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La prova delle profezie

Ultimo Aggiornamento: 05/08/2010 22:11
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Il bacio di GiudaSu una straordinaria linea retta la Redenzione viene preparata attraverso i secoli dal dito di Dio.
(Il Cardinale Michael Faulhaber, Judentum, 18)

La prova delle profezie è per noi liquidata. Tutti sappiamo che i conti non tornano.
(Il teologo Hirsch, Das alte Testament u. die Predigt des Evangeliums, 1936, 10 sgg.)
La Chiesa individua la prova della divinità di Gesù, oltre che nei miracoli, nel presunto adempimento delle profezie del Vecchio Testamento. Nell'antichità esse costituirono uno strumento fondamentale del missionariato e, come attesta Origene, per i cristiani erano «la prova più salda» della verità della loro dottrina 1. Esse contavano più dei miracoli allora abituali, difesi addirittura con la considerazione che erano stati profetizzati.

Furono innumerevoli coloro che proprio per questo vennero guadagnati alla nuova fede.


In verità, neppure le profezie erano alcunché di nuovo, anzi erano ben note a tutta l'antichità. Vengono riferite già a proposito di Buddha, di Pitagora e di Socrate. E già i Pagani, come i cristiani, discutevano se una profezia derivasse dalla divinità nella lettera oppure solo nel contenuto. E come i cristiani, anche i Pagani stimavano di più le profezie che non i miracoli, e gli Stoici sostenevano che con la fede nelle profezie si mantiene o vien meno la fede negli dèi. I Neopitagorici e i Neoplatonici, poi, difendevano le profezie pagane, e persino uomini come Plinio il Vecchio e Cicerone, che non credevano nei miracoli, credevano saldamente nelle profezie.

Intorno al 12 a.C. la letteratura profetica era talmente ipertrofica, che l'imperatore Augusto, in qualità di Pontifex Maximus, fece bruciare duemila libri di profezie, che circolavano anonimi o insufficientemente accreditati (Suet. Aug. 31).


Il «mistero» della prova cristiana delle profezie

Vediamo qui davanti a noi la folta schiera, che trae dal Vecchio Testamento i colori per il proprio quadro.
 (Il teologo Bousset)
Giustino Martire non avrebbe assolutamente creduto in Gesù, se in lui non si fossero adempiute le profezie messianiche (Just., apol. 1, 30 sg.; 1, 37 sg.). E Origene enumera «migliaia di passi», nei quali i Profeti parlano di Cristo (Orig., Cels. 4,2).
In effetti, nel Nuovo Testamento si trovano circa 250 citazioni dei V.T. e più di 900 allusioni ad esso. Ma le cose stanno diversamente: gli Evangelisti avevano tratto dal V.T. molti accadimenti presunti della vita di Gesù, inserendoli e interpretandoli consapevolmente come fatti reali della sua vita. Così ognuno poteva leggerli agevolmente come adempimenti.

Non si tratta di una nuova scoperta: già nel 1802 Schelling, in una prolusione allo studio della Teologia, definiva molti racconti neotestamentari «favole ebraiche, inventate dietro suggerimento delle profezie messianiche del V.T» 2. Ciò vale soprattutto per la nascita della storia della passione, e per tale ragione è opportuno illustrare i fatti che vi fanno riferimento.

La Passione del Gesù biblico non corrisponde alla storia effettiva, ma venne favolisticamente composta sulla base del Vecchio Testamento.


La cristianità primitiva credeva che in certi passi veterotestamentari, soprattutto nei Salmi 22, 31, 69 e in Jes. 53, fosse stata rappresentata profeticamente la fine di Gesù. I predicatori delle prime comunità cristiane, come ammette l'indagine neotestamentaria, scorgevano in tali passi scritturali ebraici una descrizione profetica degli ultimi giorni di Gesù e raccontavano la sua Passione riferendovisi letteralmente, ma perlopiù senza citarli direttamente. In tal modo i passi adatti del V.T. trapassarono nella storia neotestamentaria della Passione. Gli Evangelisti, come scrivono anche studiosi cattolici, dipingevano «con colori veterotestamentari» (Meinertz, I, 142).

