Guido Calogero e "laicismo scolastico"

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pcerini
00domenica 5 ottobre 2008 20:06
Dato che a qualcuno (MauriF,ovviamente) mancano le basi per poter parlare di cosa sia il laicismo nell'accezione moderna e di come abbia dei trascorsi storici non solo in ambito storico ma anche in ambito prettamente culturale (sociale,educativo), inizio una serie di post che hanno lo scopo della valenza plurale che ha questo termine,cosi' una volta tanto chiariremo ogni sua valenza e ogni sua contestualizzazione,andando contro le distorsioni che ne fa il clero (e a cui MauriF stesso abbocca),cosi' come hanno fatto con il termine "relativismo".

Tanto per cominciare,il termine relativismo era' gia' fortemente presente negli anni 50, posto per cominciare un'articolo di Guido Calogero che ne mostrava gia' all'epoca le valenze e le connotazioni positive riguardo al laicismo scolastico.
Buona lettura

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Guido Calogero

Che vuol dire scuola laica?

estratto da "Il Mondo" 6 dicembre 1955


Per Guido Calogero il problema della scuola laica, non si identificava, se non sul piano delle contingenze storiche, con quello della difesa della scuola di Stato, ma con quello della garanzia della libertà di insegnamento e della libertà di apprendimento. La Costituzione e le leggi dello Stato devono assicurare alla comunità dei cittadini, che ne sopporta o ne dovesse sopportare il peso del funzionamento, che all’interno delle singole istituzioni deputate all’istruzione pubblica - siano esse gestite dallo Stato o da organizzazioni private - esistano tutte le condizioni per un dialogo aperto e incondizionato tra maestri e scolari e, ancor prima, tra maestri e maestri, qualunque siano le loro rispettive convinzioni religiose, politiche, sociali, e qualunque siano gli orientamenti prevalenti nella singola organizzazione scolastica.

La questione, perciò, non può essere posta sul piano tecnico dell’efficienza organizzativa o della ‘bravura’ dei docenti, come oggi si fa quando si auspica una sana competizione tra scuole statali e scuole private. Né può essere posta sul piano del diritto delle famiglie di scegliere per i figli una scuola conforme ai propri indirizzi ideali . La scuola pubblica, finanziata dallo Stato con i denari dei cittadini contribuenti, deve essere laica e pluralistica nella gestione organizzativa e didattica e non deve selezionare e valutare i suoi docenti in base alla loro appartenenza all’una o all’altra area culturale. Questo è il vero nodo da sciogliere, senza fughe in avanti. Ovviamente, per Calogero il ‘laicismo scolastico’ non può essere screditato come agnosticismo, perché si ispira alla fede comune nella “legge del dialogo che è la regola fondamentale di ogni moralità e civiltà”.



ü “ (…) Se in Italia la scuola laica è in pericolo, questo significa che molti Italiani non hanno ancora capito che interesse abbiano a difenderla. E non si suscita quell’interesse solo ripetendo che essi debbono difenderla. Bisogna far loro capire in che consiste quell’interesse, ragionando, per così dire, sulla pelle dei loro figli, cioè spiegando loro che cosa una scuola seria deve dare ai loro figli, e che cosa non deve dare, affinché essi ne escano cittadini capaci e ragionevoli, i quali non mandino a male le loro faccende private e pubbliche creando così la loro stessa infelicità. Ed ecco che non si può non parlare della struttura stessa della scuola, e di come i docenti debbono insegnare e di quel che i ragazzi debbono imparare.


