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Papponi di Stato

Ultimo Aggiornamento: 26/03/2008 19:22
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22/03/2008 14:21
 
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Ecco la prima puntata dell’inchiesta, Roberto Poletti, racconta in prima persona la sua esperienza da deputato, le assurdità cui si è trovato davanti, i benefici di cui ha goduto, parla della campagna elettorale e dei tanti tesserini di cui gli onorevoli dispongono per poi accedere ai più incredibili privilegi.

Sono Roberto Poletti, parlamentare pentito, ricordo il periodo in cui riflettevo sulla mia possibile discesa in campo. Era l’inizio del 2006: la legislatura del cavaliere alla fine, l’ascesa di prodi sembrava inarrestabile. C’era feeling e stima con i Verdi, Pecoraroscanio un amico, facendo due conti, quello dei Verdi era il partito che più degli altri mi dava la possibilità di essere eletto. Sapevo che uno dei candidati in Lombardia avrebbe rinunciato allo scranno romano per rimanere alla Regione,tale MONGUZZI, e la legge elettorale mi avrebbe permesso di subentrare. I colloqui con i vertici del partito scivolavano via senza problemi, sul mio disinteresse per l’ambientalismo militante, nessun problema: quando puoi garantire qualche crocetta in più sulle schede elettorali, un accordo si trova. L’incontro decisivo con pecoraroscanio avvenne a milano nel gennaio 2006: “Visto che sei giornalista ti potresti occupare dell’informazione e poi ti piazziamo in una commissione parlamentare di quelle giuste” dice il segretario nazionale. Inizia il perido “faticoso” della campagna elettorale. Imposto la campagna sulla difesa degli anziani e sulla moralizzazione della vita pubblica, i temi che avevano fatto la mia fortuna in televisione. Mi faccio tutti i mercati rionali, il pubblico mi riconosce e si divide, è l’unico momento in cui ti sembra di avere un contatto reale con gli elettori, li incontri, ci parli. Ti illudi di aver fatto la scelta giusta, immagini di arringare l’aula gremita, sogni un futuro da Martin Luther King. Ma la realtà è molto più prosaica, i primi schiaffoni arrivano da quelli che dovrebbero essere dalla tua parte: i compagni di partito, nel mio caso, tal Fiorello Cortiana. I vertici dei verdi avevano deciso di sacrificare la sua candidatura per offrirla a me. Sul suo blog iniziano a uscire commenti non proprio gentili nei miei confronti, si ironizza e si fa del sarcasmo sul corriere della sera.

Il 6 giugno 2006 il mio esordio in parlamento, entro in quello che mi sembra un altro mondo. I grandi corridoi, i soffitti a volta, i tappeti, lo sfarzo. Vado subito nell’enorme salone Transatlantico, quello famoso, dove tutti si incontrano nelle pause delle sedute: i commessi, gli impiegati, i parlamentari, ecco Bertinotti, D’Alema. Entro in aula, cerco il mio posto, mi siedo sono commosso. C’è il presidente della camera Bertinotti, che informa il governo sul grave attentato subito da una pattuglia del contingente italiano a Nassiriya. Il vice presidente Leoni invece passa alla proclamazione dei deputati subentranti, e proclama deputato, vista la rinunzia di Carlo Monguzzi, Roberto Poletti. Sono ufficialmente un onorevole. . Guardo e riguardo il tesserino, la medaglietta d’oro da deputato, e mi sento un re. Passeggio per il transatlantico e noto tre colleghi che sembrano stiano giocando a figurine, mi avvicino.
“Questa c’è l’hai?”
“Si, certo.”
“E quest’altra?”.
“Ma no, non vale più, l’hanno abolita”.
“Ehm, ma io la uso ancora…”.
Non sono figurine, ma tessere, tesserine tipo le carte di credito, necessarie per godere di questo beneficio o di quell’esenzione.

Prima tessera da ritirare, è quella con cui si vota in aula, serve anche per mangiare e bere al ristorante di montecitorio, al self-service, oppure alla bouvette, il mitico bistrot extra lusso dai prezzi di una trattoria di ultima classe. Il conto te lo scalano dallo stipendio, il trattamento riservato ai deputati è di dieci euro, ma il conto per le casse statali è di circa 90 euro a pranzo. La tesserina in questione serve anche per l’aereo gratis, basta esibirla in qualunque biglietteria per fissare il volo senza sborsare un centesimo, altrimenti c’è l’agenzia di viaggi interna al parlamento, che è anche più comoda. A proposito di aeroporti, anche il parcheggio auto, in appositi spazi riservati, è gratuito. Naturalmente anche il treno è gratis, e l’autostrada? Serve il tesserino Aiscat, e la barra si alza senza pagare, volendo si può richiedere pure il telepass, cosi da oltrepassare le barriere senza fermarsi, e lo puoi installare su qualsiasi automobile, anche quella della nonna.

Auto blu e partite gratis.

A Roma e a Milano possiamo usufruire delle corsie preferenziali, e nella Capitale abbiamo anche il permesso per entrare in centro nelle zone a traffico limitato (ZTL), in passato ciascun deputato/senatore poteva estendere il permesso ad altre due vetture, cosa adesso non più possibile. La tessera CONI invece serve per andare gratis allo stadio. San Montecitorio pensa anche alla dichiarazione dei redditi con un servizio gratuito di assistenza e consulenza fiscale. In caso di problemi di salute, invece, c’è la Card Medital che garantisce un servizio medico d’urgenza 24 ore al giorno 365 giorni all’anno, basta chiamare il numero verde 800652585, struttura privata pagata dallo stato, cioè i cittadini. Ma un parlamentare moderno dove va se non’è capace di usare il pc? Ecco il corso di informatica gratuito. E le lingue? Per quelle ci sono le lezioni private e individuali, con insegnante madrelingua, a qualunque orario e in qualunque luogo, anche a casa. Si può scegliere l’inglese, il francese, il tedesco il russo e il giapponese!!. Tutto alla modica cifra di otto euro all’ora quando costano a noi comuni mortali circa il quadruplo, peccato che sino ad un anno fa le lezioni erano completamente gratuite!!

Il deputato paga meno.

C’è la sartoria che si offre di confezionarti l’abito su misura con lo sconto del 40%, l’ottico invece ha pensato ad una riduzione del 30%, l’associazione parlamentare amici delle nuove tecnologie garantisce uno sconto del 10% su cellulari e palmari, condizioni agevolate di pagamento arrivano anche da case automobilistiche per l’acquisto di auto nuove presso la rete dei concessionari. Per i libri 20% in meno, che arrivano al 30% per i testi universitari, per i figli dei deputati/senatori. E poi ci sono le mille attività organizzate dal Circolo Montecitorio, quello di via Campi Sportivi, un club elegante, di lusso. Campi di calcetto, golf, palestra, piscina, basket, tennis. Ristorante e club-house. L’iscrizione è gratuita, invece gli ex deputati pagano la modica cifra di 24 euro al mese, non mancano i festini con una di quelle ballerine di lap-dance che si esibiscono dimenandosi intorno al palo. Dulcis in fundo il corso di Pilates, un sistema di allenamento che migliora la fluidità di movimenti e il coordinamento fisico e mentale, che quando c’è da votare altroché se èimportante!!.

Fonte Quotidiano Libero del 18 marzo 2008
www.troviamoibambini.it/index.php/papponi-di-stato-prima-...



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22/03/2008 14:34
 
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Papponi di Stato- Seconda puntata


Questa storia degli uffici dei deputati è davvero curiosa. Si trovano a Palazzo Marini, tre minuti a piedi da Montecitorio. Per mantenerli, lo Stato paga circa 30 milioni di curo all’anno soltanto di affitto. Una decina di anni fa, il già grande complesso è stato addirittura ampliato, adesso è arrivato a 60mila metri quadrati. E ci credo: il. fatto è che i parlamentari non confermati non ne vogliono sapere, di mollare le stanze, dunque passano mesi prima che i nuovi eletti possano avere a disposizione lo spazio. Così succede anche a me, Poletti Roberto, onorevole di fresca nomina: «E il mio ufficio?» chiedo. «Un po’ di pazienza, adesso salta fuori». Poi scopro che l’ex titolare deve ancora liberarlo, e nessuno si può permettere di impacchettargli le scartoffie: lo farà lui, quando avrà voglia e tempo.

Gli uffici sono assegnati dai gruppi parlamentari. Ed è un litigio continuo: riunioni su riunioni, trattative estenuanti che sembra la Finanziaria, «a me ne serve uno un po’ più grande», «non datemi quello vicino ai bagni, per favore» e via dicendo. Problemi e lamentele finiscono tutte sul groppone di Giampiero Spagnoli, funzionario storico del gruppo dei Verdi e anche di quello misto, bresciano cui Roma non ha rubato l’accento né la voglia di lavorare: è lui che tranquillizza, media, propone, risolve che neanche Gianni Letta. In ogni caso, l’ufficio assegnato me lo liberano dopo l’estate, a tre mesi dall’elezione. All’inizio, mio vicino di stanza è Massimo Fundarò, ma capisco che la situazione è ancora in evoluzione. L’onorevole Arnold Cassola, infatti, non la manda giù: dice che il suo, di ufficio, proprio non va bene, pare sia troppo rumoroso, soprattutto a causa di una caldaia sistemata nei paraggi.

E insomma, Cassola si mette a far la posta agli altri, controlla le frequenze, cronometra i tempi, conclude che Fundarò il suo lo usa poco e invece per lui sarebbe perfetto. Tra l’altro Cassola è stato eletto in una circoscrizione estera, e questi hanno un po’ la fissa di essere discriminati dai deputati “indigeni”, «ma almeno a noi le preferenze ce le hanno date votando il nostro nome, mica come voi». Alla fine, più che altro per sfinimento generale, la spunta. E trasloca nell’ufficio accanto al mio.

E allora, parliamo del mio nuovo stanzone da deputato: non è niente male. E al terzo piano, stanza numero 321. Due scrivanie, due computer, fax e telefono e stampante, una televisione, un frigorifero. E poi tre armadioni, due sedie-poltroncine di quelle comode, una finestra che dà sul cortile interno. Di cancelleria ce n’è a strafottere: penne, matite, colle stick, forbici, fermagli e graffette e graffettine da graffettare il mondo, sbianchettatori, evidenziatori, persino le gomme blu, quelle per cancellare la penna (e mi chiedo: ma chi è che oggi cancella le cose scritte a penna con la gomma blu, che se non stai attento ti buca anche il foglio? Non lo fanno più nemmeno alle elementari). E poi carta, un mare di carta, fogli, buste grandi medie e piccole, bloc notes, cartelline: d’istinto, mi vengono in mente le proteste della Polizia, che più volte si è lamentata perché non ne hanno nemmeno per fotocopiare i verbali, o le mamme costrette a portare le risme di carta alla scuola del figlio. Qui, invece, siamo sommersi, alla faccia dei boschi rasi al suolo, e meno male che siamo i Verdi. Peraltro, scoprirò poi che la fornitura di cancelleria viene rinnovata ogni tre mesi: ti arrivano gli scatoloni pieni di questa roba e non sai dove metterla, perché del resto ne hai usato un decimo se va bene. E gli scatoloni con i ricambi te li spediscono a qualunque indirizzo, anche a casa. Oppure, se hai un’urgenza, vai direttamente al magazzino, nei sotterranei di Montecitorio. E fai scorta.