È perciò naturale che tutto trovasse adempimento: perché non venivano narrati i fatti reali, ma veniva rielaborata la storia della Passione sulla scorta del V.T. È illuminante in proposito l'osservazione che scritture cristiane del II secolo introdussero nella storia della Passione motivi veterotestamentari assenti nei Sinottici oppure valutati in modo del tutto differente. Per non parlare poi del fatto che i Profeti esprimevano il futuro con le forme del passato: infatti, tali «profezie» avrebbero dovuto trovarsi nel V.T. espresse col futuro.

Ma perché Gesù doveva perire proprio «secondo la Scrittura?». Soltanto perché solo così era possibile affrontare lo scherno del mondo verso il Messia crocifisso. Esattamente gli aspetti più ripugnanti della Passione - il tradimento, la fuga dei discepoli, la sofferenza sulla croce - potevano passare per tale ragione, fin dall'inizio, come compimento delle profezie veterotestamentarie, e quasi tutti i dettagli potevano essere conformati fedelmente alle parole del V.T. con citazioni esplicite e allusioni.

E così consegue la previsione dello scandalo dei Discepoli sulla via del Getsemani (Mc. 14, 26 sg.), secondo Zach. 13, 7. Le parole di Gesù davanti al Gran Consiglio circa il suo porsi alla destra dell'autorità e il suo ritorno sopra le nubi del cielo (Mt. 26, 64) vengono pronunciate secondo Daniele 7, 13 e Salm. 110, 1. Gesù viene malmenato dai legionari Romani come il servo di Dio in Isaia:

«Ho offerto le mie spalle ai colpi e le mie guance alle percosse; non ho nascosto il mio viso all'oltraggio degli sputi» (Jes. 50, 6).


Il particolare della crocifissione fra due ladroni (Mc. 15, 27) è stato forse elaborato su Jes. 53, 12 «ed egli fu annoverato fra i malfattori». Ma probabilmente i ladroni sono un fatto storicamente vero. Tuttavia non sarà inopportuno notare che secondo Marco e Matteo Gesù viene schernito da entrambi i malfattori, secondo Luca da uno solo; anzi, nel suo Vangelo uno dei due si rifiuta allo scherno, rimproverando l'altro 3! In seguito i cristiani credettero di sapere con esattezza che il buon ladrone si trovava appeso a destra, lo schernitore a sinistra: evidentemente avevano dimenticato che secondo Marco e Matteo tutti e due avevano insultato Gesù.

Gesù viene dissetato con l'aceto, secondo Salm. 69, 22: «E mi diedero fiele da mangiare, e quando ero assetato mi dissetarono con l'aceto». La spugna e la canna potrebbero essere state tratte da qualche storiella allora in voga. Le parole sulla croce: «Ho sete» (Jh. 19, 28), derivano da Salm. 22, 16. Gli abiti di Gesù vengono spartiti come in Salm. 22, 19, con coincidenze pressoché letterali. Lo scherno dei passanti, espresso scuotendo il capo (Mc. 15, 29), si basa su Salm. 22, 8. Quando gli Scribi si prendono gioco di Gesù, dicendo: «Ha avuto fiducia in Dio: che lo salvi adesso, se di lui si compiace» (Mt. 27, 43), ciò corrisponde a Salm. 22, 9, dove le persone circostanti esclamano: «Egli ha sperato in Dio... ; ch'egli lo soccorra adesso, se di lui si compiace».

L'eclissi di sole, che si verifica solo secondo Luca, dal momento che Marco e Matteo si limitano a parlare genericamente di una normale oscurità 4, segue Amos. 8, 9; ma forse non manca la suggestione di Geremia 15, 9. In quel momento non ebbe luogo nessuna eclissi astronomica del sole, impossibile durante la festività pasquale, celebrata con la luna piena. Come afferma non senza umorismo il Teologo Klostermann, si tratta in verità di un'eclissi miracolosa, come in occasione della morte di Romolo, di Cesare, di Augusto e di altri 5. Il grido di Gesù «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mt. 27, 46), è l'adempimento di Salm. 22, 2. E anche la lacerazione del velo del tempio, benché non veterotestamentaria, fa parte della tradizione giudaica.

