisici, come anch’egli si è preoccupato di precisare confutando un luogo comune largamente diffuso, ma da un sistema di idee continuamente sviluppato nel tempo. Leopardi non parla mai del Dio cristiano, né tantomeno di altre forme di divinità. L’unica entità “superiore” che egli riconosce è la Natura. Come vedremo, il poeta cambierà, col tempo, il suo modo di guardare ad essa, considerandola prima come “madre benigna”, poi come “matrigna”.

Leopardi viene spesso descritto come il poeta pessimista per eccellenza, “depresso” a causa della sua malattia che lo rendeva poco piacente. Questa è un’interpretazione grossolana di Leopardi come uomo, che intacca anche l’interpretazione della sua poesia e del suo pensiero. L’esperienza della malattia non rimase per Leopardi solamente un motivo di lamento individuale, ma divenne un formidabile strumento conoscitivo. E forse è anche per questa cognizione del dolore che egli seppe guardare a fondo nella realtà che lo circondava, per scoprirne aspetti e contraddizioni ad altri ignoti.

Qualunque ne fosse l’origine, il pensiero leopardiano si caratterizza, dunque, per i presupposti materialistici e per le aspre conclusioni pessimistiche. Si può notare come, nell’ambito filosofico, il suo percorso intellettuale è caratterizzato da diverse “svolte”. Inizialmente il pessimismo di Leopardi è personale (o soggettivo). In seguito il poeta introduce il pessimismo storico, pensiero secondo cui l’infelicità è sempre esistita. Tuttavia gli antichi non se ne accorgevano o non se ne rendevano conto, perché distratti dalle illusioni e, in virtù di ciò, meno consapevoli della presenza del Male.

Per Leopardi le epoche passate sono quindi migliori di quelle presenti. In questa fase del pensiero leopardiano la natura è considerata benigna perché, provando pietà per l’uomo, gli ha fornito l’immaginazione, ovvero le illusioni, le quali producono nell’uomo una felicità che non è reale perché mascherano la vera realtà che è fatta di sofferenza. Nel mondo dei moderni queste illusioni sono però andate perdute perché la ragione ha smascherato il mondo illusorio degli antichi e ridato vita alla realtà nuda e cruda dei moderni. Sviluppando ulteriormente la sua riflessione Leopardi perviene al cosiddetto pessimismo cosmico, ovvero alla concezione della natura come maligna, cioè di una natura che non vuole più il Bene e la felicità per i suoi ‘figli’. La natura è, infatti, la sola colpevole dei mali dell’uomo; essa è ora vista come un organismo che non si preoccupa più della sofferenza dei singoli, ma che svolge, incessante e noncurante, il suo compito di prosecuzione della specie e di conservazione del mondo, in quanto meccanismo indifferente e crudele che fa nascere l’uomo per destinarlo alla sofferenza. Leopardi sviluppa quindi una visione più meccanicistica e materialistica della natura, una natura che egli con disprezzo definisce ‘matrigna’.

Il destino dell’uomo, ovvero la sua malattia, è in fondo lo stesso per tutti. In questa fase non ci sono reazioni titaniche perché Leopardi ha capito che è inutile ribellarsi, ma che bisogna invece raggiungere la pace e l’equilibrio con se stessi, in modo da opporre un efficace rimedio al dolore. Ed è proprio la sofferenza che Leopardi reputa la condizione fondamentale dell’essere umano nel mondo, arrivando perfino a scrivere nelle pagine dello Zibaldone (il suo diario personale) che “tutto è male”.

Ne La ginestra, invece, Leopardi propone come soluzione l’alleanza e la solidarietà fra gli uomini, che, si configura come l’unica vera via d’uscita di fronte ai mali della modernità: essa rimane però, pur sempre, un’utopia. Il pessimismo leopardiano si basa sostanzialmente su due presupposti: il primo è quello per cui l'uomo non può conoscere la verità, e quindi sfocia nello scetticismo, il secondo invece si basa sulla convinzione che la realtà coincida con la Natura, senza idealità o provvidenzialità, ed è moto eterno e meccanico. Da quest’ultimo presupposto scaturisce il suo ateismo. L’unica entità “superiore” che riconosce Leopardi, la Natura, viene intesa come ciò che ci circonda, la realtà fenomenica, senza mai ricorrere a concetti metafisici e astratti di Dio, di una vita dopo la morte, di un possibile riscatto dell’anima nell’aldilà. Per Leopardi l’uomo è infelice sin dalla nascita. Vive afflitto dal dolore e dal tedio dai quali potrebbe sfuggire tramite il suicidio; ciò che lo ferma è la paura della morte e le superstizioni religiose.

