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Un’ enciclica fuori dal tempo

Ultimo Aggiornamento: 16/07/2009 00:49
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15/07/2009 13:09
 
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di Enzo Mazzi, da il manifesto

Chi vive nei crocicchi della quotidianità condivide con tanti suoi simili l'angoscia che in questo momento storico grava in modo pesante a causa della crisi mondiale, condividendo però anche i mille e mille sentieri di ricerca positiva di donne e di uomini che non si arrendono all'alta marea della corruzione e della violenza, all'uragano devastante dell'individualismo sfrenato, non si rassegnano alla manipolazione dei principi etici avvertiti come fondamentali dalla loro coscienza. È questo intreccio di esistenze in ricerca concreta e positiva che di norma è assente nelle encicliche papali. L'annunciata enciclica di Benedetto XVI, stando alle anticipazioni di organi di stampa, sembra che non faccia eccezione. Vi si parla di «Carità nella verità» e di amore per il vero, vengono analizzate le cause della crisi e in particolare il deficit di etica, si auspica un codice etico condiviso fondato sulla verità ad un tempo di fede e ragione, tema particolarmente caro a Ratzinger, è sottolineato con una certa forzatura ideologica il legame fra la difesa della vita, contro aborto e contraccezione, e la lotta alla fame. Ma della esperienza concreta del calore di mani che si stringono nella ricerca appassionata di una luce nella notte non sembra che ci sia traccia.

Fece eccezione al carattere di verità che cala dall'alto, comune a quasi tutte le encicliche papali, la Pacem in terris di Papa Giovanni. Egli dette un nome alla ricerca positiva che si è dipanata nella storia dello sforzo umano di liberazione e di speranza. La chiamò col termine evangelico di «segni dei tempi» e le diede precisi connotati nel tempo attuale: «ascesa economico-sociale delle classi lavoratrici...ingresso della donna nella vita pubblica...non più popoli dominatori e popoli dominati...l'aprirsi delle coscienze al carattere democratico della vita sociale e politica e all'illiceità ormai della guerra nell'era atomica». In attesa della pubblicazione ufficiale, stando alle anticipazioni è già possibile prevedere che sarà vano cercare la teologia dei «segni dei tempi» nella «Caritas in veritate».

Di più. L'enciclica avrebbe dovuto esser pubblicata il 29 giugno, festa dei santi Pietro e Paolo; uscirà invece qualche giorno dopo per dare tempo ai traduttori vaticani di concludere la faticosa trasposizione in lingua latina. E non è insignificante. Era infatti divenuta ormai consuetudine consolidata che le encicliche fossero pubblicate in varie lingue vive e solo in un secondo momento tradotte nella lingua latina La scelta di Ratzinger ha obiettivamente il sapore di una svalutazione dei segni dei tempi. La lingua latina è il segno di una nostalgia della cristianità e del dominio universale del sacro. E una indicazione di strategia dell'attuale pontificato.

La restaurazione post-concilio e post-sessantotto è ormai completata salvo poche realtà di resistenza: settori minoritari della società che proseguono nell'impegno teso a liberarsi e liberare da ogni forma di dipendenza, esclusione e alienazione, e a creare una società e in essa una Chiesa accoglienti e aperte per tutti e tutte e attente ai segni dei tempi.

(13 luglio 2009)

temi.repubblica.it/micromega-online/unenciclica-fuori-da...



La cattiva notizia è che Dio non esiste. Quella buona è che non ne hai bisogno.
Apocalisse Laica
Le religioni dividono. L'ateismo unisce


Il sonno della ragione genera mostri (Goya)


15/07/2009 17:05
 
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La lingua latina è il segno di una nostalgia della cristianità e del dominio universale del sacro. E una indicazione di strategia dell'attuale pontificato.




Non sono d'accordo, la lingua latina è il simbolo della Nostra lingua italiana, anzi venisse veramente riinsegnata nelle scuole, si eviterebbe di leggere degli strafalcioni (parole inventate) sia nei giornali che nelle riviste!

Senza contare, che se uno conosce il latino, conosce anche l'italiano, cosa che invece in Italia non succede oramai da almeno un decennio.

