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Psicologia della religione

Ultimo Aggiornamento: 05/08/2008 09:27
05/08/2008 09:27
 
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da www.teologiamilano.it/obi/psicologia.html

PSICOLOGIA DELLA RELIGIONE

L'interesse per la psicologia della religione sta crescendo, in questi ultimi anni, anche in Italia. Ne sono indice il crescente numero di Congressi e di Convegni di studio, l'incremento del numero dei corsi a livello universitario e la recentissima istituzione, all'interno della Società Italiana di Psicologia, di una specifica Divisione Scientifico-Professionale "Psicologia e Religione".
Ne è un indice indiretto, se si vuole, anche la qualità e la quantità delle pubblicazioni, alcune di rilevante peso scientifico, altre di vasta e buona divulgazione. (In realtà, è in circolazione anche qualche "pasticciaccio" di basso profilo, che è volutamente ignorato da questa rassegna).
L'interesse degli studiosi è spesso rivolto a definire l'ambito epistemologico e metodologico di un approccio psicologico al fenomeno religioso. La psicologia ha da tempo rinunciato alla pretesa di formulare teorie sintetiche; (e tendenzialmente riduzionistiche) sulla genesi e l'essenza della religione. La lettura psicologica considera la religione una risposta pregnante alla domanda di significato esistenziale, reperibile, in modo implicito o esplicito, nell'uomo. Una risposta che appella al Trascendente, al Radicalmente-Altro. Ma la psicologia si limita a formulare giudizi di congruità psichica del vissuto religioso con l'insieme della personalità e non può esprimersi, per i suoi intrinseci limiti epistemologici, sull' esistenza del Trascendente, né formulare giudizi di valore, se non di validità psichica, sulla fede del credente. E sotto questo profilo, della congruità psichica, si occupa, correttamente, tanto dell'atteggiamento del credente che di quello dell'ateo.
Questa prospettiva è evidenziata fin dal titolo del volume che è di gran lunga il più importante uscito in questi anni,
A. Vergote, Religione, fede, incredulità. Studio psicologico, Paoline, 1985, pp. 384, L. 20.000.
Si tratta di un'opera fondamentale, nel senso più stretto della parola. Rigorosa, non presuppone, però, specifiche conoscenze, ed offre, non ultimo pregio, una lettura di grande godibilità intellettuale per la lucidità delle argomentazioni e la chiarezza del dettato. Vergote, filosofo, teologo psicoanalista, pur riferendosi a vaste ed approfondite ricerche empiriche, per le quali la sua scuola di Lovanio si è imposta all'attenzione internazionale, ce ne presenta, qui, solo le risultanze più significative, atte a strutturare, nel loro intrecciarsi, una visione sintetica dei percorsi psichici attraverso i quali l'uomo giunge ad aderire (o a prendere le distanze) dalla religione. Riferendosi poi alle modalità espressive in cui il credente vive e manifesta la propria religiosità, l'Autore propone una lettura dei dinamismi psichici in gioco nella preghiera, nel rito e nel comportamento etico.


Nell'ambito di uno studio psicologico approfondito del vissuto religioso si colloca anche il volume di A. Godin, Psicologia delle esperienze religiose. Il desiderio e la realtà, Queriniana, 1983, pp. 255, Lit. 22.000.
L'Autore, analizza quattro tipi di esperienza religiosa, più diffusi nel mondo contemporaneo: l'esperienza individuale di conversione, l' esperienza emozionale intensa, e le esperienze, più "nuove" vissute in gruppo, soffermandosi in particolare sui gruppi del rinnovamento e su quelli socio-politici o "impegnati" , secondo una terminologia alquanto imprecisa. In ciascuna di queste modalità di esperienza religiosa, Godin individua le componenti psicologistiche, esposte al rischio di ridurre il vissuto religioso a una risposta funzionale ai bisogni dell'uomo, segnata dal narcisismo e dal desiderio di onnipotenza, distinguendole dalle componenti più aperte e dinamiche, disponibili al riconoscimento e alla relazione con un Dio-Altro (Inatteso e Diverso), che trascende la proiezione dei desideri dell'uomo. [Dissento da questa conclusione,in quanto,considerare l'esperienza religiosa come un'esperienza di apertura al trascendente trova anch'essa i suoi limiti nell'impossibilita' di dimostrare la realta' - esistenza di questo Dio-Altro.Rammento che anche nelle manifestazioni psico-patologiche di estrema rilevanza si possono avere taluni effetti in cui il soggetto sembra estraniarsi completamente dal contesto sentendo come profondamente ed estremamente reali talune proiezioni della sua mente. Il trascendere le proiezioni dei desideri dell'uomo rimane una mera possibilita' priva di fondamento,se proprio vogliamo essere "cattivi"

