| | | OFFLINE | | Post: 10.499 Post: 1.578 | Città: PALERMO | Età: 54 | Sesso: Maschile | Utente Gold | Vescovo | |
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22/06/2010 12:23 | |
UN CASO GIUDIZIARIO ALLUCINANTE
Quando la folle macchina giudiziaria
si trasforma in una trappola infernale
Delfino Covezzi e Lorena Morselli, i coniugi di Massa Finalese (Modena) accusati di aver commesso abusi sessuali sui loro quattro figli sono stati dichiarati innocenti. La corte d’Appello di Bologna li ha assolti con formula piana perché il fatto non sussiste, ribaltando la sentenza del Tribunale di Modena che in primo grado, nel 2002, li condannò a 12 anni. Con la sentenza della Corte di Appello crollano le mura del castello di carta costruito dall'accusa: da novembre di quell’anno (2002) Lorena e Delfino non vedono più i loro figli, oggi affidati ad altre famiglie e residenti in località segrete. Una famiglia distrutta.
Ci sono voluti dodici anni per riconoscere una verità palese fin dall’inizio. I servizi sociali e i giudici di Modena diedero credito a testimonianze veramente deliranti. Il senatore Carlo Giovanardi (Pdl), Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, che ha seguito da vicino la vicenda, parla di indagini errate e fuorvianti. «I politici locali - ha detto - non hanno mai sostenuto questa famiglia, mentre si sono mobilitati per cause ben meno nobili. Al contrario hanno supportato quegli assistenti sociali di Mirandola che, fin dall’inizio, hanno dimostrato tutto il loro dilettantismo, distruggendo la vita di decine di persone».
La storia dei coniugi Covezzi fece il giro d’Italia perché, in un primo momento, furono accusati anche di riti satanici nei cimiteri della bassa Modenese. L’indagine, nata nel 1998 dal racconto di un bambino, coinvolse i parenti della coppia e anche un prete, Don Giorgio Govoni, morto di crepacuore e ‘assolto’ post mortem, per il quale oggi la Chiesa modenese chiede a gran voce la sua beatificazione.
Giustizia è fatta. Ma ora chi pagherà per tutto questo?
PEDOFILIA, TRAPPOLA INFERNALE
Presunti pedofili, quando la folle macchina giudiziaria si trasforma in una trappola infernale. Il "detective" Giovanardi e l’orrore giudiziario che uccise Don Giorgio.
Quando il 9 giugno scorso la Corte d’appello di Bologna ha assolto Lorena e Delfino Covezzi dall’accusa di pedofilia nei confronti dei loro figli (dai quali sono stati separati dodici anni fa), il parroco di Massa Finalese, don Ettore Rovatti è andato a celebrare messa come ogni mattina. E durante l’omelia ha pianto. Ha pianto per quei quattro bambini sottratti ai loro genitori all’alba del 12 novembre del 1998, (all’inizio solo per omessa vigilanza). Ha pianto per quella coppia di coniugi di Massa Finalese, in provincia di Modena, trascinati nella polvere, dentro una storia troppo grande per loro, troppo grande per chiunque, e non potranno riavere indietro la vita che avrebbero voluto e potuto vivere.
E davanti ai suoi parrocchiani ha pianto, soprattutto, per un’altra delle vittime innocenti di questo ennesimo caso di errore giudiziario legato a un caso presunto di pedofilia: don Giorgio Govoni, il sacerdote accusato di essere stato, alla fine degli anni 90, il regista di un macabro set pedopornografico messo in scena nelle campagne della bassa modenese. Don Giorgio è morto di crepacuore il 29 maggio 2000, il giorno dopo che i pubblici ministeri di Modena avevano chiesto di condannarlo a quattordici anni di carcere. Lo scorsa 9 giugno, davanti alla sentenza di Bologna, il sottosegretario alle Politiche per la famiglia, Carlo Giovanardi, che ha seguito per dodici anni il travaglio esistenziale e giudiziario della coppia di Massa Finalese, ora riabilitata perché "il fatto non sussiste", si è sentito come un Achille furioso dopo la morte di Patroclo. E’ furioso, mentre ripercorre le tappe di questi dodici anni, il suo è un concitato monologo, l’elenco di tutti gli episodi più grotteschi di un caso di falso abuso sessuale: fra tutti quelli raccontati fino a ora, forse il più aberrante.
A colloquio con il Foglio, riassume la sua indignazione in un feroce j’accuse all’apparato giudiziario "che ritiene gli errori giudiziari fisiologici, senza far pagare a nessuno le responsabilità della propria cecità, vittima talvolta, quando si tratta di pedofilia, di una maniacale ricerca di una verità che danneggia l’individuazione dei pedofili veri", precisa. Per chi non sa, o ha dimenticato. ecco il riassunto di questa vicenda giudiziaria.