Del resto dell'articolo non m'interessa, ma del latino ESSENDO italiano e ne SONO ORGOGLIOSO di esserlo, non accetto di barattare il latino per una lingua barbara e sanguinaria com'è quella degli stati uniti d'America.



Paxuxu



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15/07/2009 17:24
 
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Non sono d'accordo, la lingua latina è il simbolo della Nostra lingua italiana, anzi venisse veramente riinsegnata nelle scuole, si eviterebbe di leggere degli strafalcioni (parole inventate) sia nei giornali che nelle riviste!



Intendi parole inventate in latino o in italiano, scusa? [SM=g27833]



lingua barbara e sanguinaria com'è quella degli stati uniti d'America.




Perché queste due qualifiche? [SM=g27833]

Tra l'altro l'inglese moderno è una delle lingue più apprezzate per la sua capacità di sintesi e la sua attitudine alla descrizione obiettiva, da cui l'esteso uso in ambito scientifico, anche in paesi nazionalisti come Giappone o Cina.
[Modificato da Rainboy 15/07/2009 17:30]
15/07/2009 17:29
 
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Re:
Rainboy, 15/07/2009 17.24:


Non sono d'accordo, la lingua latina è il simbolo della Nostra lingua italiana, anzi venisse veramente riinsegnata nelle scuole, si eviterebbe di leggere degli strafalcioni (parole inventate) sia nei giornali che nelle riviste!



Intendi parole inventate in latino o in italiano, scusa? [SM=g27833]





Ambedue, facendo passare per ignoranti NOI italiani!


Paxuxu




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16/07/2009 00:38
 
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Del resto dell'articolo non m'interessa, ma del latino ESSENDO italiano e ne SONO ORGOGLIOSO di esserlo, non accetto di barattare il latino per una lingua barbara e sanguinaria com'è quella degli stati uniti d'America.



Non esistono lingue superiori e lingue inferiori. L'inglese ha radici molto più antiche della lingua italiana, il cui antenato è il proto-germanico, con dignità pari alla lingua latina. Ti rammento che l'italiano sorge come dialetto locale e non è la lingua maggiormente vicina al latino. Ad essere puntuali, la lingua neolatina che si avvicina maggiormente al latino è il sardo (è una lingua, non un dialetto), con appena il 7-8% delle innovazioni. L'italiano ha assunto il rango di lingua per via istituzionale, ma dal punto di vista della linguistca diacronica è un dialetto come qualsiasi altro dialetto locale delle altre regioni italiane. Lo status di lingua è stato poi rafforzato grazie alla diffusione su tutto il territorio nazionale (processo che, a dire la verità, non si è mai completato) e sanzionato per via politca attraverso l'unficazione del territorio nazionale.
Il termine “barbaro” non ha nessuna rilevanza scientifica e storica in linguistica. I linguisti non classificano e non descrivono le lingue in base a criteri politici-razziali. In ogni caso l'inglese, non è neppure una lingua barbara (nel senso di lingua parlata dai “barbari”), dal momento che la sua struttura è ricca, specialmente a livello lessicale, di influssi esterni, di prestiti, calchi linguistici e semantici derivati dal latino. Persino le note espressioni formulari, oggi diffuse in tutto l'occidente, sono state per la maggior parte coniate in ambiente anglosassone a partire dal 1700, e veicolate in tutte le lingue indoeuropee. A dimostrazione del fatto che gli anglofoni sono più aperti all'influsso del latino più di quanto lo siano gli italiani. Questi ultimi, sempre più barricati dietro una cortina di fumo di una lingua, le cui radici, non sono proprio “eroiche”.
Nessuno pretende di barattare la nostra lingua per l'inglese o altra lingua, ma sarebbe meglio non incrociare discorsi politici con discorsi linguistici, soprattutto quando non si mastica di linguistica storica.

Da ultimo, sarebbe opportuno non confondere il "latino ecclesistico" con il "latino classico". l'eleganza, la struttura morfosintattica e la complessità sintattica del latino classico non sono sopravissuti nel "latino ecclesiastico". Per non parlare della pronuncia...


