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De Mita, Colannino e Pannella

Ultimo Aggiornamento: 22/02/2008 19:43
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Il vecchio, il giovane e i nipotini di Esaù

di Piero Sansonetti


Non ho mai avuto particolare simpatia per l'onorevole Ciriaco de Mita. E' stato un potente padrone della Democrazia Cristiana, un uomo di gran potere. Ha avuto tentazioni di semplificazione della democrazia politica (robetta, tuttavia, di fronte alle leggi elettorali di oggi, quelle che considerano il pluralismo come il male assoluto...), ha governato a lungo - da ministro, da leader Dc, da premier - usando largamente quello strumento usuale nell'attività politica di trenta anni fa, che era il clientelismo di massa. Ha moltissimi difetti De Mita, varie colpe, però ha anche alcuni meriti, e sicuramente il suo nome, a buon diritto, sta tra i 10-15 nomi delle persone che hanno costruito e guidato la democrazia italiana nell'ultimo mezzo secolo. De Mita non è un uomo qualsiasi.

Dicevo che non ho mai avuto simpatia per lui. In particolare ricordo due episodi, assai nitidamente. Il primo è dei primi anni 80, quando De Mita era leader della Dc ed era il "competitor" di Bettino Craxi nella maggioranza di centrosinistra. Avevo scritto su l'Unità un articolo molto critico su De Mita, contrapponendo la sua figura a quella di Aldo Moro e il suo disegno politico (che a me sembrava conservatore e filoconfindustriale) al disegno politico di Moro, che aveva portato il Pci nell'area di governo. Quel giorno De Mita tenne una importante conferenza stampa, a Montecitorio, spalleggiato dal suo scudiero, e cioè da Mastella. Prima di iniziare mi puntò addosso il suo dito indice - intimidendomi un po', perché ero molto giovane - e mi chiese: «Lei è Sansonetti?». Risposi di sì, e allora lui disse che se non me ne andavo non avrebbe tenuto la conferenza stampa, perché con quel articolo lo avevo offeso. Non me ne andai, e la conferenza stampa saltò. Provocando l'ira - verso di me - dei colleghi che restarono senza "pezzo" e dissero che era colpa mia. A quell'epoca De Mita aveva un fascino e un potere specialissimo sui giornalisti, anche su quelli di sinistra. Chi lo criticava si trovava un po' solo.

Il secondo episodio è della fine di quel decennio, quando facevo il caporedattore a l'Unità e titolai, un po' rozzamente, un articolo di Federico Geremicca in questo modo: «De Mita si è arricchito col terremoto». In realtà io ero sicuro di avere messo un punto interrogativo - il dubbio, l'antidoto alle querele... - ma la macchina da scrivere decise di non battere quel punto interrogativo, e io non me ne accorsi, e il giorno dopo il mio direttore, che era D'Alema, si infuriò con me. Mi rimproverò per dieci anni per quella disattenzione. De Mita ci querelò, però non vinse la causa. Come non vinse la causa contro Montanelli, avviata in quegli stessi giorni, per la famosa frase: «Dicono che de Mita sia un'intellettuale della Magna Grecia. Io però non capisco cosa c'entri la Grecia...». Montanelli era molto spiritoso.

Questi sono aneddoti. Il resto della biografia di De Mita è più denso e complesso. Lui è uno dei giovani che diede vita, nella Dc, alla sinistra di base, fucina di idee e di battaglie politiche che spezzarono il dominio del doroteismo e diedero sostanza al riformismo del primo centrosinistra, alle idee di programmazione, a una prospettiva di riequilibrio sociale nell'Italia del boom che usciva dai cupi e padronali anni 50. Poi De Mita vide il suo ruolo crescere rapidamente, e dopo l'appannamento della stella di Fanfani - travolto dal referendum sul divorzio - e dopo l'uccisione di Moro, fu lui l'ultimo grande capo democristiano. Era un uomo di pensiero - pensiero forte, contorto, che procedeva a scatti, talvolta si contraddiceva, ma aveva in sé qualcosa di coraggioso, una certa corposa passione politica - e con il suo pensiero e il suo carisma tentò una complessa operazione che, se ho capito bene, più o meno era questa: impedire che la grande borghesia italiana saldasse una alleanza stabile e blindata col supermodernizzatore - che era Bettino Craxi - e chiudesse la prima repubblica, riducendo il ruolo della politica e "spianando" la sinistra. De Mita pensava di potere impedire questo disegno, rinunciando però all'alleanza con il Pci, che era stata la grande trovata del suo predecessore, e cioè di Moro.