Nell’aprile del 1997 un bambino sottratto ai genitori, che don Giorgio Govoni aiutava economicamente perché vivevano di espedienti, racconta di aver subito un abuso. Seguono altre denunce, alla fine saranno due le famiglie coinvolte e sei le persone rinviate a giudizio. Due mesi dopo, una madre a cui hanno tolto il figlio si getta dalla finestra. Il primo bimbo, primo anello di una catena di accuse che si trasforma in una psicosi collettiva, parla di messe nere, orge sataniche nei cimiteri.
Racconta di altri bambini sottratti a scuola di giorno con la complicità delle maestre, rapiti di notte nelle loro case con la complicità dei genitori. Bambini che vengono sodomizzati, decapitati, appesi a dei ganci, gettati nel fiume Panaro. Dove però non viene mai trovato nessun cadavere.
Sempre nel 1998, una bambina coinvolge i suoi quattro cuginetti, figli della coppia Covezzi, che vengono prelevati dalla polizia all’alba. Il 19 maggio 2000, don Giorgio Govoni, il presunto "regista" della cricca pedofila muore d’infarto (verrà pienamente assolto l’anno dopo, post mortem) e le campane della chiesa di San Biagio suonano il suo lutto.
Giovanardi rilegge la sua prima interpellanza parlamentare all’allora ministro della Giustizia, Oliviero Diliberto, dell’11 marzo del 1999. Giovanardi era vicepresidente della Camera e chiese al Guardasigilli di interessarsi al caso di una coppia alla quale la polizia, all’alba del 12 novembre 1998, aveva tolto i loro quattro figli per omessa vigilanza: sarebbero stati portati nei cimiteri per essere sodomizzati.
Il ministro mi promise di occuparsene e di darmi una risposta entro una settimana", ricorda Giovanardi, "ma un giorno prima della scadenza, Valeria, una delle figlie dei Covezzi, già allontanata dai suoi genitori, dopo un colloquio con l’assistente sociale, torna a casa dalla famiglia affidataria.
In lacrime. Affermando che suo padre l’aveva violentata. I genitori ricevettero un avviso di garanzia per abusi sessuali e non è stato più possibile intervenire".
Chi è la coppia che Giovanardi ha cercato di aiutare? "Lui operaio, lavorava nella ceramica, lei maestra d’asilo e insegnante di religione in parrocchia. Poi è rimasta incinta e si è rifugiata in Francia per impedire al Tribunale dei minori di toglierle anche il suo ultimo figlio. Per anni mi ha scritto lettere piene di angoscia, speranza, dolore e fede", spiega ancora Giovanardi. E allora, quando la procura di Modena si lancia in una fuga in avanti e la macchina giudiziaria si trasforma in un carro armato, Giovanardi, avvia la sua puntigliosa contro-inchiesta.
Ha visitato i luoghi nei quali si sarebbero svolte le violenze, ha rifatto i percorsi che sarebbero stati seguiti da pedofili e bambini, dalla scuola ai boschetti, dalla casa ai cimiteri. Ha cronometrato i tempi, incrociando le informazioni, e da novello detective ha capito immediatamente che "credere all’impianto dell’accusa della procura di Modena era come credere a un omicidio avvenuto sulla Luna.
Ho cercato di aprire un dialogo con magistrati e assistenti sociali per capire cosa stava accadendo, dove si era inceppato il meccanismo giudiziario - dice - ma non ci sono mai riuscito".
Non conosciamo fino in fondo la metodologia utilizzata durante gli interrogatori-colloqui con i bambini, ma alcune conversazioni sono trapelate dalle relazioni dei periti. Durante l’interrogatorio a una bambina che riguardava don Giorgio Govoni le viene chiesto:
"Piccola, chi era quell’uomo? Un dottore?". Riposta: "Sì". "Ma poteva essere anche un sindaco?". Risposta: "Si". "O anche un prete?". Risposta: "Si". "Poteva chiamarsi Giorgio?". Ecco perché oggi gli ex parrocchiani di don Giorgio Govoni lo vorrebbero beatificare, per una ragione che c’entra poco forse con i miracoli, ma molto con la contemporaneità della malagiustizia. E infatti sulla sua lapide, a san Biagio, c’è questa epigrafe: "Vittima innocente della calunnia e della faziosità umana, ha aiutato i bisognosi, non si può negare che egli, accusato di un crimine non commesso, sia stato vinto dal dolore".