Le «profezie» della morte sulla croce e della Resurrezione di Gesù

Perché chi pende dal legno, costui è maledetto da Dio.
(5 Mos., 21, 23)


Era arduo provare la Resurrezione, più arduo ancora la morte infamante sulla croce, ricorrendo al V.T., giacché esso non contiene alcun riferimento utile all'uopo; ma proprio tali profezie erano assolutamente necessarie.

E allora ricorsero a Salm. 20, 5, e Salm. 3, 6 individuandovi un'allusione alla Resurrezione, rispettivamente nelle parole: «Da te chiese la vita, e tu gliela donasti» (Iren., epid. 72) e «.. io fui risvegliato, perché il Signore è il mio soccorso» (Just., Tryph. 97. Iren., adv. haer. 4, 33; epid. 73). La Resurrezione «il terzo giorno» oppure, come sovente si suol dire con una differente lezione, «dopo tre giorni», e dunque il quarto giorno 6, venne tratta da Hos. 6, 2: «Dopo due giorni ci guarirà, il terzo giorno risorgeremo e vivremo davanti a lui» (Tert., adv. Marc. 4, 43; cfr. Grass, 134 sgg.). Ma in proposito vennero utilizzati anche altri passi scritturali, soprattutto la permanenza di tre giorni di Giona nel ventre della balena 7. Inoltre si ricorse alla tradizione degli dèi pagani, che, come Attis, definito in uno scritto antico «l'onnipotente risorto», come Osiride e molto probabilmente anche Adone, erano risorti il terzo giorno o dopo tre giorni. Secondo la tradizione, in tale circostanza Osiride aveva trascorso nell'acqua tre giorni e tre notti (cfr. Mt. 12, 40!).

Un problema particolare era costituito dalla morte di Gesù, che non trovava facili riscontri nel V.T. e che era l'elemento decisamente più scandaloso nell'ambito dell'evoluzione dei fatti, perché assolutamente contrastante con la concezione ebraica della figura del Messia. I primi cristiani per questo la sentirono inizialmente come una vera e propria catastrofe e la fine di qualsiasi speranza (Cfr., ad es., Mc. 14, 27; Lc. 24, 21).

Ma alla fine anche il mysterium crucis venne risolto: la morte di Gesù era profetizzata, secondo quest'ottica, in modo del tutto tipico (come si credeva generalmente nella Chiesa antica), ad esempio, nella serpe salvifica creata da Mosè 8, in un montone 9 citato nel 3 libro di Mosè, in una mucca rossa, che il sacerdote Eleazaro, nel 4 libro di Mosè, deve macellare e gettare nel fuoco per ordine divino «sia la pelle con la carne che il sangue con lo sterco», le cui ceneri dovevano poi essere usate come «acqua purificatrice», «perché la mucca è stata bruciata per i peccati». L'esegesi protocristiana esalta la particolare chiarezza 10 di questa profezia della morte di Gesù sulla croce. Ulteriori profezie dell'evento vennero individuate nel Mosè, che durante la battaglia contro gli Amaleciti prega con le braccia distese 11 e persino nella circoncisione dei 318 servi di Abramo, in quanto le lettere greche indicanti tale numero contengono IHT (I = 10, H = 8, T = 300), delle quali I indica Gesù e T la croce!


Lo scopritore di questa profezia, i cui scritti godevano di grande prestigio nella Chiesa antica - Clemente Alessandrino e Origene li annoveravano fra le Sacre Scritture (Goodspeed) - afferma ancora: «Nessuno ha da me ricevuto un ammaestramento più autentico; ma io so che voi ne siete degni» (Barn. 9, 8 sg.). Il Padre della Chiesa Tertulliano vide profetizzata la trave della croce nelle corna di un liocorno citato nel 5 libro di Mosè 12. Un altro scrittore neotestamentario scorse un'allusione al sangue di Cristo nel sangue dei becchi e dei vitelli macellati nel V.T. (Hebr. 9, 13 sgg.; 9, 18 sgg.).