Non sono d'accordo, la lingua latina è il simbolo della Nostra lingua italiana, anzi venisse veramente riinsegnata nelle scuole, si eviterebbe di leggere degli strafalcioni (parole inventate) sia nei giornali che nelle riviste!



La conoscenza di base del latino non rende immuni da eventuali errori sintattico-grammaticali nella lingua italiana, per due motivi principali: 1) perché per applicare correttamente le regole grammaticali di una lingua occorre conoscere la sua struttura, apprenderla principalemte in ambiente scolastico ed essere predisposti all'apprendimento linguistico; 2) perché la maggior parte delle formule e delle lucuzioni latine in uso oggi, non sono state coniate in periodo classico, ma nella tarda antichità, nel Medioevo e in epoca moderna, quando il latino corrente aveva struttura e pronuncia differente dal latino classico. Pertanto, se certe locuzioni possono sembrare solecisimi o peggio, barbarsimi in riferimento al latino erudito classico, non lo erano nell'epoca in cui sorsero. Dal momento che tutte le variazioni morfosintattiche e fonologiche del latino tardo antico e medioevale sono state registrate dai linguisti e non scandalizzano più nessuno, un'espressione formulare sarà valutata riguardo al contesto linguistico in cui sorse, lasciando da parte ogni pregiudizio prescrittivo. La grammatica prescrittiva è andata in pensione già da 150 anni.
[Modificato da Frances1 16/07/2009 00:54]



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16/07/2009 00:49
 
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Re:
Frances1, 16/07/2009 0.38:


Del resto dell'articolo non m'interessa, ma del latino ESSENDO italiano e ne SONO ORGOGLIOSO di esserlo, non accetto di barattare il latino per una lingua barbara e sanguinaria com'è quella degli stati uniti d'America.



Non esistono lingue superiori e lingue inferiori. L'inglese ha radici molto più antiche della lingua italiana, il cui antenato è il proto-germanico, con dignità pari alla lingua latina. Ti rammento che l'italiano sorge come dialetto locale e non è la lingua maggiormente vicina al latino. Ad essere puntuali, la lingua neolatina che si avvicina maggiormente al latino è il sardo (è una lingua, non un dialetto), con appena il 7-8% delle innovazioni. L'italiano ha assunto il rango di lingua per via istituzionale, ma dal punto di vista della linguistca diacronica o è un dialetto come qualsiasi altro dialetto locale delle altre regioni italiane. Lo status di lingua è stato poi rafforzato grazie alla diffusione su tutto il territorio nazionale, processo che, a dire la verità, non si è mai completato.
Il termine “barbaro” non ha nessuna rilevanza in linguistica. I linguisti non classificano e non descrivono le lingue in base a criteri politici-razziali. In ogni caso l'inglese, non è neppure una lingua barbara (nel senso di lingua parlata dai “barbari”), dal momento che la sua struttura è ricca, specialmente a livello lessicale di influssi esterni, di prestiti, calchi linguistici e calchi semantici dal latino. Persino le note espressioni formulari, oggi diffuse in tutto l'occidente, sono state per la maggior parte coniate in ambiente anglosassone a partire dal 1700, e veicolate in tutte le lingue indoeuropee. A dimostrazione del fatto che gli anglofoni sono più aperti all'influsso del latino più di quanto lo siano gli italiani. Questi ultimi, sempre più barricati dietro una cortina di fumo di una lingua, le cui radici, non sono proprio “eroiche”.
Nessuno pretende di barattare la nostra lingua per l'inglese o altra lingua, ma sarebbe meglio non incrociare discorsi politici con discorsi linguistici, soprattutto quando non si mastica di linguistica storica.

Da ultimo, sarebbe opportuno non confondere il "latino ecclesistico" con il "latino classico". l'eleganza, la struttura morfosintattica e la complessità sintattica del latino classico non sono sopravissuti nel "latino ecclesiastico". Per non parlare della pronuncia...




CHIARA ... AL BACIO!

Complimenti Frances... [SM=x789062]

Pyccolo
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