DEPUTATI LATITANTI

Il punto è che questi uffici non li usa nessuno. O si è in Aula, oppure in Commissione, magari in trasferta di lavoro, altre volte semplicemente a casa. Senza contare che c’è l’ufficio del gruppo parlamentare, che sbriga pratiche a richiesta. Oppure quello del partito nazionale, che volendo svolge le stesse mansioni. O l’altro del partito regionale, infine il partito cittadino. E così, la politica italiana è tutta un doppione del doppione del doppione. Risultato: ti aggiri per gli eleganti piani di Palazzo Marini, percorri i corridoi arredati con tappeti e quadri e piante, e subito sei immerso nel paradosso di un dedalo di uffici senza alcuna traccia di lavoratori. Di deputati ne vedi uno ogni tanto, e in genere perché lì ha dato appuntamento all’insegnante di lingua o deve ritirare qualche fax o magari schiacciare un pisolino. I commessi fanno capannello attorno alle scrivanie, scattano in piedi e si danno un contegno quando passa qualcuno, il più delle volte sono costretti a ripiegare sul sudoku. E non si dica che sono io, scansafatiche, a essere allergico alla onorevole scrivania gentilmente messa a disposizione dallo Stato: in questo senso, basta citare tra gli altri un ordine del giorno presentato dalla Rosa nel Pugno, che sottolinea come “ogni deputato dispone di un ufficio ubicato a Palazzo Marini, ma è praticamente impossibile il suo utilizzo durante le giornate di lavoro parlamentare, e per tali uffici, di norma scarsamente utilizzati, la Camera sostiene un costo esorbitante”. Appunto, è quello che dico anch’io. Per di più, una gentile circolare interna ha il piacere di informarmi che, “per consertirti di svolgere con il supporto di adeguati strumenti tecnologici il mandato elettivo”, lo Stato è pronto a coprire una spesa “per l’acquisto di strumentazioni e materiali informatici inerenti la dotazione di una postazione di lavoro” di 3.000 euro. In sostanza, ci regalano il computer portatile più costoso che ci sia. Poi si sussurra che qualcuno, in quella cifra, riesca a farci stare anche il lettore Dvd o la lavatrice, magari strizzando l’occhio al negoziante mentre compila la ricevuta. Ma questa è certamente un’ignobile insinuazione.

EVVIVA I PORTABORSE

Tra le “dotazioni da ufficio” a disposizione dei deputati c’è poi il collaboratore personale, meglio noto come “portaborse”, termine che non mi piace perché offensivo nei confronti di persone spesso sfruttate, pagate in nero, e magari poi sono loro che redigono i comunicati “contro il precariato” poi diffusi da coloro che si presentano come paladini dei lavoratori senza contratto. Non che io voglia fare il moralista: infatti ne assoldo uno (assumo, in questo caso, è una parola grossa), bravissimo, uno dei tanti studenti che si propongono per arrotondare. Ma mi accorgo che davvero posso farne a meno, e dopo cinque mesi interrompo il rapporto. Interrogativo: faccio bene perché smetto di uniformarmi a una prassi vergognosa, o sono uno stronzo perché lascio a casa lo studente? Non sono riuscito a rispondermi. Tra l’altro, dopo che la trasmissione Le Iene fa esplodere lo scandalo e tutti fanno gli gnorri, «chi, io? chi, lui?», e Bertinotti tuona, «questi vanno messi in regola!», ecco che subito arriva la segnalazioncina, con il solerte onorevole Evangelisti, dell’Italia dei Valori, che gira a tutti i deputati e senatori “la comunicazione indirizzatami dallo Studio Interlandi che considero in grado di proporre una consulenza professionale adeguata ad affrontare le problematiche inerenti la regolarizzazione del rapporto di lavoro tra i parlamentari ed i propri collaboratori”. Un bel grazie a Evangelisti dai parlamentari e dallo Studio Interlandi.

Dimenticavo: un altro gadget essenziale per il duro lavoro d’ufficio dell’onorevole è il timbro autoinchiostrante. Io non lo sapevo, poi un giorno vedo due deputati che scherzano, lasciano il marchio dappertutto, «guarda il mio», «ma va, io ci no messo pure capogruppo», sembrano ragazzini. Incuriosito, m’informo. Mi viene spiegato che va richiesto «giù al magazzino» e te lo fanno avere. Ora, non è che la spesa per i timbri dei deputati sia determinante per incrinare ulteriormente il malmesso bilancio statale, ma a che cosa serve? Forse per evitarci anche la fatica di firmare? Dice: ma allora tu ci hai rinunciato. Io? E perché? Chi sono, il più sfigato? E allora, vai col timbro: “On. RobertoPoletti “. E lo piazzo lì, sulla scrivania. L’avrò usato due volte.

A proposito di timbri, alla Camera c’è anche un ufficio postale, si trova vicino all’Aula. E come funzionano bene le Poste, per noi parlamentari: impiegati gentilissimi, quel cartello con scritto “gli onorevoli deputati hanno la priorità”, chissà mai che qualche dipendente si metta in testa di farci fare un minuto di fila. Ogni deputato ha la sua casella, ti mandano un avviso, “c’è posta per lei “, tu vai e ritiri. Se devi inviare a te stesso lettere o plichi o raccomandate fuori sede, francobolli e tasse varie non si pagano. E a Natale, sono gratis anche i biglietti d’auguri, con il simbolo della Camera dei deputati e un’illustrazione d’epoca: “Caro collega, abbiamo il piacere di comunicarti che per le prossime festività natalizie potrai, come di consueto, richiedere la dotazione annuale a te spettante di n. 100 biglietti medioevalis a colori e n. 100 biglietti medioevalis color seppia”. Scopro poi che nel caso non mi piacessero, ho a disposizione 800 euro da spendere entro l’anno per farmi stampare dalla tipografia interna qualunque cosa voglio.

SERVIZIOAGENDA

Mica finisce qui: per Palazzo Marini, quello dove si trovano gli uffici, c’è un servizio postale specifico. Nel senso che se per esempio devi ritirare le fondamentali “agende della Camera dei deputati” e ti tocca andare fino a Palazzo Valdina, che si trova a una distanza di metri seicento circa, basta segnalare il problema, e l’agenda la va a prendere e te la porta l’incaricato della società privata che gestisce il servizio. «Ma dài, per un’agenda?». Eh no, perché - come ci comunica la consueta circolare - “la dotazione [ma quante dotazioni abbiamo?] consiste in un’agenda da tavolo personalizzata, un’agendina semestrale in pelle personalizzata e due agendine in pelle”. Cioè, di agende ce ne danno quattro. Quattro a testa, che per 630 deputati fanno 2.520 agende. Poi uno dice che i politici hanno perso il contatto con la realtà: è che noi, con i problemi che fanno imbestialire i normali cittadini, non ci scontreremo mai più. La realtà ce la siamo dimenticata.

SEDUTE DI COMMISSIONE

La sala di Commissione è ai piani alti, per raggiungerla devi salire una scalinata monumentale. Per farla semplice, le commissioni parlamentari sono delle specie di mini parlamentini, dunque composte da rappresentanti di tutti i partiti proporzionalmente alla loro presenza in Parlamento. Le cosiddette “permanenti”, 14 in tutto, sono incaricate di discutere di un determinato argomento o esaminare i progetti di legge, per metterli a punto e poi eventualmente sottoporli al voto dell’Aula. Poi ci sono le “bicamerali”, che raggruppano esponenti di Camera e Senato, e le Commissioni d’inchiesta, che approfondiscono vicende “di pubblico interesse” e sono investite anche di poteri giudiziari, in genere invocate una volta ogni due giorni da una parte politica per dare addosso all’altra. Fine della lezioncina. Inciso: uno può anche essere membro di più Commissioni, e neanche tanto raramente succede che si riuniscano contemporaneamente, così che da qualche parte è per forza assente. Secondo e ultimo inciso: ogni presidente di Commissione ha a disposizione un altro ufficio e relativo staff, oltre a quello cui ha diritto in qualità di deputato, e il suo stipendio è maggiorato. Misteri dell’organizzazione parlamentare.

«DIAMOCI DEL LEI»

Una cosa strana delle Commissioni è che tu arrivi nella sala e chiacchieri normalmente con gli altri componenti, così, parli del più e del meno, poi a un certo punto comincia la riunione e di colpo cambia tutto, «adesso la parola al presidente Folena», e lui «grazie, caro vicesegretario», e comincia a parlare, e tutti si danno del lei. E quando siamo seduti intorno al tavolone e hai bisogno di passare un foglio a un altro deputato, non è che ti sporgi o ti alzi e glielo dai: no, chiami il commesso, lui arriva, gli consegni il documento, quello fa tre metri e lo porta all’altro. Ora, magari adesso la sto mettendo giù un po’ caricaturale, ma in effetti è davvero così: nei lavori parlamentari, la formalità burocratica viene spesso esibita nei momenti più inutili, e dimenticata quando invece potrebbe aver senso. C’è da dire che tutto questo cerimoniale nasce anche dall’esigenza di verbalizzare le riunioni, pensa che casino per il trascrittore se tutti si parlassero uno sopra l’altro. Resta il fatto che avrà anche un senso, ma la prima volta fa uno strano effetto, quasi teatrale. Pare una commedia.

«… e adesso la parola al capogruppo dei Verdi Poletti…».

E infatti scopro che sono capogruppo, pensa te. Non lo sapevo, giuro, e quasi mi sembra d’esser stato promosso, «evvài, che sono già capo».

Il fatto è che, come ho già detto, le commissioni sono parlamentini, e io sono l’unico rappresentante dei Verdi, e quindi in quanto tale sono capogruppo. “Capogruppo dei Verdi in Commissione cultura, istruzione e ricerca”: mi sono firmato così, quando ho inviato la lettera che mi ha pubblicato il Corriere, proprio vicino alla rubrica di Sergio Romano. E se fossimo stati due, i Verdi in Commissione, l’altro sarebbe stato vicecapogruppo (oppure capo lui e vicecapo io, a seconda). Perché in Parlamento ognuno è capo o vicecapo o presidente o vicepresidente di qualcosa: una commissione, un gruppo parlamentare, un’associazione. Tutti. In realtà, non conti nulla, ma questo sul biglietto da visita non si scrive.

E comunque, ripeto, io sono in “Commissione cultura, scienza e istruzione”.

Cultura.

Scienza.

E istruzione.

Argomento più importante e sentito delle mie prime riunioni: Calciopoli.

Cioè, va bene tutto, ma che cosa c’entrano la scuola e la cultura e la scienza con Calciopoli? E sono sempre piene, queste riunioni, durano ore. D’altronde, la vicenda è sulle prime pagine di tutti i giornali, c’è modo di essere citati in qualche articolo. Il nostro gruppo d’ascolto viene pomposamente chiamato “Indagine conoscitiva sulle recenti vicende relative al calcio professionistico con particolare riferimento al sistema delle regole e dei controlli”. Le audizioni si susseguono: il presidente del Coni, il rappresentante della Consob, nientepopodimeno che Francesco Saverio Borrelli, il presidente di Mediaset Confalonieri, i rappresentanti dei consumatori e quelli delle tv locali, l’onorevole Josè Luis Arnaut “in qualità di esperto del settore del calcio e dello sport in generale” (?). Ognuno chiede di sentire questo e quello, il ministro dello Sport Melandri viene a riferire. Ma davvero c’è chi pensa che le riunioni in Commissione cultura possano servire alla già strampalata inchiesta su Calciopoli? Ma poi perché discutiamo a Montecitorio di Calciopoli? Per quale motivo? E in realtà, ne parlo così solo perché a me non interessa il calcio, nel senso che chissà quante volte ho invece partecipato con più entusiasmo ad altre discussioni su argomenti che magari m’interessavano, ma ben sapendo che non avrebbero portato a nulla di concreto.