ü “Di fatto, la battaglia per il laicismo educativo non è altro che la battaglia per una scuola più intelligente contro una scuola meno intelligente. E’ proprio per ciò che essa si presenta da noi in primo luogo come difesa della scuola di Stato – cioè della scuola che, dovendo essere assicurata dallo Stato a tutti i cittadini, quale che sia il loro orientamento religioso, ideologico o politico, deve restare indipendente da ogni presupposto di tal natura – nei confronti della scuola privata, la quale, essendo quasi sempre organizzata da gruppi caratterizzati confessionalmente, si appella a famiglie, e forme di scolaresche, sempre educate in modo più o meno unilaterale. La fondamentale legittimità di questo aspetto della difesa della scuola laica consiste nel fatto che un’educazione condotta, comunque, in base a certi orientamenti dottrinali presupposti come indiscussi, o discussi in misura insufficiente, crea uomini moralmente e civicamente meno solidi di un’educazione la quale non presupponga alcun tabù, ed alleni continuamente i giovani all’attenta e rispettosa discussione di qualunque idea o fede, propria ed altrui. In una situazione come la nostra, il pericolo della diffusione di un tipo di educazione conformistica, in cui i docenti cerchino soprattutto di formare giovani che la pensino come loro, coincide ovviamente, in larga misura, con quello della diffusione della scuola privata, la cui organizzazione finanziaria e strutturale è possibile quasi soltanto ai gruppi cattolici. Di qui la necessità di difendere vigorosamente contro di essa la scuola di Stato, la quale nonostante tutto continua ad offrire una maggiore garanzia di non aconfessionalità; di qui la necessità di non accedere alla richiesta della sovvenzione statale a scuole private, salvo alla condizione (di accertamento pressoché impossibile oggi in Italia) che esse non fossero né cattoliche né comuniste né comunque dominate da un unitario orientamento dottrinale.


ü “Ma questo porta a considerare il secondo aspetto della questione. Mentre è chiaro che, nella situazione presente, la scuola di Stato va difesa in quanto è meno confessionale di quella privata, non bisogna dimenticare il pericolo che diventi invece altrettanto confessionale la stessa scuola di Stato. Il laicismo non è qualcosa che appartenga di per sé allo Stato in quanto si differenzia dalla Chiesa. Ci possono essere Chiese fortemente liberali, come quella quacchera, e Stati fortemente confessionali, anche se poco religiosi, come lo Stato fascista, o quello nazista. Il laicismo non si identifica col non andare a messa, anche se in un paese in cui troppa gente va a messa può anche consistere nel non andarci per reagire a quel conformismo. Il laicismo consiste nel fatto di non accettare mai, in nessun caso, l’organizzazione e l’esercizio di strumenti di pressione religiosa o politica o sociale o morale o economica o finanziaria al fine della diffusione di certe idee e della repressione di certe altre idee, e di procurare invece, sempre più, l’equilibrio delle loro possibilità di dialogo individuale.

[nota personale: la chiesa invece non intende riconoscere questi elementi,in quanto,come si e' visto recentemente,tende sempre a mettere in atto un'azione non tanto per rivendicare il rispetto delle posizione cattoliche ma quanto per l'appunto a diffonderle al fine di estenderle a tutta la societa' facendo in modo da non consentire- anche legittimamente parlando - l'espressione di valenze valoriali differenti]

Se quindi oggi [1955 n. r.] dobbiamo soprattutto guardarci da quanto di confessionale può essere introdotto nella scuola di Stato dall’influenza governativa cattolica, la stessa attenzione dovremmo avere quando, in ipotesi il potere di governo fosse invece, poniamo, marxista, e il marxismo fosse considerato la base fondamentale dell’insegnamento e tutti o quasi i professori fossero o si dichiarassero marxisti, come, per esempio, gli insegnanti dell’Istituto Gramsci. Né avremmo dovere diverso (intendiamoci bene) anche quando la maggioranza dello Stato, e quindi della scuola di Stato, fosse composta dai liberali, e questi riempissero le scuole solo di liberali aderenti alle dottrine enunciate nei loro libri.Una scuola laica è una scuola in cui non c’è mai nessuno che abbia ragione senza la possibilità e la probabilità che qualcun altro gli dia torto


