Il PD, la laicità e la vergogna

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kelly70
00giovedì 3 gennaio 2008 16:02


di PIERGIORGIO ODIFREDDI

ROMA - Caro direttore, nel suo editoriale "Non nominate il nome di Dio
invano" del 27 dicembre 2007, Eugenio Scalfari ha ampiamente
commentato "pensieri e parole" della senatrice Paola Binetti, citando
in particolare il dialogo che ella aveva tenuto con me su "La Stampa"
del 23 dicembre. Il giornale indicava nei titoli lei e me come,
rispettivamente, "l'anima teodem e quella atea del Partito
Democratico", e l'espressione "anima atea" andrebbe forse
sottolineata.

Anzitutto, perché costituisce un ossimoro positivo e virtuoso da
contrapporre, assieme ad "anima laica", a quelli negativi e viziosi di
"ateo devoto" e "ateo in ginocchio". E poi, perché il suo singolare
suggerisce e richiama, a differenza delle espressioni appena citate,
la situazione di isolamento o di minoranza in cui si trovano nella
nostra società odierna coloro ai quali essa viene applicata. Nella
fattispecie, le anime laiche e atee non sembrano effettivamente essere
molte nel Partito Democratico in generale, e nella Commissione dei
Valori in particolare. Sembra infatti che la laicità e l'ateismo, che
costituiscono una sorta di nudità teologica naturale, siano diventate
quasi una vergogna da nascondere sotto i variopinti paramenti delle
fedi e dei credi.

Non sono stati molti i commissari che hanno reagito alla prima bozza
del Manifesto dei Valori del Partito Democratico, stilata dal filosofo
cattolico Mauro Ceruti, che a proposito della laicità partiva dicendo
che essa "è un valore essenziale del Pd", per continuare: "Noi
concepiamo la laicità non come un'ideologia antireligiosa e neppure
come il luogo di una presunta e illusoria neutralità, ma come rispetto
e valorizzazione del pluralismo degli orientamenti culturali e dei
convincimenti morali, come riconoscimento della piena cittadinanza -
dunque della rilevanza nella sfera pubblica, non solo privata - delle
religioni". Ora, io non mi sento di sottoscrivere nessuna di queste
affermazioni. E poiché la Binetti mi aveva già accusato di avere dei
pregiudizi nei confronti dei cattolici, ho ribadito alla Commissione
di non credere di averne, così come non credo di averne nei confronti
degli astrologi o degli spiritisti: semplicemente, mi limito a
constatare che essi hanno visioni del mondo antitetiche a quella
scientifica, e più in generale alla razionalità, e ne deduco che
sarebbe bene che esse rimanessero confinate nel campo individuale. E,
così come non propongo l'abolizione degli oroscopi, non propongo
neppure di impedire le prediche: mi sembra sensato, però, pretendere
che non sia sulla base di queste cose che vengano prese le decisioni
politiche dei nostri governanti e del nascente partito.

Apriti cielo! Il deputato Francesco Saverio Garofani, membro del
coordinamento nazionale del Pd, ha subito inveito sul sito del partito
contro le mie "provocazioni" e la mia "idea caricaturale della
laicità". E Ceruti gli ha subito fatto eco, affermando: "Odifreddi non
si può nemmeno definire un laico. Diciamo che non è proprio
interessato all'incontro con una cultura spirituale. Laicità per lui è
sinonimo di diniego assoluto della religione. Ma il suo è un retaggio
del passato".

Sarebbe troppo facile ribattere che se un diniego è retaggio del
passato, a maggior ragione dovrebbe esserlo ciò che viene negato, che
per forza di cose deve precedere la propria negazione. Mi sembra più
costruttivo cercare invece di espellere una certa confusione di idee a
proposito della laicità e dintorni, che sembra albergare nelle menti
dei cattolici citati. Compresa la Binetti, che nel nostro dialogo ha
ribadito più volte non solo di considerare se stessa laica, ma anche
che la laicità è uno dei valori fondamentali predicati dal fondatore
dell'Opus Dei: quel Josemarìa Escrivà de Balaguer, alla cui
beatificazione in Piazza San Pietro hanno assistito il 31 maggio 2001
sia Veltroni sia D'Alema. A questo proposito la Binetti ha dichiarato,
nel nostro colloquio su "La Stampa": "La circostanza che Veltroni e
D'Alema apprezzino Balaguer è il segno che viene compresa la
santificazione del lavoro promossa dall'Opus Dei".

A me, invece, questo atto pubblico da parte del sindaco di Roma e
dell'allora presidente dei Ds sembrano un perfetto esempio di come un
politico laico non dovrebbe comportarsi, qualunque siano le sue
credenze, secondo la mia definizione di laicità: agire come se la
religione e la Chiesa non ci fossero, senza naturalmente far nulla
affinché non ci siano. Questa posizione è un compromesso tra i due
estremi del clericalismo e dell'anticlericalismo.

Il primo va inteso come la pretesa di agire, e far agire, in ossequio
alla volontà della religione e della Chiesa, e io non saprei trovarne
una formulazione migliore dell'Articolo 7 della Carta delle Finalità
del Campus Biomedico di Roma: "L'Università intende operare in piena
fedeltà al Magistero della Chiesa Cattolica, che è garante del valido
fondamento del sapere umano, poiché l'autentico progresso scientifico
non può mai entrare in opposizione con la Fede, giacché la ragione
(che ha la capacità di riconoscere la verità) e la fede hanno origine
nello stesso Dio, fonte di ogni verità".

A scanso di equivoci, questa non è un'invenzione di Borges: il Campus
esiste veramente, in esso lavora la Binetti. Non c'è bisogno di
battersi in Italia contro l'anticlericalismo, che va inteso come la
pretesa di agire per far sì che la religione e la Chiesa non ci siano:
questi sì che sarebbero i veri retaggi del passato, dalla Rivoluzione
Francese alla Guerra Civile di Spagna, ma per fortuna oggi nessuno li
propone seriamente. Proprio per questo, però, la posizione intermedia
del laicismo rimane scoperta sul fianco sinistro e viene percepita
come un estremismo, quando invece essa è già il compromesso razionale
tra le due opposte irrazionalità di coloro che vorrebbero imporre agli
altri le loro credenze da un lato, e le loro avversioni a queste
dall'altro.

Naturalmente, non è affatto anticlericalismo, ma laicismo allo stato
puro, rifarsi al motto risorgimentale della "libera Chiesa in libero
Stato". Che la religione e il Vaticano abbiano la massima libertà di
parola e di azione, senza che lo Stato interferisca né con l'una, né
con l'altra. Ma che le stesse libertà le abbia anche lo Stato, senza
dover essere costretto a subire la pressione ufficiale e ufficiosa
delle gerarchie ecclesiastiche, a legiferare in ossequio alle loro
credenze, e a pagare di tasca propria per la propaganda e gli affari
altrui: in particolare, tra le tante revisioni costituzionali mettiamo
mano anche all'Articolo 7, per ridare all'Italia la libertà che
Mussolini e Togliatti le hanno tolta. Questo dovrebbe fare un partito
democratico, e questo mi auguro che faccia il Pd nel nuovo anno.

(30 dicembre 2007)

=omegabible=
00giovedì 3 gennaio 2008 17:06
re

Condivido l'articolo di Odifreddi,quanto alle sue speranze di abolizione dell'7 nel quale Mussolini e Togliatti tolsero quello che è un diritto di uno Stato, ho i miei dubbi.
La mellifluità ,la mancanza di coerenza, la corruzione e l'affarismo dei nostri governanti lo impediranno. Chi vivrà,vedrà.



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