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L'Inferno esiste,parola di Ratzy

Ultimo Aggiornamento: 07/02/2008 22:52
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08/02/2008 10:13
 
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www.disabileforum.com


08/02/2008 11:54
 
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da www.cdbchieri.it/rassegna_stampa/approfondimenti_f.htm

(bisogna cliccare su "inferno-limbo" del pannello di sinistra e poi su "Esiste l'Inferno?" del pannello di destra)


ricavo queste riflessioni finali:

- Dai vangeli non appare che Gesù sia stato un predicatore dell’inferno; è la tesi condivisa da molti esegeti e teologi. Certo Gesù parlò dell’inferno come ne parlavano tutti al suo tempo, usando il linguaggio di allora, quello apocalittico.

“Lo stesso Gesù, per quanto riguarda l’inferno, ha indubbiamente condiviso in larga misura le concezioni apocalittiche dei suoi contemporanei. Lo dimostra, insieme ai discorsi escatologici (certamente contestati nella loro autenticità), soprattutto la parabola lucana di Lazzaro e il ricco epulone nell’inferno. No, Gesù non è un apocalittico, che soddisfa la sempre esistita pia curiosità degli uomini circa l’aldilà, che proietta in un altro mondo le paure e le speranze non realizzate di questo mondo” (37).

Dell’inferno Gesù ha parlato marginalmente e con le formule tradizionali del tempo. Il centro del suo messaggio è il Vangelo, cioè una notizia lieta e non minacciosa.

2- Il Dio dell’amore predicato da Gesù non può essere vendicativo e colpire con pene eterne, infinite chi ha peccato.

“Devo credere in un tale Dio? In un Dio che potrebbe assistere a una simile crudele tortura psico-fisica, priva di speranza, di misericordia e di amore, oltre che senza fine, delle sue creature? Magari insieme ai beati in cielo, per tutta l’eternità? Coloro che propugnano un tale Dio pensano che il Dio infinito, di fronte ad un'offesa ritenuta infinita, per ristabilire il proprio ‘onore’ abbia bisogno di una tale punizione infinita; ma il peccato in quanto azione dell’uomo, è realmente più di un atto finito? E nel Nuovo Testamento Dio è davvero presentato come un simile creditore duro di cuore? Un Dio della misericordia, dalla cui misericordia sarebbero esclusi i morti? Un Dio della pace, che rende eterne l’inimicizia e la non conciliazione?” (38).

3- Molti però obiettano: non è Dio a castigare, a condannare con un verdetto dall’esterno, ma sono l’uomo e la donna che, liberamente, si autocondannano; e, con la morte, questo loro rifiuto di Dio diventa definitivo, irreversibile. A tale obiezione molti rispondono così: ci può essere qualcosa di definitivo, che resiste all'onnipotenza coniugata con la misericordia infinita di Dio?

“Che cosa significa qui definitivo? Dio, già secondo i Salmi, non domina anche sul regno dei morti? Che cosa può allora diventare qui definitivo contro la volontà di un Dio onnipotente e misericordioso? Perché un Dio infinitamente buono deve rendere eterna l’inimicizia, invece di superarla, e deve voler di fatto condividere per l’eternità la sovranità con un qualche anti-Dio? Perché egli non dovrebbe avere più da dire qui una parola? Perché dovrebbe essere costretto a rendere impossibile per l’eternità una purificazione dell’uomo colpevole?” (39).

4- E’ strano: oggi la psicologia e la giustizia penale cercano alternative alle punizioni per i condannati e al carcere, per cercare di redimere e ricuperare chi ha sbagliato, anche molto, mentre Dio continuerebbe col vecchio sistema della pena vendicativa, definitiva ed eterna?

5- Per l’esistenza dell’inferno eterno ritorna spesso la risposta che esso rappresenta, anche se in maniera drammatica, il rispetto della nostra libertà. Ora sul problema del rapporto tra libertà umana e Dio (con la sua grazia), la teologia recente non li mette in concorrenza (cioè più energicamente opera la grazia, minore è la libertà e viceversa). Molti si chiedono: Dio non può salvare anche chi non può essere salvato? “Non si potrebbe pensare a una vittoria definitiva della grazia di Dio anche nella piena libertà dell’uomo?” (40). Dicevano i teologi Scolastici “Nikil volitum, quin praecognitum” non si può volere quello che non è prima conosciuto; chi conoscerà bene la dannazione eterna da accettarla come stato definitivo della propria anima?

6- Credere al paradiso è diverso dal “credere” all’inferno; infatti le due cose non sono sullo stesso piano. “E’ esatto dire che il cristiano crede nel paradiso, ma non lo è altrettanto (per lo meno se si usa il verbo ‘credere’ nello stesso senso) dire che il cristiano crede nell'inferno. La fede cristiana è essenzialmente speranza. Ma questa speranza viene proclamata davanti all’abisso del_fallimento. Parlare dell’inferno significa richiamare l’attenzione sull’abisso, ma non fissare l’attenzione su questo abisso e tanto meno affermare che qualcuno senz’altro ci cadrà dentro” (41).

[Modificato da pcerini 08/02/2008 12:13]
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