ü “Ma questo secondo aspetto della questione del laicismo scolastico, il quale c’ impone di preoccuparci sempre del fatto che nella scuola si ascoltino le voci più diverse (giacché quel che rende adulti, nella formazione morale e civica degli uomini non è tanto il far vedere certe cose in un certo modo, quanto il far vedere che ci sono altri uomini che le vedono altrimenti), ci fa, nello stesso tempo scorgere anche il terzo e più radicale aspetto della cosa, e cioè che è vana, o almeno senza intrinseco fondamento, la nostra difesa del laicismo nella scuola, se anzitutto laici non siamo noi nel nostro modo di insegnare. Non è un laico – quali che siano le sue idee in sede religiosa o filosofica o politica – un professore che quando è in classe dice “qui il padrone sono io”, e non tollera che i suoi scolari discutano quanto egli ha detto, e invece di conversare pacatamente con loro e di aiutarli a discutere anche tra di loro in modo da scoprire a poco a poco le varie difficoltà e di aiutarli a superarle (educandoli così, proprio con tale continuo esercizio ed esempio, a quella legge del dialogo che è la regola fondamentale di ogni moralità e civiltà) si limita a dar loro cose da studiare a memoria, e poi a interrogarli per vedere se sene ricordano, e a segnar voti sui registri, e a mettercene di cattivi in condotta se non stanno zitti. Non è un laico un professore che non la smette d’ insegnare in quel modo autoritario e antiquato, anche se il preside e il ministro continuano ad imporglielo invece d’incoraggiarlo a fare il contrario.



ü “Tutto ciò non significa, si capisce, che non dobbiamo fare tutto il possibile in relazione al primo e al secondo aspetto della questione, anche se non sempre riusciamo a soddisfare alle esigenze del terzo. Tanto varrebbe, che so io, non occuparsi del miglioramento delle condizioni della vita dei carcerati per il solo fatto di ritenere che il nostro codice penale è antiquato e considera illecite molte cose che sarebbe meglio considerare lecite; o non approvare le giustissime ragioni per cui professori e maestri chiedono allo Stato una maggiore spesa per i loro stipendi per il solo fatto che ci sono anche riforme scolastiche che si possono fare senza spesa1. Non dimentichiamo, tuttavia, che è inutile, alla lunga, essere “liberali” e “laici” sui giornali e nel parlamento se anzitutto non lo si è col proprio portiere, coi propri figli e coi propri scolari. Qualunque valore noi chiediamo alla civiltà di garantirci, il suo metro ultimo siamo noi: e solo in quanto noi abbiamo sperimentato e dimostrato in noi medesimi, nella nostra vita di tutti i giorni, che convivere dialogando è meglio che convivere addottrinando, abbiamo il diritto di preferire una scuola laica a una scuola confessionale, una scuola che discuta a una scuola che inculchi verità.”




NOTE

0 Nel corso del 1955 Guido Calogero fu impegnato a dibattere questioni scolastiche sulle colonne de “ Il Mondo” di Pannunzio, avanzando la proposta di alcune riforme “senza spesa”, di carattere profondamente innovativo rispetto a logiche, mentalità e prassi persistenti nel mondo della scuola e ancora chissà per quanto a lungo attive e operanti all’interno dell’ “establishment” ministeriale- universitario –sindacale e del corpo docente, nonostante tutti i disegni e gli interventi, che vengono cesellati ai nostri giorni dalla schiera di esperti impegnati a compiere il’ mosaico’ della riforma e nonostante tutti i corsi di aggiornamento e di formazione, orientati a colmare il deficit tecnico, organizzativo e metodologico, della scuola e non altrettanto a fronteggiare l’oscuramento e il disorientamento sui principii L’anno successivo prese parte al Convegno degli Amici del “Mondo”, intitolato “Processo alla scuola”, insieme a L.Piccardi,R.Morghen, L.Borghi, U. Canotti-Bianco, i cui atti furono pubblicati, a cura di Adolfo Battaglia(Bari, Laterza, 1956).
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