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se non sono d'accordo con il riduzionismo narcisistico-funzionale individuale,tuttavia la religiosita' rappresentava nel passato un forte elemento di coesione sociale oltre che di rinfrancamento psicologico-emotivo,gli studi che si compiono oggi dovrebbero tenere conto anche di cio' guardando al passato,non solo al presente.
]


Un'opera che coniuga in maniera esemplare la scientificità della ricerca empirica con l'esigenza di una divulgazione di alto livello è quella curata da B. Ravasio, Psicologia e azione pastorale, Piemme, 1984, pp. 359, L. 30.000.
Strutturata come un insieme di voci monografiche, redatte ciascuna da uno specialista, presenta, oltre ad un'ampia voce di "Psicologia della religione", trattazioni su tematiche collaterali, come "Psicologia e azione pastorale", "Psicoanalisi e azione pastorale" e molte altre di primario interesse non solo per l'operatore della pastorale ma per educatori, insegnanti e per quanti abbiano un rapporto di consulenza psicopedagogica.

Tra gli Atti dei congressi e Convegni, si segnala il recentissimo Psicologia, religione, cultura, Ed. Proing, 1989, 2 vv., pp. 216 e 392, Lit. 30.000.
Si tratta degli atti del convegno, dallo stesso titolo, tenutosi a Torino nel 1987, che ebbe grande risonanza. Nella pluralità di voci e nella diversità di approcci, caratteristica di ogni convegno a larga presenza di relatori, si presenta come un interessante documento dello stato degli studi sul tema e offre preziosi stimoli per una riflessione ulteriore e per un ampliamento degli orizzonti di ricerca.

Pure molto significativa, sia per le tematiche affrontate sia perché solleva coraggiosamente uno strano velo steso generalmente dagli psicoterapeuti sui vissuti religiosi dei loro pazienti, è il volume di L.G. Grandi, Psicoterapia e religione, Ed. Proing, 1986, pp. 146, Lit. 15.000.
Confrontando criticamente le teorie sulla religione di Freud, Jung e Adler con la personale esperienza di analista, l'autore evidenzia l'incidenza dei vissuti religiosi nella strutturazione e ristrutturazione della personalità.
[Bè,in numerose psico-patologia anche l'espressione artistica rappresenta un tentativo di strutturazione del tutto,dell'insieme della personalita' a fronte di un'evento traumatico che ha provocato una destrutturazione a livello di personalita']


Il dialogo tra psicologia e teologia è attentamente e criticamente coltivato presso la Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale di Milano e trova espressione, qua e là, in volumi (manuali, saggi, tesi di laurea) di varie collane dell'Editrice Glossa. Tra le pubblicazioni più recenti se ne segnalano due, entrambi frutto di importanti convegni tenutisi presso la stessa Facoltà. Teologia e psicologia, numero monografico di «Teologia» 28/3 (2003), ? 10,00. È, ad oggi, la più rigorosa ed attuale riflessione su questo «confronto inevitabile ed arduo» come lo definisce Giuseppe Angelini che introduce, storicamente e criticamente "Lo sfondo antropologico culturale del confronto", denunciando in particolare la carenza di referenza dei saperi "scientifici" alla coscienza immediata. Segue il contributo di Mario Aletti, "Psicologia, teologia, psicologia della religione. Alcuni snodi attuali di un rapporto complesso", che fa il punto sulla questione rileggendo criticamente la letteratura contemporanea ed evidenziando alcune nuove prospettive, dal punto di vista degli psicologi della religione. Muove invece dalla prospettiva teologica il saggio di Giuseppe Mazzocato, che riunisce sotto il titolo "Psicologia e teologia" considerazioni critiche sulle vicende di questo complesso rapporto in ambito americano ed europeo e sul dibattito teologico in esse sviluppatesi. Bruno Seveso riapre il dibattito sul tema "Pastorale e psicologia" ricostruendo come i manuali di teologia pastorale cattolica da una parte e il dibattito pastoral-teologico dall'altra, si aprono ai contributi psicologici ed all'esperienza psicologica in generale. Il contributo di Stefano Guarinello, "Racconto, relazione, rappresentazione. Spazi della psicologia nella direzione spirituale" propone alcuni principi e metodi di questo particolare ambito dell'azione pastorale. Luca Ezio Bolis riprende un ambito di applicazione pragmatica delle conoscenze psicoanalitiche con il saggio "Letture psicoanalitiche dell'esperienza spirituale di santa Teresa di Lisieux". Ad un'altra peculiare forma di interazione tra psicologia del profondo e teologia, è dedicato il saggio di Massimo Diana che ripercorre criticamente il percorso di "Eugen Drewermann, teologo e psicoterapeuta" Questa raccolta di contributi, che per tanti aspetti (anche nella pluralità degli approcci metodologici) rispecchia la situazione attuale di apertura e non univocità del rapporto tra teologia e psicologia, rappresenta comunque il momento più alto e criticamente precisato del dialogo oggi in Italia, ben lontano dalla confusività di altri approcci psico-teologici e psico-spirituali che incontra tanto acritico favore nella pubblicistica divulgativa ed anche in ambienti accademici ecclesiastici.