In tal modo la cristianità primitiva superava l'orrore della morte sulla croce, il raccapriccio della Redenzione. Così doveva essere, era stato profetizzato, benché in modo spesso oscuro e incompleto. Unicamente mediante un'esegesi estremamente libera il Padre della Chiesa Gregorio di Nissa rende «digeribile il pane duro e refrattario della Scrittura», e nel V.T. riconosce «con evidenza il Padre», ma solo «indistintamente il Figlio» (Greg. Nyss., hom. in cant. 7). Anche al Vescovo cattolico Metodio le profezie, prese alla lettera, appaiono «per così dire disseccate», ma se le si intende allegoricamente - vedi sopra - potrebbero «essere riconosciute con buoni frutti e foglie» (Meth. 4, 6). In tutte le parole dei Profeti era dunque possibile individuare allusioni a Gesù, soprattutto, come afferma ironicamente il Teologo Weinel, in quelle più oscure. Al contrario, in modo assolutamente perspicuo, nel V.T. si dice: «Perché chi pende dal legno, costui è maledetto da Dio» (5 Mos. 21, 23).

Nemmeno agli stessi cristiani le «profezie» della morte sulla croce erano del tutto sufficienti, tanto che nel II secolo Giustino sostenne che gli Ebrei avrebbero cassato dalle loro scritture una profezia esplicita della croce, per sottrarre ai cristiani importanti elementi probatori (Just., Tryph. 71 sgg; 120, 5). In realtà, invece, furono proprio i cristiani a introdurre di soppiatto questi passi nel testo greco del V.T. per disporre di ulteriori profezie adempiute (Werner, Die Entstehung, 148). I Marcioniti ammettevano senza remore che il V.T. non conteneva alcun genere di profezia circa la crocifissione del Cristo (In Tert., adv. Marc. 3, 18), e la maggior parte degli eretici contestavano, in generale, qualsiasi riferimento a Gesù da parte delle profezie veterotestamentarie (Orig., Hom. 17 in Lc.).

Il modello della storia della Passione di Gesù era fornito, oltre che dalle classiche testimonianze di sofferenza di Salm. 69 e Salm. 22, che rappresentano il giusto circondato dai nemici e crudelmente maltrattato, soprattutto dal misterioso capitolo 53 di Isaia. I negatori della storicità di Gesù vi vedevano (insieme alla figura del giusto e del saggio Salomone e del Libro di Giobbe) addirittura l'origine prima della costruzione della figura di Gesù e del Cristianesimo (Drews, Christusmythe, 11, 247 sgg.).


Appare opportuno almeno ricordare che il celebre capitolo 53, come pure tutto il resto presente nei capitoli 40-55, non deriva da Isaia, come sostiene la Commissione papale per gli studi Biblici, ma da composizioni nate alcuni secoli dopo, il cui autore, chiamato perlopiù Deuteroisaia (Secondo Isaia), è sconosciuto. Gli ultimi capitoli del Libro di Isaia (56-66), inoltre, non sono del cosiddetto Deuteroisaia, in quanto creati a loro volta in epoca più recente, probabilmente da più autori, tanto che anche la definizione di Tritoisaia (Terzo Isaia) non è affatto fuori luogo.

Nel capitolo 53 si racconta come il servo di Dio, l'ebed-Jahvè, fu insultato e martirizzato, versando il proprio sangue per la remissione dei peccati. Benché il tutto fosse già accaduto, l'evento doveva per forza riguardare Gesù, dopo che già da prima gli Esseni avevano riferito le profezie veterotestamentarie al loro Maestro di Giustizia, consolandosi in tal modo del suo tragico destino.

Numerosi autori cristiani dei primissimi tempi citano interamente o in parte il 53 capitolo 13. Soltanto nel Nuovo Testamento si trovano più di 150 allusioni o rinvii ai passi in questione, ma raramente citazioni letterali (Cfr. Wolff, Jesaja, 53). Un confronto con un passo della Prima Epistola di Pietro, che non è altro se non una parafrasi di Jes. 53, può mostrare l'ampiezza e l'evidenza del riferimento della sofferenza del pio Servo di Dio alla Passione di Gesù:

1 Petr. 2, 21 sgg.:
21. come anche Cristo sofferse per voi, lasciandovi un modello in modo che doveste seguirlo...

22. il quale non commise alcun peccato e nella cui bocca non fu trovata alcuna menzogna

23. che oltraggiato non rispondeva con oltraggi; soffrendo non minacciava, ma si rimetteva a colui che giudica con giustizia;

24. che prese su di sé i nostri peccati sul legno della croce, affinché morti nel peccato vivessimo nella giustizia; dalle sue piaghe siete guariti.