Il primo Leopardi aveva risposto a questo pessimismo attraverso il titanismo, secondo cui l’eroe singolo deve opporsi al fato, visto come forza maligna che si compiace della sofferenza dell’uomo. Il titanismo è proprio delle Canzoni e degli Idilli, che i caratterizzano per un genere di poesia animato da acri spunti polemici contro l’età presente, la cosiddetta “poesia civile”. Successivamente, però, abbandona anche la poesia civile e il titanismo, per far posto, momentaneamente, ad un atteggiamento contemplativo, ironico, distaccato e rassegnato. Ma quest’atteggiamento, che caratterizza le Operette morali, non è proprio dell’indole di Leopardi. Nella Ginestra infatti vedremo un nuovo Leopardi, più orgoglioso di sé, della propria grandezza spirituale, più pronto e combattivo nel diffondere le proprie idee, nel contrapporle polemicamente alle tendenze dominanti dell'epoca.

componimento ripropone la dura polemica antiottimistica e antireligiosa. Però qui Leopardi non nega più la possibilità di un progresso civile: cerca anzi di costruire un'idea di progresso proprio sul suo pessimismo La consapevolezza lucida della reale condizione umana, indicando la natura come la vera nemica, può indurre gli uomini a unirsi in «social catena» per combattere la sua minaccia; e questo legame può far cessare le sopraffazioni e le ingiustizie della società, dando origine a un più «onesto e retto conversar cittadino», a «giustizia e pietade», al «vero amore» tra gli uomini. La filosofia di Leopardi, che non è mai stata misantropica, come il poeta stesso tiene a sottolineare, si apre qui a una generosa
utopia, basata sulla solidarietà fraterna degli uomini.

L’ateismo per Schopenhauer Feuerbach e Marx
Filosofia

a. Arthur Schopenhauer

«Se un dio ha fatto questo mondo, io non vorrei essere quel dio, perché il. dolore del mondo mi strazierebbe il cuore»
Arthur Schopenhauer, Nachlass

Uno degli aspetti più interessanti della filosofia di Schopenhauer, solitamente trascurato dalla storiografia tradizionale, è la critica delle varie «menzogne» (o «ideologie», come diremmo) con cui gli uomini tentano di celare a se stessi qualche dato negativo del vivere o la cruda realtà del mondo in generale. Egli ha fatto della tecnica dello «smascheramento» uno degli aspetti principali del suo filosofare (e in questo senso Schopenhauer può venir considerato fra i «maestri del sospetto» della cultura moderna, da porre accanto a pensatori come Marx, Nietzsche e Freud).

Si è già visto come Schopenhauer abbia «sbugiardato» la filosofia accademica di Stato, affermando che chi viene pagato per pensare non può certo filosofare liberamente, ma deve riflettere secondo le idee e i pregiudizi di chi lo paga, o come abbia polemizzato contro gli intellettuali «inseriti» e contro le loro occulte ambizioni di denaro, di potere e di gloria, o come si sia opposto alle «ipocrisie» spiritualistiche sull'amore, o come abbia battuto in breccia il luogo comune della «razionalità» dell'essere o della «felicità» dell'esistenza umana:

«A me l'ottimismo, quando non sia per avventura vuoto cianciar... sembra non pure un pensare assurdo, ma anche iniquo davvero, un amaro scherno dei mali senza nome patiti dall'umanità».

Questo tipo di polemica trova uno dei suoi bersagli preferiti nell'ottimismo cosmico che circola in buona parte delle filosofie e delle religioni dell'Occidente, ossia in quello schema di pensiero che interpreta il mondo come un organismo perfetto, provvidenzialmente governato da un Dio oppure da una «Ragione» immanente (Hegel). In realtà questa visione, pur essendo indubbiamente «consolatrice» (da ciò la sua persistenza nei secoli), per Schopenhauer risulta palesemente falsa, poiché la vita è un'esplosione di forze sostanzialmente irrazionali, ed il mondo, anziché essere il regno della logica e dell’armonia, è il teatro dell'illogicità e della sopraffazione. Tutto questo, secondo Schopenhauer, è verificabile sia nei riguardi della società, sia nei riguardi della natura, nella quale vige scopertamente la cosiddetta «legge della giungla». Di conseguenza, dal punto di vista di Schopenhauer, fra la credenza in un mondo governato da Dio o dalla Ragione e la realtà di un mondo malfatto e caotico, esiste aperta contraddizione.

