"Non sappia la tua destra..."

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kelly70
00sabato 17 maggio 2008 21:50
Avete idea di quanto costi un passaggio pubblicitario in prima serata?

Ero lì bella tranquilla ad aspettare che iniziasse La Corrida su Canale 5 quando è passato uno dei tanti spot della Chiesa Cattolica
"Con l'otto per mille avete fatto tanto..."

Ce ne sono decine, ho dato un'occhiata su youtube e ne ho trovato un campionario, adesso, senza considerare i costi per la produzione, gli attori ecc, i costi per farli andare in onda su non so quante reti (o glielo fanno gratis??? [SM=x789055]) , Gesù non aveva forse detto

"Non sappia la tua destra quello che fa la sinistra"? [SM=x789069]

E allora c'è proprio bisogno di sprecare i soldi dell'otto per mille per farci sapere cosa avete fatto con i nostri soldi? Anche se lo scopo, e nemmeno tanto velato, è quello di convincerci a firmare per la CC...? [SM=x1468240]

Già era troppo il Papa con le scarpe di Prada...ma questo è veramente inammissibile. [SM=x789071] [SM=x789071]

La Madre Badessa [SM=g8799]



Eccovene uno...

kelly70
00domenica 18 maggio 2008 17:28


“In effetti la legge istitutiva dell’otto per mille del 1985 si intitola «Disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici in Italia e per il sostentamento del clero cattolico in servizio nelle diocesi». Nel testo viene dettagliatamente configurato un sistema di finanziamento pubblico affidato alla gestione diretta della CEI, interlocutore principale della legge. Tuttavia il nuovo Concordato, appena approvato allora, aveva abolito il riconoscimento formale della religione cattolica, apostolica e romana come «sola religione dello Stato» e pertanto un finanziamento esclusivo (anche se, almeno, trasparente) alla Chiesa diventava incostituzionale. Si dovettero così ammettere all’otto per mille le altre confessioni religiose per non creare disparità. Rimaneva però sullo sfondo l’obiettivo primario della legge: confermare sotto mentite spoglie, e possibilmente incrementare, il già cospicuo contributo di Stato alla CEI, eludendo in questo modo i nuovi vincoli di eguaglianza interconfessionale introdotti dalle modifiche concordatarie del 1984. Da qui il trucco delle quote ridistribuite e tutti i pasticci successivi.

Pare che la CEI abbia voce in capitolo anche sul modo in cui lo Stato dovrebbe utilizzare la propria quota. Nel 1996 l’allora ministro per la Solidarietà Livia Turco propose di destinare la quota statale dell’otto per mille alla povertà infantile. Un proposito forse troppo ingenuamente meritorio, al quale il cassiere pontificio rispose a muso duro: lo Stato non deve fare concorrenza scorretta alla Chiesa. Se ne deduce che quest’ultima ritiene di avere evidentemente un’esclusiva sugli interventi di solidarietà e di assistenza sociale. Potremmo allora avanzare un’altra proposta, che ci toglierebbe da ogni imbarazzo: destinare la quota statale e le quote non espresse alla ricerca scientifica. Nessuno potrebbe più dire che è «concorrenza scorretta». Le Assemblee di Dio e la Chiesa Valdese, per esempio, non sono ammesse alla ripartizione delle quote non espresse perché le loro intese con lo Stato non lo prevedono. I valdesi hanno chiesto sei anni fa di poter rientrare nel computo, ma l’iter parlamentare anche in questo caso è diventato misteriosamente molto lungo e laborioso.


La Chiesa cattolica è inoltre l’unica a ricevere un anticipo di finanziamento sull’anno in corso, laddove tutti gli altri percepiscono i fondi dopo tre anni dalle relative dichiarazioni dei redditi. Si potrebbe argomentare che la redistribuzione delle quote non espresse e l’anticipo sono giustificati dal fatto che comunque si tratta di soldi investiti in attività socialmente utili, altro argomento recitato a memoria per giustificare questo fiume di denaro. Tuttavia è piuttosto difficile capire come vengono spesi esattamente questi soldi. Lo Stato stesso non brilla per trasparenza. La Chiesa dichiara di suddividere la grossa quota in tre voci principali: il sostentamento del clero (poco più di un terzo), le esigenze di culto e pastorali (più del 42 per cento) e ciò che resta alle attività caritatevoli. Grazie alla prima area di investimento la Chiesa copre, nel 2005, il 57 per cento degli stipendi dei sacerdoti.