CULTURA E CALCIOPOLI

Non che le riunioni di Commissione siano sempre così. Quando i progetti di legge toccano veri interessi o questioni tecniche, allora si fanno i conti e si programma e ci si scontra e cose serie, insomma. Ma ho come l’impressione che troppe volte i nostri siano invece pseudo-approfondimenti del tutto inutili, nel senso che sono ininfluenti, e in fondo lo sappiamo anche noi, che sono ininfluenti. In questi casi, mi vien da dire che noi, per lavoro… chiacchieriamo. Nel senso che ci troviamo, parliamo e magari litighiamo su argomenti che più o meno c’interessano, e alla fine resta nulla. E non vorrei sembrare troppo sarcastico, perché si tratta anche di discussioni serie, documentate, interessanti davvero. Ci sono deputati che ci credono sinceramente, spaccano il capello in venti, presentano dossier alti così. Ma comunque, sappiamo che non avranno alcun riflesso o quasi. Come dire: sono delle gran pippe.

Compito fondamentale dei componenti di Commissione resta comunque di fornire pareri sui vari progetti di legge. Prima considerazione: a noi peones, come dobbiamo votare sulle questioni un minimo significative ce lo dice il partito, il segretario, che della cosa ha già discusso in altra sede, con gli altri pezzi grossi. Ma il nostro “parere” - favorevole o contrario - lo dobbiamo comunque motivare, e per iscritto. Lo schema è più o meno sempre lo stesso: di tuo, ci metti la frase di circostanza, “dichiaro voto favorevole” se sei nel centrosinistra, oppure ‘dichiaro voto contrario”se sei nel centrodestra. Poi c’è da corredare il tutto con riferimenti normativi e rimandi a leggi e regolamenti. E allora cosa fai? Siccome sai che il tal giorno si voterà sulla tal proposta, tu vai all’ufficio della Commissione stessa, o a quello del gruppo parlamentare, spieghi la questione e fai fare tutto a loro, che poi ti riconsegnano il plico. A quel punto, non ti resta che cambiare una virgola di qui, inserire un inciso di là, e al momento della chiamata consegni. Un po’ come i vecchi compiti in classe, con la differenza che qui è consigliabile copiare.

Riassumendo: come votare lo decide il partito, il resto se lo vedono gli uffici. A te non resta che alzare la mano e passare le carte. Datemi pure del disfattista, ma dopo un po’ non ci sono più andato.

Perché è proprio la consapevolezza della tua completa inutilità, che ti distrugge. Hai la sensazione di non poter fare nulla o quasi, sei un dito che all’occorrenza deve premere il bottone prestabilito, e se non ci sei fa lo stesso, tanto il bottone per te lo schiaccia qualcun altro. E non è che m’invento, prendete lo stimatissimo e sempre impeccabile Antonio Polito, che adesso ha mollato la poltrona in Senato ed è tornato a fare il giornalista, anche lui dice che «o sei un soldatino o passi per traditore, solo il governo fa le leggi, i parlamentari devono obbedire senza discutere».

SUL DIVANETTO CON ROMANO Una frustrazione che aumenta col passare del tempo, e aldilà delle convinzioni politiche, comprendi le persone come Turigliatto e affini, che a un certo punto mandano al diavolo le “logiche di coalizione” e votano secondo coscienza, e succeda quello che deve succedere. Ricordo il mio primo incontro con Prodi: io fresco di elezione, lo fermo in corridoio, «Presidente, posso rubarle un minuto?».

Lui guarda l’orologio: «Va bene».

«Ci mettiamo lì?».

«Perfetto».

E ci appartiamo su un divanetto di Montecitorio.

Gli parlo del problema del cumulo dei redditi tra moglie e marito ai fini della pensione, una delle tante ingiustizie italiane, in campagna elettorale ci avevo puntato parecchio. Portavo con me una lettera di una coppia milanese che aveva deciso di separarsi, ma solo sulla carta, per riuscire a ottenere una pensione dignitosa per tutti e due. La tiro fuori e gliela leggo. Lui mi ascolta e sfodera l’espressione che l’ha reso famoso, gli occhi chiusi, le mani giunte, in realtà mi sorge il dubbio che stia per prendere sonno. Alla fine della mia appassionata esposizione, lui annuisce, e non so se avete presente la sensazione, anzi la certezza, quando sai di aver di fronte uno che non ha ascoltato una sola parola di quello che hai detto. Mi alzo, lo ringrazio e me ne vado imbarazzato, accorgendomi che nel frattempo un’altra decina di questuanti si è lì radunata ad aspettare il proprio turno. Per addormentarlo definitivamente.

Fonte Quotidiano Libero del 19 marzo 2008
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22/03/2008 14:37
 
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Papponi di Stato- Terza puntata


La sveglia mi urla nell’orecchio. È martedì, primo giorno della settimana lavorativa di noi parlamentari. Il lunedì? Ma no, il lunedì non esiste. I non romani più coscienziosi lo usano per arrivare in città, ma la maggior parte dei deputati forestieri arriva il martedì mattina, con tanti saluti alle prime riunioni, «che cosa vuoi che sia un’assenza, mica siamo a scuola, e poi se non si va in Commissione non c’è conseguenza sullo stipendio».

Certo che Roma sa essere bellissima. I primi tempi, il tragitto dalla casa che ho preso in affitto in piazza Navona fino a Montecitorio lo faccio in scooter, tanto c’è il parcheggio della Camera vigilato 24 ore su 24 dai Carabinieri. Poi prendo le misure, e decido che a piedi è anche meglio, ci vogliono dieci minuti a dir tanto. Quando mi alzo presto, cammino fino al bar di fianco alla chiesa di San Luigi dei Francesi, in genere incontrando l’auto blu che porta Andreotti in Senato, lui è sempre il primo ad arrivare, poi bevo il caffè e mi avvio verso piazza del Parlamento. C’è caso di incontrare il leghista Cota che fa jogging nei pressi del Pantheon, magari accompagnato dal compagno di partito Capanni, alzano la mano e mi salutano trafelati, va là che Roma ladrona quasi quasi piace anche a loro, alla fine si sono ambientati più che bene. Il traffico insopportabile della Capitale comincia a rumoreggiare, e Montecitorio entra nella giornata lentamente, i deputati arrivano in ordine sparso con l’inseparabile borsa di pelle, vero status symbol. Un salto alla buvette, altro caffè e via, si comincia.

Come detto, il martedì mattina c’è la riunione di Commissione. Il primo voto in Aula è previsto per il pomeriggio, e non è raro che si tenga quando la Commissione è ancora in corso. Ma l’Aula risulta sempre quantomeno mezza piena, d’altronde in questo caso c’è la detrazione di 206 euro se non raggiungi almeno il 30 per cento delle votazioni utili, saltare la seduta sarebbe un delitto, anche se in casi estremi puoi portare la giustificazione, e vai a controllare se è vera. Entrano allora in scena i famosi “pianisti”, quelli che votano anche per gli assenti. Non mi dilungo su una questione su cui si è scritto e filmato e sputtanato più volte. All’inizio te la meni un po’, ma quando capisci che il costume è generale - a destra, a sinistra, al centro - ti adegui. Io qualche volta mi sono messo d’accordo con una collega: se non sono presente ci pensa lei, e viceversa. Una volta ho votato io per tutti quelli del mio gruppo. Ci sono anche i “votatori ufficiali” dei deputati più importanti, che non è raro siano in altre faccende affaccendati, d’altronde loro mica possono perdere tempo in Parlamento: al momento opportuno, tirano fuori le due schede e svolgono diligentemente il compito. Il numero legale, e dunque il controllo dei votanti, viene richiesto solo per le questioni particolarmente delicate, in ogni caso non così frequentemente. Oppure, quando l’Aula appare squallidamente vuota, si procede con il voto per alzata di mano, che per molti è così romantico, «ma sì, fa tanto antica Roma…». In realtà, non essendo registrato con il procedimento elettronico, è del tutto valido ma non conta ai fini della trattenuta. Cioè, se ci sei bene, se non ci sei bene lo stesso: la busta paga non ne soffre.

L’IMMAGINE PRIMA DI TUTTO

Ed è proprio quando la stampa comincia a denunciare il malcostume dei pianisti, che vengono a galla le tante assenze dei deputati. In questo senso, noi Verdi ci siamo rivelati imbattibili. E allora, ecco puntuale la circolare: “Care e cari - ci scrive Angelo Bonelli, presidente del gruppo parlamentare - come avrete avuto modo di leggere dai più importanti quotidiani nazionali, il gruppo politico dei Verdi viene posto come il meno presente alle votazioni in Aula. Questi articoli certamente non aiutano a costruire una buona immagine del ns. gruppo [eh già, quel che importa è “l’immagine”]. È evidente che ognuno di noi sa quanto partecipa alle votazioni, pertanto sono qui a richiamare con forza una maggiore presenza alle votazioni. Certo di un Vs. cortese riscontro, invio cari saluti”. Gentilmente ricambio.

Il mercoledì è di certo la giornata clou. In mattinata, si comincia ancora con la riunione di Commissione, parole parole e ancora parole. I giocatori giramondo della Nazionale parlamentari, che si allenano il martedì sera sul campo militare della Cecchignola - c’è il capitano Manlio Contento di An, il portierone rifondarolo Augusto Rocchi, l’ex pulcino del Catania Salvatore Buglio della Rosa nel Pugno (che però non è stato ricandidato, dunque c’è da rinforzare la fascia), il centrista Peretti detto Beckenbauer, il terzino sciupafemmine Simone Baldelli di Forza Italia - discutono di dribbling e schemi di gioco, e se c’è qualcuno acciaccato si trascina zoppicando fino alle attrezzate salette dei fisioterapisti, un bel massaggio e via, come nuovo, e sono così bravi, i massaggiatori, che devi prenotarti, e mica solo al mercoledì. Ma verso l’una c’è il voto in Aula. Ora di pranzo, dunque: noi deputati abbiamo una gran fame, è umano, no? Quindi, dopo aver schiacciato il feral bottone, tutti a mangiare. E dì corsa, che poi non si trova posto. La scena ricorda un po’ l’intervallo della scuola: una marea umana che si precipita verso uno dei ristoranti - c’è quello self-service, veloce e informale, e l’altro più tradizionale, con i camerieri in livrea, infine il bistrot della buvette. Gli onorevoli si affrettano, corrono, sgomitano, scorciatoiano per garantirsi il tavolo. E insomma, è la pausa pranzo, mica sarà un privilegio, questo.