25. Perché erravate come pecore, ma ora siete tornati al pastore e custode delle vostre anime.



 Jes. 53
4. per noi soffrì dei dolori...


9. egli non commise ingiustizia né menzogna venne trovata nella sua bocca...

(cfr. 7: muto come agnello non apre la bocca davanti al suo tosatore)
(cfr. 11: ...renderà giustizia ai giusti)

11. ed egli porterà i loro peccati, (cfr. 4-6: egli porta i nostri peccati... fu ferito per il nostro misfatto... il Signore lo ha dato per i nostri peccati)
5. dalle sue piaghe fummo guariti

6. noi tutti erravamo come pecore...
 

Il patimento innocente del servo di Dio di Isaia oggi non vien più riferito a Gesù non solo dagli studiosi ebrei ma neppure dalla grande maggioranza degli esperti Protestanti. Tale concezione, rappresentata già in Lutero, non svolge più alcun ruolo nell'esegesi scientifica, la quale, tuttavia, non sa con certezza chi si celi dietro il servo di Dio, intraprendendo i più diversi tentativi di interpretazione: si pensa a Mosè, a qualche figura di Profeta veterotestamentario, a Josia, Gioacchino, a Tammuz, dio che muore e risorge, o ad una personificazione della profezia. Ma il più delle volte, forse, la sofferenza del servo di Dio vien posta in relazione collettivamente con Israele, che nel Deuteroisaia viene definito sovente «servo di Dio», come anche presso altri Profeti (Jes. 49, 3; Jer. 30, 10 sg.; Hes. 28, 25; 37, 25).

Un piccolo esempio di invenzione evangelica di profezie

Nella produzione di profezie fu particolarmente fecondo Matteo, perché a tal fine studiò attentamente il V.T., offrendo tutta una serie di profezie ignote sia a Marco che a Luca 14. Nel suo Vangelo c'è sempre qualcosa che si adempie 15.

Ecco un esempio: Marco narra di Gesù tradito per danaro da Giuda (Mc. 14, 10 sg.). Matteo ebbe presente il passo seguente del V.T.: «Io dissi loro: Se vi piace, datemi la mia mercede, altrimenti lasciate stare. Mi pesarono la mercede: trenta sicli d'argento» (Sach. 11, 12), e quindi si sentì autorizzato a raccontare che per il suo tradimento Giuda ricevette dai Gran Sacerdoti «trenta pezzi d'argento» (Mt. 26, 15). Matteo, però, nel V.T. aveva letto anche: «Il Signore disse: "Getta nel tesoro il prezzo eccezionale, con cui sono stato da essi stimato!". Allora presi i trenta sicli d'argento e li gettai nel tesoro della casa di Jahvè» (Sach. 11, 13), e di conseguenza poteva anche aggiungere che Giuda riportò il danaro ai Gran Sacerdoti, gettandolo nel Tempio (Mt. 27,3 sgg.).

Questo passo di Zaccaria fu da Matteo collegato a un testo di Geremia, in cui si parla dell'acquisto del campo del vasaio (Jer. 32, 6), il che gli consentì di fiorire ulteriormente la sua storiella. I Gran Sacerdoti non potevano ammucchiare quel danaro insanguinato nel tesoro del Tempio, e allora Matteo dice che comprarono il campo del vasaio, così che ancora una volta la scrittura si era adempiuta. Egli scrive: «Allora si adempì ciò ch'era stato detto dal profeta Geremia: E presero i trenta denari d'argento, il prezzo del venduto, che i figli di Israele avevano mercanteggiato, e li diedero per il campo del vasaio, come mi aveva ordinato il Signore» (cfr. Mt. 27, 9 sg.).


La triplice morte del povero Giuda

Soffermiamoci ancora un poco sul caso di questo disgraziato, che i cristiani fanno morire ben tre volte, e ogni volta in modo sempre più crudele.