Nella seconda macroarea è concentrato tutto il resto: interventi per l’esercizio del culto, per l’esercizio della cura delle anime, per la formazione del clero e per iniziative di promozione. Dal bombardamento pubblicitario su tutte le reti televisive pubbliche e private in favore dell’otto per mille alla Chiesa cattolica che gli italiani subiscono in prossimità delle scadenze delle dichiarazioni dei redditi non si direbbe affatto, ma i benemeriti aiuti al terzo mondo usati poeticamente come sfondo per gli spot – che vengono accordati alla Chiesa da tutte le tv pubbliche e private con un non meglio specificato «trattamento di favore» – non prendono più dell’8-9 per cento dei fondi ottenuti.
La Chiesa peraltro è l’unica a investire massicciamente in pubblicità. Fra le esigenze di culto e pastorali, la CEI dichiara di destinare a scopi missionari solo l’1 per cento dei fondi disponibili.


Per contro la Chiesa Valdese e le Chiese Avventiste rifiutano espressamente di utilizzare i soldi per esigenze di culto e sostentamento del clero. Le Assemblee di Dio dichiarano di destinare i loro fondi esclusivamente in beneficenza e opere di carità. Le Comunità Ebraiche «per solidarietà sociale, attività culturali, restauro del patrimonio storico, sostegno ad attività giovanili, strutture ospedaliere per la cittadinanza, cultura della memoria, lotta a razzismo e pregiudizio». A vent’anni dalla nascita di questo surrettizio meccanismo di finanziamento della Chiesa cattolica sarebbe anche opportuno allargare il numero delle opzioni.

Sono però ammissibili all’otto per mille soltanto le confessioni religiose che abbiano un’intesa istituzionale con lo Stato in base all’articolo 8 della Costituzione. Un accordo in tal senso è già stato sottoscritto con i Testimoni di Geova e con i buddisti. Molti ritengono che sia quanto mai doveroso avviare trattative di regolarizzazione, e di conseguente responsabilizzazione, anche con le comunità islamiche in Italia, nonostante l’oggettiva difficoltà della loro rappresentanza frammentata. Pare però che il cammino parlamentare di queste proposte si sia fatto subito misteriosamente molto accidentato. Si tratta infatti di confessioni in crescita, ben organizzate sul territorio e quindi capaci di rosicchiare percentuali significative di quella grande fetta di scelte inespresse da ridistribuire a posteriori”.

Fonte
kelly70
00domenica 18 maggio 2008 17:33


ROMA - Le campagne dell' "otto per mille" della Chiesa cattolica, che ogni primavera invadono l' etere, Rai, Mediaset e radio nazionali, sono considerate nel mondo pubblicitario un modello di comunicazione. Ben girate, splendida fotografia, musiche di Morricone, storie efficaci, a volte indimenticabili. Chi non ricorda quella del 2005, imperniata sulla tragedia dello tsunami? Lo spot apre su un fragile villaggio di capanne, dalla spiaggia i pescatori scalzi scrutano l' orizzonte cupo. Voce fuori campo: "Quel giorno dal mare è arrivata la fine, l' onda ha trasformato tutto in nulla". Stacco sul logo dell' otto per mille: "Poi dal niente, siete arrivati voi. Le vostre firme si sono trasformate in barche e reti". Zoom su barche e reti. "Barche e reti capaci di crescere figli e pescare sorrisi". Slogan: "Con l' otto per mille alla Chiesa cattolica, avete fatto tanto per molti". Un capolavoro. La campagna 2005, affidata come le precedenti alla multinazionale Saatchi & Saatchi, secondo Il Sole 24 Ore è costata alla Chiesa nove milioni di euro. Il triplo di quanto la Chiesa ha poi donato alle vittime dello tsunami, tre milioni (fonte Cei), lo 0,3 per cento della raccolta.
Nello stesso anno, l'Ucei, l' unione delle comunità ebraiche italiane, versò per lo Sri Lanka e l' Indonesia 200 mila euro, il 6 per cento dell' "otto per mille". Un' offerta in proporzione venti volte superiore, in un' area dove non esistono comunità ebraiche.