MIRACOLI DEL CALCIO

Dopo aver mangiato e digerito, in genere verso le tre del pomeriggio, va in scena quel reality show che è il “question-time”, in pratica un confronto diretto fra governo e parlamentari, approfondiremo più avanti. Prosegue più o meno fino alle quattro e mezza. E comunque non c’è voto, ragion per cui l’Aula è quasi sempre semi vuota, e in quell’ora e mezza si possono sbrigare altre faccende, sempre politiche e parlamentari, per carità. Tanto l’adunata generale - con voto incorporato, questa volta - è per le cinque circa, e prosegue fino alle otto di sera. Sempre che non ci sia qualche partita di calcio: in quel caso, come per magia, alle sei e mezza anche le questioni più complicate si dipanano. Più Totti per tutti.

IN CODA AL GUARDAROBA

E si arriva al giovedì. Fin dalla mattina, si respira l’aria del fine settimana, i deputati che non sono di Roma e dintorni fanno mente locale e si mettono al telefono per prenotare il volo. Si vota dalle undici del mattino in poi, mal che vada c’è un’altra seduta dopo pranzo, verso le tre. Poi comincia il fuggi-fuggi. Vai in guardaroba - lo trovi poco prima del ristorante - ed è pieno di borse, valigie, trolley, pacchi e quant’altro, dal primo pomeriggio si forma una fila anche di un quarto d’ora. I taxi scaldano i motori, gli onorevoli che hanno prenotato lo stesso volo si raggruppano, «parti adesso anche tu? Allora mi unisco, così spendiamo meno». E poi dicono che non tagliamo le spese.

In realtà, qualcuno rimane anche il venerdì. Ma, in tutta onestà, è davvero raro. Sono pochi, in un anno, i venerdì in cui è espressamente richiesta la presenza, chessò, durante la Finanziaria (ne parleremo) o magari per un voto importante in Commissione. Ma, ripeto, sono casi eccezionali, e quando si verificano si limitano alla mattinata. D’altronde, non è che possiamo contarla tanto su: nei primi cento giorni di questa mia prima legislatura, la Camera ha tenuto 36 sedute, equivalenti secondo i calcoli dei giornali a poco più di due ore al giorno di lavoro. E considerando vacanze e feste comandate e ponti e week-end, su un intero anno di attività - dunque da aprile ad aprile - a Montecitorio si è lavorato 160 giorni, vale a dire nemmeno 5 mesi. Quattro mesi e venti giorni in un anno. Poi dice che la gente s’incazza.

Ma c’è da precisare una cosa: non è che sempre e comunque il deputato non presente in Aula o in Commissione è a grattarsi la pancia sulla spiaggia di un’isola caraibica. No, il più delle volte sta facendo attività politica, ma per il partito. Che cosa c’entra l’attività di partito con il mandato ricevuto dagli elettori? Nulla o quasi, ma tant’è. E comunque, gira per convegni e dibattiti (”.. .seguirà buffet… “), partecipa a riunioni organizzative. Oppure, c’è caso che si metta cercar tessere.

Succede per esempio questo: c’è il congresso dei Verdi, e Pecoraro Scanio punta naturalmente alla rielezione a segretario nazionale, nonostante qualcuno storca la bocca per questo fatto che lui è anche parlamentare e ministro contemporaneamente. E insomma capisco l’antifona, qui c’è da tirar su delle tessere, far iscrivere al partito gente che stia dalla sua parte. E io, che fino a qualche mese prima m’immaginavo battagliare alla Camera per risolvere problemi epocali e passare alla storia d’Italia, da fare mi do. Telefono a destra e a manca, chiamo la parente, l’amico, chiedo al vicino di casa, «ma io non ne so niente, di ambientalismo», «e chissenefrega, basta che fai la tessera e voti per i delegati giusti, e come dici? Che non sai chi sono i delegati? Ma te lo dico io, ecco qui…». Alla fine di tessere ne tiro su parecchie, missione compiuta. È vero, non è che sia il massimo. Ma per rimanere nel gruppo si è costretti a fare anche così.

«CI TROVIAMO ALLA CAMERA»

Tornando alla Camera, è aperta anche al sabato. Ma questo, ancor più degli altri, è il giorno degli ex. Gli ex deputati, quelli che tornano a respirare l’aria, magari sono anziani, non hanno più tanto da fare, e poi il richiamo del Palazzo è irresistibile. E allora vedi che li portano in macchina davanti all’entrata, poi qualche badante li scarica e li torna a prendere la sera. È così: ci sono pensionati che si ritrovano alla bocciofila, altri in Parlamento. Loro entrano, si aggirano per i saloni, vanno dal barbiere, ricordano i bei tempi andati, hanno ancora una tesserina speciale per mangiare alla buvette, e tutti i giorni. Discutono animatamente, a volte scoppiano dei litigi che finiscono a maleparole. Qualcuno ogni tanto si addormenta su un divanetto o nella sala lettura, i commessi li lasciano riposare, poi magari li svegliano con delicatezza, «onorevole…». E c’è anche quello che non riesce a trattenere i suoi problemi d’incontinenza, e i commessi ancora lì, ad assisterlo con pazienza. Sia detto con tutto il rispetto, ma sembra una casa di riposo. E non datemi dell’insensibile, non è che sia un problema dar ospitalità a persone che qui hanno lavorato, e certo molto più di quanto faccia io. Ma anche questo strano “sabato degli ex” un po’ contribuisce all’inquietante atmosfera da “basso impero” che avvolge quello che dovrebbe essere il cuore e il cervello del Paese. E che inesorabilmente sta risucchiando anche me.

Immaginate un grande, enorme, gigantesco ufficio statale. Ma anche no, anche semplicemente un enorme ufficio, di quelli che tanti italiani vivono quotidianamente. Con tutte le dinamiche che ne conseguono: lavoro chi più chi meno, ma anche amicizie, antipatie, tresche più o meno note, litigi col superiore, ripicche. E poi pettegolezzi, pettegolezzi e ancora pettegolezzi. Le malelingue, a Montecitorio, sono in servizio permanente effettivo. Com’è ovvio, de visu è tutto un sorriso e gran pacche sulle spalle. Ma dietro… Gli uomini, se giovani e appena appena intraprendenti, sono raccomandati e naturalmente omosessuali - «Poletti?Bè, certo, se la fa con Pecoraio Scanio…» - oppure inguaribili puttanieri - « Poletti con Pecoraro?Ma no, sei indietro, quello va a donnine una sera sì e l’altra pure…».

CATTIVERIE ALLE SPALLE

E le donne? Quelle più carine di Forza Italia sono prima o poi tutte indistintamente indicate come amanti di Berlusconi, e succede il contrario di ciò che si pensa, cioè che debbano lavorare il doppio delle altre per dimostrare che valgono, in questo senso chiedere informazioni alla povera Carfagna, che ancora non è riuscita a farsi perdonare cotanta avvenenza. Ma questa caccia quotidiana alla preda dell’insaziabile Silvio ha anche un aspetto paradossale, perché la signora o signorina momentaneamente indicata come accompagnatrice clandestina del Cavaliere viene improvvisamente coperta d’ogni tipo d’attenzione e galanteria dai deputati di centrodestra e non solo - «ma come stai», «e come sei bella», «posso fare qualcosa per te» -, chissà mai che non possa metterli in buona luce con il leader che tutto può.

Figuratevi poi che chiacchiericcio si porta dietro un personaggio come Wladimir Luxuria, il deputato transgender, che poi significa “non chiaramente identificabile come uomo o donna”. In ogni caso, per semplificare, ne parlerò al femminile. Luxuria fa parte con me della Commissione Cultura, è una delle più presenti e acute: studia, passa le notti ad approfondire, e forse per far vedere che non è lì solo in quanto “personaggio scomodo” interviene sempre e comunque, anche troppo. Gli uomini la studiano incuriositi, le donne la odiano e la criticano per principio, soprattutto quando si tratta di vestiti, «ma come si veste quella lì? Ma secondo te gioca a rugby?». E poi è molto abile con i giornalisti, sa come “usarli” e per questo è spesso sui giornali, cosa che aumenta l’antipatia nei suoi confronti. Un giorno prendo un caffè con lei, tutti ci vedono ridere e scherzare, poi vado in Aula. Arriva un commesso con una busta: me la manda un sempre severissimo esponente dell’Udc, uno che in ogni occasione si atteggia a baciapile bigottone. Leggo il biglietto: “Ma Luxuria ce l’ha ancora o se l’è tagliato?”. Alzo lo sguardo, lo rivolgo verso di lui. E vedo che se la ride, facendo gesti come adire “tu lo sai, vero?”. Neanche alle elementari.

LA LOBBY DELLA NUTELLA

Ma passiamo a un altro “passatempo istituzionale” che molto impegna e diverte gli onorevoli: sono i “gruppi di pressione”, le “lobby”, per dirla all’americana. Trattasi di drappelli di deputati uniti da un comune interesse, che raggruppandosi anche al di là degli steccati di schieramento intendono far fronte comune ed eventualmente incidere su decisioni legislative che riguardano l’argomento in questione. Intendiamoci, spesso si occupano di situazioni davvero importanti, non so, l’amicizia per Israele oppure i diritti dei bambini o ancora quelli degli animali, e ho scelto a caso. Ma non può non strappare un sorriso leggere che l’onorevole leghista Grimoldi, per rispondere a uno dei tanti aumenti fiscali paventati dal governo Prodi - in questo caso, l’innalzamento dell’Iva sulla cioccolata -, si sta sbattendo non poco per “costituire l’Intergruppo per la difesa della Nutella”, sottolineando che “la Nutella è simbolo di intere generazioni, chi non è cresciuto “a pane e Nutella?”. E Grimoldi invita a considerare il fatto che “la nostra amata crema di nocciole ha una capacità di penetrazione nelle famiglie italiane pari al 100%, mentre altri generi spalmabili soltanto del 50%”. Se da una parte la Ferrero ringrazia, dall’altra si aspetta la replica del formaggino Mio.

VIVA LE BOCCE

E dunque, vai col gruppo: la mastelliana Sandra Cioffi auspica la costituzione dell’intergruppo “Amiche e amici del mare”? Le risponde Maria Ida Germontani, di An, con l’intergruppo “Amiche e amici dei laghi e dei fiumi”. L’ulivista ora Partito Democratico Massimo Vannucci segnala che già una cinquantina di onorevoli, che coprono tutto l’arco parlamentare, aderiscono al gruppo “Amici del termalismo”, e non state ad ascoltare chi insinua che la ragione sociale sia anche di ottenere qualche sconto per ritemprarsi a forza di fanghi. Naturalmente si sprecano gli onorevoli club calcistici sul genere “Viva la Juve e l’Inter e il Milan e la Roma e anche il Napoli”, non mi dilungo perché di calcio non m’intendo. E poi gli intellettualissimi “Amici dei veicoli di interessi storico”, vale a dire le auto d’epoca, capitanati dal senatore Filippo Berselli (e infatti vuole essere un “intergruppo parlamentare”), e i mai fuori moda “Amici della filatelia”, organizzatore Carlo Giovanardi, e per restare su un livello alto c’è l’onorevole Pedrini che vuole “incentivare il turismo e la crescita economica tramite lo sviluppo del gioco del golf”, controbilanciato dai più tradizionali “Amici della bicicletta”, di cui m’informa l’ulivista emiliana Carmen Motta. Chiudo il discorso con una nota d’altri tempi, quasi romantica, segnalando l’iniziativa dell’azzurro Paolo Russo, che con passione rilancia il gruppo parlamentare “Amici delle bocce”. Nel senso dello sport, naturalmente.