Un altro volume che pubblica gli atti di un convegno della Facoltà Teologica di Milano è M. Aletti - G. Angelini - G. Mazzocato - E. Prato - F. Riva - P. Sequeri, La religione postmoderna, Glossa, Milano 2003, pp. 225, ? 18,00. Come il convegno, il volume è articolato in tre momenti. Il primo propone una lettura psicologica delle nuove (o rinnovate) forme di religiosità contemporanea e analizza la tendenza di forme psicologistiche del sentimento del sacro a proporsi come nuova sapienza psico-religiosa. Il secondo analizza i rapporti tra religione, moderno e postmoderno sotto il profilo socio-culturale, politico ed etico. Il terzo presenta la situazione attuale e prospetta criticamente possibili esiti del confronto della "religione postmoderna" con le forme attuali del cattolicesimo.

I rapporti tra teologia e neurobiologia (e, in maniera meno feconda, almeno in Italia, tra l'insieme delle neuroscienze e religione) aprono un nuovo campo di ricerca e di discussione, promettente, ma anche incerto, come ogni nuovo terreno di esplorazione. È noto che la questione - insieme filosofica e psicologica - del rapporto mind-body spazia dal livello epistemologico e metodologico a quello degli strumenti della ricerca. Il dibattito ha a che fare con il futuro stesso della psicologia come disciplina autonoma, ovvero con la sua riduzione alle neuroscienze, quando non alla biologia, da una parte, e al decostruzionismo ermeneutico, dall'altra. Che ad una attività mentale corrisponda sempre un processo cerebrale e che tanto più la prima sia complessa e raffinata, tanto più il secondo sia altamente differenziato e specifico non pone meraviglia; meraviglierebbe il contrario. Perciò, la psicologia della religione non riceve un grande contributo al suo progresso quando apprende dalla neurobiologia che l'atteggiamento religioso (o magari mistico) ha un correlato neurobiologico. E tuttavia, la tendenza alla "riduzione del complesso al più semplice", si annida in molta parte della divulgazione delle scoperte della neurobiologia. Questa scienza (che ricomprende la neuroanatomia e la neurofisiologia) conosce progressi stupefacenti nel campo delle tecniche di indagine e di visualizzazione dell'attività cerebrale, mentre appare ancora immatura la riflessione sulla contestualizzazione e sul significato di queste ricerche per la comprensione della persona.

In Italia è stato recentemente pubblicato il volume di E. d'Aquili - A. Newberg - V. Rause, Dio nel cervello. La prova biologica della fede (Uomini e religione), Mondadori, Milano 2002, pp. 210, ? 15,80, traduzione dal titolo accattivante e mistificante, dell'originale inglese del 2001, Why God won't go away che, in realtà, è la formulazione più semplicistica e "a tesi" tra le numerose pubblicazioni di questi autori che, per il loro entusiasmo "apologetico" sono stati definiti "neuroapostoli". La carenza di riflessione di cui si diceva appare significativamente anche nei commenti dei pochi autori italiani che si sono accostati a questa pubblicazione, senza approfondire, "di prima mano" i numerosi rapporti di ricerca pubblicati su riviste internazionali. Gli studi degli autori si sono incentrati soprattutto sul campo della meditazione e della "mistica", a partire dall'analisi del flusso ematico cerebrale attraverso la SPECT (acronimo inglese per tomografia computerizzata ad emissione di singoli fotoni) e la risonanza magnetica funzionale. Ma constatare, come fanno gli autori che sia un gruppo di meditatori buddisti, sia un campione di tre suore cattoliche, mentre meditano presentano entrambi una diminuzione dell'attività del "lobo parietale superiore posteriore" del cervello non dovrebbe autorizzare a dire di aver individuato il "luogo della meditazione" o che vi sia una struttura cerebrale preposta alla religione, definibile come "il modulo di Dio". Tanto meno accettabile sembra la pretesa di costruire, a partire da questa premessa, una "Neuroteologia", cioè una teologia formulata dal punto di vista neurobiologico o, addirittura una "metateologia" che sarebbe strettamente inerente alle strutture del cervello e quindi precedente ad ogni formazione religiosa storico-culturale.
[Posto che il progresso delle neuroscienze e' costante e in vertiginosa crescita,l'assunto della equazione sentimento-religioso = struttura cervello (una sua parte) puo' sembrare in effetti forzato,in quanto ancora non conosciamo a fondo il nostro cervello,tuttavia,e' una spiegazione che e' in linea con l'osservazione e gli esperimenti,ragion per cui,se i delatori di questa prospettiva riuscissero a dimostrare che vi sia una parte di noi che si si struttura,agisce e pensa andando oltre le strutture del cervello,ben vengano]