Contestando le religioni, che egli definisce «metafisiche per il popolo», e i sistemi teistici e provvidenzialistici, Schopenhauer perviene ad abbozzare le linee di un ateismo filosofico che sarà ripreso in forma originale da Nietzsche.

b. Ludwig Feuerbach

«La religione precede sempre la filosofia, nella storia dell'umanità come nella. storia dei singoli individui. L'uomo sposta il suo essere fuori da sé, prima di. trovarlo in sé. […] La religione è l'infanzia dell'umanità»
Ludwig Feuerbach, L’essenza del Cristianesimo, 1841.

Feuerbach afferma che non è Dio (l'astratto) ad aver creato l'uomo (il concreto), ma l'uomo ad aver creato Dio. Infatti Dio, secondo Feuerbach, è nient'altro che la proiezione illusoria o l'oggettivazione fantastica di qualità umane, in particolare di quelle «perfezioni» caratteristiche della nostra specie che sono la ragione, la volontà e il cuore. In altri termini, il divino è nient'altro che l'umano in generale, proiettato in un mitico aldilà e adorato come tale.

«Tu credi che l'amore sia un attributo di Dio perché tu stesso ami, credi che Dio sia un essere sapiente e buono perché consideri bontà e intelligenza le migliori tue qualità...»

Appurato che Dio è l'essenza dell'uomo personificata e che l'antropologia costituisce la chiave di volta della teologia, rimane da vedere, in concreto, come nasca, nell'uomo, l'idea di Dio. A questo proposito Feuerbach si è variamente espresso. Talora egli tende a porre l'origine dell'idea di Dio nel fatto che l'uomo, a differenza dell'animale, ha coscienza di se stesso non solo come individuo, ma anche come specie. Ora, mentre come individuo si sente debole e limitato, come specie si sente invece infinito ed onnipotente. Da ciò la figura di Dio, il quale, come si è appena visto, è nient'altro che una personificazione immaginaria delle qualità della specie. Altre volte Feuerbach tende a scorgere l'origine dell'idea di Dio nell’opposizione umana tra volere e potere. Opposizione che porta l'individuo a costruirsi una divinità in cui tutti i suoi desideri appaiono realizzati: «A proprio presupposto la religione ha il contrasto o la contraddizione tra volere e potere, desiderare e ottenere... Nel volere, nel desiderare, nel rappresentare l'uomo è illimitato, libero, onnipotente - è Dio; ma nel potere, nell'ottenere, nella realtà egli è condizionato, dipendente, limitato... Il pensare, il volere sono cosa mia; ma ciò che io voglio e penso non è cosa mia, è fuori di me, non dipende da me. La tendenza, il fine della religione è rivolto a togliere questa contraddizione o contrasto; e l'ente in cui queste vengono tolte, in cui ciò che è possibile secondo i miei desideri e le mie rappresentazioni, ma impossibile per le mie forze diventa possibile, o piuttosto reale, - questo ente è l'ente divino» (Essenza della religione, par. 30). I greci avevano divinità limitate, esemplifica Feuerbach, perché i loro desideri erano limitati. I desideri dei cristiani sono senza limiti, perciò la loro divinità è infinita e onnipotente. Altre volte Feuerbach ha visto la genesi primordiale dell'idea di Dio nel sentimento di dipendenza che l'uomo prova di fronte alla natura. Sentimento che ha spinto l'uomo ad adorare quelle cose senza le quali egli non potrebbe esistere: la luce, l'aria, l'acqua e la terra (tant'è, ricorda Feuerbach, che alcuni popoli, ad es. gli antichi messicani, avevano come divinità anche il sale).