De Mita pensava allora a un rinnovamento abbastanza profondo del suo partito, una "de-doroteizzazione", e a una offerta al "padronato" che consisteva nella promessa di risolvere i problemi di rilancio dell'impresa - che era uscita malconcia dal '68 e dagli anni 70 - non attraverso una «punizione» del movimento operaio e una «aggressione» agli interessi dei più deboli, ma su un sentiero opposto, attraverso una Grande Mediazione - politica, sociale, ma anche di cultura - che indebolisse il Pci, ne intaccasse i legami di massa, e consentisse una riduzione drastica del conflitto.
De Mita - se posso azzardare questo paragone - si sentiva un po' Roosevelt, ed era così sicuro della sua superiorità intellettuale sugli avversari e sui concorrenti, da non preoccuparsi troppo per la sua debolezza politica.

Infatti fu sconfitto da Craxi. La data definita della sua sconfitta è il 14 febbraio del 1984, quando Craxi varò il decreto che tagliava la scala mobile, spaccava il sindacato, metteva all'angolo il Pci e cancellava la parola "mediazione" che fino a quel momento era stata la parola chiave della politica italiana.
Oggi il Partito democratico caccia De Mita. Gli dice che non lo vuole più come parlamentare. Vi stupirò, ma la cosa un po' mi indigna. Il motivo ufficiale dell'esclusione è che De Mita è stato troppe volte deputato. Il Pd ha deciso che il limite è tre legislature. Però ha anche deciso che si faranno 20 o 30 eccezioni a questa regola. Per chi? Per i personaggi di spicco. Esistono nel Pd addirittura 20 o 30 persone che hanno una biografia più di spicco di quella di De Mita? Ne dubito. E allora la decisione dell'esclusione temo che abbia motivi diversi da quelli detti, ed evochi scenari non belli. De Mita è stato escluso perché è un rompicoglioni. E perché è vecchio, ha 80 anni. Nel Parlamento non può sedere nessun vecchio? Oddio, è un ragionamento che assomiglia un po' a quello di Storace che voleva cacciare Rita Levi Montalcini. C'è un problema , un'esigenza di fare spazio ai giovani? Può darsi. Però possono tutti i saggi del Pd trascorrere una intera giornata a spiegarmelo, ma io non crederò mai che la sapienza di Matteo Colaninno - che ho conosciuto proprio l'altra sera e che è un giovane pulito e simpatico - offuschi quella di De Mita. Non mi piace molto lo sberleffo per i vecchi e l'irrisione della storia.
* * *
Non mi piace molto neanche Marco Pannella, che alla fine ha preso le lenticchie, come fece Esaù qualche migliaio di anni fa. Da Pannella, da Bonino e dai loro valenti compagni di lotte avevo imparato tre cose: l'anticlericalismo, lo sprezzo per il potere e l'odio per le ammucchiate. Mi piacevano per questo. Beh, che delusione vederli aderire al più clericale dei partiti italiani (dopo Casini e la Rosa Bianca) intrupparsi in una ammucchiata incomprensibile con Binetti e Di Pietro e parecchi altri, e fare tutto questo in cambio sembra - di una decina di posti in Parlamento e di qualche rimborso elettorale. E in più la promessa di un ministero per Emma Bonino (e non si capisce se la promessa vale solo nel caso, non molto probabile, che il Pd vinca le elezioni, o se vale anche in caso di vittoria di Berlusconi...).

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22/02/2008



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Padre Guardiano
22/02/2008 19:43
 
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RE

Si,effettivamente il partito radicale mi è cascato un pò. Comunque la situazione è sempre molto fluida. Se dovessi votare domani strapperei le schede in faccia al presidente del seggio.
Bisogna vedere il finale ......speriamo, ma ora penso così : [SM=g1474748] [SM=g1474748] [SM=g1474748] [SM=g1474748] [SM=g1474748] [SM=g1474748] [SM=g1474748] [SM=g1474748]


omega [SM=x789054] [SM=x789054] [SM=x789054]



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