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Il caffè fa bene o fa male?

Ultimo Aggiornamento: 07/04/2018 21:53
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Tre caffè al giorno tolgono il medico di torno



Il prodotto più scambiato al mondo dopo il petrolio? Il caffè. Ogni mattina ci dà il buongiorno e ci fa, spesso, compagnia durante la giornata. Ma un’indagine attuata tra la popolazione europea

(i maggiori consumatori sono i finlandesi, gli italiani stanno in mezzo, in coda gli inglesi e i cechi), dimostra che l’80 per cento degli europei, pur bevendo giornalmente il caffè, non conosce le proprietà. In molti sostengono che fa bene, ma non sanno il perché e poi c’è chi ne abusa e sconosce i possibili rischi. In questo panorama, di certo alquanto confuso, cerchiamo di mettere un po’ d’ordine. La scienza medica consiglia un limite. Non più di 3 tazze al giorno, beninteso non quelle americane che equivalgono a 5-6 tazzine delle nostre. La bevanda rappresenta una fonte dietetica ricca di antiossidanti naturali: hanno la proprietà di rallentare o prevenire i danni causati da molecole nocive come i radicali liberi. Da non molto, si è scoperto che i principali e più potenti composti ad azione antiossidante sono gli acidi clorogenici, ma la torrefazione spinta può ridurre di molto la loro presenza nella bevanda. Meglio, in questo caso, la torrefazione più leggera. Una tazzina di caffè, alla quale è stato aggiunto un cucchiaino di zucchero, apporta nell’organismo circa 45 calorie, mentre sono, indicativamente, 400 quelle raccomandate per una colazione bilanciata. E’ quindi errato assumere la mattina solo una tazza di caffè. E qui va detto che, contrariamente al pensiero comune che saltare la colazione del mattino può servire ad evitare di mettere peso, all’opposto non fare colazione espone ad ingrassare chi ne è predisposto. La maggior parte della letteratura scientifica concorda sul fatto che l’effetto stimolante della caffeina, assorbita dal tratto gastrointestinale (raggiunge i massimi livelli nel sangue entro circa 30 minuti), migliora l’attività del cervello, aumenta la resistenza fisica, stimola la memoria. Sempre che non si esageri. In dosi moderate, il caffè risulta essere anche un amico del cuore e, tramite meccanismi ancora da studiare, sembrerebbe abbassare il rischio di diabete di tipo 2, la forma più comune di diabete, di contrarre l’Alzheimer o il Parkinson. Gli esperti avvertono però che superare le tre tazzine, si può incorrere in un effetto negativo, con problemi sull’umore, nervosismo, appesantimento epatico, ritardo nell’addormentamento, ansietà, innalzamento della pressione del sangue, ipersecrezione gastrica.
E ancora…
il caffè aiuta a combattere l’Alzheimer
Le prove effettuate sui topi hanno dimostrato che nei ratti a cui era stata somministrata la caffeina, il danno provocato dalla malattia fosse ridotto del ben il 50%
“Na tazzulella e cafe”, come recitava un vecchio motivo partenopeo, non solo per deliziare il palato, ma anche per preservare la memoria dai segni del tempo. Una ricerca dell’università della Florida, pubblicata dal Journal of Alzheimer, mostra che berne fino a cinque tazze al dì contrasterebbe i problemi di memoria legati all’Alzheimer.
Nei topi, perlomeno, l’insolito rimedio sembrerebbe funzionare. Tant’è che i ricercatori statunitensi sono decisi a cominciare quanto prima i trial clinici sull’uomo. La caffeina, secondo l’equipe Usa, ostacola infatti la produzione di placche beta amiloidi nel cervello, traccia inconfutabile della patologia neurodegenerativa. Lo studio è stato realizzato “ingegnerizzando” gli animali in modo che fossero affetti dalla malattia mangia-memoria per eccellenza. I topi giunti a 18-19 mesi, ovvero l’equivalente dei nostri settant’anni d’età, sono stati sottoposti a test comportamentali per verificare la loro memoria. Parallelamente sono stati suddivisi in due gruppi: uno di controllo, l’altro composto da animali a cui sono stati dati circa 500 milligrammi al giorno di caffeina, disciolta nell’acqua. L’equivalente di cinque caffè. Dopo due mesi, i ricercatori capitanati da Gary Arendash hanno ripetuto gli stessi test eseguiti all’inizio dello studio, e hanno potuto così osservare che i topi i quali avevano assunto caffeina ottenevano risultati migliori rispetto all’altro gruppo alle prese con la malattia. Addirittura la performance dei topi “caffeinomani” erano paragonabili a quelle degli animali della stessa età, E le buone notizie non sono finite. A sorprendere ancor più i ricercatori il fatto che, nei topi a cui era stata somministrata caffeina, la presenza della proteina beta amiloide, “ingrediente” delle placche dannose generate dalla malattia, fosse ridotta di ben il 50%. Secondo gli studiosi, dunque, la caffeina sarebbe in grado di intervenire su quegli enzimi che accendono la produzione della proteina sotto accusa.


Consiglio:
Prendevi un bel caffè a Napoli, io l'ho fatto! [SM=g27817]





[Modificato da Cristianalibera 12/10/2010 18:02]



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