Incalza Giovanardi: "Ciò che più mi sconvolge e indigna è che i Covezzi non vedono i loro figli da dodici anni: hanno dovuto aspettare otto anni per una sentenza di assoluzione. Otto anni! Si rende conto? Ne parliamo dagli anni 90, e mentre rileggo la mia interpellanza del 1999 ancora non ci posso credere. Non abbiamo ancora fatto un solo passo in avanti per accorciare i tempi processuali. Non abbiamo fatto un solo passo in avanti per introdurre criteri di professionalità, trasparenza e competenza nei processi che riguardano temi delicati come gli abusi sessuali e che invece spesso vengono lasciati nelle mani di psicologi e assistenti sociali trasformati in detective. Angoscia, rabbia e speranza. Ecco la gamma dei miei sentimenti davanti a questa tardiva assoluzione. Si deve intervenire per evitare di rovinare le famiglie, per impedire ai tribunali dei minori di tenere i genitori lontani dai figli dopo l’assoluzione dei genitori. Io sono un acerrimo nemico dei pedofili, ma quelli veri".
Il copione è noto: perizie contrastanti, tronconi d’inchiesta che si dividono e si moltiplicano, sentenze di condanna che poi vengono ribaltate, smontate, quando arrivano in altre procure, o ai gradi successivi di giudizio. "E succederà così anche per il caso della scuola Olga Rovere di Rignano Flaminio di cui mi sono interessato", conclude Giovanardi. "Anche lì ci sono stati vizi d’indagine e l’impianto dell’accusa è stato smontato dal Tribunale della libertà e dalla Corte di cassazione. E finirà, ne sono certo, nell’elenco dei falsi abusi. A Rignano davanti a dichiarazioni contrastanti con le ipotesi accusatorie, sono state esercitate pressioni sui bambini. A Modena erano assistenti sociali e psicologi a indirizzare i magistrati verso un film dell’orrore non supportato da prove. Nel frattempo delle persone sono morte e una famiglia si è disgregata per sempre. Non si può e non si deve confondere la lotta sacrosanta alla pedofilia con la caccia alle streghe".
IL FOGLIO - giovedì 17 giugno 2010
La nonna: "Sogno di rivedere i miei nipoti"
«Quello che chiedo per il resto della mia vita è solo rivedere un giorno tutta la famiglia riunita con i miei nipoti. Dopo anni d’inferno». Lina Marchetti, madre di Lorena Morselli, è in lacrime.
«Mi ha sorretto la fede, e la speranza che prima o poi la verità sarebbe venuta alla luce». Lina Marchetti, 77 anni martedì dopo la sentenza che assolve sua figlia Lorena Morselli e suo genero Delfino Covezzi, è emozionata, felice. Vede la fine di un incubo che ha travolto suo marito Enzo Morselli, indagato, condannato e morto di dolore poche settimane fa. Un incubo che ha distrutto la sua famiglia: condannati anche gli altri tre figli, indagata e ora assolta la figlia Lorena, il genero.
Soprattutto lei, nonna mai sfiorata da un’indagine che ha marchiato dei segni più orrendi decine di persone, incluso don Giorgio. Sono 12 anni che Lina non vede, pur innocente e mai indagata, i suoi 4 nipoti, tutti prelevati e affidati ad altre famiglie. Ora lontani in tutto, anche nella convinzione che quella di Lina sia la loro famiglia. «Il mio pensiero va ad Enzo e a loro. Poche settimane fa Enzo, distrutto da questi anni di tragedia, se ne è andato. Quando gli ho detto, mentre era a letto, che la sua malattia se lo sarebbe portato via per sempre mi ha interrotto, si è voluto alzare a sedere e mi ha preso la mano dicendomi: “Non vedrò più i nostri nipoti, dagli tu una abbracciatona per il loro nonno. Digli tu che non gli ho mai fatto del male, diglielo, specie al più piccolino...”. Mio marito è morto così, col dolore di non avere più visto i nipoti, ma da lassù mi ha dato altra forza per sperare. Per sperare di trasmettere loro l’abbraccio dei nonni».
Lina ripercorre nome e storia dei nipoti, racconta quel poco che sa di loro, della telefonata della figlia Lorena dal tribunale. «Mi ha detto solo due parole: siamo innocenti. Poi la chiamata si è interrotta. Io ho iniziato ad urlare di gioia, tanto da destare qualche preoccupazione qui attorno. Ringrazio tutti quelli che ci sono stati vicini e ci hanno telefonato. Sono andata a pregare subito, alla novena. Le dico solo questo: uno degli avvocati, la signora Tassi, mi ha chiamato dicendomi che martedì era il suo compleanno e che dopo tante battaglie con l’assoluzione di Delfino e Lorena è stato il più bel compleanno della sua vita. Ora - conclude commossa l’anziana donna - spero di rivedere la nostra famiglia unita, ma so che non sarà così semplice
(11 giugno 2010)
gazzettadimodena.gelocal.it/dettaglio/i-coniugi-covezzi:-niente-vendette-ma-vite-rovinate...
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Discendiamo all'inferno fin che siamo vivi (cioè riflettendo su questa terribile realtà) - diceva Sant'Agostino - per non precipitarvi dopo la morte".
nell'aldilà
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