Gli spot della Chiesa cattolica sono per la maggioranza degli italiani l'unica fonte d'informazione sull' otto per mille. Consegue una serie di pregiudizi assai diffusi. Credenti e non credenti sono convinti che la Chiesa cattolica usi i fondi dell' otto per mille soprattutto per la carità in Italia e nel terzo mondo. Le due voci occupano la totalità dei messaggi, ma costituiscono nella realtà il 20 per cento della spesa reale, come conferma Avvenire, che pubblica per la prima volta il resoconto sul numero del 29 settembre. L' 80 per cento del miliardo di euro rimane alla Chiesa cattolica.

Tanto meno gli spot cattolici si occupano d' informare che le quote non espresse nella dichiarazione dei redditi, il 60 per cento, vengono comunque assegnate sulla base del 40 per cento di quanto è stato espresso e finiscono dunque al 90 per cento nelle casse della Cei. Questo compito in effetti spetterebbe allo Stato italiano. Lo Stato avrebbe dovuto illustrare e giustificare ai cittadini un meccanismo tanto singolare di "voto fiscale", unico fra i paesi concordatari.

In Spagna per esempio le quote non espresse nel "cinque per mille" restano allo Stato. In Germania lo Stato si limita a organizzare la raccolta dei cittadini che possono scegliere di versare l' 8 o 9 per cento del reddito alla Chiesa cattolica o luterana o ad altri culti. Il principio dell' assoluta volontarietà è la regola nel resto d' Europa. Lo Stato italiano lo adotta infatti per il "cinque per mille". Anzi, fa di peggio. Il "cinque per mille" è nato nel 2006 per destinare appunto lo 0,5 dell' Irpef (660 milioni di euro, stima ufficiale delle Entrate) a ricerca e volontariato. Nel primo (e unico) anno hanno aderito il 61 per cento dei contribuenti, contro il 40 dell' "otto per mille": un successo enorme.

Le sole quote volontarie ammontano a oltre 400 milioni. Ma con la Finanziaria del 2007 il governo ha deciso di porre un tetto di 250 milioni al fondo, che si chiama sempre "cinque per mille" ma è ridotto nei fatti a meno del due. Le quote eccedenti verranno prelevate dall' erario. Con una mano lo Stato dunque regala 600 milioni di quote non espresse alla Cei e con l' altra sottrae 150 milioni di quote espresse a favore di onlus e ricerca. Nella stessa pagina del modulo 730 il "voto fiscale" espresso da un cittadino in alto a favore delle chiese vale in termini economici quattro volte il voto nel "cinque per mille". Perché due pesi e due misure? Lo Stato in diciassette anni non ha speso una parola pubblica, uno spot, una pubblicità Progresso, per spiegare il senso, il meccanismo e la destinazione reale dell' otto per mille. Ed è l' unico "concorrente" che ne avrebbe i mezzi, oltre al dovere morale. Gli altri (Valdesi, Ebrei, Luterani, Avventisti, Assemblee di Dio) dispongono di fondi minimi per la pubblicità, peraltro regolarmente denunciati nei resoconti. Mentre la Chiesa cattolica è l' unica a non dichiarare le spese pubblicitarie, riprova di scarsa trasparenza. L' unica voce a rompere il silenzio dello Stato fu nel 1996 quella di una cattolica, come spesso accade, la diessina Livia Turco, allora ministro per la Solidarietà. Turco propose di destinare la quota statale di otto per mille a progetti per l' infanzia povera. Il "cassiere" pontificio, monsignor Attilio Nicora, rispose che "lo Stato non doveva fare concorrenza scorretta alla Chiesa".