Qualunque sia l'origine della religione, è comunque certo, secondo Feuerbach, che essa costituisce una forma di alienazione, intendendo con questo termine (presente in Hegel e ripreso da Marx) quello stato patologico per cui l'uomo, «scindendosi», proietta fuori di sé una Potenza superiore (Dio) alla quale si sottomette (anche nei modi più umilianti e crudeli: si pensi ai sacrifici di vite umane compiuti per scopi religiosi). Ma se la religione è il frutto di un'«oggettivazione» alienata ed alienante, in virtù della quale l'uomo tanto più pone in Dio quanto più toglie a se stesso («La gloria di Dio si fonda esclusivamente sull'abbassamento dell'uomo, la beatitudine divina solo sulla miseria umana, la divina sapienza solo sull'umana follia, la potenza divina solo sulla debolezza umana»), l'ateismo si configura non solo come un atto di onestà filosofica, ma anche come un vero e proprio dovere morale. Infatti, secondo Feuerbach, è ormai venuto il tempo che l'uomo recuperi in sé i predicati positivi che egli ha proiettato fuori di sé in quello specchio illusorio ed astratto della propria essenza che è Dio.

Detto altrimenti, ciò che nella religione è soggetto deve ri-diventare predicato. Quindi non più: Dio (soggetto) è sapienza, volontà e amore (predicato), ma, al contrario, la sapienza, la volontà e l'amore umano (soggetto) sono divini (predicato). Di conseguenza, il compito della vera filosofia non è più quello di porre il finito nell'infinito (ossia di risolvere l'uomo in Dio) ma quello di porre l'infinito nel finito (ossia di risolvere Dio nell'uomo). Ciò fa sì che l'ateismo di Feuerbach non abbia un carattere puramente negativo, ma si presenti anche, in positivo, come proposta di una nuova divinità: l'uomo.

c. Karl Marx

«La religione è il sospiro di una creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, lo spirito di una condizione priva di spirito. È l'oppio dei popoli»
Karl Marx, Critica della filosofia del diritto di Hegel, 1843.

Uno dei punti che unisce e divide Marx da Feuerbach è l'interpretazione della religione. Pur avendo «scoperto» il meccanismo generale dell'alienazione religiosa - per cui non è Dio a creare l'uomo, ma l'uomo a «proiettare» Dio sulla base dei propri bisogni - Feuerbach, in virtù della sua concezione prevalentemente «naturalistica» dell'uomo, non è stato in grado, secondo Marx, di cogliere le cause reali del fenomeno religioso, né di offrire dei validi mezzi per il suo superamento. Infatti all'autore dell'Essenza del Cristianesimo è sfuggito che chi produce la religione non è un soggetto astratto, avulso dalla storia ed immutabilmente uguale a se stesso, ma un individuo che è «un prodotto sociale». Ma se «l'uomo non è altro che il mondo dell'uomo, lo Stato la società», risulta ovvio, per Marx, che le radici del fenomeno religioso non vanno cercate nell'uomo in quanto tale, ma in un tipo storico di società. Infatti, sin dagli Annali franco-tedeschi, Marx è andato elaborando la sua nota teoria della religione come Opium des Volks (= oppio dei popoli). Secondo questa dottrina, la religione, in sostanza è un «sospiro della creatura oppressa», ossia il prodotto di un'umanità alienata e sofferente per causa delle ingiustizie sociali, che cerca illusoriamente nell'aldilà ciò che le è negato di fatto nèll'aldiquà.

Ma se la religione, in quanto narcotico delle masse, è il sintomo di una condizione umana e sociale alienata, l'unico modo per eliminarla non è la critica filosofica (come pensava ancora Feuerbach, nella sua astrattezza di intellettuale), ma la trasformazione rivoluzionaria della società. In altri termini, se la religione è il frutto malato di una società malata, l'unico modo per sradicarla è quello di distruggere le strutture sociali che la producono. La disalienazione religiosa ha dunque, come suo presupposto; la disalienazione economica, ossia l'abbattimento della società di classe.