DEGUSTAZIONI? SÌ, GRAZIE

Appuntamenti molto apprezzati da noi deputati sono poi le degustazioni di prodotti tipici: arrivano i rappresentanti di questa o quella regione, invitati dagli onorevoli dati provenienti, e servono - in genere al ristorante di Montecitorio – i piatti e i vini della zona. Sono sempre affollate, le degustazioni, e la scena si ripete pressoché uguale: ci sono queste persone, spesso si tratta di gente di paese che del Parlamento ha coltivato un’immagine quasi mitica. E si trovano lì, spaesati, ad osservare un’orda di affamati che si getta a peso morto su salame o tortellini o Franciacorta, e poi magari c’è qualcuno che si avvicina al bancone, «che delizia questo vino, ma non ne ho avuto nemmeno una bottiglia», e loro con espressione paziente ad allungargli - anzi, ad allungarci - la bottiglia. Scene mica tanto diverse da quelle che vedevo durante le mie trasmissioni, quando invitavo il pubblico ad assaggiare le ricette offerte dal paesino di turno. Ma sì dai, che gli italiani sono così, quando si mangia va sempre bene, e non si vede perché noi deputati dovremmo essere l’eccezione. D’altronde che cosa vi aspettate, che tutti si corra per esempio alla “Prima manifestazione d’indipendenza dalla lingua inglese”, organizzata dall’associazione “Esperanto” cui è stata concessa per l’occasione la sala stampa della Camera, “intervengono tra gli altri il deputato europeo Alfredo Antoniozzi e l’onorevole Bruno Mellano”. No, meglio la bresaola.

MA QUALI NOTTI ROMANE

E poi ci sono le notti, le “notti romane”, con le terrazze e i salotti e le foto su Dagospia, il famoso sito internet di gossip. Ora, non vorrei sbriciolare un mito, ma le “notti romane” sono una gran noia. Certo che le feste ci sono, per noi Verdi il punto di riferimento è l’avvocato Paola Balducci. Lei è una bella signora molto gentile e ospitale, ha una splendida casa in zona Botteghe Oscure, la sua terrazza è leggendaria. Mi viene in mente uno di questi ritrovi, l’allenatore personale della Balducci le aveva suggerito di puntare sulla carne anche per questioni di dieta, e allora era tutta una griglia e bistecche grandi così, all’americana, e infatti se non ricordo male c’erano piatti guarniti con bandierina a stelle e strisce, ma lì non e’era da protestare contro nessuna base militare yankee, né i vegetariani avrebbero avuto da dire. In genere, però, i party più chic sono riservati ai pezzi grossi - della politica, della finanza, dello spettacolo -, gli onorevoli di bassa lega se riescono s’intrufolano, poi si mettono nell’angolo e allargano le narici per annusare il profumo del potere.

Il più delle volte, invece, noi peones ci si organizza per passare serate al limite della tristezza. I Verdi escono coi Verdi, magari andiamo alla Locanda del Pellegrino, e poi leghisti con leghisti, quelli di An con altri di An. O anche i gruppi territoriali, lombardi con lombardi, napoletani con napoletani e così via.

LATIN LOVER A PAGAMENTO

Si va nel solito ristorante dove ti trattano coi guanti - «buonasera onorevole, cosa le porto onorevole». E si cerca di coinvolgere un ministro o al limite un sottosegretario - tanto nel governo Prodi sono cento e più, qualcuno si trova -, perché arrivare al locale con l’auto blu fa tutta un’altra scena, senza contare che si risparmiano i soldi del taxi. Si finisce quasi sempre a spettegolare su tizio e caio, col risultato che il giorno dopo, saputo che quello che fa l’amico in realtà sparla di te a più non posso, cerchi di ostacolarlo in ogni sua iniziativa politica, così, per antipatia personale. Ed è vero, a fine serata c’è anche chi si rifugia dall’amante più o meno giovane, o raccatta un po’ d’amore a pagamento, al limite si svena e investe su una bellissima “escort” contattata via Internet, salvo poi sbandierare conquiste e performance improbabili manco fosse Mastroianni. Ma le orge in stile rockstar o i festini con le più disinibite vallette del momento, bè, scusate la delusione, ma per quel che mi riguarda sono più che altro letteratura d’accatto.

In pornostar e dintorni, in effetti, una volta mi sono imbattuto. Mi telefona il capo ufficio stampa del partito, Giovanni Nani, e si lamenta, «Poletti, basta con questi scherzi», io casco dalle nuvole, «ma quali scherzi?». E lui seccato mi dice che insomma, c’è il manager di questa pornostar, Federica Zarri nota anche come Diana Buson, che lo perseguita perché lei dice di voler entrare nei Verdi, e siccome è lombarda credeva c’entrassi io. Si apre così un gioioso dibattito, pornostar sì pornostar no, con il nostro Camillo Piazza, appassionato di balli sudamericani e che già aveva organizzato una manifestazione con diverse attrici hard per salvare il Ticino dall’inquinamento, a sostenere l’ingresso di Federica nel partito, «perché, che male ci sarebbe?». Ma la discussione s’interrompe bruscamente: veniamo infatti a sapere dai giornali che la Zarri ha cambiato idea, intende aprire un Circolo della libertà. La volgar battuta nasce spontanea: cazzi loro. E giù risatacce.

Fonte Quotidiano Libero del 20 marzo 2008
www.troviamoibambini.it/index.php/papponi-di-stato-terza-...



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Padre Guardiano
26/03/2008 19:15
 
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pappa...pappa...
Papponi di Stato - Quarta puntata di Roberto Poletti e Andrea Scaglia

Ma adesso, per favore, adesso non si dica che a Montecitorio non lavoriamo mai. Non è così. Prendiamo la Finanziaria, la legge di bilancio, quella in base alla quale il governo decide come e dove spendere i soldi. Quello sì che è un periodo caldo, anche se arriva prima di Natale. Lo si comincia a capire dagli sms: già durante l’anno ne arrivano parecchi al giorno, “presenziare alla tal riunione”, “voto in Aula sulla tal questione”, ma quando c’è di mezzo la Finanziaria è un continuo, il cellulare manda trillini d’avviso ogni tre minuti. E poi fax ed e-mail di convocazione, decine e decine e decine, carta e carta e ancora carta, un settimanale ha calcolato che soltanto per le convocazioni via fax degli organi della Camera vengono spesi 200mila euro ogni anno. E insomma, sulla Finanziaria tutti i deputati sono chiamati a raccolta, prima in Commissione per mettere a punto i capitoli di spesa, poi in emiciclo, quando c’è da votare. In realtà, c’è da dire che si tratta dell’ennesima occasione in cui ti rendi conto che, su 630 onorevoli, quelli che effettivamente hanno voce in capitolo sono sì e no un decimo, ed è un calcolo per eccesso. A decidere è il segretario di partito, che nel mio caso è anche ministro, insieme con gli altri esponenti di governo. Al limite, ne può parlare con il capogruppo e qualche altro fedelissimo. A tutti gli altri non re -sta che schiacciare il bottone a comando. Salvo prima sorbirsi le relazioni introduttive dei vari sottosegretari, spesso sconosciuti agli stessi deputati, che vengono a spiegare la rava e la fava, e tu fai finta d’ascoltare, già sapendo che la “disciplina di coalizione” t’impedirà di ragionare con la tua, di testa.

L’INCONTRO CON PADOA-SCHIOPPA
In questo senso, mi viene in mente il mio primo incontro con Padoa-Schioppa, l’algido e sempre elegante ministrone dell’Economia. Lo vedo in un piccolo supermercato vicino alla mia casa romana, mattino presto, anche lui a fare la spesa. Un saluto timido e in me si rafforza la convinzione: uno che si aggira per gli scaffali vive la realtà di tutti i giorni, vedrai che è l’uomo giusto. E invece – ma questa è un’opinione del tutto personale - con l’andar del tempo mi ricredo: le sue Finanziarie partono in un modo e finiscono in un altro, stritolate da mediazioni e pressioni di partitini e partitoni di governo, ciò che rimane è una gran saccagnata fiscale e via andare. Uno dei miei chiodi fissi è sempre stato quello di esentare dal pagamento del canone Rai gli anziani indigenti sopra i 75 anni, provvedimento magari non epocale ma secondo me simbolico, e comunque gli telefono per perorare la causa. Mi risponde una segretaria, «vuole parlare col ministro? può prima dire a me?», e io le espongo la questione, alla fine chiedendo un appuntamento. Niente da fare, la segretaria risponde che no, l’agenda del ministro è piena, non ha tempo. Mi rivolgo allora al mio capogruppo Bonelli, ma anche lì nisba, è tutto preso a organizzare non so quale spedizione per salvare non so quale foresta, mi sembra quella amazzonica. Risultato: il canone Rai è addirittura aumentato, la foresta amazzonica va scomparendo.


PASSATEMPI TRA UN VOTO E L’ALTRO
La Finanziaria, dicevo. È un caos totale, il Palazzo impazzisce. I tempi sono contingentati, le sedute si prolungano fino a notte fonda, c’è chi si addormenta in Aula e sui divanetti, si organizzano i turni per andare a mangiare, tanto il ristorante è sempre aperto, «voti tu per me?poi ti copro io», la sigaretta è pressoché libera. Gli avvocati si portano le pratiche più urgenti, già che ci sono gli danno un’occhiata, d’altronde a Montecitorio i doppiolavoristi non hanno bisogno di nascondersi. Altri giochicchiano con il telefonino, c’è addirittura chi si diverte con queste chat erotiche, poi se le guardano a vicenda e sghignazzano. Uno spettacolo deprimente, questa è la verità, e lo dico senza il minimo snobismo, io ci sono in mezzo, sono uno dei commedianti, e pagato per questo, per giunta. I gruppi parlamentari si riuniscono continuamente, ma sono pantomime, alla fine delle quali il segretario o il capogruppo ti dice come votare, peraltro in questa legislatura è il Senato a essere in bilico, alla Camera non puoi nemmeno pensare a un “dispetto”, nel senso che non avrebbe alcuna incidenza. Nei corridoi incontri i ministri che corrono da una parte all’altra, a notte fonda qualcuno ha sbagliato a votare oppure il tal gruppetto ha voluto mandare un avvertimento al governo, dal boato si capisce che è passato un emendamento dell’opposizione, ma l’argomento è secondario, cambia nulla. Poi c’è la Galleria dei Presidenti, in cui i deputati possono ricevere le visite, e lì incontri i rappresentanti delle varie lobby, quelli interessati a che passi questo o quel provvedimento, e cercano di convincerti. Anzi, l’emendamento te lo portano direttamente loro, già bell’e scritto, «allora, cosa dici lo presenti tu?», magari trovi la questione effettivamente interessante ma fai loro presente che comunque saresti l’unico a sostenerlo, e loro non fanno una piega, «tu presentalo, che noi siamo già in contatto con altri onorevoli…» . E c’è caso che nemmeno tanto velatamente ti propongano una contropartita in denaro. Cioè, per dirla chiara, se presenti il loro emendamento ti danno dei soldi. A me è successo. Ho rifiutato.
E nel mezzo di questo gran mercato delle vacche non è raro assistere a dei gran litigi, ne ricordo uno alla buvette tra il nostro capogruppo Bonelli e il ministro Bersani finito a grida e minacce, «io questo non te lo voto!!», ma poi in genere rientra tutto. Magari, se sei fortunato, riesci a strappare al governo una “raccomandazione” su un determinato problema, che non vuol dire nulla ma puoi in seguito esibirla nel tuo collegio e spacciarla per un grande successo, «visto che sto lavorando per voi?». Che tristezza.