Molti conoscono solo la versione di Matteo, secondo la quale Giuda si impicca; ma altrove la Bibbia racconta:

«Col prezzo del tradimento costui (sc. Giuda) si comprò un campo, ma cadde a terra a capo in giù, spaccandosi in due, sì che fuoriuscirono le budella» (Cfr. Mt. 27,5 con Atti 1, 18 sg.).
I paladini della Chiesa cercano di mettere d'accordo tali versioni, spiegando che Giuda dapprima si impiccò, quindi, spezzatosi il cappio, il traditore si spiaccicò al suolo. Questa divertente spiegazione appare poco convincente, tanto più che la Bibbia ci presenta in proposito ulteriori narrazioni contraddittorie: in Matteo Giuda rende ai Gran sacerdoti il prezzo del tradimento, ma negli Atti con quella somma s'acquista il campicello; il ben noto «campo del sangue» in Matteo reca questa denominazione perché acquistato dai Gran sacerdoti col «denaro insanguinato» di Giuda, mentre negli Atti il nome deriva dal fatto che Giuda vi versò il proprio sangue (Cfr. Mt. 27, 3-8 con Atti 1, 18 sg.).

Nel II secolo il Vescovo Papias, uno dei «padri apostolici», espone una fine ancor più raccapricciante del traditore, esplicitamente negando anzitutto che Giuda fosse morto impiccato: secondo quest'altra versione egli sarebbe diventato talmente grosso da non poter far passare nemmeno il capo là dove poteva agevolmente passare anche un carro. Espellendo materia purulenta e vermi, col membro virile cresciuto a dismisura, crepò dopo inenarrabili tormenti in un luogo in cui, da allora in avanti, regnarono aridità e deserto. Fino al giorno d'oggi - cioè dopo cent'anni e passa, così continua il Vescovo Papias - nessuno può passare per quella landa senza turarsi il naso, «tanto era intenso il fetore della sua carne anche sopra la superficie di quel suolo».

Come lasciano supporre tali versioni contraddittorie, la storicità di Giuda è assai dubbia; potrebbe essere un'allegoria personificata del Giudaismo traditore di Gesù, come suggerisce anche il suo nome di Iskariotes ( = uomo della menzogna) 16.

Nella storia della Passione si trova un passo, che molti critici ritennero una notizia fornita da un testimone oculare, cioè dallo stesso Marco: si tratta della citazione di un giovane, che seguì Gesù anche quando tutti gli altri erano già fuggiti. Marco, e soltanto lui, a proposito di questo personaggio scrive che «indossava sul corpo nudo solo un mantello di lino; essi lo presero, ma quegli lasciò scivolar via il suo manto, e scappò nudo» (Mc. 14, 51 sg.). Un particolare così irrilevante, secondo alcuni, non poteva essere narrato se non da una persona presente ai fatti. Ma il teologo Loisy ha richiamato il Versetto in Amos 2, 16: «Il più forte tra i forti nudo fuggirà in quel giorno, come dice il Signore», riferendovi anche l'episodio narrato da Marco.


Sulla storia neotestamentaria della Passione ebbero influenza non solo i racconti veterotestamentari, ma con tutta evidenza anche la martirologia ebraica e il patrimonio religioso pagano, come le parole di Eracle: «Si è compiuto», o la figura di Socrate morente o quella del discepolo di Platone, Fecone, il quale, per la sua incorruttibilità, era stato soprannominato «Chrestos» (= il galantuomo), ricevendo sputi in faccia sulla via del martirio, e ciononostante perdonando alla fine gli Ateniesi (Plut., Phok. 36). Anche Platone nella Repubblica parla della sofferenza e della morte del giusto, della sua fustigazione e della sua morte sulla croce 17.

Naturalmente non ci si limitò a riferire al V.T. solo la Passione di Gesù; infatti esso fu utilizzato, unitamente alle leggende pagane, soprattutto nella rielaborazione fantasiosa degli episodi della sua nascita e della sua infanzia. La nascita da una Vergine (Mt. 1, 22 sg.) fu evinta da Jes. 7, 14, Betlemme come luogo di nascita (Mt. 2, 1 sgg.) da Micha 5, 1 sg., l'uccisione dei bambini (Mt. 2, 16 sgg.) da Jer. 31, 15, la fuga in Egitto (Mt. 2, 13 sgg.) da Hos. 11, l. Allo stesso modo vennero fiorite da tutta una massa di luoghi veterotestamentari l'Annunciazione di Maria, il suo inno entusiastico, il cosiddetto Magnificat, e la profezia del vecchio Simeone in occasione della presentazione al tempio 18.