La scristianizzazione durante la Rivoluzione Russa
Storia

La prima costituzione della Russia rivoluzionaria fu varata nel luglio del 1918, in piena guerra civile, e rispecchiava l’originaria impostazione operaista e consiliare del. gruppo dirigente bolscevico. Essa si apriva con una «Dichiarazione dei diritti del popolo lavoratore e sfruttato», dove si proclamava fra l’altro che il potere doveva appartenere unicamente e interamente alle masse lavoratrici e ai loro autentici organismi rappresentativi: i soviet degli operai, dei contadini e dei soldati. Nel dicembre 1922 i congressi dei soviet delle singole repubbliche decisero di dar vita all' Unione delle repubbliche socialiste sovietiche (Urss). La nuova costituzione dell'Urss, approvata nel 1924, dava vita a una complessa struttura istituzionale, in cui il potere supremo era affidato al Congresso dei soviet dell'Unione. Il potere reale era però nelle mani del Partito comunista, l'unico la cui esistenza fosse prevista dalla costituzione.

Lo sforzo di trasformazione del paese intrapreso dai bolscevichi non riguardò soltanto le strutture economiche e gli ordinamenti politici. Come tutti i rivoluzionari dei tempi moderni, anche i comunisti russi miravano a cambiare la società nel profondo, a cancellare valori e comportamenti tradizionali, a creare una nuova cultura adatta alla realtà socialista che si voleva costruire. Lo sforzo dei bolscevichi si indirizzò soprattutto in due direzioni: l'educazione della gioventù (presupposto essenziale per la creazione dell'«uomo nuovo»,
ma anche premessa indispensabile per lo sviluppo economico) e la lotta contro la Chiesa ortodossa, in quanto istituzione e in quanto espressione di una visione del mondo che si voleva estirpare perché incompatibile con i fondamenti materialisti della dottrina marxista.

La lotta per la scristianizzazione del paese fu condotta con molta durezza (confisca dei beni ecclesiastici, chiusura di chiese, arresti di capi religiosi) e, nel complesso, potè dirsi riuscita nei suoi obiettivi. L'influenza della Chiesa non fu del tutto eliminata (culti e credenze continuarono a sopravvivere, soprattutto nelle campagne), ma certo drasticamente ridimensionata. La Chiesa ortodossa, che pure aveva una presenza capillare nella società russa, era, già prima della rivoluzione, indebolita e screditata da una troppo lunga tradizione di dipendenza dal vecchio ordine politico-sociale e non fu in grado di opporre una resistenza paragonabile a quella messa in atto dalla Chiesa cattolica ai tempi della rivoluzione francese. A partire dal 1925, allentatasi la stretta repressiva nei suoi confronti, si adattò a vivere negli spazi limitatissimi che il regime comunista decise di concederle.

La battaglia contro le sopravvivenze della religione e della morale tradizionale si estese naturalmente anche ai problemi della famiglia e dei rapporti fra i sessi. Il governo rivoluzionario stabilì fra i suoi primi atti il riconoscimento del solo matrimonio civile e semplificò al massimo le procedure per il divorzio. Nel 1920 fu legalizzato l'aborto. Fu proclamata l'assoluta parità fra i sessi e la condizione dei figli illegittimi fu equiparata a quella dei legittimi. In generale il regime comunista favorì una notevole liberalizzazione dei costumi, anche se furono ben presto emarginate le posizioni estreme di coloro che ritenevano che la rivoluzione avrebbe dovuto portare all'assoluta libertà sessuale e alla scomparsa della famiglia.

Percy Shelley
English Literature

« I know I’m one of those that people don’t like. But I’m one of those that people. will remember»
Percy Shelley

Percy Shelley is considered one of the best and finest romantic poets in the English literature history, but his uncompromising idealism and his independent and free approach to life, as well as his sceptical points of view, made him ignored by the “conventional”
literature experts. But still, many important writers and thinkers, as Karl Marx, Bernard Shaw, Henry Stephen Salt and even Mahatma Gandhi, indicated him as one of their most inspiring personalities.

But the antipathy he gained was due mainly to his atheist, resolute and firm ideas: when in 1811 he wrote and released his pamphlet, The Necessity of Atheism, he was asked to appear and even repudiate the authorship of that writing. Obviously his coherence would have never accepted such a censoring behaviour, and he refused to deny his own work. In spite of his father intervention, he got expelled by the Oxford University. Once again tolerance was ignored by people who made it as one their most important characteristics. And the way he died, has been labelled by many as not accidental. He got drowned while navigating, and the circumstances were not clear at all. Additionally, during the days right before dying he almost got shot twice! Political reasons have been believed to be the main cause.