Fine del dibattito. Oggi Livia Turco ricorda: "Nella mia ingenuità, pensavo che la mia proposta incontrasse il favore di tutti, compresa la Chiesa. L' Italia è il paese continentale con la più alta percentuale di povertà infantile. Al contrario la reazione della Chiesa fu durissima, infastidita, e dalla politica fui subito isolata. Ho vissuto quella vicenda con grande amarezza". La politica non ha mai più osato fare "concorrenza" alla Chiesa cattolica, anzi l' ha favorita con un pessimo uso del fondo. Nel 2004 i media hanno dato grande risalto alla trovata del governo Berlusconi di utilizzare 80 dei 100 milioni ricevuti dall' otto per mille per finanziare le missioni militari, in particolare in Iraq. Degli altri venti milioni, quasi la metà (44,5 per cento) sono finiti nel restauro di edifici di culto, quindi ancora alla Chiesa. La percentuale di "voti" allo Stato italiano è crollata dal 23 per cento del 1990 all' 8,3 del 2006.

All' atteggiamento remissivo dello Stato italiano ha fatto da contraltare una crescente aggressività da parte delle gerarchie ecclesiastiche e soprattutto dei politici al seguito, cattolici e neo convertiti, nel rivendicare il denaro pubblico. In agosto, quando la commissione europea ha chiesto lumi al governo Prodi sui privilegi fiscali del Vaticano, nell' ipotesi si tratti di "aiuti di Stato" mascherati, l' ex ministro Roberto Calderoli, già protagonista delle battaglie anticlericali della Lega anni Novanta, ha chiesto al Papa di "scomunicare l' Unione Europea". Rocco Buttiglione ha avanzato un argomento in disuso fra gli intellettuali dai primi del '900, ma oggi di gran moda. Secondo il quale i privilegi concessi dalla Stato al Vaticano sarebbero "una compensazione per la confisca dei beni ecclesiastici dello Stato Pontificio". Un revanscismo già sepolto dalla Chiesa del Concilio. Nel 1970 Paolo VI aveva "festeggiato" con la visita in Campidoglio la breccia di Porta Pia: "atto della Provvidenza", una "liberazione" per la Chiesa da un potere temporale che ne ostacolava l' autentica missione. Joseph Ratzinger scrive ne "Il sale della terra": "Purtroppo nella storia è sempre capitato che la Chiesa non sia stata capace di allontanarsi da sola dai beni materiali, ma che questi le siano stati tolti da altri; e ciò, alla fine, è stata per lei la salvezza". La legge 222 del 1985 istitutiva dell' otto per mille, perlopiù sconosciuta ai polemisti, in ogni caso non accenna ad alcuna forma di "risarcimento" per le confische (argomento insensato nell' Italia di vent' anni fa).

Lo scopo primario della legge di revisione del Concordato fascista del '29 era di garantire un sostituto della "congrua", ovvero lo stipendio di Stato ai sacerdoti. Nei primi anni lo Stato s' impegnava infatti a integrare l' otto per mille, fino a 407 miliardi, nel caso di una raccolta insufficiente per pagare gli stipendi. In cambio il Vaticano accettava che una commissione bilaterale valutasse ogni tre anni l' ipotesi di ridurre l' otto per mille nel caso contrario di un gettito eccessivo. Ora, dal 1990 al 2007, l' incasso per la Cei è quintuplicato e la spesa per gli stipendi dei preti, complice la crisi di vocazioni, è scesa alla metà, dal 70 al 35 per cento. Eppure la commissione italo-vaticana non ha mai deciso un adeguamento. Perché? Senza avventurarsi in filosofia del diritto, si può forse raccontare il percorso di uno dei componenti laici della commissione, Carlo Cardia. Il professor Cardia, insigne giurista di formazione comunista, consigliere di Enrico Berlinguer e Pietro Ingrao, ha esordito da fiero "difensore del diritto negato in Italia all' ateismo" ("Ateismo e libertà religiose", De Donato, 1973).