La Passione, qui volutamente trattata in modo più dettagliato, viene annoverata in quanto tale fra le parti in qualche misura storicamente verisimili della tradizione evangelica, vale a dire che si parte dall'ipotesi che la storia della morte di Gesù sulla croce corrisponda a un evento storico. Tutto il resto rimane dubbio, come è possibile evincere in parte dalla panoramica prima tracciata.


La Teologia storico-critica vede nella storia della Passione presentata nel N.T. un elemento storico avvolto da tratti leggendari, un'invenzione che nasconde un nucleo di verità storica. Studiosi autorevolissimi mostrano nelle loro analisi della tradizione biblica della Passione come i singoli tratti abbiano un'origine del tutto indipendente da una narrazione coerente, siano stati arricchiti da una massa di motivi, spesso assai rozzi, edificanti, apologetici e dogmatici e quindi intrecciati a costituire una sorta di leggenda cultuale.

Il racconto dell'Ultima Cena di Gesù, la storia del Getsemani, la profezia del tradimento, la fuga dei Discepoli, il rinnegamento di Pietro, l'episodio di Barabba, i particolari dello scherno dei soldati, della morte di Giuda, della guardia al sepolcro e molti altri fatti minori vengono considerati leggendari dalla Teologia critica. Anche la descrizione del procedimento giudiziario davanti al Sinedrio è tutt'altro che una redazione protocollare, poiché pullula di vistose incongruenze rispetto al rito processuale rabbinico del tempo. Tutto l'interesse della tradizione cristiana mirava soprattutto a far apparire gli umilianti eventi della condanna e della crocifissione di Gesù come espressione della volontà divina e Gesù stesso come il Messia sofferente e destinato alla morte.

Non è nota nemmeno la conformazione della croce, giacché il termine greco si limita a indicare un palo. Sulla base delle notizie più antiche non è possibile nemmeno stabilire se Gesù vi sia stato legato o inchiodato. Per altro la predicazione cristiana della croce trovò tanta risonanza indubbiamente anche perché la croce costituiva da tempi immemorabili un segno magico e salvifico per ampie cerchie di persone di molti paesi, ad esempio la croce ansata e il geroglifico indicante la «vita» in Egitto, oppure il simbolo della croce sulle ostie utilizzate durante la celebrazione dei Misteri del dio Mitra.

Le profezie di Gesù (sulla propria Passione): vaticinia ex eventu

Esse sono state formulate evidentemente con riferimento retroattivo alla sua Passione, per proclamare la miracolosa prescienza di Gesù degli avvenimenti prossimi e il misterioso consiglio divino che li governa. La tendenza della tradizione a far parlare Gesù il più spesso e il più presto possibile della propria morte e della propria Resurrezione è incontrovertibile.


(Il teologo Bornkamm)

Restano da dire ancora poche parole intorno alle profezie dello stesso Gesù.
La critica più attendibile ha ormai assodato che molte delle profezie, quali quella della distruzione del Tempio di Gerusalemme o quella dei falsi Profeti, gli furono poste in bocca quando si erano già da lungo tempo verificate: già nel II secolo Celso osservava che tutto veniva profetizzato in quanto già accaduto, e non che tutto accadeva in quanto profetizzato.

In particolare Celso smascherò le cosiddette profezie di Gesù sulla propria Passione come invenzioni successive, finalizzate esclusivamente a occultare il fiasco della sua attività pubblica (Orig., Cels. 2, 13). Già il Vangelo di Marco, mezzo secolo dopo la crocifissione, fa profetizzare a Gesù la propria morte con tutti i particolari; ma quando ancora nessuno parlava della sua crocifissione, come avrebbe potuto Gesù affermare. «Se qualcuno mi vuol seguire, rinneghi se stesso e prenda su di sé la propria croce, e così sarà mio seguace»? (Mc. 8, 34).