ANDATA E RITORNO
Il meccanismo della Finanziaria è astruso. C’è la prima lettura, dove vengono presentati i provvedimenti e discussi gli emendamenti, si vota e si va. Ma poi il falcone passa all’altro organo parlamentare per la seconda lettura, che è quella più importante, perché si inseriscono le eventuali variazioni e si rivota. Qui ci sarebbe da aprire un altro discorso, quello della sovrapposizione di competenze fra Camera e Senato, l’annoso dibattito sull’inutilità del nostro cosiddetto “bicameralismo perfetto” : non sarebbe più logico e funzionale discuterla una volta sola, ’sta benedetta Finanziaria? Ma rischiamo d’infilarci in un ginepraio, nemmeno ne abbiamo la competenza. In ogni caso, ne consegue che il passaggio fondamentale è la seconda lettura. Nel mio caso, ho vissuto entrambi i brividi. Perché nel mio primo anno da deputato, alla Camera la legge di bilancio arriva in prima lettura. Nel secondo anno, invece, a Montecitorio ci tocca la seconda e più importante. Tra l’altro, se da principio faccio parte del gruppo parlamentare dei Verdi, poi passo a quello di Sinistra Democratica. E qui vale la pena di raccontare la trasmigrazione.

IO VADO CON MUSSI
Un giorno mi chiama Pecoraro Scanio e mi convoca d’urgenza, «ci vediamo a casa mia? Devo parlarti di una cosa importante». Subito penso: ecco, arriva il cazziatone. In effetti, c’erano state quelle trasmissioni in cui svelavo qualche onorevole trucchetto, e poi le assemblee in Piemonte dove avevo raccontato dei nostri stipendi altissimi, e i collaboratori di un deputato Verde gli avevano chiesto l’aumento, e insomma questo se l’era presa. Arrivo da Pecoraro: lui abita in un bell’appartamento all’ultimo piano di un palazzo nel centro di Roma, poco lontano dalla stazione Termini, nella zona delle ambasciate e dei consolati. Dalla sua terrazza si gode un panorama magnifico, ci ha anche piazzato una vasca in stile Jacuzzi, così puoi farti l’idromassaggio e cose del genere guardando le stelle, comunque uno spettacolo, e a quel paese le raccomandazioni sui risparmi. Arrivo e dopo i saluti di rito mi spiega: ci sarebbe da aderire a un altro gruppo parlamentare, quello di Sinistra Democratica. Io? «Sì, tu». Il discorso è semplice: il ministro Fabio Mussi e i suoi, in rotta con i Ds soprattutto per via del costituendo Partito Democratico, hanno costituito alla Camera un gruppo parlamentare per conto proprio, chiamato Sinistra Democratica. Solo che adesso dal nuovo gruppo se ne sono andati Grillini e altri due onorevoli, e ci vogliono almeno venti deputati per tenerlo in piedi e avere a disposizione gli uffici e incassare i contributi, e insomma mi par di capire che loro stanno per scendere a diciannove, hanno bisogno di un altro. «Tu fai così - mi dice in sostanza Pecoraro -, aderisci a Sinistra Democratica, il nostro capogruppo ti scrive una bella lettera in cui ti ringrazia per l’adesione tecnica e il gioco è fatto». Spiego che io con Mussi non c’ho mai nemmeno parlato, questo loro capogruppo l’avrò incrociato due volte a dir tanto, e poi non so nemmeno che politica intendano fare, questi. Pecoraro mi tranquillizza, «è solo un’adesione tecnica», e mi aspetta la possibilità di essere candidato alle elezioni europee, potrei diventare subito commissario dei Verdi a Sondrio, che Fi ai Verdi se possono gli sparano, comunque sono offerte che non m’interessano. E allora, volendo, posso cambiare Commissione, ce n’è una che gradisco più della Cultura? Ci penso e decido che va bene, iscrivetemi pure a Sinistra Democratica, per quanto mi riguarda mi piacerebbe la Commissione Affari Esteri, lì ci sono i big. E così succede: io, anticomunista da sempre, mi intruppo con i fuoriusciti dei Ds, questi neanche mi parlano ma mi inviano delle e-mail che cominciano con “Caro compagno”, e la mia “adesione tecnica” mi frutta un posto in Commissione Esteri. Mi arriva la letterina preannunciata: «Caro Roberto, desidero ringraziarti a nome del gruppo parlamentare dei Verdi per la preziosa disponibilità che hai dato nell’iscriverti “tecnicamente” [nella lettera è così, tra virgolette] al gruppo Sinistra Democratica Socialismo Europeo. È stato un atto di importante sensibilità politica che consente al suddetto gruppo di sopravvivere ed evitare lo scioglimento, rafforzando al contempo i rapporti tra noi e il gruppo di Sinistra Democratica. Grazie e un abbraccio». Il trionfo delle idee.

LA LEGGE-MANCIA
E comunque, per concludere sulla Finanziaria, vista dai Verdi o da Sinistra Democratica, non c’è differenza. I meccanismi sono gli stessi. E allora vien quasi da rivalutare la tanto bistrattata “legge mancia”, quella a volte giustamente sbeffeggiata dai giornali perché distribuisce piccoli finanziamenti a pioggia sul territorio. Ed è vero, le modalità sono un po’ losche, non deve nemmeno passare dall’Aula, se la vedono quattro big di destra e sinistra in Commissione, “una fetta a te, l’altra a me, poi ognuno suddivida come crede”, e così ci trovi le centinaia di migliaia di euro regalate all’ente inutile amico dell’amico. Ma anche l’aiuto essenziale all’associazione meritoria, o il contributo per risistemare il campanile o la piazza del paese. Cose concrete, insomma, se poi qualcuno ci fa la cresta è tutt’altro discorso. Dal canto mio, riesco a far passare una sovvenzione alla onlus “La Prateria” di Paderno Dugnano, 70mila euro a un’organizzazione specialità nell’ippoterapia con i disabili, serviranno anche per la nuova sede. Uno degli atti da deputato di cui vado più fiero.

IL RAPPORTO CON I GIORNALISTI
E poi c’è questo strano rapporto coi giornalisti, anzi i cronisti parlamentari, che vivo in maniera ambivalente essendo anch’io giornalista, sia pur disprezzato da quelli “seri” perché faccio la tivù nazional-popolare, sono quello della “scura Maria”, ricordate? E comunque, il giornalista della grande testata lo riconosci subito, arrivi in Transatlantico e lo vedi pienissimo di seissimo che passeggia a braccetto con il segretario di partito, anzi ormai sembra anche lui un segretario di partito, tutto impettito nel suo vestito elegante. In realtà, l’impressione è che qui a Montecitorio ci venga anche per fare passerella, tanto lui lavora più che altro al telefono, nella sua agenda tiene tutti i numeri che più riservati non si può, di certo ha più confidenza lui con i politici d’alto rango che il 90 per cento dei parlamentari. E infatti molto spesso noi soldati semplici dell’Aula lo veniamo a sapere dai giornali, che il partito intende presentare questo o quel progetto di legge, e soltanto in seguito il ministro viene in Commissione a spiegarcelo. Con noi ad annuire come somarelli.

Certo, come direbbe lo psichiatra, quello tra politica e stampa è un rapporto border-line. Noi deputati di seconda fila spacciamo le informazioni di cui siamo a conoscenza, soprattutto i ricercatissimi retroscena, che quasi sempre sono pettegolezzi di quarta mano, e spesso si riducono a impressioni su ciò che sta per accadere, e a volte ce le inventiamo di sana pianta, magari per mettere in difficoltà il rivale politico che nemmeno tanto raramente è dello stesso partito. In cambio, chiediamo un po’ di spazio sul giornale per le nostre iniziative, le proposte che sappiamo non avranno mai seguitola dichiarazione che serve per far vedere al “mondo esterno” che esistiamo.

INTERROGAZIONI A COMANDO
Ecco, è questo: dichiaro, dunque esisto. Questa è una regola fondamentale. Far circolare sulle agenzie di stampa il nostro pensiero su qualunque argomento, anche quello più lontano dalle nostre effettive competenze, serve a qualcuno per nutrire la propria vanità, ad altri per mettersi in evidenza agli occhi del capo, presente o futuro, e agli stessi capi per dimostrare il loro quotidiano impegno al servizio del Paese. In questo senso, Pecoraro Scanio è ormai leggendario: ricordo un articolo in cui si calcolava che in un solo mese era riuscito a far comparire il suo nome in 133 titoli dell’agenzia Ansa. Un record. Ma non si dica che è l’unico: tutti, compreso me, parlano di tutto e anche del suo contrario. E pure ci parliamo addosso: un deputato rilascia una dichiarazione alle agenzie? Subito si aggiunge quella dell’altro onorevole, poi del capogruppo, quindi esterna il sottosegretario, infine il ministro. Cinque voci sullo stesso argomento per un solo partito, qualcosa passerà.

Il gioco di sponda prevede poi le cosiddette “interrogazioni a comando”. C’è il giornale che fa l’inchiesta, l’articolista ti chiama, «perché non sollevi il caso?». Tu prepari l’interrogazione e la presenti. La risposta del governo arriva dopo mesi (se arriva). Ma il giornale può esultare: “I lcaso X arriva in Parlamento”. E anche i tuoi elettori sono contenti.
Ultimamente poi, con tutti questi delitti di cui il pubblico è ghiotto, i giornalisti ti chiamano e chiedono notizie sull’assassino in questione, visto che i parlamentari possono entrare in carcere con la scusa di “controllare come viene trattato il detenuto”. E in realtà, una volta usciti, passano al cronista di riferimento le informazioni necessarie all’articolo - l’omicida pare sereno oppure è turbato, legge romanzi piuttosto che vede i film gialli, in cella fa ginnastica e via dicendo.

OCCHIO ALLE INTERCETTAZIONI
In effetti, con questa storia delle inchieste giornalistiche sugli sprechi di Palazzo e anche la continua pubblicazione di intercettazioni telefoniche più o meno sputtananti, la questione è diventata delicata. In questo senso, ero e resto convinto che sia compito della stampa tenere sotto controllo vita e comportamenti di chi ricopre un incarico pubblico. Per questo, eletto da neanche quindici giorni, promuovo la nascita di un “Comitato per la libera pubblicazione delle intercettazioni telefoniche delle inchieste che riguardano il bene pubblico”. Dopo qualche giorno, mi arrendo all’evidenza: messe in fila, le adesioni occupano meno spazio del titolo dell’iniziativa. Tra l’altro, al momento del voto in Aula sul decreto che ne limita la pubblicazione sui giornali, ci saremmo astenuti soltanto in sette, con gli altri onorevoli a fischiarci e a dircene di ogni.

E sempre a proposito di intercettazioni, è davvero comico come hanno cambiato le abitudini telefoniche degli onorevoli, anche quando nulla hanno da nascondere. Ormai si parla solo per metafore, col risultato che le conversazioni durano il doppio.