Nel 2001 è Cardia a invocare una riduzione dell' otto per mille, in un saggio pubblicato dalla presidenza del consiglio: "Dall' otto per mille derivano ormai alla Chiesa cattolica, meglio: alla Cei, delle somme veramente ingenti, che hanno superato ogni previsione. Si parla ormai di 900-1000 miliardi l' anno di lire. Il livello è tanto più alto in quanto il fabbisogno per il sostentamento del clero non supera i 400-500 miliardi. Ciò vuol dire che la Cei ha la disponibilità annua di diverse centinaia per finalità chiaramente "secondarie" rispetto a quella primaria del sostentamento del clero; e che lievitando così il livello del flusso finanziario si potrebbe presto raggiungere il paradosso per il quale è proprio il sostentamento del clero ad assumere il ruolo di finalità secondaria". Previsione perfetta. "Tutto ciò - concludeva Cardia - porterebbe a vere e proprie distorsioni nell' uso del danaro da parte della Chiesa cattolica; e, più in generale, riaprirebbe il capitolo di un finanziamento pubblico irragionevole che potrebbe raggiungere la soglia dell' incostituzionalità se riferito al valore della laicità quale principio supremo dell' ordinamento". Nel tempo il professor Cardia è diventato illustre collaboratore di Avvenire, il giornale dei vescovi. I suoi temi sono cambiati: l' apologia del rapporto fra i giovani e Benedetto XVI, la lotta ai Dico, l' esaltazione del Family Day.

Ciascuno naturalmente ha il diritto di cambiare idea. Ma è opportuno che, avendole cambiate sul giornale della Cei, continui a far parte di una commissione governativa chiamata a stabilire quanti soldi lo Stato deve versare alla Cei? Nell' ultimo editoriale su Avvenire il professor Cardia tuona contro l' inchiesta di Repubblica, "una delle più colossali operazioni di disinformazione degli ultimi tempi". Senza contestare nel merito un singolo dato, nega con veemenza che la Chiesa costi troppo agli italiani e s' indigna per "l' indecente" accostamento con la "casta". E' lo stesso professor Cardia che il 20 febbraio scorso dichiara in un' intervista: "Io porterei la quota dell' otto per mille al sette, vista l' imponente massa di danaro che smuove. Basti pensare che dall' 84 a oggi nessuno, se non per controversie politiche, vi ha posto mano".

Con le altre confessioni lo Stato è assai meno generoso. In risposta a un' interrogazione dei soliti radicali, nel luglio scorso il ministro Vannino Chiti ha citato come prova della bontà del meccanismo "il fatto che anche i valdesi hanno chiesto e ottenuto le quote non espresse". Chiesto sì, ottenuto mai. Incontro la "moderatrice" della Tavola Valdese, Maria Bonafede, il "Ruini" dei valdesi, nella modesta sede vicino alla Stazione Termini. "Per motivi etici avevamo rinunciato alle quote non espresse, ma nel 2000, visto l' uso che ne faceva lo Stato, le abbiamo chiese. Abbiamo incontrato governi di destra e di sinistra, il vecchio Letta e il nuovo. Ogni volta ci rinviano. Se la ottenessimo oggi, la vedremmo solo nel 2010. Lo Stato anticipa i soldi alla Cei, ma agli altri li versa con tre anni di ritardo".

Ai valdesi sono andati nel 2006 circa 5 milioni 700 mila euro, ma avrebbero diritto a oltre 13 milioni. Il resto lo trattiene lo Stato. La Tavola Valdese usa i soldi dell' otto per mille al 94 per cento per la carità e il rimanente alla pubblicità. I pastori valdesi vivono delle donazioni spontanee. Lo stipendio base, uguale dalla "moderatrice" all' ultimo pastore, è di 650 euro al mese. Maria Bonafede spiega: "I soldi dell' otto per mille arrivano dalla società e vi debbono tornare. Se una Chiesa non riesce a mantenersi con le libere offerte, è segno che Dio non vuole farla sopravvivere".

(hanno collaborato Carlo Pontesilli e Maurizio Turco)

(25 ottobre 2007)
www.repubblica.it/2007/10/sezioni/cronaca/chiesa-commento-mauro/soldi-del-vescovo/soldi-del-vesc...
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