Chi avrebbe potuto intenderlo? Solo la comunità, cui la morte sulla croce era già nota, e che proprio per questo aveva coniato tale espressione. In maniera analoga solo successivamente vennero attribuite a Gesù tutte le altre profezie della sua morte e della sua Resurrezione; esse, come sostiene il teologo Eduard Lohse in accordo con la ricerca critica, sono «senza eccezione» tarde creazioni della comunità cristiana, così che, basandosi su di esse, non è possibile fornire una risposta sicura alla domanda di quale significato attribuisse il Gesù storicamente esistito alla morte che lo attendeva.

Ma non appare credibile che Gesù si sia diretto a Gerusalemme col proposito di morirvi ad ogni costo.



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Note

1 Orig., Cels. 2, 28; cfr. soprattutto Just. Tryph., Iren. epid., Tert. adv. Marc. 3, 5 sgg., Clem. Al. strom. 6, 15, 122, 1. Ancora Pascal, Pensées XI, 706, vi vede la prova più convincente a favore di Gesù Cristo. Cypr. testim.
2 Schelling, Vorlesung über die Methode des akademischen Studiums, Ediz. 1803, 203.
3 Cfr. Mc. 15, 32 e Mt. 27, 44 con Lc. 23, 39 sgg.
4 Cfr. Lc. 23, 44 sg. con Mc. 15, 33 e Mt. 27, 45.
5 Romolo: Plut., Romul. 27. Cesare: Vergil., Georg. 1, 463 sgg.
6 Cfr. Lc. 9, 22; 18, 33; Mt. 20, 19; 1 Cor. 15, 4 con Mc. 8, 31; 9, 31; 10, 34.
7 Giona, 2, 1. Inoltre Mt. 12, 40; Just., Tryph. 107 sg. Cfr. anche Ps. 16, 10. In proposito, Atti, 2, 25 sgg.; 13, 35.
8 4 Mos. 21, 6 sgg. Jh. 3, 14 sg.; Barn. 12, 5; Just., apol. 1, 60. Tryph. 91, 4; 94; 112, 1. Iren., adv. haer. 4, 3. 24; Tert. adv. Marc. 3, 18
9 3 Mos. 16, 7-10; Barn. 7, 4 sgg.
10 4 Mos. 19, 1 sgg. Inoltre Barn. 8, 1 sgg.
11 Barn. 12, 2. Just., Tryph. 90, 4; 97, 1; 111, l su 2 Mos. 17, 11.
12 Tert. adv. Marc. 3, 18 su 5 Mos. 33, 17.
13 Cfr., fra l'altro, Jh. 1, 29; 1, 36; 12, 38; 1 Petr. 2, 21 sgg.; Barn. 5, 2; 1 Clem 16; Just., apol. 1, 50 sg.; Tryph. 13. Cfr. anche numerosi passi dei Sinottici e di Paolo.
14 Ad es. Mt. 8, 16; 12, 15 sgg.; 13, 10 sgg. e altrove.
15 Ad es. Mt. 1, 22; 2, 15; 17, 23; 4, 14; 8, 17; 12, 17; 13, 35 ecc.
16 Così Schneider, Geistesgeschichte, 1, 69 sg., il quale, fra l'altro, ne ritiene possibile la storicità.
17 rep. 2, 5, 361 e. cfr. poi, ad esempio, Goguel, 434, nota 300.
18 Lc. 1, 26 sgg.; cfr. poi Jes. 9,7; 2 Sam. 7, 12 sg.; Micha 4, 7; Dan. 7, 14; Lc. 1, 46 sgg.; inoltre 1 Sam. 2, 1 sgg.; Hab. 3, 18; 1 Sam. 1, 11; 5 Mos. 10, 21; Ps. 111, 9; 113, 17; 89, 11; 147, 6; 107, 9; 34, 11; 98, 3; Hiob. 5, 11; 1 Sam. 2, 5 sgg.; Jes. 42, 8; Micha 7, 20; 1 Mos. 17, 7; Lc. 2, 25 sgg; cfr. ancora Jes. 40, 5; 52, 10; 49, 6.

Karlheinz Deschner, Il gallo cantò ancora
Storia critica della Chiesa






La cattiva notizia è che Dio non esiste. Quella buona è che non ne hai bisogno.
Apocalisse Laica
Le religioni dividono. L'ateismo unisce


Il sonno della ragione genera mostri (Goya)


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