«Ciao Polettì, senti, hai poi parlato con quello per quell’altra cosa là?».
«Eh? Chi? Quale cosa?».
«Ma sì dai, la questione quella lì… Hai capito?».
«No, guarda…».
«La cena, la cena con coso…».
«Ma quale cena? E con chi?».
«Ma tu non sei Poletti?».
«Sì, certo che sono io».
«Ma che telefono è questo?».
«Ma è il mio, mi hai chiamato tu!».
«Ah già. E non dobbiamo andare a cena?».
«Sì, mercoledì sera, non ti preoccupare che me lo ricordo».
«E non viene anche quello di quell’altro partito?».
«Sìì, viene anche lui, e allora?».
«Bé, sai, al telefono…».
«Ma che problema c’è?».
«No, niente, ma di questi tempi è meglio stare coperti, no?».

PANTOMIMA CONTRO I PRIVILEGI
Ma le denunce su Casta e dintorni provocano altri effetti paradossali. Innanzitutto, dopo ogni privilegio svelato, si susseguono le proposte di legge per eliminarlo, ma costruite in modo da non poter essere tecnicamente accolte, così da ottenere due effetti: per prima cosa sei ripreso dai giornali, per una volta in senso positivo, e poi ti risparmi le occhiatacce di chi di quei privilegi gode. Ma la cosa più divertente - o disarmante - è un’altra. Perché succede, e io ne sono stato testimone diretto, che l’articolo di denuncia su una delle tante assurde franchigie riservate ai deputati sveli a noi stessi onorevoli un vantaggio di cui non sapevamo l’esistenza. E allora ci si informa - «ma è vero che abbiamo diritto anche a questo?» - per poi usufruirne. Almeno fino a quando il beneficio in questione non sarà travolto dal montante disgusto generale.

È un mondo del tutto autoreferenziale, dai politici stessi che si fanno intervistare per denunciare la “politica politicante” a quelli che si autovotano nel sondaggio lanciato da Italia Oggi sui “cento parlamentari da salvare”, e vedi i deputati che compilano la scheda del giornale segnalando il proprio nome, e quando si accorgono che li hai visti sorridono imbarazzati, «ma sì, dai, è uno scherzo».

Il problema semmai nasce quando proprio i giornali ti pizzicano sul fatto, magari ritirando fuori vecchie dichiarazioni che contraddicono l’immagine che adesso vuoi dare. Io poi, col mio passato in Padania quando la Lega era dura e pura e Bossi chiamava il Nord alla secessione, sono bersaglio facile. Eletto con i Verdi, dunque politicamente alleato con l’estrema sinistra pur non essendo in quasi niente d’accordo con lei, provoco infatti un mezzo coccolone ai miei compagni di schieramento - e anche, a dir la verità, delle occhiate di scherno ai danni del mio gruppo parlamentare, sul genere “visto chi vi siete portati in casa?” - quando proprio Libero ripubblica un articolo da me firmato anni prima, dove parlando di clandestini provocatoriamente mi definivo “razzista” e chiedevo senza giri di parole di “sbattere fuori questi maledetti”. Provate a pensare alla faccia, chessò, dei Comunisti Italiani… Non per discolparmi - e infatti non lo faccio, anzi ci ho parecchio riso su - ma sono figuracce in cui, nel Paese dei ribaltoni e ribaltini, la maggior parte dei parlamentari è incappata almeno una volta. Tanto, la tattica di reazione, a destra e a sinistra, è sempre la stessa: se il giornale è politicamente avverso, meglio controbattere poco o niente, «tanto i nostri non lo leggono». Oppure gridare alla ” strumentalizzazione di parte”.

TUTTI IN POSA, C’È LA TIVÙ
E passiamo la tivù. Ah, quanto ci piace a noi parlamentari la tivù. A parte quei pazzi delle Iene, che organizzano agguati davanti al Parlamento per farti fare delle gran figuracce, e quando si sparge la voce che sono nei paraggi c’è chi cerca in ogni modo di mimetizzarsi per evitarli. Per il resto, ho spiegato che il mezzo lo conosco, dunque i meccanismi già li avevo compresi. Ma osservati dall’interno, bè, sembra un film comico. E non mi riferisco necessariamente ai pezzi grossi, quelli che vengono invitati a “Porta a porta”, che loro in effetti qualcosa hanno - avrebbero - da dire, comunicare, spiegare, litigare. Parlo ancora una volta di noi peones. Che, tanto per fare un esempio, facciamo a gara per comparire di fianco al segretario durante un’intervista al tg, così ci vedono e facciamo la figura di quelli che contano qualcosa. Un po’ come il famoso disturbatore Paolini. Solo che a noi non ci cacciano.

Un altro show va in onda durante il cosiddetto “question time”. In teoria, è un confronto durante il quale i rappresentanti del governo - ministri o quant’altro - rispondono in Aula alle domande poste dai deputati. In pratica, si trasforma in una vetrina a uso e consumo della televisione, visto che viene trasmesso in diretta dalla Rai. In genere, si tiene il mercoledì. Gli interventi vanno però consegnati entro lunedì a mezzogiorno, dunque le risposte sono preconfezionate. Quasi sempre, l’Aula è semivuota, poiché in quella ora e mezza non si vota, quindi liberi tutti: si riempie soltanto quando vengono affrontati temi particolarmente importanti, e allora tutti presenti, chissà che i giornali non ne parlino.

In ogni caso, tra i deputati ci sono gli aficionados del “question time”, ormai espertissimi di regia e inquadrature. Il mio vicino di ufficio Arnold Cassola, per esempio, è bravissimo: lui è stato eletto in una circoscrizione estera, e dunque quelli che l’hanno votato vedono in video quanto si dà da fare, e questa volta non lo dico in senso ironico, si dà da fare davvero. Certo, sugli effetti concreti dei suoi appassionati interventi qualche perplessità rimane. Ma tant’è: l’importante è parlare, qualche traccia resterà. Anche se a volte sarebbe meglio di no.

Fonte Quotidiano Libero del 21 marzo 2008


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pappa....pappa.....

Pubblichiamo oggi la quinta puntata dell’inchiesta “Papponi di Stato”, firmata da Roberto Poletti e Andrea Scaglia: Poletti, eletto deputato nel 2006 con i Verdi, racconta in prima persona la sua esperienza a Montecitorio, svelando dall’interno privilegi e assurdità del Palazzo.

C’è stata questa storia di Mastella messo in croce perché aveva usato l’aereo di Stato per andare al Gran Premio, in realtà aveva chiesto un passaggio a Rutelli che a Monza doveva andarci per consegnare la coppa ai vincitori della gara. E insomma, uno scandalone. Ma dell’uso “allegro” dei voli di Stato, a Palazzo, sanno tutti. Devi andare in visita ufficiale all’estero? Se te la passano, ci unisci anche la tappa che ti riguarda personalmente. Un esempio: Pecoraro Scanio ha in programma un volo in Romania per l’incontro bilaterale con il ministro dell’Ambiente di Bucarest. Ma c’è anche da presenziare alla trasmissione televisiva di Crozza, il comico, (…) segue a pagina 2 (…) quello diventato famoso nella trasmissione di Celentano. Ed ecco la richiesta, inoltrata all’ Ufficio per i voli di Stato di governo e umanitari : “Il ministro dell’Ambiente, On. Alfonso Pecoraro Scanio, per ottemperare ad impegni istituzionali, si recherà a Milano, presso gli studi televisivi di “Crozza Italia”, per un’intervista relativa al suo impegno di governo per quanto riguarda le questioni ambientali”. Seguono indicazioni su orari e delegazione, e poi la chiosa: “Non consentendo gli orari dei voli commerciali al ministro di effettuare la missione in questione, si richiede la concessione di un volo di Stato”. Ora, che ci sia difficoltà a trovare un Roma Milano entro le 15 pare difficile, c’è n’è uno ogni ora o giù di lì. Ma l’andazzo è questo. E non vorrei sembrasse che me la prendo sempre con Pecoraro, tra l’altro l’aereo di Stato per andare da Crozza nemmeno gliel’hanno concesso, ma essendo io deputato dei Verdi è quello che conosco meglio. Ben inteso, tutti gli altri han poco da fare i moralisti: nel 2004, con Berlusconi al governo, sono stati spesi 52 milioni di euro in voli di Stato, 50 nel 2005, e poi 43 nel 2006, poco meno di 30 nel 2007.
Impressionante, considerando che agli “aerei blu” hanno diritto il capo dello Stato, i presidenti delle Camere, il presidente della Corte Costituzionale e i membri del governo.