One of his best friends, Lord Byron, said that about him: "You were all brutally mistaken about Shelley, who was without exception the best and least selfish man I ever knew. I never knew anyone who was not a beast in comparison." Anyway, in this thesis I want to discuss his points of views about atheism and life. The idea that atheist people lack ethical and moral principles is totally contradicted by his conduct and his works; the idea that atheist people lack understanding of human life preciousness and uniqueness is completely wrong, and he was the best living proof of that. One of his quotes will explain this in depth.

“Man has no right to kill his brother; it is no excuse that he does so in uniform. He only adds the infamy of servitude to the crime of murder.” He respected life much more than so many other people who did not, he respected every single man’s right to live much more than people who ordered crusades and mass killing just to protect the simple idea of a God.

When your mind is open enough to accept the idea to be wrong, there is no reason not to respect people just because they have different opinions. He recognized that the obtuse intransigence and strictness of religions is the worst enemy of respect, once again his quotes can enlighten this topic: “If he is infinitely good, what reason should we have to fear him? If he is infinitely wise, why should we have doubts concerning our future? If he knows all, why warn him of our needs and fatigue him with our prayers? If he is everywhere, why erect temples to him?

If he is just, why fear that he will punish the creatures that he has filled with weaknesses?

If grace does everything for them, what reason would he have for recompensing them?

If he is all-powerful, how offend him, how resist him?

If he is reasonable, how can he be angry at the blind, to whom he has given the liberty of being unreasonable?

If he is immovable, by what right do we pretend to make him change his decrees?

If he is inconceivable, why occupy ourselves with him? If he has spoken, why is the universe not convinced?

If the knowledge of a God is the most necessary, why is it not the most evident and the clearest?”

“It is thus that the generality of mankind, whose lot is ignorance, attributes to the Divinity, not only the unusual effects which strike them, but moreover the simplest events, of which the causes are the most simple to understand by whomever is able to study them. In a word, man has always respected unknown causes, surprising effects that his ignorance kept him from unravelling. It was on this debris of nature that man raised the imaginary colossus of the Divinity.”

“In fighting for his God everyone, in fact, fights only for the interests of his own vanity, which, of all the passions produced by the mal-organization of society, is the quickest to take offense, and the most capable of committing the greatest follies.”

And then this one, what a free man, loved by free men, thought about something which had been making people slave (should I say has been making…?):

"Here I swear, and as I break my oath may eternity blast me, here I swear that never will I forgive Christianity! It is the only point on which I allow myself to encourage revenge. Oh, how I wish I were the Antichrist, that it were mine to crush the Demon; to hurl him to his native Hell never to rise again - I expect to gratify some of this insatiable feeling in Poetry."

Fonti e Bibliografia

Per la preparazione del presente elaborato ho attinto principalmente ai libri di testo utilizzati nel corso dell’attuale anno scolastico, dal momento che potevo disporre di una maggior familiarità con i concetti, gli autori e i contesti storici. I restanti argomenti, concetti od approfondimenti sono il risultato di ricerche effettuate soprattutto in Internet.

Nello specifico:

Profili storici, volume terzo. Andrea Giardina, Giovanni Sabbatucci, Vittorio Vidotto. Paravia. Edizioni Laterza;

Protagonisti e Testi della Filosofia, Volume C. Nicola Abbagnano e Giovanni Fornero. Paravia;

Dal testo alla storia dalla storia al testo, volume terzo, tomo 1A. Guido Baldi, Silvia Giusto, Mario Razetti, Giuseppe Zaccaria. Paravia;

O si pensa o si crede, Scritti sulla religione. Arthur Schopenhauer. (introduzione di Bettino Betti e Anacleto Verrecchia). Biblioteca Universale Rizzoli.

www.wikipedia.it

Mi assumo tutte le responsabilità dei contenuti della prefazione. Tuttavia, ogni riferimento a fatti, cose o persone non è stato scritto allo scopo di offendere, attaccare o denigrare qualcuno in particolare, ma per esporre al meglio ciò che penso. Leandro Alfieri.

www.nogod.it/ateismoeliberta.htm
[Modificato da kelly70 17/01/2008 22:51]



La cattiva notizia è che Dio non esiste. Quella buona è che non ne hai bisogno.
Apocalisse Laica
Le religioni dividono. L'ateismo unisce


Il sonno della ragione genera mostri (Goya)


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