Alla mancanza di riflessione teorica cui si accennava, fa da contrappunto positivo il contenuto di molti saggi del volume bilingue (italiano ed inglese) Religione: cultura, mente e cervello. Nuove prospettive in psicologia della religione/ Religion: culture, mind and brain. New perspectives in psychology of religion, a c. di M. Aletti - D. Fagnani - G. Rossi, Centro Scientifico Editore, Torino 2006, pp. 392, ? 34,00. Tra le molteplici prospettive che oggi intrigano la psicologia della religione il volume ne privilegia due, affidandole ai saggi di studiosi di rilievo internazionale: quella della psicologia culturale, da una parte e quella della neurobiologia e, più in generale, delle neuroscienze, dall'altra. Nella convinzione, dichiarata, che, se si studia il comportamento dell'individuo, le dicotomizzazioni (biologico-psicologico, natura-cultura, etc.) tendono a sciogliersi in quell'unicum complesso che è lo psichico e, nel caso il vissuto psichico verso la religione. Chiedersi che cosa sia lo specifico psichico della religione, tra mente, cervello e cultura significa perciò - sostengono i curatori del volume - raccogliere le sfide ed assumersi il compito scientifico (ed etico) di contribuire allo sviluppo della psicologia tutta. E significa, altresì, cogliere la rilevanza del vissuto religioso nella personalità del singolo soggetto, quale si viene continuamente strutturando nell'interagire di dotazione neurobiologica, contesto culturale e storia personale.

Il leitmotiv della necessaria complementarietà tra approccio neurobiologico e approccio culturale è continuamente ribadito, specie nella prima parte del volume, Religione: cultura, mente, cervello. Questioni fondamentali. Questa si apre con un saggio di Alessandro Antonietti che propone una visione della psicologia che tenga presente lo strutturale radicamento del mentale nel corpo e l'imprescindibile carattere situato della vita mentale, ma che riconosca la genuina natura intenzionale degli atti soggettivi attraverso cui la persona dà senso alla propria esperienza della realtà[Eh be',e' quello che dicevo poc'anzi,in che modo si puo' capire se una tale intenzionalita' ad un certo punto vada oltre la mera neurobiologia? Servirebbero altre evidenze,la sola ipotesi non basta]. Il contributo di K. Helmut Reich mira a più obiettivi: collocare la questione mente/cervello all'interno dell'ambito della riflessione filosofica contemporanea; illustrare l'attuale stato della neurobiologia e i suoi metodi; presentare le ricerche interdisciplinari in cui confluiscono la neurobiologia e la psicologia della religione e, in conclusione, evidenziare come entrambe le discipline possano trarre vantaggio da ricerche di questo tipo. Jacob A. Belzen presenta un quadro articolato della psicologia culturale della religione analizzandone prospettive, sfide e possibilità e presentandone alcuni promettenti approcci contemporanei. Questo approccio rende possibile la concettualizzazione e l'indagine del nesso esistente tra la religione, intesa come fenomeno culturale e il funzionamento psichico degli individui. Geraldo José de Paiva sottolinea, nel suo contributo, la necessaria complementarietà dell'approccio neurobiologico e di quello culturale e presenta alcune recenti proposte emergenti dalla scienza cognitiva della religione che si ancorano a una visione attuale del radicamento biologico del comportamento religioso, senza però sminuire il ruolo centrale della cultura nel determinarne il carattere propriamente "religioso" Infine, Mario Aletti si richiama alla pecularietà e complessità dell'approccio psicologico alla religione. Questo tiene conto del radicamento neurobiologico (corpo-cervello-mente) di ogni condotta psichica, ma anche della dimensione socio-culturale-linguistica e dei processi attributivi e costruttivistici nella strutturazione della religiosità personale. Perché strutture e processi neurali sono a-specifici (e perciò a-religiosi) e la "religiosità" di un'esperienza è data dal riferimento consapevole al trascendente da parte della persona, all'interno di un determinato contesto culturale.



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