QUANTO E’ COMODA LA SALA VIP.
E gli altri? I deputati “normali”? Ma sì, che anche loro se la girano alla grande, certo non con gli aerei di Stato, lì sopra eventualmente ci scappa qualche passaggio, alla Mastella . Torniamo allora alle famose “tesserine”, quelle che come d’incanto aprono a noi onorevoli porte serrate per i comuni mortali. Ho già raccontato del lasciapassare per parcheggiare gratis l’auto negli aeroporti di Linate e Malpensa. E se la macchina la devi lasciar lì per tutte le vacanze, bhè, nessun problema, ce la lasci a costo zero. Basta almeno che sia quella con la targa accreditata. Ricevo infatti un avviso dal Direttore relazioni esterne Sea, la società che gestisce gli aeroporti milanesi, indirizzato a tutti i deputati e senatori e parlamentari europei, che dopo aver sottolineato come “a volte l’utilizzo della tessera non corrisponde a nessun imbarco da parte del titolare della tessera stessa”, chiude così: “Vi ricordiamo che la tessera è strettamente personale, e che il sistema dopo tre passaggi consecutivi di lettura della tessera con targa diversa da quella segnalata, la disabilita automaticamente. Sperando che comprendiate le motivazioni che mi hanno spinto a scrivere la presente…“. Comprendiamo, comprendiamo. Naturalmente, la Sea pensa anche ad alleggerire la sfiancante attesa prima dell’imbarco di noi poveri lavoratori parlamentari: possiamo goderci i comodi divani delle sale Vip, con servizio bar gratis, giornali e riviste gratis, postazioni internet gratis, eventualmente sale riunioni, sempre gratis. Non che sia un privilegio epocale, ma ai viaggiatori normali la tessera che dà diritto all’accesso costa 800 euro l’anno, buttali via. D’altro canto, Alitalia mi comunica che a Fiumicino la sala Club Freccia Alata “vedrà raddoppiati i propri spazi e sarà dotata di nuovi arredi e maggiori comfort”. Evvài. E i severissimi controlli di sicurezza agli imbarchi? Per tutti ma non per noi, noi si passa da dietro, come hostess e steward. Se beccano un viaggiatore che vuol salire sull’aereo con un paio di bottiglie di vino, tanto per fare un esempio, gliele requisiscono. Con i parlamentari non si azzardano. Poi ci sono i voli di trasferimento da e per il Parlamento: come detto, vai all’agenzia di Montecitorio e fai il biglietto. Ora, io abito a Milano, i voli low-cost sono una realtà da tempo, quasi si paga meno che in treno. Ma quando ritiri il tagliandino, c’è stampata anche la tariffa, che io non pago ma è quella che va ad incidere sulle casse statali. E allora, ecco: Linate-Fiumicino andata e ritorno al modico costo di euro 625. Seicentoventicinque euro, tantissimo. Vabbè: diciamo che anche in questo modo si cerca di dare una mano alla malmessa Alitalia. Senza contare che più la tariffa è alta, più si ricarica la tessera “Mille Miglia”, che se accumuli un tot di punti poi ti regalano il volo per dove vuoi. E anche questo non fa schifo. Ecco perché sono preferiti i biglietti “aperti”: quelli con andata e ritorno già fissati costerebbero anche il 75 per cento in meno. Discorso a parte meritano le “missioni” organizzate da commissioni, giunte e comitati vari, che tra l’altro giustificano il deputato per l’eventuale assenza dall’Aula, permettendogli di incassare la diaria. E guardate, in questo caso non è che si vuole necessariamente fare il solito discorso sul magna magna , “i deputati fanno finta di lavorare e invece si fanno le vacanze all’estero tanto paga lo Stato”. Il punto è anche un altro: sei onorevole, e subito ti senti Henry Kissinger. E per passare alla storia, o più semplicemente per guadagnare un po’ di visibilità, ti prendi in carico casi importanti, magari diplomaticamente delicati, senza avere l’autorità né gli strumenti per risolvere alcunché. T’improvvisi ministro degli Esteri, col risultato che rischi di alimentare illusioni, o addirittura di fare dei danni. E quindi, c’è questo Britel Abou Elkassim che è detenuto in Marocco. Una storia drammatica: l’imputazione è di associazione sovversiva, in pratica è accusato di essere un terrorista anche e soprattutto per l’attività che si sospetta abbia svolto in Italia. Perché Britel è cittadino italiano, è sposato con un’italiana, viveva a Bergamo, e i nostri giudici hanno concluso le indagini definendo le accuse totalmente insussistenti, archiviando il caso. Ma lui rimane in galera in Marocco. A Montecitorio circola la petizione per chiederne la grazia al re Mohammed VI, la firmano in cento, in questi casi la firma su una petizione non si nega mai. Magari senza neppure leggerne il testo, giusto per togliersi dalle scatole il collega petulante. S’incaricano di recapitare la richiesta due rifondaroli, Ezio Locatelli e Khalil Alì (più noto come Alì Raschid), e il sottoscritto. Si parte, cinque giorni di missione, con la moglie di Britel che spera e ci crede, tra l’altro al re stava per nascere la prima figlia e in segno di giubilo erano state annunciate amnistie e atti di clemenza. L’ambasciata italiana in Marocco si mette naturalmente a disposizione: ambasciatore in persona, poi funzionari, autisti, interpreti e tutto il contorno. Per consegnare la petizione, incontriamo e parliamo con il ministro di Sua Maestà, che annuisce ma si vede che neanche ci ascolta, poi andiamo anche in carcere ad incontrare Britel, lui ci ringrazia e piange. Torniamo in Italia. Nulla si muove, tutto resta come prima. È passato più di un anno, Britel è ancora in galera, speriamo che tra le mura della cella marocchina non gli abbiano fatto pagare il clamore provocato dalla spedizione di tre signor nessuno. Quel che ci resta è l’insopportabile impressione di aver alimentato unicamente la nostra vanità, oltre a qualche fotografia che ci siamo scattati a vicenda in abiti maghrebini e al ricordo del ricevimento all’ambasciata organizzato in nostro onore. No, non siamo Henry Kissinger. E nemmeno D’Alema.

GENOVA VERDE
Meglio ripiegare sul territorio nazionale. Allora, ci sono le elezioni comunali a Genova. Un appuntamento importante, tornata amministrativa a un anno dall’elezione di Prodi, per il centrosinistra il capoluogo ligure è vetrina nazionale. Ma la situazione è complicata: Cristina Morelli, capogruppo dei Verdi in Regione, e Luca Dall’Orto, assessore comunale all’Ambiente, i due esponenti di spicco del partito in Liguria, avevano celebrato la loro storia d’amore con un simbolico Pacs a Roma, in piazza Farnese. Ma adesso pare siano in lite, la campagna elettorale rischia di esserne penalizzata. E non c’è da meravigliarsi né scandalizzarsi, la politica è condizionata anche da vicende come questa, e molto più spesso di quanto si pensi. Comunque, il partito mi invia quasi fossi commissario nazionale, tra le altre cose devo anche fare da paciere. Mi trasferisco a casa di Cristina per qualche settimana, lei è gentile e ospitale, non fosse per i suoi 7-gatti-7 che, lo dico da amante degli animali, alla lunga sono un po’ un tormento, te li trovi dappertutto, «e guarda Bibì, e che simpatica Mimì, e vieni qui Cicì» , grande sensibilità ma insomma la casa è tutta un pelo, e io sono anche un po’ allergico. E poi lei è vegetariana, al ristorante mi fa dei gran cazziatoni quando ordino carne e pesce, «sei un assassino» , che ci sono volte che penso a Luca e non so perché ma gli sono vicino. Alla fine, la coppia scoppiata si dimostra responsabile, mettono da parte i contrasti domestici e affrontano da persone civili la campagna elettorale. Nel frattempo, devo anche volare a Roma per parlare con Pannella e contrattare l’apparentamento in loco con i Radicali, mi sorbisco ore di comizio, Marcone non smette di parlare nemmeno se gli spari, fatto sta che l’accordo si fa, entrano nelle nostre liste. Alla fine, tutto va come deve: a Genova vince la candidata sostenuta anche dai Verdi. Obiettivo raggiunto. Già che son lì, mi metto a girare e vado a vedere di persona situazioni che m’interessa affrontare, chissà mai che possa combinare qualcosa “per la gente”, come si dice. C’è la questione della discarica di Monte Scarpino, in provincia di Genova, pare vogliano piazzarci un inceneritore e i residenti sono parecchio arrabbiati. In effetti, mi sembra che il problema esista, le persone mi accompagnano e spiegano, nei pressi delle scuole passano decine di camion al giorno, la gente s’ammala e muore. Preparo un’interrogazione parlamentare che avrei presentato al ministro, il “mio” ministro, nel senso che è dei Verdi. Niente da fare: il presidente della Camera Bertinotti la dichiara inammissibile. Certamente sarò stato io a formularla non nella maniera burocraticamente corretta, resta il fatto che la sensazione d’inutilità cresce in me ogni giorno di più. Poi c’è il Parco del Tigullio. Vedo che al partito interessa quest’eventualità di creare un parco marino e terrestre del Levante, esteso fino a Moneglia e comprendente anche quello di Portofino. M’incarico io di portare avanti la questione, preannuncio una proposta parlamentare. E allora riunioni su riunioni, con il paradosso che lo stesso Consiglio Provinciale ulivista, Verdi compresi, dibatte e boccia l’idea, lamentandosi perché «è caduta dall’alto». Ma il progetto non è mai stato nemmeno presentato. Un’altra marea di parole sul nulla.

PROMESSE AL VENTO
Infine, questa storia del leccio, che poi è un albero tipo quercia. Un incubo. Spiego: vado con Pecoraro a Sestri Levante, siamo in campagna elettorale e bisogna dar ascolto e promettere qualcosa a tutti. Il sindaco ci racconta di questo misterioso delitto, ignoti hanno avvelenato il leccio secolare che domina la passeggiata a mare. Vane si sono rivelate tutte le cure straordinarie, gli esperti che l’hanno visitato hanno emesso la diagnosi che è una condanna: signori, abbiamo fatto di tutto, ma purtroppo bisogna abbatterlo. Per la cittadina è una tragedia, il sindaco ci chiede di far qualcosa: «Qui ci vuole un altro leccio, ministro, onorevole, pensateci voi». La vicenda è simbolica, rimbalza sulla stampa locale. Pecoraro dice che sì, un nuovo leccio si può trovare, se ne interesserà personalmente. Poi ce ne andiamo e mi passa la palla, «di ’sta storia occupatene tu». Da allora - e lo dico anche ai cittadini di Sestri, in senso positivo - il sindaco non molla più la presa. Telefona, scrive, mi invia anche un’e-mail con le caratteristiche che deve avere il nuovo albero - “asse diritto dalla base alla punta, fusto sano senza ferite, circonferenza del fusto a m. 1 da terra cm. 60/70, apparato radicale che abbia subito prima che la pianta sia stata messa in vaso almeno tre trapianti di cui l’ultimo da non più di tre anni”. Mesi di persecuzione, e arrivo a pensare che, porcamiseria, potrebbe anche pagarselo il Comune, il leccio. Ma poi mi dico che ha ragione lui, d’altronde gli era stato promesso. La realtà è che, per noi deputati, è più utile pontificare sui massimi sistemi che far piantare un albero in riva al mare. E poi, accidenti, quante promesse gettate al vento.

SIAMO TUTTI HENRY KISSINGER .
E poi le “missioni” organizzate da commissioni, giunte e comitati vari. Non c’è solo il solito discorso tipo “i deputati si fanno le vacanze all’estero tanto paga lo Stato”. Il punto è anche un altro: sei onorevole, e subito ti senti Henry Kissinger. Ti prendi in carico casi diplomaticamente delicati, senza avere strumenti né autorità per risolverli. T’improvvisi ministro degli Esteri, ma rischi solo di alimentare illusioni o fare danni.

TARIFFE ESAGERATE TESSERINA RISERVATA
Ci sono i voli di trasferimento da e per il Parlamento: come detto, vai all’agenzia di Montecitorio e fai il biglietto. Ora, io abito a Milano, i voli low-cost sono una realtà da tempo, quasi si paga meno che in treno. Ma quando ritiri il tagliandino, c’è stampata anche la tariffa, che io non pago ma è quella che va ad incidere sulle casse statali. E allora, ecco: Linate-Fiumicino andata e ritorno al modico costo di euro 625 [il biglietto è pubblicato qui sopra]. Seicentoventicinque euro, tantissimo. p La Sea, società che gestisce gli aeroporti milanesi, manda una lettrera a deputati e senatori, cui ha concesso la tessera che permette di parcheggiare gratis. Nell’avviso [pubblicato qui sotto], si sottolinea che “a volte l’utilizzo della tessera non corrisponde a nessun imbarco da parte del titolare”, e chiude comunicando che “dopo tre passaggi consecutivi di targhe diverse da quella segnalata, sarà disabilitata automaticamente. Sperando comprendiate le motivazioni che hanno spinto a scrivere la presente…”. Comprendiamo.

MILIONI ALL’ARIA
L’andazzo sull’uso disinvolto degli “aerei blu” è questo. E non si tratta soltanto di Pecoraro Scanio, tutti gli altri han poco da fare i moralisti: nel 2004, con Berlusconi al governo, sono stati spesi 52 milioni di euro proprio in voli di Stato, 50 nel 2005, e poi 43 nel 2006, poco meno di 30 nel 2007.

TRASFERTA INUTILE
Quel che ci resta dopo la missione in Marocco è l’insopportabile impressione di aver alimentato unicamente la nostra vanità, oltre a qualche fotografia che ci siamo scattati a vicenda in abiti maghrebini e al ricordo del ricevimento all’ambasciata organizzato in nostro onore.

Fonte Quotidiano Libero del 22 marzo 2008


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Se la vita ti sorride,ha una paresi.(Paco D'Alcatraz)

Il sonno della ragione genera mostri. (Goya)

Apocalisse Laica

Querdenker evangelico anticonvenzionale del 1° secolo. "Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam!" g.b.--In nece renascor integer ./Satis sunt mihi pauci,satis est unus,satis est nullus. Seneca-Ep.VII,11


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